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La prima proposta di Direttiva sui servizi portual

Porto di Genova e Gruppo Ormeggiatori del Golfo della Spezia

3.3 La prima proposta di Direttiva sui servizi portual

Ad ogni modo, oltre alle pronunce della Corte di Giustizia l’approccio comunitario al tema dei servizi ancillari alla navigazione ha coinvolto anche altri percorsi giuridici, articolandosi in una serie di iniziative a carattere legislativo che, tuttavia, non sono andate a buon fine.

La prima traccia di una proposta volta a liberalizzare il mercato dei servizi portuali mediante uno strumento regolatorio comune risale al 10 dicembre 1997, quando la Commissione Europea emanò il Green Paper on Sea Ports and Maritime

Infrastructure.100 Quasi quattro anni dopo, in data 13 febbraio 2001 l’organo esecutivo dell’UE decideva di concretizzare tali dichiarazioni di intenti, adottando una comunicazione al Consiglio e al Parlamento Europeo dal titolo sine dubio emblematico, Reinforcing Quality Service in Sea Ports: A Key for European

Transport, indicata per brevità con la denominazione “Pacchetto Porti”. Ma, quel che

è più importante, accludeva a detto provvedimento un progetto di direttiva concernente l’accesso al mercato dei servizi portuali che delineava uno specifico         Inoltre, criticità vengono espresse anche da VAGAGGINI C., op. cit., pp. 451-453:

“Le conclusioni cui giunge la corte nella sentenza in esame, se da un lato risultano essere fortemente condizionate dalla natura tipicamente accessoria e assistenziale che riveste il rimorchio marittimo nell’ambito del diritto greco, dall’altro non sembrano affatto tener conto della natura pubblicistica di tale servizio che, assieme al pilotaggio, ormeggio e battellaggio, rientra tra i cosiddetti servizi tecnico-nautici di interesse generale. A nostro parere, l’importante funzione esercitata da questo tipo di servizi, atti a garantire la sicurezza della navigazione e dell’approdo nei porti, giustificherebbe l’esistenza di una peculiare disciplina che si caratterizza per le restrizioni poste all’accesso al servizio e per il carattere monopolistico dell’offerta. Ciò appare, quindi, giustificato da un lato dalle deroghe consentite dall’art. 86.2 CE e dall’altro dalle esigenze di pubblica sicurezza, come si evince dal combinato disposto degli artt. 46 e 55 CE”.

100

Come rilevato da SANTORO E., op. cit., pp. 247-248, nota 15, il “Libro Verde sui Porti e sulle Infrastrutture Marittime” dedica il suo capitolo conclusivo (il quinto) al tema fondamentale dell’accesso al mercato e dell’organizzazione dei servizi portuali, ove non manca di sottolineare che la gestione tradizionale di tali attività, spesso caratterizzate da regimi di monopolio, non rappresenta certo la soluzione migliore, soprattutto se si considera il progresso tecnologico e l’incremento della concorrenza registratisi nell’ultimo decennio. In argomento, CARBONE S.M.–MUNARI F., Safety in

Navigation and Efficiency in Port from the View-Point of the Technical-Nautical Services Ancillary to Navigation: Remarks on the European Commission Green Paper on Ports and Maritime Infrastructures, in Dir. mar., 1998, p. 902 ss.

 127 regime a livello continentale per la materia in analisi.101 Orbene, poiché nella formazione dell’atto comunitario proposto si era scelto di seguire la procedura di codecisione, contraddistinta dalla condivisione del potere legislativo tra Parlamento Europeo e Consiglio dei Ministri, la direttiva in questione, per entrare in vigore, avrebbe dovuto ricevere l’approvazione di entrambe le istituzioni sopracitate. Tuttavia, in sede di terza lettura, il 20 novembre 2003, l’assemblea parlamentare europea respingeva, seppur con un margine di voti esiguo,102 il testo di direttiva sottopostole. Ecco, al di là delle ragioni che ne hanno determinato l’insuccesso, non costituisce esercizio vano por mente alle notevoli innovazioni recate dalla proposta in oggetto. Infatti, una sua rilettura consente di ravvisare in essa significativa attualità e di cogliere i termini dell’interessante dibattito che ha suscitato nelle comunità dei principali scali europei, oltreché tra gli studiosi del settore.103

