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Questioni etiche relative al trattamento dei grandi prematuri

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Civiltà e forme del sapere

Corso di Laurea in Filosofia

QUESTIONI ETICHE RELATIVE AL TRATTAMENTO DEI

GRANDI PREMATURI

RELATORE

Prof. Francesco GIUNTA

CANDIDATA Lisa LEOFANTI

(2)

“Il regno dell’autonomia comincia là dove finisce il regno della certezza. Gli esseri umani possono essere o autonomi o sicuri di sé: raramente le due cose insieme”

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Indice generale

Introduzione...6

1 Il trattamento medico dei neonati gravemente pretermine...8

1.1 Situazione presente...8

1.2 Definizione di età gestazionale...13

1.3 I diversi gradi di prematurità...15

1.4 Il concetto di vitalità...16

1.5 Il neonato a incerta vitalità...18

1.6 La situazione di incertezza nella “zona grigia”...22

1.7 Gli studi clinici...23

1.7.1 La revisione degli studi da parte di Evans e Levene...25

1.7.2 Lo studio Epicure...29

1.7.3 Lo studio Epibel...33

1.7.4 Lo studio Epipage...36

1.7.5 Lo studio norvegese...39

1.8 La concordanza dei dati...41

2 Il dibattito italiano e le linee guida europee...43

2.1 Le posizioni in gioco nel dibattito italiano...43

2.1.1 La Carta di Firenze...44

2.1.2 Raccomandazioni del gruppo di lavoro del Ministro della Salute...46

2.1.3 La Carta di Roma e il documento del Comitato Nazionale di Bioetica...49

2.1.4 Il documento del Consiglio Superiore di Sanità...58

2.1.5 Lettera aperta per un contributo alla chiarezza sul tema delle cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse...60

2.2 Le linee guida internazionali...62

(4)

2.2.2 Regno Unito...65

2.2.3 Svizzera...68

2.2.4 Germania...69

2.2.5 Olanda: linee guida e protocollo di Groningen...70

2.2.6 Stati Uniti...75

2.3 Considerazioni finali sulle linee guida internazionali e italiane...76

3 L’analisi dei principi etici...78

3.1 L’etica dell’indisponibilità della vita umana nel documento del Comitato Nazionale di Bioetica...78

3. 2 L’etica della disponibilità della vita umana nella Carta di Firenze...95

3.2.1 Il valore della vita umana e il concetto di persona...101

3.2.2 Il criterio del miglior interesse per le scelte relative al soggetto incapace...111

3.2.3 I problemi sollevati dal criterio del miglior interesse...117

3.2.4 Il principio di precauzione e il valore etico dell’incertezza della prognosi...119

3.3 Un’etica minimale per stranieri morali...127

3.4 La scelta etica: le ragioni dei genitori...131

3.4.1 L’ingerenza decisionale come forma di violenza ostetrica...136

3.5 L’importanza della comunicazione nel rapporto medico-paziente...141

3.6 la ricerca del consenso informato nelle situazioni di emergenza...143

Conclusioni...145

Bibliografia...151

Articoli...154

(5)

Indice delle illustrazioni

Grafico 1: sopravvivenza dei nati vivi in relazione all'età gestazionale, calcolati a 28 giorni dalla nascita e alle dimissioni (dati ricavati dallo studio Epicure)...33 Grafico 2: sopravvivenza di tutti i nati in relazione all'età gestazionale, calcolati

all'ammissione in Terapia Intensiva Neonatale e alla dimissione (dati ricavati dallo studio Epibel)...36 Grafico 3: sopravvivenza di tutti i nati in relazione all'età gestazionale, calcolati

all'ammissione in Terapia Intensiva Neonatale e alla dimissione (dati ricavati dallo studio Epipage)...38 Grafico 4: sopravvivenza di tutti i nati in relazione all'età gestazionale, calcolati

all'ammissione in Terapia Intensiva Neonatale e alla dimissione (dati ricavati dallo studio norvegese)...41

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Introduzione

Il trattamento sanitario dei neonati gravemente pretermine solleva importanti questioni etiche, per comprendere le quali è necessario in prima istanza offrire una breve panoramica sui recenti sviluppi della medicina neonatale. L’avanzamento della ricerca medica ha determinato negli ultimi decenni un progressivo abbassamento della soglia di vitalità nei neonati prematuri, consentendo buone possibilità di sopravvivenza a età gestazionali molto basse. Nonostante ciò, il problema costituito da un elevato tasso di mortalità e morbilità permane alle bassissime età gestazionali. Dall’analisi degli studi scientifici disponibili è possibile inferire la limitata utilità degli interventi terapeutici per il trattamento dei neonati gravemente pretermine, non è pertanto semplice stabilire quale tipo di assistenza medica sia maggiormente indicata per questi pazienti.

Nel 2006, un gruppo di lavoro coordinato dalla Clinica di Medicina Neonatale e Pediatria Preventiva dell’Università degli studi di Firenze ha elaborato e proposto l’adozione di alcune linee guida per il trattamento di questi neonati, prevedendo la limitazione dei trattamenti di rianimazione e sostegno vitale per i nati alle soglie della vitalità. Il contenuto di questo documento è stato contestato dal Comitato Nazionale di Bioetica, che ha invece consigliato l’adozione di interventi salvavita per ogni nato vivo.

(7)

Il dibattito scaturito da questa contrapposizione è di notevole interesse perché permette di evidenziare come all’interno delle attuali società laiche pluralistiche permangano influenze etiche derivanti da concezioni religiose che, sebbene non possano essere condivise dall’intera società, sembrano tuttavia imporsi alla ragione umana come auto evidenti. L’appello al trattamento di ogni nato vivo, anche alle bassissime età gestazionali, sembra infatti poggiare su un principio difficilmente confutabile, come il dovere morale di salvaguardare ogni vita umana innocente, valore preminente, riconosciuto e salvaguardato all’interno di ogni società umana.

Tuttavia, una concezione etica fondata sul postulato dell’esistenza divina non può essere accolta senza una disamina critica da parte di chi, non condividendo tali premesse, conduce la propria vita etsi deus non daretur, ovvero da laico, senza per questo rinunciare a offrire giustificazioni etiche per le proprie azioni. Emerge così una differente concezione della vita umana, non più caratterizzata da un valore assoluto e intangibile, di fronte al quale ogni altro valore viene meno, bensì da un valore relativo, determinato dalle condizioni di vita esperite dal soggetto e aperta alle scelte autonome dell’individuo. Il presente lavoro ha l’obiettivo di proporre una via d’uscita dall’aporia decisionale che necessariamente emerge quando due visioni etiche inconciliabili si trovano in conflitto.

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Capitolo 1

Il trattamento medico dei neonati gravemente pretermine

1.1 Situazione presente

Negli ultimi decenni abbiamo assistito a notevoli sviluppi della medicina neonatale: dagli anni ’70, con il diffondersi di reparti dedicati alle cure intensive neonatali, la mortalità natale e perinatale ha subito una drastica diminuzione, rappresentando uno dei maggiori successi della medicina moderna1.

Nello stesso periodo, e nel decennio successivo, si sono avuti inoltre lo sviluppo di prodotti specifici e l’introduzione di importanti innovazioni terapeutiche che hanno migliorato la prognosi dei nati prematuri, ovvero i corticosteroidi prenatali e il surfattante endotracheale. Entrambi i farmaci rivestono un’importanza cruciale per il trattamento dei nati pretermine poiché agiscono sulla funzionalità del polmone fetale, favorendone la maturazione. I cortisonici, somministrati alla madre in minaccia di parto pretermine, facilitano lo sviluppo del polmone del feto riducendo l’incidenza della sindrome da distress respiratorio, o malattia delle

1 C. VIAFORA “Presentazione. Bioetica delle terapie intensive neonatali” in Interventi al limite.

Bioetica delle terapie intensive neonatali, a cura di L. CHIANDRETTI, P. DRIGO, G. VERLATO, C. VIAFORA, Franco Angeli, Milano 2007, p. 9.

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membrane ialine, e l’emorragia cerebrale che spesso ne consegue. Il surfattante, molecola lipo-proteica prodotta dall’epitelio respiratorio, agisce sull’alveolo polmonare abbassandone la tensione superficiale e impedendone il collasso causato alla fuoriuscita dell’aria in esso contenuta, collasso che renderebbe ogni atto respiratorio difficile e faticoso come il primo2.

