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Il principio di precauzione e il valore etico dell’incertezza della prognosi

3.1 L’etica dell’indisponibilità della vita umana nel documento del Comitato Nazionale

3.2.4 Il principio di precauzione e il valore etico dell’incertezza della prognosi

Di fronte all’incertezza originata dall’applicazione del criterio del miglior interesse potrebbe essere lecito supporre che sia opportuno adottare un atteggiamento prudenziale, volto a orientare la scelta in favore della salvaguardia della vita umana. Pur riconoscendo che non è opportuno rianimare il neonato estremamente prematuro nel caso in cui questa pratica assuma il carattere obiettivo di accanimento terapeutico146, il Comitato

Nazionale di Bioetica fonda la necessità morale di trattare attivamente ogni individuo sull’impossibilità di una prognosi certa per i nati alle soglie della vitalità. Non sapendo a priori se il nato è destinato a morire o a sopravvivere, seppur con un’alta probabilità di incorrere in esiti

comportanti gravi disabilità, avremmo l’obbligo morale di instaurare in ogni caso interventi salvavita, in attesa di giungere a una prognosi certa. La necessità morale del trattamento non selettivo, che non faccia distinzioni in base all’età gestazionale e allo stato di salute del neonato alla nascita, è fatta quindi derivare dall’incertezza prognostica, che prescriverebbe la necessità, in via precauzionale, di adottare il principio in dubio pro vita e

imporre a tutti i nati l’atto rianimatorio147.

Questa posizione, come abbiamo visto, sottende in realtà un principio vitalistico, che si richiama all’idea della sacralità della vita umana: in essa sarebbe inscritta “una speciale dignità che obbliga prima facie a prolungare

la sopravvivenza del neonato fortemente pretermine”148. L’incertezza della

prognosi conduce il Comitato a raccomandare l’intervento salvavita non perché esso risulti necessario in via precauzionale, ma a seguito dell’adozione surrettizia di una particolare interpretazione del valore della vita umana, nella quale essa è concepita come un valore assoluto.

Il principio di precauzione si presenta in realtà come un principio puramente procedurale, che non è in grado, da solo, di orientare la scelta etica, in quanto non rappresenta un principio generale che prescrive

147S. BARTOLOMMEI, “Individui nati a bassissima età gestazionale: alcune ragioni morali del non

trattamento selettivo” in Bioetica Rivista Interdisciplinare, XVII:I-II cit., p. 105. 148Ivi, p. 93.

l’applicazione o il rifiuto pregiudiziale di un determinato intervento, bensì costituisce un criterio utile a guidare i comportamenti umani. Tale criterio suggerisce che nelle scelte etiche è necessario porre attenzione alle “particolarità e differenze empiriche dei casi per valutare, di volta in volta, rischi e benefici sia dell’agire che dell’omettere”149, al fine di evitare danni

a terzi nei casi di rischio e incertezza. Non è possibile allora, per la bioetica di matrice laica, intendere tale principio procedurale come un principio morale sostanziale, che comanda il dovere assoluto di intraprendere un corso di azioni ben definito in ogni condizione di rischio o incertezza, poiché ciò significherebbe appiattire la scelta morale sulla precauzione, intesa come confine invalicabile per l’azione.

L’analisi degli studi di settore ha evidenziato come la prognosi dei neonati gravemente pretermine sia generalmente incerta, in particolar modo per i neonati che si trovano nella cosiddetta zona grigia. L’incertezza scientifica della prognosi basata sulle statistiche è d’altronde irriducibile, dal momento che dipende da cause ineliminabili, ovvero dalle caratteristiche proprie dell’oggetto e dal metodo di studio stesso150. Se la

prognosi di un paziente è difficilmente prevedibile e la diagnosi incerta, le

149 S. BARTOLOMMEI, Etica e biocoltura, ETS, Pisa 2003, p. 120.

150R. DI CANIO, La disperata ricerca della certezza. Criteri etici di orientamento nelle terapie

scelte relative all’intervento terapeutico da adottare presentano forti perplessità, per questo motivo, generalmente, nelle linee guida internazionali

“Il grado della forza vincolante delle scelte mediche viene solitamente modulato sul grado di evidenza delle prove scientifiche, [mentre] il peso di fattori decisionali diversi da quelli scientifici viene considerato preponderante solo nei rari casi in cui l’incertezza dei dati scientifici viene apertamente e radicalmente riconosciuta”151.

Abbiamo visto, infatti, che nelle linee guida internazionali si ha generalmente un rapporto direttamente proporzionale tra probabilità di sopravvivenza senza gravi sequele e obbligatorietà dell’intervento salvavita, così come le indicazioni relative alla sospensione del trattamento si rivelano maggiormente vincolanti al diminuire delle probabilità di sopravvivenza. La zona grigia, la zona di maggior incertezza, risulta così quel territorio in cui è possibile, per genitori e medici, operare una scelta che non è veicolata da certezze, ma che apre all’espressione dei valori personali di coloro che sono coinvolti nella decisione morale.