Con riferimento al campo di applicazione, la proposta di direttiva del 2001 avrebbe riguardato i porti marittimi e i sistemi portuali compresi nel territorio di uno Stato membro a condizione che la media annuale dei volumi di traffico fosse stata, nel triennio antecedente, pari ad almeno 500.000 passeggeri o a 3 milioni di tonnellate di merci. D’altronde, occorre precisare, lo strumento ipotizzato mirava a regolamentare non solo i servizi tecnico-nautici di pilotaggio, rimorchio e ormeggio, ma anche le operazioni portuali di caricamento, scarico, trasporto all’interno di aree terminalistiche, deposito, stivaggio, magazzinaggio in ambito portuale,

       101

Poiché la proposta proveniva dal Commissario Europeo per le Relazioni con il Parlamento, i Trasporti e l’Energia, Loyola De Palacio, il provvedimento è stato talvolta indicato, per finalità identificative, con il nome della politica spagnola che lo ha propugnato e strenuamente difeso. 102

Infatti, l’esito della votazione del Parlamento Europeo vedeva prevalere la posizione contraria alla proposta con 229 voti, in un contesto in cui, tuttavia, i favorevoli erano 209 e si registravano 16 astensioni.

103

VAN HOOYDONK E., The Regime of Port Authorities Under European Law Including an Analysis

of the Port Services Directive inVAN HOOYDONK E. (edited by), European Seaports Law. EU Law

of Ports and Port Services and the Ports Package, Antwerp/Apeldoorn, 2003, p. 79 ss.; VAN HOOYDONK E., Prospects after the Rejection of the European Port Services Directive, in Dir. mar., 2004, pp. 851-852.

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consolidamento del carico e trasbordo nonché le prestazioni rese alle persone, imbarco e sbarco inclusi.104

Quanto agli erogatori di tali servizi, è forse utile notare che gli Stati membri avrebbero potuto richiedere agli stessi di essere stabiliti in seno all’Unione e che i mezzi utilizzati fossero registrati ed avessero la nazionalità di uno dei Paesi costituenti detta organizzazione internazionale. Inoltre, l’operatività dei prestatori avrebbe potuto essere dipesa dal previo conseguimento di una forma di authorisation, termine utilizzato in senso ampio, tale da ricomprendere ogni permesso in grado di consentire ad una persona fisica o giuridica di erogare servizi portuali o di effettuarli in autoproduzione.105

Infatti, proprio in merito a quest’ultimo profilo, è bene evidenziare che la proposta di direttiva sosteneva espressamente la possibilità per l’utenza di provvedere in via autonoma all’espletamento sia di attività corrispondenti alle operazioni portuali che ai servizi tecnico-nautici. Con la conseguenza che non vi sarebbe stato alcun obbligo di rivolgersi soltanto ad imprese locali stabilite nello scalo ove doveva avvenire l’esecuzione delle prestazioni richieste e di avvalersi necessariamente della loro opera. Invero, una simile presa di posizione non escludeva la possibilità di subordinare l’autoproduzione dei servizi portuali al possesso di un’autorizzazione

lato sensu intesa, ma tale assenso avrebbe dovuto perfezionarsi in base a condizioni

non più severe o deteriori di quelle applicate nel giudicare la medesima funzione o attività paragonabili ad essa.106

       104

BRIGNARDELLO M., La politica portuale alla luce della nuova proposta di Direttiva europea, in

Dir. mar., 2001, pp. 1311-1312 (soprattutto nota 3) e pp. 1324-1325.

105

CARBONE S.M.–MUNARI F., La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, cit., 2006, p. 298.

