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L’ingerenza decisionale come forma di violenza ostetrica

3.4 La scelta etica: le ragioni dei genitori

3.4.1 L’ingerenza decisionale come forma di violenza ostetrica

Un’ulteriore motivazione mi spinge a considerare opportuno il rispetto della volontà espressa dalla madre: il mancato rispetto di questa volontà può, a mio avviso, essere esperito e interpretato dalla partoriente come una forma di violenza ostetrica e provocare un vissuto fortemente traumatizzante.

Il fenomeno della violenza ostetrica è principalmente sperimentato dalle donne che vivono nei Paesi occidentali industrializzati, le quali sono maggiormente esposte agli effetti indesiderati dovuti all’eccessiva medicalizzazione del processo del parto. Nonostante ciò, questa forma di violenza è un fenomeno che riguarda anche i Paesi in via di sviluppo, come il Venezuela e la Colombia, nei quali il parto raggiunge elevati livelli di ospedalizzazione, mentre è ancora largamente assente una forte attenzione ai diritti umani, in particolar modo ai diritti delle donne.

Il Venezuela è stato il primo Paese che nel 2007 ha legalmente riconosciuto la violenza ostetrica, stabilendo una solida base per il riconoscimento giuridico degli atti di violenza perpetrati sulle donne durante il parto, espressione particolare di una più generale forma violenza di genere di cui le donne sono spesso vittime. Il Venezuela, all’interno della

intervento da parte dello Stato a salvaguardia della vita del neonato nel caso in cui la sopravvivenza sia nell’interesse del neonato, ma non in quello della famiglia, cfr. p. 189.

“Legge organica sul diritto delle donne a una vita priva di violenza”170,

definisce come violenza ostetrica l’appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale medico, che si manifesta tramite l’adozione di trattamenti disumanizzanti e l’abuso di procedure mediche non necessarie, le quali convertono il naturale processo fisiologico del parto in uno stato patologico. Tali trattamenti conducono alla perdita di autonomia da parte della donna, che si sente spogliata della libertà decisionale sul proprio corpo e sulla propria sessualità, impattando

negativamente sulla qualità della sua vita171.

La violenza ostetrica abbraccia un’ampia sfera di possibili pratiche violente alle quali le donne sono soggette nel momento in cui si trovano a partorire in ospedale. Alcune delle pratiche più comuni includono:

1. interventi non tempestivi e inefficaci durante le emergenze

ostetriche;

170 Ley organica sobre el derecho de las mujeres a una vida libre de violencia, Gaceta Oficial de la Republica Bolivariana de Venezuela, Caracas, 23/04/2007 http://www.acnur.org/t3/fileadmin/Documentos/BDL/2008/6604.pdf .

171 Ivi, art 15 comma 13 “Se entiende por violencia obstétrica la apropiación del cuerpo y procesos reproductivos de las mujeres por personal de salud, que se expresa en un trato deshumanizador, en un abuso de medicalización y patologización de los procesos naturales, trayendo consigo pérdida de autonomía y capacidad de decidir libremente sobre sus cuerpos y sexualidad, impactando negativamente en la calidad de vida de las mujeres”.

2. obbligare le donne a partorire in posizione supina e con le gambe

alzate quando sussistono i mezzi necessari all’espletamento del parto in posizione verticale;

3. ostacolare l’attaccamento precoce del bambino alla madre senza

giustificata causa medica;

4. alterare il naturale processo del parto a basso rischio, attraverso l’uso

di tecniche di accelerazione, senza il consenso volontario, esplicito e informato della donna;

5. praticare il cesareo quando sussistono le condizioni per espletare un

parto naturale, senza il consenso volontario, esplicito e informato della donna 172.

Diversi studi sono stati svolti sulla pervasività di interventi ostetrici non supportati da una reale necessità terapeutica, agiti sulle donne durante il parto in assenza di un consenso esplicito, e, a volte, persino contro un

palese rifiuto173; tali studi dimostrano una chiara correlazione tra pratiche

ostetriche invasive e insorgenza di disturbo post traumatico da stress.