La diminuzione del tasso di mortalità deve essere attribuita quindi a una maggior comprensione dello sviluppo fetale e neonatale e a un miglioramento nelle cure ai neonati durante il loro adattamento alla vita extrauterina e il completamento del loro sviluppo. Grazie a queste innovazioni, si è reso possibile intervenire in modo più efficace nei parti prematuri dovuti a cause naturali, ma si è aperta anche la possibilità di indurre parti precoci per permettere il trattamento di alcune patologie fetali che non potrebbero essere affrontate in utero3.

Questi miglioramenti hanno portato grandissimi benefici: riusciamo oggi a salvare molti neonati che solo fino a pochi decenni fa sarebbero sicuramente deceduti in seguito a una nascita talmente prematura da essere considerata un aborto vero e proprio. Basti pensare che alla fine degli anni

2M.S. PIGNOTTI , All’alba della vita. Gli incerti confini delle cure intensive neonatali, Le Lettere,

Firenze 2008, pp. 29-35.

3Nuffield Council on Bioethic, Critical care decision in fetal and neonatal medicine: ethical issues, London 2006, p. 3.

(10)

’60, un feto di 28 settimane di età gestazionale veniva considerato non vitale4, mentre attualmente, lo stesso feto avrebbe buone possibilità di

sopravvivenza.

Si è avuto così uno spostamento verso il basso del limite di vitalità, ovvero della possibilità per il neonato, benché non ancora completamente formato, di sopravvivere al di fuori dell’utero materno, sebbene la sua sopravvivenza sia strettamente connessa a un’assistenza altamente specialistica e all’ausilio di macchine e terapie complesse e invasive.

Il problema costituito da un elevato tasso di mortalità e morbilità continua però a porsi per le bassissime età gestazionali: steroidi e surfattante possono agire solamente su una struttura polmonare caratterizzata dalla presenza di un certo numero di alveoli deputati allo scambio dei gas, i quali costituiscono la sua unità funzionale5. Risulteranno

pertanto inefficaci se utilizzati su un polmone troppo immaturo.

In effetti, dalla metà degli anni ’90 ad oggi, dopo l’introduzione su larga scala della terapia con surfattante e steroidi, non si sono raggiunti ulteriori abbassamenti nella soglia di vitalità, che si è stabilizzata attorno alle 23- 24 settimane di età gestazionale. Ciò è dovuto al fatto che, proprio attorno a

4M.S. PIGNOTTI, All’alba della vita, cit., p. 28.

5M.ORZALESI, “Decisioni al limite in neonatologia: la dimensione medica” in Interventi al limite, cit., pp. 28-29.

(11)

questa fase della gestazione, il polmone fetale passa dallo stadio canalicolare allo stadio alveolare, ovvero inizia il processo di formazione degli alveoli, che porterà, con il passare delle settimane, alla piena funzionalità polmonare. Questo processo proseguirà per tutto il resto della gravidanza e nei primi anni di vita del bambino. Sembra quindi altamente improbabile che, con le cure e le tecnologie che abbiamo attualmente a disposizione, si possano ottenere risultati migliori riguardo alle nascite occorse in età gestazionali molto precoci6, proprio perché la struttura sulla

quale le terapie dovrebbero agire è assente o non ancora adeguatamente sviluppata. Inoltre, è importante evidenziare che l’impiego di questi farmaci non è esente da importanti effetti collaterali: i corticosteroidi, in particolare, possono “avere effetti negativi, sopprimendo il surrene fetale e inibendo una appropriata risposta ormonale del neonato allo stress del parto”7, oltre a un’influenza negativa sullo sviluppo del sistema nervoso

centrale8, aumentando la probabilità di esiti negativi nel feto a bassissime

età gestazionali.

Sebbene il numero globale delle nascite pretermine sia andato aumentando nel corso degli ultimi due decenni, passando dall’1,8% al 2,5%

6Cfr. M.S. PIGNOTTI, All’alba della vita, cit. p. 98 e G. Chirico “Tra scienza ed etica: cosa dicono le

linee guida internazionali?” in Interventi al limite, cit., p. 103. 7 Ivi, p. 36.

(12)

attuale, anche a causa dell’impiego delle tecniche di fecondazione assistita che hanno aumentato il rischio di parti prematuri, il numero delle nascite ai limiti della vitalità è invero molto basso, coinvolgendo circa l’1-2‰ di tutti i nati vivi9. Queste basse percentuali costituiscono comunque un grande

problema perché proprio tra questi neonati si riscontra un altissimo tasso di mortalità e una elevata percentuale di grave disabilità nei sopravvissuti. Possono in aggiunta essere presenti numerose malattie croniche dovute sia alla condizione di estrema prematurità, sia agli interventi invasivi subiti. Essi necessitano inoltre di terapie intensive prolungate e di cure specialistiche a seguito della eventuale dimissione. Tutto ciò comporta costi elevati per il bambino, che sperimenterà cure dolorose e spesso futili, per la famiglia che assisterà al lungo iter terapeutico e che, in caso di sopravvivenza, dovrà affrontare le difficoltà legate alla probabile disabilità del figlio, per la società che dovrà farsi carico di spese sanitarie elevate e di incerto beneficio.

9Ivi, p. 32. Cfr. anche M.S. PIGNOTTI, G. DONZELLI, “Rianimazione e cura dei bambini pretermine”,

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1.2 Definizione di età gestazionale

Ci si avvale estensivamente del concetto di età gestazionale, al riguardo è opportuno precisare che esso costituisce il metodo migliore per stabilire, durante la gravidanza, lo stato di maturazione fetale. L’età gestazionale “è il tempo che intercorre tra il primo giorno dell’ultima mestruazione e il giorno del parto”10 ed è utilizzata per calcolare la data presunta del parto.

Essa viene solitamente stabilita in tre modi:

1. in base alla data del primo giorno dell’ultima mestruazione; 2. tramite valutazione ecografica nel primo trimestre di gravidanza; 3. attraverso una stima del feto dopo la sua nascita.

Il primo metodo risulta più accurato se la donna ha cicli mestruali regolari, se invece la data dell’ultima mestruazione è incerta o i cicli sono irregolari è indicato l’utilizzo del secondo metodo. Una rivalutazione dell’età gestazionale può inoltre essere effettuata dopo la nascita da parte del medico, dal momento che durante lo sviluppo fetale si susseguono una serie di mutamenti fisici che possono essere individuati e datati11. L’età

gestazionale si esprime in settimane e giorni, quando viene indicato solamente il numero delle settimane si intende che il feto ha già completato

10M.S.PIGNOTTI, All’alba della vita, cit., p. 53. 11Ivi, pp. 53-61.

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la settimana indicata12. L’età gestazionale è quindi una stima, passibile di

errori e imprecisioni; risulta però il metodo più accurato per stabilire il grado di sviluppo del feto, essendo questo l’unico dato che correla con l’ accrescimento e la maturazione degli organi. La valutazione del solo peso, infatti, è eccessivamente influenzata da numerosi elementi che lo rendono poco significativo, quali, ad esempio, variabilità biologica, patologie materne o fetali, gemellarità. Due feti di diversa età gestazionale possono avere lo stesso peso, ma questo dato, da solo, non sarà indicativo del loro grado di maturità né della loro possibilità di sopravvivenza13.

L’importanza di stabilire con accuratezza l’età gestazionale del feto deriva dal fatto che lo sviluppo fetale avviene con un susseguirsi di cambiamenti piuttosto celeri, per cui, ogni giorno di permanenza nell’utero materno, aumenta la possibilità di sopravvivenza del feto stesso. A questo proposito è opportuno specificare che, nel nostro Paese, la datazione delle gravidanze avviene in maniera ottimale, dal momento che il numero delle ecografie prenatali per ogni gravidanza è molto elevato14.

12Ivi, p. 53. 13Ivi, p. 57.