Gli approcci al trattamento terapeutico che si avvalgono dei dati prognostici come esclusivo criterio per orientare la scelta morale,

falliscono l’obiettivo di giustificare moralmente le decisioni cliniche non a causa dell’incertezza della prognosi, bensì per il fatto che i dati statistici, da soli, non possono indicare alcuna scelta moralmente rilevante. Si potrebbe affermare allora che, nelle scelte morali, non è possibile realizzare esclusivamente una preminenza dei fatti sui valori, ma è necessaria una disamina del rapporto intercorrente tra di essi in base al quale, nel momento in cui ci si avvicina a dati certi, lo spazio per la valutazione etica si restringe a favore del dato di fatto plausibile, mentre invece quando esso è maggiormente incerto, la valutazione morale acquista una dimensione più ampia. In queste circostanze, essa è orientata dai valori e dalla visione del mondo propria dei decisori finali i quali, partendo dai dati di fatto, che in

medicina sono sempre caratterizzati da un indefinito grado di incertezza152,

si incaricano di fare una scelta moralmente fondata. Il dato statistico e la valutazione delle condizioni del paziente operata dal medico non sono, infatti, sufficienti a suggerire alcuna indicazione moralmente rilevante, poiché forniscono esclusivamente un dato di fatto più o meno certo, che costituisce la base sulla quale è possibile operare una scelta moralmente

152La zona perennemente grigia in effetti non riguarda esclusivamente la medicina prenatale bensì la medicina scientifica nel suo complesso, in quanto risulta caratterizzata da un certo grado di incertezza eternamente presente che non è mai possibile eliminare. La convinzione di poter raggiungere la certezza scientifica appare oggi infondata a causa della complessità dei fenomeni che la ricerca scientifica rivela continuamente, cfr. Comitato Nazionale per la Bioetica, Scopi, limiti e rischi della

fondata. Questo è ciò che appare evidente dall’analisi delle linee guida internazionali effettuata nel capitolo precedente: esse, in genere, raccomandano la sospensione o l’applicazione dei trattamenti salvavita nei casi in cui si abbiano a disposizione dati che evidenzino alte probabilità di realizzazione, mentre lasciano spazio per la valutazione personale nelle circostanze di maggiore incertezza, quando il rapporto tra i costi e i benefici dei possibili trattamenti è difficilmente calcolabile.

In questo contesto, appare inappropriata l’accusa che il Comitato Nazionale di Bioetica muove alla Carta di Firenze nell’affermare che essa fonda le proprie indicazioni di trattamento non sulla certezza ma

sull’incertezza della prognosi153, poiché l’incertezza è un dato ineliminabile

della medicina scientifica. In realtà, la Carta di Firenze non imposta i propri suggerimenti di trattamento sull’incertezza della prognosi, bensì su valutazioni relative alla qualità della vita del neonato; allo stesso modo il Comitato suggerisce il trattamento di ogni prematuro nato vivo in base a considerazioni inerenti il proprio punto di vista particolare, ovvero la necessità di salvaguardare la vita umana in quanto valore assoluto.

La Carta di Firenze si preoccupa inoltre di mitigare l’approccio puramente statistico con una visione individualizzata del trattamento da

applicare a ogni nato, dal momento che, per ogni età gestazionale, essa non istituisce l’obbligo di adottare un determinato iter terapeutico, intensivo o palliativo che sia, bensì suggerisce di integrare le informazioni relative ai dati statistici con la valutazione delle condizioni di ogni individuo alla nascita. La Carta quindi non fornisce un orientamento al trattamento solamente sulla base delle statistiche e sul loro grado di certezza (o incertezza), ma si preoccupa di evidenziare l’importanza dell’analisi delle condizioni di ogni nato.

Una simile ipotesi operativa è stata avanzata nello studio di Tyson e

colleghi sui neonati a bassissimo peso154, nel quale si suggerisce di

utilizzare un approccio individualizzato ai neonati di basso peso alla nascita, identificando il grado di necessità del trattamento in base a quattro diverse situazioni :

1. il trattamento è da considerarsi obbligatorio quando ha elevate

probabilità di successo ed è di significativo beneficio per il paziente; in questo caso il medico ha l’obbligo di effettuare tale trattamento anche se i genitori chiedono che ci si astenga dalla sua applicazione. È il caso, secondo la Carta di Firenze, dei neonati al di sopra delle

154J.E. TYSON et al. Viability, morbidity, and resource use among newborns of 501- to 800-g birth weigth. JAMA 276:20 (November1996), pp. 1645-1651.

25 settimane, per i quali la prognosi è abbastanza buona, sia per la sopravvivenza che per la morbilità;

2. il trattamento è opzionale quando i rischi appaiono molto alti e i

benefici sono incerti o sembrano comunque molto scarsi. Questo è il caso dei neonati alle soglie della vitalità per i quali Tyson raccomanda che siano seguiti i desideri dei genitori in merito a rianimazione e eventuali cure intensive;

3. il trattamento è investigativo quando l’intervento è nuovo, oppure

quando i suoi effetti non sono conosciuti per quella determinata classe di pazienti, perciò deve essere considerata una procedura sperimentale. Tale procedura necessita del consenso informato del paziente o dei suoi genitori e di un’accurata valutazione dei risultati

ottenuti, favorevoli o sfavorevoli, tramite un rapporto finale155;

4. il trattamento è irragionevole quando risulta futile e non in grado di

modificare la prognosi. In questo caso non sussiste alcun obbligo per il medico di iniziare o proseguire il trattamento anche nel caso in cui ne venga fatta richiesta da parte dei genitori, dal momento che tali procedure risultano invasive e dolorose e non apportano benefici al paziente.

155Cfr. M. ORZALESI, “Decisioni al limite in Neonatologia: la dimensione medica” in Interventi al

Le linee giuda contenute nella Carta di Firenze hanno quindi il compito di orientare l’azione medica in base all’evidenza dei dati scientifici, fornendo una griglia interpretativa della realtà utile alle persone che devono operare una scelta morale; sarà poi sulla base di una valutazione del rapporto tra i costi e i benefici che verrà consigliato di intraprendere il trattamento intensivo al di sopra di una certa età gestazionale o l’utilizzo delle cure confortevoli al di sotto di un’altra, ma tale valutazione introduce elementi di valore che esulano dalla mera statistica. L’incertezza prognostica riveste allora un principio cautelativo: essa ci avverte che, poiché la prognosi è incerta, è necessario compiere delle scelte moralmente fondate.