106

GENNARI D., Recenti orientamenti giurisprudenziali su alcuni aspetti problematici in materia di

servizi tecnico-nautici ancillari alla navigazione: spunti per una ricostruzione sistematica, in Dir. trasp., 2002, p. 862.

 129 Ad ogni modo, la proposta di direttiva prevedeva la facoltà per gli Stati membri di limitare il numero degli erogatori dei servizi portuali, stabilendo, tuttavia, nella versione originaria che ciò potesse avvenire solo in base a ragioni di spazio e capacità disponibili e, trattandosi di servizi ancillari alla navigazione, esigenze collegate alla sicurezza del traffico marittimo. In proposito, le autorità preposte nei singoli Paesi avrebbero avuto l’onere di enunciare le motivazioni di tali contenimenti nella quantità dei prestatori e tendere comunque alla maggior presenza possibile in relazione alle fattispecie considerate. Oltretutto, in caso di riduzioni nelle fila dei fornitori, il progetto in esame avrebbe richiesto di seguire nella selezione di questi procedure trasparenti e oggettive, improntate a criteri non discriminatori, attinenti e proporzionati.

Ebbene, se quanto sinora illustrato tiene conto delle previsioni contenute nella redazione iniziale della proposta di direttiva del 2001, non si possono trascurare le modifiche apportate al testo durante le versioni successive.

Così, per un verso, il diritto di autoproduzione veniva ristretto alle mansioni che gli equipaggi delle navi erano in grado di svolgere con mezzi propri dell’impresa armatoriale di appartenenza e pur sempre assoggettato ai vincoli fissati dalla normativa nazionale a carattere sociale. Inoltre, avrebbe potuto essere escluso o condizionato al versamento di un contributo finalizzato a sostenere gli obblighi di pubblico servizio gravanti sui soggetti incaricati dell’esecuzione dei servizi tecnico- nautici.107

Per l’altro, eventuali limitazioni al “ventaglio” degli operatori sarebbero state vagliate anche alla luce della legislazione deputata alla tutela ambientale. Oltretutto, gli Stati avrebbero avuto la possibilità di fissare parametri di riferimento relativamente a capacità ed esperienza professionali ritenute indispensabili.

       107

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Particolarmente emblematiche delle divergenze registratesi nell’iter di formazione dell’atto in commento sono le vicende concernenti la disciplina del pilotaggio. In seno al Parlamento Europeo non sono mancate iniziative per eliminare detto servizio ancillare alla navigazione dalla sfera di intervento della direttiva, mentre un emendamento ha provveduto a ricondurre le forme di esenzione rispetto al pilotaggio obbligatorio nell’alveo dell’autoproduzione.108

Analizzati gli elementi rilevanti per lo studio in fieri, è doveroso considerare le ragioni che hanno condotto al naufragio della proposta di direttiva appena illustrata. È vero che l’esiguità dei numeri con cui in sede di votazione finale si è pervenuti al suo respingimento potrebbe testimoniare l’esistenza di contingenze di natura eterogenea e, più in generale, difficoltà di accordo tra i vari attori politici; nondimeno, secondo opinioni qualificate, il provvedimento non risultava immune da vizi che hanno forse contribuito ad inficiarne l’approvazione.

Innanzitutto, come rilevato da eminente dottrina109, il procedimento di formazione dell’atto da parte del Parlamento Europeo è stato incostante e la qualità tecnica nonché la coerenza delle modifiche apportate alquanto opinabili.

Inoltre, il testo suggerito dalla Commissione mal celava una certa sfiducia nei confronti del settore, ancorata all’idea che le regole concernenti l’accesso al mercato dei servizi portuali fossero rimaste ancora poco trasparenti e foriere di equivoci. Ciò soprattutto con riferimento alle autorizzazioni, intese in senso ampio, allo svolgimento di prestazioni negli scali, la cui disciplina veniva percepita quale inadeguata e incerta. Simili valutazioni, pur essendo giustificate in relazione ad       

108

  JARZEMBOWSKI G., Der richtlinienvorschlag über den Marktzugang für Hafendienste –

Entwicklungsstand und Perspektiven, in LAGONI R. (Herausgegeben von) Deutsche Seehäfen:

Hafenwettbewerb – Hafensicherheit – Schiffsentsorgung, Münster, 2004, p. 1. 