14Cfr. M.S. PIGNOTTI, “Il convegno di Firenze ed il dibattito sui grandi prematuri”, Bioetica rivista

(15)

1.3 I diversi gradi di prematurità

Il concetto di età gestazionale si rivela indispensabile anche per la classificazione dei diversi gradi di prematurità. La gravidanza fisiologica ha una durata che varia dalle 37 alle 42 settimane di gestazione, i nati in questa fascia temporale sono quindi nati al termine del periodo di gestazione, sono completamente formati e adatti ad affrontare la vita extrauterina. Tutti i bambini nati al di sotto delle 37 settimane sono considerati prematuri, sebbene il grado di prematurità e la probabilità di sopravvivenza varino a seconda dell’epoca gestazionale nella quale vengono alla luce. I nati tra la 32a e la 36a settimana di gravidanza vengono

considerati “lievi pretermine”, la loro prognosi, al momento attuale, è paragonabile a quella dei nati a termine. I nati tra la 31a e la 28a settimana

di gestazione sono invece “neonati molto pretermine”, questi bambini hanno solitamente gravi problemi clinici, hanno necessità di essere sottoposti a terapia intensiva, la loro prognosi è riservata sia per quanto riguarda la sopravvivenza che l’incidenza di disabilità, ma il loro trattamento dà comunque buoni risultati. Sono i prematuri che hanno maggiormente beneficiato delle innovazioni terapeutiche degli ultimi decenni. Al di sotto della 28a settimana si hanno i nati “estremamente

(16)

pretermine”; all’interno di questa fascia si distinguono i nati alla 26a e 27a

settimana la cui prognosi è estremamente riservata ma il trattamento terapeutico è in genere considerato obbligatorio, perché le loro probabilità di sopravvivenza, ancorché scarse, sono comunque relativamente buone. I nati tra la 25a e la 23a settimana sono i neonati a “incerta vitalità”, i feti

neonati, ancora troppo immaturi per la vita extrauterina, feti che nascono nell’epoca gestazionale durante la quale ha inizio lo sviluppo anatomico dell’alveolo15. Al di sotto delle 23 settimane complete di età gestazionale il

feto si trova generalmente sotto la soglia di vitalità quindi, in linea di principio, la sua sopravvivenza risulta “impossibile”. I rari casi di bambini nati e sopravvissuti al di sotto di questa fascia temporale sono dovuti a una errata valutazione dell’età gestazionale o a un precoce e più rapido sviluppo del feto.

1.4 Il concetto di vitalità

Il concetto di vitalità è riferito alla capacità del feto di sopravvivere al di fuori dell’utero materno, di conseguenza esso dipende primariamente da una caratteristica intrinseca del feto stesso, ovvero l’aver raggiunto un certo grado di sviluppo. Affinché il neonato sopravviva all’evento del parto è necessario che il sistema cardiorespiratorio si adatti all’ambiente esterno,

(17)

mantenendo un apporto di ossigeno adeguato agli organi vitali. Dal punto di vista fisiologico c’è quindi un limite allo sviluppo polmonare sotto il quale lo scambio gassoso non sarà sufficiente. Tale limite risiede nell’ “inadeguatezza dello sviluppo della superficie polmonare capace degli scambi gassosi, come pure [nel]l’incapacità del bimbo estremamente immaturo ad aumentare adeguatamente il flusso sanguigno polmonare”16.

Poiché non tutti i feti raggiungono lo stesso livello di sviluppo alla stessa età gestazionale, il concetto di vitalità dipenderà inoltre dalla variabilità biologica, così come da altri fattori quali gemellarità, peso alla nascita, etnia, sesso, patologie materno-fetali. Ci sono inoltre elementi estrinseci che incidono sulla possibilità di vita autonoma alle bassissime età gestazionali: dal momento che questi neonati non possono sopravvivere senza l’ausilio di macchine e terapie specializzate la loro vitalità dipenderà dal luogo di nascita, ovvero dal centro nel quale il parto è espletato, dalla presenza o meno di un reparto di Terapia Intensiva Neonatale, dal tipo di parto effettuato, dall’assistenza pre e post-natale ricevuta e dall’atteggiamento del personale medico che lo assiste17. Il concetto di

vitalità risulta pertanto dinamico, ma il suo limite è stimabile, come

16T.M.BERGER, “La cura dei bambini prematuri al limite della capacità di vita” in Interventi al limite,

cit. p. 117.

17 M.ORZALESI, “Decisioni al limite in neonatologia: la dimensione medica” in Interventi al limite

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abbiamo già visto, tra le 23 e le 25 settimane di età gestazionale.

1.5 Il neonato a incerta vitalità

In questa fascia di età gestazionale, definita come “zona grigia” si trova il neonato a incerta vitalità, ovvero quel bambino per il “quale la sopravvivenza è incerta e il tasso di morbilità nei sopravvissuti è considerevole”18. Questi neonati sono caratterizzati da un peso molto basso,

che varia in media dai 400 ai 600 grammi. “La loro pelle è fine, trasparente, gelatinosa, permette in trasparenza di vedere i piccoli vasi. Respirano attraverso i bronchioli terminali perché gli alveoli non si sono ancora formati.”19, Il loro cervello non è ancora pienamente sviluppato, e ciò li

rende estremamente vulnerabili. Intervenire su questi feti non è agevole, spesso le manovre di rianimazione risultano difficoltose, anche in operazioni relativamente semplici come trovare una vena per effettuare un prelievo di sangue o ventilare attraverso un tubo del diametro molto ridotto e facilmente ostruibile. Oltre a queste difficoltà di carattere operativo si hanno inoltre problemi più generali, infatti non è facile individuare, alla nascita, quali tra questi neonati possiedano una adeguata capacità di sopravvivenza, dal momento che non tutti i feti che nascono vivi all’interno

18J. SINGH et al, “Resuscitation in the "Gray Zone" of Viability: Determining Physician Preferences

and Predicting Infant Outcomes” Pediatrics, 120:3 (September 2007), p. 520. 19M.S.PIGNOTTI, All’alba della vita, cit., pp. 65- 66.

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della zona grigia sono anche vitali. Il vero problema clinico al quale ci si trova di fronte risulta pertanto la possibilità di distinguere il feto nato vivo e vitale e dal nato vivo ma morente, ovvero tra il neonato che possiede capacità di vita autonoma, e il feto che manifesta gli ultimi residui della vita intrauterina che lo sta abbandonando.

Già Ballantyne, nel 1902, metteva in luce questa cruciale differenza, seppur riferendosi a feti nel settimo mese di gestazione, più sviluppati rispetto a quelli di cui stiamo parlando, ma che all’epoca si trovavano alle soglie della vitalità:

“Il neonato prematuro differisce dal feto immaturo per il possesso della vitalità, ovvero, egli è capace di un’esistenza al di fuori dell’utero materno, un’esistenza, dobbiamo aggiungere, che non è limitata a poche ore, ma che è potenzialmente possibile per mesi ed anni. Non solo il suo cuore deve battere, i suoi arti muoversi, e i suoi polmoni respirare, ma i suoi organi digestivi devono essere capaci di un certo numero di attività funzionali, e i suoi tessuti devono essere in grado di assimilare il nutrimento a loro condotto tramite il canale alimentare”20.

Questa difficoltà è acuita dal fatto che la sopravvivenza alle bassissime età gestazionali può avvenire solamente tramite l’ausilio di macchine che vicariano le principali funzioni vitali del feto. Diventa quindi necessario

20 J.W.BALLANTYNE et al., “The problem of the premature infant”, The British Medical Journal, may 17 1902, pp. 1196-1200 http://www.neonatology.org/classics/ballantyne.html, (traduzione mia).

(20)

comprendere se egli potrà beneficiare o meno di questi mezzi di cura straordinari21.

Poiché, come abbiamo visto, non è possibile, sulla base della sola età gestazionale, stabilire a priori quale bambino sarà vitale e quale invece destinato a morire, spetta al neonatologo individuare lo stato di vitalità del feto, esaminando direttamente le condizioni in cui egli si trova dopo la nascita. Per fare ciò il medico si avvale, oltre che della propria esperienza e professionalità, di alcuni strumenti che sono a sua disposizione. A questo scopo, risulta di particolare importanza l’utilizzo dell’indice Apgar, introdotto nel 1953 da Virginia Apgar e ancora oggi adoperato in tutto il mondo per la valutazione oggettiva dei neonati in sala parto. Grazie a questo metodo di classificazione è possibile stabilire un punteggio relativo ai parametri vitali del neonato in base alle condizioni in cui egli versa alla nascita. Vengono così presi in considerazione cinque parametri fondamentali:

1. frequenza cardiaca; 2. sforzo respiratorio; 3. colorito;

4. risposta allo stimolo;

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5. tono muscolare.

A ognuno di questi parametri viene attribuito un punteggio che varia da 0 a 2; ogni nato avrà così un risultato compreso tra 0 e 10, dove 0 indica che il bambino è morto o appare come tale, mentre 10 indica che egli si trova in perfette condizioni. Il punteggio viene calcolato al primo e al quinto minuto di vita, evidenziando quindi sia le condizioni del bambino subito dopo la nascita, sia il suo adattamento alla vita extrauterina. L’indice Apgar assume un rilevante significato prognostico: i nati che ricevono un punteggio inferiore a 7 dopo i primi venti minuti di vita, hanno spesso subito una sofferenza neurologica che lascerà postumi22. Combinando quindi età

gestazionale, peso alla nascita, punteggio Apgar, storia ostetrica e tutti gli altri elementi che abbiamo visto essere correlati con la vitalità, è possibile per il neonatologo intuire in sala parto, in maniera approssimativa, se il feto risulta essere vitale o meno, e se le sue condizioni sono tali da far supporre che egli avrà un qualche grado di disabilità in caso di sopravvivenza.