Fernández174 ha evidenziato che le nascite vissute dalle madri come

traumatiche prendono solitamente la forma di trattamenti disumanizzanti

172 Ivi, art 51.

173 S.C. SHABOT, “Making loud bodies “Feminine”: a feminist-phenomenological analysis of

obstetric violence” Human Studies, vol 39, pp. 231–247, Springer 2016.

agiti da parte dell’autorità medica, che impediscono alle donne stesse di mantenere il minimo controllo durante il parto. Le donne oggetto di violenza ostetrica riferiscono di essersi sentite costrette a subire procedure mediche invasive, senza essere state pienamente informate in merito ai processi e alle conseguenze di tali procedure; alcune di esse hanno addirittura affermato di aver vissuto l’evento del parto al pari di uno stupro, manifestando una sofferenza psicologica simile a quella riportata dalle vittime di violenza sessuale175. La percezione di essere state oggetto di

violenza sembrerebbe dovuta non soltanto alle pratiche mediche invasive e non necessarie, quanto all’aver subito un atto coercitivo vero e proprio, che ha determinato l’assoggettamento di queste donne a un potere autoritario esercitato in maniera unilaterale dal personale medico, il quale non è stato in grado di ascoltare le ragioni e le opinioni delle partorienti, escludendole di fatto dal processo decisionale176. L’atto violento che caratterizza la

violenza ostetrica sarebbe quindi, a mio parere, rappresentato soprattutto dal mancato rispetto dell’autonomia decisionale della paziente, alla quale è negata la possibilità autodeterminarsi, esprimendo il proprio consenso libero e pienamente informato.

175 Ivi, p. 48. 176 Ibidem.

Adottando questo punto di vista, è possibile percepire una forma di violenza ostetrica anche nel trattamento coercitivo subito dal neonato alle soglie della vitalità, nel caso in cui non sia stato precedentemente avviato un processo decisionale condiviso con la madre. Se è vero che gli interventi ostetrici nei parti fortemente pretermine, per quanto invasivi, non possono essere considerati come una forma di violenza ostetrica in senso stretto, visto che è in gioco la vita della madre e del neonato, risulta però innegabile che intervenire sul bambino senza il consenso della madre comporta una violazione del principio di autonomia di quest’ultima, violazione che le impedisce di assumere in prima persona la responsabilità

delle scelte mediche. Il mancato rispetto dell’autonomia decisionale della

partoriente costituisce così una forma di violenza agita durante l’evento nascita, che potrebbe essere interpretata come una particolare forma di violenza ostetrica.

Un parto fortemente pretermine ha, inoltre, un’alta probabilità di essere vissuto dalla partoriente come traumatico, sia per le modalità del parto

stesso, sia per i probabili esiti infausti al quale il neonato va incontro. Le

madri dei neonati pretermine hanno, infatti, un rischio maggiore di soffrire di depressione post partum rispetto alle madri di neonati a termine. In particolar modo, per le madri di neonati con un peso alla nascita molto

basso tale rischio permane durante tutto il primo anno di vita del bambino177. In questo contesto, sottrarre alla partoriente la libertà di

decidere in maniera autonoma in merito ai trattamenti sanitari da riservare al proprio figlio appare una forma di ingerenza ingiustificata nelle scelte etiche individuali.

Poiché l’evento del parto ha un impatto molto forte sulla sessualità e sui problemi riproduttivi delle donne, il personale medico rappresenta un fattore di grande importanza nella promozione e nel rispetto dell’autonomia decisionale della donna riguardo al proprio corpo e al proprio bambino. Per questi motivi ritengo che, nei casi in cui non si abbiano evidenze mediche in grado di stabilire quale sia il trattamento migliore da adottare, il rispetto della volontà della madre rappresenti la soluzione che soddisfa in modo più adeguato il miglior interesse di tutte le persone coinvolte nella scelta etica.