109 V

AN HOOYDONK E., Prospects after the Rejection of the European Port Services Directive, cit., pp. 855 ss. 

 131 alcune realtà, si dimostravano tuttavia eccessive se riferite all’intero comparto, guardato in una prospettiva continentale, posto che tradivano un approccio sommario alla tematica.110

Per di più, la proposta de qua appariva sostanzialmente dogmatica, in quanto fondata sulla seguente logica generalista: dal momento che erano state redatte delle linee guida finalizzate alla liberalizzazione di altri ambiti dei trasporti e dei servizi pubblici, si sarebbe dovuto procedere in via analoga nel ramo dei porti. In quest’ottica sono state inserite nel progetto di direttiva previsioni spurie, quasi come se fossero state prese in prestito da altri atti di diritto comunitario derivato antecedenti e ispirati alla stessa temperie legislativa. A fini esemplificativi, rientra in questo genere di ipotesi la disposizione per cui le autorità portuali debbano tenere contabilità separate per i servizi di natura commerciale rispetto alle restanti prestazioni. Ma, soprattutto, per quanto qui più interessa, è sembrato che il principio di autoproduzione fosse stato tratto dall’art. 7 della Direttiva del Consiglio 96/67/CE del 15 ottobre 1996, concernente l’accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità, senza esplicitare appieno il significato di una simile introduzione nella disciplina europea degli scali marittimi.111 In merito, la Commissione ha infatti, secondo alcuni commentatori, dato l’impressione di non aver condotto un’approfondita disamina preventiva delle peculiarità e delle istanze del segmento produttivo che intendeva regolamentare. Detto orientamento può, quindi, aver facilitato risposte negative da parte dei destinatari principali della proposta di direttiva, i quali non sono stati messi in grado di coglierne le sfide e i vantaggi in termini di competitività ed innovazione. Pertanto, non sono state probabilmente tenute presenti le reali condizioni del mercato oggetto di intervento. Oltretutto, la       

110

 CARBONE S.M.–MUNARI F., La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, cit., 2006, p. 299.

111

Rileva la profonda influenza dell’Airport Package del 1997 (Direttiva 97/67/CE) rispetto al provvedimento in esame, MUNARI F., The Impact on Technical-Nautical Services of the Second

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volontà di aprire alla massima concorrenza il campo dei servizi tecnico-nautici è parsa, ad avviso di parte della dottrina, contrastante con le politiche europee dirette ad rafforzare la sicurezza in mare e ad incrementarne i livelli. In proposito, l’organo esecutivo dell’UE ha forse agito come un Giano bifronte, priva di una visione unitaria o, perlomeno coordinata, delle risoluzioni in materia.

Ancora, un notevole limite della proposta di direttiva si è concretizzato nel mancato riconoscimento di norme di diritto internazionale relative al settore in esame. Nello specifico, proprio in merito all’autoproduzione nelle operazioni si è assistito ad un conflitto tra le disposizioni del testo e la Convenzione C 137 dell’International Labour Organisation (ILO) del 1973 che garantiva priorità di ingaggio ai lavoratori portuali registrati. Per non parlare dei servizi ancillari alla navigazione, ove il progetto de quo ha trascurato che sia il diritto consuetudinario sia i lavori preparatori della Convenzione di Ginevra del 1923 sul Regime Internazionale dei Porti Marittimi112 avevano riconosciuto il diritto degli Stati di imporre validamente configurazioni monopolistiche relativamente al pilotaggio e al rimorchio.