Questo tipo di diagnosi non possiede un livello di certezza assoluta: potremmo infatti trovarci di fronte al neonato che sembra rispondere bene all’evento nascita, ma che non supera le manovre di rianimazione o la

22 Per una più esauriente spiegazione dell’argomento cfr. M.S. PIGNOTTI, All’alba della vita, cit. pp. 25-27.

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terapia intensiva, così come al bambino poco reattivo alla nascita, che risponde in maniera soddisfacente all’intervento di rianimazione e alle terapie successive.

1.6 La situazione di incertezza nella “zona grigia”

Come abbiamo visto, la cosiddetta “zona grigia”, ovvero la fascia di età gestazionale che comprende i neonati a incerta vitalità, presenta una situazione di difficile controllo, caratterizzata da grande incertezza. La gestione di questi neonati è estremamente complessa date le loro caratteristiche fisiche ancora immature. Risulta inoltre problematico comprendere se il neonato stesso sia vitale o meno e, spesso, si rivela arduo persino classificarlo come nato vivo o nato morto23. Non è possibile

prevedere con certezza se il neonato sopravvivrà, se svilupperà disabilità e in quale grado, se le terapie alle quali verrà sottoposto saranno utili o se produrranno danni iatrogeni, peggiorandone il quadro clinico. Meadow, in un recente articolo, afferma: “Purtroppo, non conosco nessun dato in grado di suggerire la possibilità per i neonatologi di predire accuratamente quali neonati potranno “stare bene” da ciò che si può osservare in sala parto”24.

23 Cfr. M.S. PIGNOTTI, G. DONZELLI,“Rianimazione e cura dei bambini pretermine”, Salute e

territorio, cit. p. 292.

24 W. MEADOW, “500-Gram Infants—and 800-Pound Gorillas—in the Delivery Room”, Pediatrics 117(6):2276 (June 2006).

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Questa situazione di incertezza di fronte al caso singolo è però bilanciata dai dati derivanti dagli studi clinici: anche se il neonatologo non può sapere con esattezza quale sarà la prognosi per il neonato che sta accudendo, conosce le statistiche di sopravvivenza e di morbilità per la relativa fascia di popolazione. Dobbiamo allora affidarci a questi studi per comprendere meglio quale sia la situazione del neonato a incerta vitalità.

1.7 Gli studi clinici

Per quanto riguarda i nati all’interno della “zona grigia”, disponiamo di diversi studi clinici che nel corso degli anni hanno monitorato l’andamento delle nascite avvenute in età gestazionali molto basse, fornendoci dati circa le percentuali di morbilità e mortalità. È bene chiarire subito che, poiché queste nascite avvengono fortunatamente in numero molto basso, gli studi in nostro possesso non sono pienamente esaustivi, mancando i presupposti numerici per ottenere dati certi. La scientificità di questi studi è ulteriormente inficiata dal fatto che la distribuzione nel tempo di queste nascite non permette un raffronto tra i pazienti; inoltre, le statistiche di sopravvivenza tra i vari istituti non risultano confrontabili: le percentuali di sopravvivenza saranno differenti se riferite ai nati in centri di III livello altamente qualificati in possesso di reparti di Terapie Intensive Neonatali

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piuttosto che ai nati in una vasta area geografica comprendente centri meno specializzati. Oltre a ciò, non tutti gli studi prendono in considerazione l’età gestazionale come parametro di riferimento per la classificazione dei nati: molti di questi, soprattutto i meno recenti, si riferiscono al solo peso alla nascita, i loro dati sono quindi difficilmente comparabili. Leggendo le statistiche, è inoltre importante comprendere quale sia il denominatore al quale facciamo riferimento: i risultati saranno molto diversi se prendiamo in considerazione le percentuali di sopravvivenza relative a tutti i nati all’interno di una fascia di età gestazionale, compresi i nati morti, oppure se ci riferiamo ai soli nati vivi, o ai feti sopravvissuti al trattamento in sala parto e ammessi in Terapia Intensiva Neonatale25. È necessario porre

attenzione anche al momento in cui il tasso di sopravvivenza viene calcolato, ovvero se questo si riferisce alla sopravvivenza perinatale, solitamente valutata al ventottesimo giorno di vita, alla sopravvivenza al momento della dimissione oppure a qualche anno di distanza dalla nascita. Nel primo caso non verranno prese in considerazione le morti occorse nei primi mesi di vita e dovute a patologie legate alla prematurità e risulteranno pertanto tassi di sopravvivenza maggiori.

25Cfr. M.S. PIGNOTTI, All’alba della vita, cit., p. 67 e M. LEVENE, “È giusto sottoporre a cure intensive i neonati molto prematuri?” in Bioetica rivista interdisciplinare., XVII:1, cit. pp. 57-59.

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Questa eterogeneità nell’adozione dei criteri di riferimento porta quindi a creare confusione quando si confrontano le percentuali di sopravvivenza derivanti da studi diversi, che riferiscono risultati anche molto distanti tra loro.

1.7.1 La revisione degli studi da parte di Evans e Levene

Evans e Levene hanno condotto una ricerca relativa ai lavori precedenti proprio per evidenziare le differenze che si possono riscontrare nei diversi studi in relazione alle caratteristiche della popolazione selezionata26.

Essi hanno preso in considerazione tutti gli studi pubblicati in lingua inglese relativi al tasso di sopravvivenza dei neonati pretermine al di sotto delle 28 settimane svoltisi tra il 1978 e il 1998 nei Paesi più sviluppati con omogenei livelli di assistenza neonatale. Dei 191 articoli pubblicati, solo 67 sono risultati utilizzabili in questa ricerca in quanto in possesso delle caratteristiche necessarie alla comparazione27. Gli autori hanno suddiviso

gli studi utilizzabili in tre gruppi a seconda del tipo di popolazione presa in considerazione: un primo gruppo (A) comprendente gli esiti di tutte le gravidanze, inclusi i nati morti; un secondo gruppo (B) relativo ai soli nati

26D.J. EVANS, M.I. LEVENE, “Evidence of selection bias in preterm survival studies: a systematic

review.”, Arch Dis Child Fetal Neonatal 2001, pp. 79-84.

27 Dei 191 studi pubblicati, 31 non sono scritti in lingua inglese, 56 riportano dati relativi al peso alla nascita e non all’età gestazionale, 37 non riportano dati stratificati per settimane di età gestazionale.

(26)

vivi; un terzo (C) riferito esclusivamente ai neonati ammessi in Terapia Intensiva Neonatale. I risultati di questa ricerca hanno evidenziato una significativa tendenza all’incremento delle percentuali di sopravvivenza, soprattutto per i neonati appartenenti alle fasce gestazionali più basse (23-26), in relazione alla scelta della popolazione di riferimento. Gli studi del gruppo C sovrastimano le percentuali di sopravvivenza rispetto agli studi appartenenti al gruppo A rispettivamente del 100% per le 23 settimane di età gestazionale, del 56% per le 24 settimane, del 18% per le 25 e del 13% per le 26 settimane.

Levene identifica una lista precisa delle variabili che possono apportare errori di valutazione rendendo i dati sulla sopravvivenza scarsamente attendibili e introduce i criteri per la selezione degli studi più affidabili:

1. I dati devono provenire da studi condotti nell’epoca moderna delle

cure neonatali, ovvero dopo il 1990, quando si è diffusa la terapia con surfattante e steroidi prenatali;

2. La classificazione dei neonati deve avvenire in base all’età

gestazionale;

3. La popolazione deve includere tutti i nati vivi, compresi quelli non

(27)

4. La valutazione della sopravvivenza deve avvenire almeno a un anno

di distanza dalla nascita;

5. La popolazione di riferimento deve avere una precisa distribuzione

geografica.

Levene individua la presenza di soli sette studi che soddisfano questi criteri28 e suggerisce l’adozione di parametri di valutazione confrontabili

per le ricerche future. Dalla comparazione degli studi esaminati, emerge un quadro più realistico a proposito delle statistiche di sopravvivenza: a 24 settimane il tasso di sopravvivenza risulta essere del 26% mentre alle 26 settimane poco al di sopra del 50%.

Un’analoga analisi è condotta anche per gli studi relativi al tasso di grave disabilità, la cui definizione varia da studio a studio, ma che in genere include paralisi cerebrale con effetti sulla capacità motoria autonoma, danno cognitivo con quoziente intellettivo inferiore a 70, danno uditivo e

28Levene nell’articolo “È giusto sottoporre a cure intensive i neonati molto prematuri?” in Bioetica

rivista interdisciplinare, cit., p. 61 cita i seguenti studi: W. Tin, U. Wariyar, E. Hey, “Changing prognosis

for babies of less than 28 weeks’ gestation in the north of England between 1983 and 1994”, Br Med J, (1997), n. 314, pp. 107-11; S. Bohin, E.S. Draper and D.J. Field, “Impact of extremely immature infants on neonatal services”, Arch Dis Child Neonatal, (ED 1996), n. 74, pp. F110-F3; L. Sutton, B. Bajuk, “Population-based study of infants born at less than 28 weeks’ gestation in New South Wales, Australia, in 1992-3. New South Wales Neonatal Intensive Care Study Group”, Paediatr Perinat Epidemiol, (1999), N. 13, pp. 228-301; P.A. Holmgren, U. Hagberg, “The very preterm infant – a population based study”, Acta Obstet Gynecol Scand, (2001), n. 80, pp. 525-531; L. W. Doyle, “Outcome at 5 years of children 23 to 27 weeks’ gestation: refining the prognosis”, Pediatrics, (2001), n. 108, pp. 134-41; P.H.T. Cartlidge and J.H. Steward, “Survival of very low birthweight and very preterm infants in a geographically defined population”, Acta Paediatr, (1997), n.86, pp. 105-10.

(28)

cecità. Anche in questo caso gli studi devono avere alcune caratteristiche ben determinate:

1. devono essere effettuati durante o dopo il 1990;

2. il gruppo deve essere selezionato in base all’età gestazionale;

3. il follow-up deve riferire gli esiti relativi almeno all’85% dei

sopravvissuti.

I criteri evidenziati sono soddisfatti da cinque studi29, la cui analisi riferisce

che più del 50% dei nati a 26 settimane di età gestazionale sopravvive senza gravi disabilità, mentre a 24 settimane la percentuale scende al di sotto del 25%30. Questi dati non prendono in considerazione le disabilità

minori, che ricorrono in un ulteriore 25% dei sopravvissuti al di sotto delle 25 settimane.

Tutto ciò rende evidente la necessità, per gli studi futuri, di utilizzare parametri confrontabili in modo tale da rendere possibile sia la

29Levene nell’articolo “È giusto sottoporre a cure intensive i neonati molto prematuri?” in Bioetica

rivista interdisciplinare, cit., p. 62 cita i seguenti studi: F. LEFEBVRE, J. GLORIEUX, T. ST-LAURENT

-GAGNON, “Neonatal survive and disability rate at age 18 months for infants born between 23 and 28

weeks of gestation”, Am J Obstet Gynecol, (1996), n. 174, pp. 833-8; W. TIN, U. WARIYAR, E. HEY, “Changing prognosis for babies of less than 28 weeks’ gestation in the north of England between 1983 and 1994”, Br Med J, (1997), n. 314, pp. 107-11; L.W. DOYLE. “Outcome at 5 years of children 23 to

27 weeks’ gestation: refining the prognosis”, Pediatrics, (2001), n. 108, pp. 134-41; S.E. JACOBS, K.O. BRIEN, S. INWOOD, E.N. KELLY, H.E. WHYTE, “Outcome of infants 23-26 weeks’ gestation

pre-and post- surfactant”, Acta Paediatr, (2000), n. 89, pp. 959-65; R.E. PIECUCH, C.H. LEONARD, B.A.

COOPER, S.A. SEHRING, “Outcome of infants born at 24-26 weeks’ gestation: II Neurodevelopmental outcome”, Obstet Gynecol, (1997), n. 90, pp. 809-14.

30 M. LEVENE, “È giusto sottoporre a cure intensive i neonati molto prematuri?” in Bioetica rivista

interdisciplinare, cit., pp. 57-62. Cfr. anche M. LEVENE, “Is intensive care for very immature babies justified?”, Acta Paediatr., 93:2 (February 2004), pp.149-152.

(29)

comparazione tra i diversi lavori, sia l’analisi dell’andamento nel tempo dei tassi di sopravvivenza e disabilità. I medici dovranno inoltre essere consapevoli dei fattori che causano queste discrepanze nelle stime di sopravvivenza in modo tale da riferire i dati nel modo più accurato possibile ai genitori che si trovano in minaccia di parto pretermine alle bassissime età gestazionali.

1.7.2 Lo studio Epicure

Lo studio Epicure risulta una delle ricerche più significative dal momento che ha esaminato un’ampia popolazione, prendendo in considerazione gli esiti di tutte le gravidanze terminate prima delle 26 settimane di età gestazionale. Si è svolto in Gran Bretagna dal primo maggio al trentuno dicembre 1995 e ha coinvolto tutti i punti nascita del Paese. Durante lo svolgimento dello studio, sono nati 4004 bambini in età gestazionale compresa tra le 20 e le 25 settimane. Dei 2112 nati tra le 20 e le 22 settimane, l’11% mostrava segni di vita alla nascita, il 39% alle 23 settimane, il 60% alle 24 settimane e il 67% alle 25 settimane. Dei nati che mostravano segni di vita, il 92% al di sotto delle 23 settimane, il 50% alle 23 settimane, il 18% alle 24 e l’8% alle 25 sono morti in sala parto. 843 bambini sono sopravvissuti all’evento nascita e sono stati ammessi alla

(30)

terapia intensiva, di questi, 32 sono stati successivamente esclusi dallo studio perché risultarono essere nati dopo le 25+6 settimane di età

gestazionale31. Degli 811 neonati compresi in questo studio, 237 (29%)

provenivano da una gravidanza multipla (77 parti gemellari e 11 parti trigemini). 38 neonati (5%) risultarono essere colpiti da malattie congenite, di questi, 14 erano affetti da patologie ad alto rischio di mortalità. 682 neonati (84%) furono sottoposti a terapia con surfattante. Per 700 neonati abbiamo informazioni relative alla prima radiografia toracica, non sappiamo però quanti neonati morirono prima della radiografia, o quante di queste furono eseguite prima della terapia con surfattante. Dalle radiografie risulta che il 7% dei nati non mostrava anormalità, il 45% risultava affetto da sindrome da distress respiratorio in forma lieve (grado 1 e 2) mentre il 48% in forma grave (grado 3 e 4). 304 neonati (39%), furono sottoposti a terapia con corticosteroidi postnatali in seguito a displasia broncopolmonare, con un incremento della frequenza del trattamento alle più alte età gestazionali. Gli steroidi furono somministrati al 72% dei bambini sopravvissuti per un periodo medio di 24 giorni. Degli 811 neonati ammessi alla terapia intensiva, il 61% è deceduto prima della dimissione

31 La cifra indicata in esponente, preceduta dal segno positivo, indica il numero dei giorni eccedenti le settimane di gestazione. In questo caso si tratta di feti con un’età gestazionale maggiore di 25 settimane e 6 giorni, quindi pari o superiore alle 26 settimane, età limite stabilita per il presente studio.

(31)

dall’ospedale. Le cause di morte non furono registrate per 11 bambini, mentre per il 55% dei neonati morti prima della dimissione la terapia intensiva fu interrotta attivamente32. Sebbene la maggior parte dei bambini

fossero deceduti nei primi giorni di vita, si sono verificati alcuni casi in cui i medici, in accordo con i genitori, hanno preso la decisione di sospendere attivamente le cure intensive fino al 170o giorno di vita, a causa degli esiti

estremamente poveri previsti per questi bambini. Dei 486 neonati che non sopravvissero fino al momento delle dimissioni, il 27% (131) non furono mai sottoposti a ecografia cerebrale, in questo gruppo l’età media al momento della morte risulta essere di un solo giorno. Dei 355 neonati che furono sottoposti a ecografia cerebrale 113 (32%) mostrarono gravi anomalie (cisti parenchimale e/o idrocefalia), che risultano più comuni nel gruppo di bambini per i quali le terapie intensive furono attivamente sospese. Per quanto riguarda i tassi di sopravvivenza alla dimissione, questi risultarono essere l’11% per i nati alle 23 settimane di età gestazionale, il 26% per i nati alle 24 settimane e il 44% per i nati alle 25 settimane. La maggioranza dei nati morì nei primi giorni di vita. I neonati che sono

32 Per determinare la percentuale delle morti avvenute in seguito alla sospensione attiva delle cure intensive sono stati presi in considerazione esclusivamente quei casi in cui si è raggiunta una decisione formale attraverso una discussione con i familiari, escludendo quindi i neonati estubati prima della morte a causa del deterioramento delle condizioni cliniche dovute a una rianimazione non riuscita. Cfr COSTELOE K. et al., “The Epicure Study: Outcomes to Discharge From Hospital for Infants Born at the Threshold of Viability”, Pediatrics, 106:4,(October 2000), p 670.