Ma c’è di più. Alcune disposizioni recate dalla proposta di direttiva avevano sapore poco realistico. Non allontanando lo sguardo dai servizi tecnico-nautici, basti pensare al fatto che le corporazioni o i gruppi di piloti, in virtù delle loro profonde conoscenze degli spazi acquei nei luoghi di riferimento, avrebbero avuto l’onere di       

112

Sul ruolo rivestito da detto strumento pattizio nel diritto internazionale, CARBONE S.M.–CELLE P. –LOPEZ DE GONZALO M., op. cit., p. 133, la cui ricostruzione evidenzia che in una prospettiva transnazionale

“il porto è visto come uno sbocco dei commerci, il cui accesso da parte delle navi mercantili deve essere preservato dagli Stati senza discriminazioni, come naturale complemento della libertà dei traffici marittimi: a tali principi si ispira l’assai risalente Convenzione di Ginevra del 9 dicembre 1923 sul regime internazionale dei porti marittimi, in vigore tra tutti i principali Stati marittimi, compreso il nostro. La Convenzione, che ai suoi tempi rappresentava un importante passaggio evolutivo nei rapporti del commercio internazionale, oggi ha perso molta della sua importanza pratica, atteso che le regole da essa codificate costituiscono in buona parte un patrimonio acquisito nel diritto internazionale dell’economia”.

 133 trasmettere detto patrimonio di competenze professionali a futuri organismi concorrenti, indebolendo le proprie potenziali prospettive di guadagno. D’altronde, anche le autorità portuali di maggiori dimensioni sarebbero state ingiustamente appesantite da eccessivi aggravi in termini burocratici, vedendosi costrette a organizzare articolate procedure di selezione relativamente ad forme di “autorizzazione” marginali.113

In aggiunta, non si dimentichi che il provvedimento ipotizzato conteneva precetti di dubbia o difficile interpretazione che avrebbero alimentato una cospicua attività ermeneutica e, soprattutto, contrasti sull’effettivo significati degli stessi, pregiudicando il raggiungimento di uno degli obiettivi del progetto, ovvero aumentare la certezza del diritto comunitario in materia portuale.114

Infine, il compromesso consolidatosi nelle versioni successive della proposta di direttiva, pur avendo addolcito gran parte delle asperità contenute nella primitiva formulazione, si è rivelato vano in quanto non supportato da consultazioni preliminari con gli operatori del settore e, soprattutto, da un atteggiamento diplomatico della Commissione Europea nei confronti delle varie posizioni interessate.

Le riflessioni sin qui condotte permettono, dunque, di cogliere l’avversione che il progetto del 2001 ha incontrato presso numerose comunità portuali, comprese quelle tedesche e britanniche. L’opinione pubblica e, in particolare, le forze sindacali hanno iniziato a lanciare strali sulla proposta in esame allorché si sono convinte che portasse alla creazione dei c.d. ports of convenience, ove i servizi portuali venivano resi sì a condizioni economicamente vantaggiose, ma abbassando gli standard di sicurezza delle attività e le tutele sociali dei lavoratori coinvolti.

       113

VAN HOOYDONK E., Prospects after the Rejection of the European Port Services Directive, cit., pp. 859-860.

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Ad ogni modo, bisogna riconoscere all’iniziativa dell’organo esecutivo dell’Unione un grande merito, quello di aver concepito uno strumento normativo in grado di chiarire le implicazioni in ambito portuale delle fonti primarie di diritto comunitario, superando al contempo la frammentazione derivante dalla casistica giurisprudenziale della Corte di Giustizia e la miopia di visioni limitate alle singole fattispecie.115 La stessa scelta dell’atto da utilizzare, una direttiva, era di per sé piuttosto felice, in quanto mirava a codificare in un corpus unitario di respiro continentale norme enucleate nell’esperienza delle istituzioni comunitarie e, almeno in teoria, regole promananti dalle migliori prassi del settore, senza per questo comprimere gli spazi di trasposizione degli Stati membri. Ciò al fine di creare un mercato realmente libero e competitivo, oltre che aperto ad una positiva concorrenza sia all’interno degli scali che tra i porti dello scacchiere europeo.