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sopravvissuti fino al momento della dimissione furono il 39% di tutti i nati, di questi, il 62% risultò colpito da una o più grave disabilità (cisti parenchimale cerebrale e/o idrocefalia, retinopatia del prematuro, dipendenza di ossigeno alle 40 settimane di età post mestruale).

Per quanto riguarda l’uso del surfattante, non fu osservato un incremento del tasso di sopravvivenza in associazione con il suo utilizzo, ma fu invece registrato un aumento della dipendenza cronica da ossigeno. Prima delle 26 settimana non è presente, infatti, una significativa alveolizzazione del polmone: può quindi essere predetta l’assenza di effetti benefici derivanti da trattamento con surfattante. Benché si abbiano evidenze riguardo a un aumento del tasso di sopravvivenza per i neonati al di sotto delle 26 settimane di età gestazionale a partire dagli anni ’90, epoca nella quale si è avuto un incremento nell’utilizzo della terapia con surfattante, questo aumento potrebbe essere dovuto al miglioramento di altri elementi, occorso nello stesso periodo di tempo. In particolare, l’uso sempre più frequente di steroidi prenatali e il miglioramento nelle tecniche di ventilazione possono aver influito sul tasso di sopravvivenza in maniera sempre più incisiva, cosa che risultava già evidente in epoca pre-surfattante33. Alla data presunta

(33)

del parto, sono stati trovati nel 64% della popolazione dello studio uno o più elementi indicanti la presenza di grave disabilità.

1.7.3 Lo studio Epibel

Lo studio Epibel, altro importante studio di popolazione, si è svolto in Belgio tra il 1 gennaio 1999 e il 31 dicembre 2000, coinvolgendo i 19 punti nascita del Paese. In questo studio sono stati raccolti i dati relativi a tutte le nascite avvenute tra le 22 e le 26 settimane di età gestazionale complete, nelle quali il feto aveva manifestato segni di vita all’avvio del parto. Vennero registrate 525 nascite, 322 nati vivi furono sottoposti a trattamenti

22 settimane 23 settimane 24 settimane 25 settimane 0 50 100 150 200 250 300 350 400 22 131 298 357 3 38 129 209 2 26 100 186 Nati vivi Vivi dopo 28 gg Dimessi

Grafico 1: sopravvivenza dei nati vivi in relazione all'età gestazionale, calcolati a 28 giorni dalla nascita e alle dimissioni (dati ricavati dallo studio Epicure)

(34)

di supporto vitale, 303 furono ammessi alla terapia intensiva, di questi 175 sopravvissero fino al momento della dimissione. Il tasso di sopravvivenza fu del 54% su tutti i nati vivi. Per quanto riguarda il numero dei sopravvissuti in relazione all’età gestazionale, le percentuali furono del 5% (1 su 20) per le 22 e 23 settimane, del 29% alle 24 settimane, del 56% alle 25 e del 72% alle 26 settimane. I fattori di rischio associati alla morte furono i seguenti: parto vaginale, mancanza di ossigeno, numero dei giorni passati con respiratore, quantità di ossigeno inspirata entro le prime 12 ore di vita. Il tasso di mortalità non fu invece influenzato dall’uso di surfattante, dal genere e dalla gemellarità. La terapia con surfattante risultò invece correlata a una maggior incidenza di malattia polmonare cronica. Per quanto riguarda il tasso di morbilità, occorre precisare che coloro i quali al momento della dimissione sopravvissero senza evidenze di sequele neurologiche e senza complicazioni relative alla terapia intensiva furono registrati come sani. Costoro risultarono essere il 4% di tutti i sopravvissuti alle 24 settimane, il 7% alle 25 e il 28% alle 26 settimane. Dei 175 sopravvissuti, il 63% presentava almeno uno dei tre34 indicatori di grave

disabilità al momento della dimissione. Le probabilità di sopravvivere

34 P.VANHAESEBROUCK et al., “The EPIBEL Study: Outcomes to Discharge From Hospital for

Extremely Preterm Infants in Belgium” Pediatrics, 114:3 (September 2004), p. 663. Gli autori riferiscono i seguenti indicatori: “Serious neuromorbidity, chronic lung disease at 36 weeks’ postmenstrual age, or treated retinopathy of prematurity”.

(35)

senza gravi patologie risultarono inferiori al 15% (21 su 158 neonati). Lo studio conclude osservando che, se il prolungamento della gravidanza risulta impossibile da perseguire, è opportuno rendere noti ai genitori i dati relativi a mortalità e morbilità e discutere con loro i possibili trattamenti applicabili, rendendo disponibile anche l’opzione relativa all’astensione dai trattamenti. Lo studio evidenzia inoltre come, negli anni ’90, il miglioramento dei dati relativi alla sopravvivenza dei nati alle soglie della vitalità sia stato ottenuto a discapito dell’aumento del tasso di disabilità infantile. Per quanto riguarda i dati relativi alle gravi disabilità concernenti lo sviluppo neurologico si è avuto infatti un aumento dell’incidenza dal 17% al 45% e dal 12% al 35% rispettivamente per le 24 e le 25 settimane di età gestazionale35.

(36)

1.7.4 Lo studio Epipage

Importante studio di popolazione, si è svolto in Francia nel 1997 e ha coinvolto nove regioni del Paese, coprendo circa un terzo delle nascite della nazione. In questo studio sono state prese in considerazione tutte le gravidanze conclusesi tra le 22 e le 32 settimane di gestazione, comprese le interruzioni volontarie di gravidanza. Durante lo studio, sono state registrate 4395 nascite tra le 22 e le 32 settimane, di queste 722 (16%) furono interruzioni di gravidanze tardive, 772 (18%) bambini nacquero morti mentre i nati vivi furono 2901 (66%). Escludendo le interruzioni di

22 settimane 23 settimane 24 settimane 25 settimane 26 settimane 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 72 71 101 115 166 2 18 65 90 147 1 13 54 90 145 0 1 19 50 105 Tutti i nati Nati vivi Ammessi in TIN Dimessi

Grafico 2: sopravvivenza di tutti i nati in relazione all'età gestazionale, calcolati all'ammissione in Terapia Intensiva Neonatale e alla dimissione (dati ricavati dallo studio Epibel)

(37)

gravidanza, i nati vivi rappresentarono il 79% di tutte le nascite, variando dal 16% alle 22 settimane al 92% alle 32 settimane. Alle 25 settimane di età gestazionale più del 50% dei nati presentava segni di vita, mentre alle 27 settimane la percentuale saliva all’80%. 127 (4%) neonati morirono in sala parto mentre 2774 furono ammessi alla terapia intensiva, di questi ultimi, 315 morirono prima della dimissione dall’ospedale. I tassi di sopravvivenza furono dell’89% per i neonati ammessi alle terapie intensive, dell’85% per i nati vivi e del 67% su tutte le nascite. Nessun bambino nato alle 22 e alle 23 settimane di età gestazionale sopravvisse, i nati vivi alle 24 settimane che sopravvissero fino alla dimissione furono il 31%, alle 25 settimane il 50% e alle 28 settimane il 78%.

Il 50% delle morti occorse sia in sala parto che in terapia intensiva sono avvenute a seguito della decisione di sospensione o non attivazione del trattamento intensivo: il 66% di queste si è avuta in sala parto in rapporto inversamente proporzionale all’età gestazionale36, il 44% in terapia

intensiva, percentuale che al contrario si è mantenuta stabile nelle varie fasce di età37. I dati raccolti in questo studio evidenziano inoltre che i nati

36La limitazione dei trattamenti in sala parto ha riguardato l’89% delle morti fino alle 24 settimane di età gestazionale e il 64% tra le 25 e le 26 settimane. Cfr. B. LARROQUE, G. BRÉART, M. KAMINSKI et

al., “Survival of very preterm infants: Epipage, a population based cohort study” Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 89:2 (March 2004), pp.139-144.

37Ivi, p. 142. La limitazione dei trattamenti in terapia intensiva neonatale ha determinato il 60% delle morti fino alle 24 settimane e il 49% tra le 25 e le 26 settimane. Per le età gestazionali superiori la percentuale si è mantenuta stabile, oscillando tra il 49 e il 38%. Cfr tabella 4.

(38)

con un peso inferiore al decimo percentile relativo all’età gestazionale, i nati da gravidanze multiple e i nati di genere maschile hanno un tasso di mortalità più elevato. L’importanza di includere i dati relativi agli esiti di tutte le gravidanze, e non solo le percentuali di sopravvivenza dei nati vivi, emerge chiaramente dallo studio Epipage, infatti, i tassi di sopravvivenza relativi all’intero campione variano solamente dell’8% a seconda se al denominatore vengano considerate tutte le nascite o solo i nati vivi, ma variano del 20% se relativi alle più basse età gestazionali38.

38Ivi, p. 141.

22 settimane 23 settimane 24 settimane 25 settimane 26 settimane 0 50 100 150 200 250 300 102 137 115 204 239 16 30 42 119 158 0 6 27 94 141 0 0 13 59 89 Tutti i nati Nati vivi Ammessi in TIN Dimessi

Grafico 3: sopravvivenza di tutti i nati in relazione all'età gestazionale, calcolati all'ammissione in Terapia Intensiva Neonatale e alla dimissione (dati ricavati dallo studio Epipage)

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1.7.5 Lo studio norvegese

Studio di popolazione svoltosi in Norvegia negli anni 1999- 2000, ha preso in considerazione tutti i nati con età gestazionale compresa tra le 22 e le 27 settimane o un peso alla nascita tra i 500 e i 999 grammi. Durate il periodo di osservazione si ebbero 636 nati, 174 (27%) nacquero morti o morirono in sala parto, 86 (14%) morirono in Terapia Intensiva Neonatale (TIN) e 376 (59%) sopravvissero fino alla dimissione. I dati di sopravvivenza relativi sia a tutti i nati, vivi o morti, sia ai soli ammessi in TIN, risultarono essere rispettivamente: 0% per i nati con età gestazionale inferiore alle 23 settimane, 16% e 39% per i nati alle 23 settimane, 44% e 60% alle 24 settimane, 66% e 80% alle 25 settimane, 72% e 84% alle 26 settimane e 82% e 93% alle 27 settimane. Solamente 2 bambini nati alle 22 settimane su 38 vennero rianimati e trasferiti in TIN, ma nessuno dei due sopravvisse. Per quanto riguarda la somministrazione della terapia intensiva, è interessante notare che il peso medio in rapporto all’età gestazionale dei neonati ammessi in TIN fu significativamente più alto rispetto al peso di coloro che non furono rianimati, anche se in seguito tali valori non differirono molto tra coloro che sopravvissero e coloro che morirono dopo l’ammissione alla terapia intensiva. Per quanto riguarda i soggetti non

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ammessi alla terapia intensiva, la maggioranza dei nati al di sotto delle 24 settimane morì in utero dopo l’ammissione al reparto di ostetricia o non venne rianimata alla nascita, mentre la maggior parte dei nati a età gestazionali più elevate morì in utero prima dell’ammissione alla sala parto. Questi dati rivelano le attitudini di intervento in relazione all’età gestazionale: infatti, dopo le 24 settimane si ha un atteggiamento più favorevole agli interventi di rianimazione. Tra i sopravvissuti, il rischio di gravi malattie è risultato inversamente proporzionale all’età gestazionale, in particolare al di sotto delle 26 settimane, anche se non si è rivelata alcuna associazione significativa tra età gestazionale e rischio di gravi disabilità, fatta eccezione per la retinopatia del prematuro (ROP). La ragione di questa prognosi positiva totalmente inaspettata, soprattutto per le 23 settimane, può essere spiegata con il fatto che, nel caso in cui compaiano complicazioni nelle età gestazionali più basse, si è più propensi alla sospensione delle terapie salvavita.

Sebbene i dati relativi al tasso di sopravvivenza senza gravi disabilità neurosensoriali possano essere considerati favorevoli alle 23 e 24 settimane, i trattamenti medici subiti da questi neonati risultarono molto invasivi, con un ampio numero di pazienti richiedenti terapia con ossigeno o ventilazione assistita a 36 e 40 settimane. Si rende quindi necessario

(41)

verificare quali potranno essere gli esiti a lungo termine, dal momento che diversi studi associano una maggior incidenza di deficit nello sviluppo neurosensoriale a un utilizzo prolungato della terapia con ossigeno39.

1.8 La concordanza dei dati

Come abbiamo visto analizzando alcuni degli studi più rappresentativi, i dati relativi a mortalità e morbilità dei nati ai limiti della soglia di vitalità risultano essere abbastanza concordanti in tutti i Paesi avanzati, in quanto il

39 T. MARKESTAD et al., “Early Death, Morbidity, and Need of Treatment Among Extremely Premature Infants”, Pediatrics, 115:5 (May 2005), p. 1297.

22 settimane 23 settimane 24 settimane 25 settimane 26 settimane 0 20 40 60 80 100 120 38 55 80 83 112 2 23 58 69 96 0 9 35 55 81 Tutti i nati Ammessi in TIN Dimessi

Grafico 4: sopravvivenza di tutti i nati in relazione all'età gestazionale, calcolati all'ammissione in Terapia Intensiva Neonatale e alla dimissione (dati ricavati dallo studio norvegese)

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livello delle cure mediche è molto simile. Alcuni Paesi, ad esempio la Norvegia, hanno risultati migliori e ciò può essere dovuto a diversi fattori tra cui caratteristiche della popolazione, elevati livelli assistenziali, atteggiamento dei medici orientato all’intervento, maggior disponibilità a interrompere le cure alle basse età gestazionali qualora esse si dimostrino inefficaci.

I dati evidenziano la situazione seguente: sotto le 22 settimane non ci sono possibilità di sopravvivenza, quindi gli interventi sono inutili e non giustificabili. Sopra le 25 settimane la sopravvivenza è incerta, ma si hanno comunque buone probabilità di sopravvivere in condizioni abbastanza favorevoli, quindi l’intervento è generalmente raccomandato. Tra le 22 e le 24 settimane siamo in presenza di una zona grigia nella quale gli esiti sono incerti e non è possibile stabilire in maniera univoca quali strategie di intervento sia più opportuno perseguire. Risulta quindi necessario sviluppare il dibattito analizzando i risvolti etici delle decisioni che è possibile assumere in queste situazioni.

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Capitolo 2

Il dibattito italiano e le linee guida europee

2.1 Le posizioni in gioco nel dibattito italiano

Nel capitolo precedente abbiamo esposto sinteticamente la situazione presente in ambito medico relativamente ai nati pretermine e abbiamo messo in luce i successi e i problemi emersi negli ultimi anni a seguito dei miglioramenti conseguiti nell’ambito delle cure neonatologiche. Tali problemi riguardano, come abbiamo visto, il trattamento dei neonati più piccoli, che si trovano al limite della soglia di vitalità, per i quali la sopravvivenza è estremamente incerta e gravata da un’alta percentuale di disabilità. Queste nascite, ancorché infrequenti, richiedono interventi altamente specialistici ed estremamente invasivi i quali, in larga parte, non potranno far altro che procrastinare la morte del nato. Urge allora chiedersi se e in quale misura tali interventi siano moralmente giustificabili. Nel dibattito presente nel nostro Paese sono emerse diverse posizioni che andremo ad analizzare nel presente capitolo.

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2.1.1 La Carta di Firenze

Il 18 febbraio 2006 viene presentata al pubblico la Carta di Firenze40 frutto

dell’elaborazione di un folto gruppo di medici italiani, che ha come obiettivo l’individuazione di linee guida per il trattamento degli infanti nati a bassissima età gestazionale. Tale documento intende fornire raccomandazioni e suggerimenti per gli operatori sanitari impegnati nell’assistenza alla gravidanza, al parto e al neonato estremamente pretermine, proponendo procedure di intervento omogenee alle soluzioni adottate nel panorama internazionale, dove da tempo è presente un cospicuo dibattito e dove numerose società scientifiche hanno pubblicato linee guida e protocolli di comportamento analoghi.

La Carta di Firenze propone la distinzione di tre fasce di età gestazionale in base alle quali dosare gli interventi. Taglio cesareo, rianimazione in sala parto e trattamento intensivo vengono raccomandati per i neonati dalle 25 settimane di età gestazionale in avanti, i quali, come abbiamo appena potuto vedere, hanno tassi di sopravvivenza accettabili. Per quanto riguarda invece i neonati al di sotto delle 23 settimane, le cui percentuali di sopravvivenza sono talmente esigue da risultare praticamente nulle, ogni decisione di intervento deve basarsi esclusivamente sullo stato di salute

40 G. DONZELLI et al., “Cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse (22- 25 settimane)” denominato anche Carta di Firenze, in Riv. Ital. Med. Legale, Febbraio 2006, XXVIII, pp. 1227-1246.

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materno. A questi neonati sono riservate esclusivamente le cure confortevoli, che devono essere sempre garantite a ogni neonato di qualsiasi età gestazionale che non risulti idoneo, per motivi medici, a ricevere le cure intensive.

Per quanto riguarda i nati alle 23 e 24 settimane, ovvero i nati nella “zona grigia” per i quali l’intervento di rianimazione e il successivo trattamento intensivo risultano di incerto beneficio, il documento propone che le scelte sugli interventi da attuare siano condivise tra medico e genitori del neonato41, ricorrendo al trattamento intensivo soltanto nell’eventualità

in cui il bambino dimostri di essere vitale e di rispondere in modo positivo alle manovre rianimatorie42. In tutti gli altri casi devono essere adottate cure

confortevoli che accompagnino il neonato alla morte, alleviandone per quanto possibile le sofferenze. Qualora si abbiano nati con età gestazionale incerta, il neonatologo provvederà a effettuare un’accurata valutazione clinica del bambino, tenendo conto delle condizioni alla nascita, della storia ostetrica e della risposta alle operazioni di rianimazione.

La Carta di Firenze evidenzia inoltre l’importanza di un attento follow-up che dovrà essere eseguito almeno fino al raggiungimento dell’età

41“Stante il carattere straordinario delle cure, l’opinione dei genitori deve essere tenuta in massima considerazione.” Cfr. Carta di Firenze.

42“Il trattamento intensivo del neonato è indicato sulla base di criteri clinici obiettivi durante e dopo le manovre rianimatorie, quali sforzi respiratori spontanei, frequenza cardiaca, ripresa del colorito cutaneo.” Cfr. Carta di Firenze.

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scolare al fine di poter ottenere una diagnosi precoce delle disabilità eventualmente presenti. In questo modo sarà possibile istituire al più presto le opportune terapie abilitative.

Nel documento in oggetto, oltre ai dati scientifici e ai suggerimenti di comportamento per gli operatori sanitari, sono state aggiunte alcune precisazioni di natura cautelativa volte ad arginare eventuali polemiche che sarebbero potute scaturire dalla proposta di limitare gli interventi proattivi per le bassissime età gestazionali43. La Carta di Firenze apre infatti con una

dichiarazione di estraneità da intenti eugenetici ed eutanasici44, mentre in

chiusura viene esplicitamente evidenziato che le indicazioni presenti nel documento sono state elaborate sulla base delle attuali conoscenze mediche che, pertanto, dovranno essere riviste qualora si conseguano nuove evidenze scientifiche.

2.1.2 Raccomandazioni del gruppo di lavoro del Ministro della Salute

Sulla stessa linea della Carta di Firenze, analizzata nel paragrafo precedente, si pone il documento denominato Raccomandazioni per le cure

43La Carta di Firenze esclude interventi di rianimazione e istituzione della terapia intensiva per i nati al di sotto delle 23 settimane di età gestazionale mentre alle 23-24 settimane tali interventi sono considerati applicabili solo in via eccezionale.

44 “Queste raccomandazioni sono ispirate dalla necessità di garantire alla madre ed al neonato adeguata assistenza, al fine unico di evitare loro cure inutili, dolorose ed inefficaci, configurabili con l’accanimento terapeutico e sono totalmente estranee all’eugenetica, all’eutanasia neonatale e pediatrica”. Cfr. Carta di Firenze.

(47)

perinatali nelle età gestazionali estremamente basse (22-25 settimane), pubblicato nel gennaio 2008 dal gruppo di lavoro istituito dal Ministro della Salute Livia Turco nell’anno precedente.45

Questo secondo documento si presenta in sintonia con la Carta di Firenze e contribuisce a rafforzarne il valore in sede istituzionale. Riprendendo le indicazioni fornite dalla Carta di Firenze, si sostiene che le cure ostetriche per i nati al di sotto delle 23 settimane di età gestazionale devono essere stabilite in base alla situazione clinica della madre, mentre “al neonato devono essere offerte solo le cure compassionevoli, salvo in quei casi, del tutto eccezionali, che mostrassero capacità vitali”46. Come

abbiamo visto nel capitolo precedente, questi casi eccezionali possono verificarsi quando il neonato è maggiormente sviluppato rispetto alle settimane di gestazione di appartenenza, oppure a seguito di un’errata valutazione dell’età gestazionale durante la gravidanza.

Tra le 23+0 e le 23+6 settimane di età gestazionale è necessario valutare

attentamente le condizioni di ogni nato e, nel caso in cui sussistano probabili capacità di vita autonoma, deve essere attivata un’adeguata

45Nell’aprile 2007 Il Ministro della Sanità Livia Turco ha istituito il gruppo di lavoro “Cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse (22-25 settimane)” coordinato dal presidente del Consiglio superiore sanità professor Franco Cuccurullo e dalla dottoressa Maura Cossutta. Il gruppo di lavoro ha messo a punto un documento conclusivo, trasmesso al Consiglio superiore di sanità impegnato nell’estensione di un parere sulla stessa tematica.

46 Raccomandazioni per le cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse (22-25 settimane). Consiglio superiore di sanità, sessione XLVI, seduta del 4 marzo 2008.

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assistenza che sarà proseguita solo se risulterà efficace. I genitori devono sempre essere coinvolti nel processo decisionale.

Rispetto alla Carta di Firenze questo documento suggerisce un intervento più incisivo alle 24 settimane, sostenendo che è sempre opportuno istituire il trattamento intensivo, il quale verrà proseguito in relazione alla sua efficacia47. Nella sostanza però le due posizioni risultano

assimilabili anche per questa fascia gestazionale, dal momento che il proseguimento delle cure dovrà basarsi sull’analisi delle risposte del nato agli interventi effettuati. Entrambi evidenziano quindi l’opportunità di applicare un approccio individualizzato al caso singolo: per ogni età gestazionale vengono suggerite indicazioni di massima che possono essere disattese nel caso in cui il neonatologo, viste le reali condizioni del neonato, ritenga più opportuno applicare un diverso protocollo di intervento.

Le indicazioni per i nati alle 25 settimane di età gestazionale risultano perfettamente sovrapponibili: i due documenti affermano che è doveroso istituire rianimazione e cure intensive. Grande attenzione è rivolta al coinvolgimento dei genitori nel processo decisionale, soprattutto per i nati

47Per il trattamento dei nati alle 24 settimane di età gestazionale la Carta di Firenze suggerisce quanto segue: “Il taglio cesareo può eccezionalmente essere preso in considerazione per motivi fetali. Il trattamento intensivo del neonato è indicato sulla base di criteri clinici obiettivi durante e dopo le manovre rianimatorie, quali sforzi respiratori spontanei, frequenza cardiaca, ripresa del colorito cutaneo”.

(49)

alle 23 e 24 settimane, per i quali i benefici degli interventi appaiono più incerti.

Si ha infine, per entrambi, la medesima dichiarazione cautelativa, in realtà piuttosto ovvia, attestante il fatto che tali indicazioni sono suggerite sulla base delle attuali conoscenze scientifiche e andranno riviste nel caso si raggiungano nuove evidenze.

2.1.3 La Carta di Roma e il documento del Comitato Nazionale di Bioetica

Nel febbraio 2008, a poche settimane di distanza l’uno dall’altro, sono stati resi pubblici due documenti di segno opposto rispetto ai documenti precedentemente analizzati.

Il primo documento, noto come Carta di Roma48, consiste in una breve

dichiarazione firmata dai direttori delle cliniche di Ostetricia e Ginecologia delle quattro università romane, Sapienza, Tor Vergata, Cattolica, e Campus Biomedico, e supporta in pieno le tesi che saranno esposte in maniera più analitica nel documento redatto dal Comitato Nazionale di Bioetica. Il punto centrale sostenuto dalla Carta di Roma è che ogni nato, in quanto persona giuridica, ha diritto alla vita e ha quindi diritto a ricevere

48 R. ANGIONI et al., Giornata della Vita: La prematurità estrema: margini di gestione ostetrica e

risvolti neonatologici, Roma, 1-3 febbraio 2008. Convegno promosso dalle Cliniche Ostetriche e

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