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Il valore della vita umana e il concetto di persona

3.1 L’etica dell’indisponibilità della vita umana nel documento del Comitato Nazionale

3.2.1 Il valore della vita umana e il concetto di persona

Sebbene l’individuo adulto competente, in linea di principio, abbia la possibilità di stabilire autonomamente quale valore dare alla propria vita, risulta difficile definire e misurare il concetto stesso di qualità della vita, poiché si tratta di una nozione indefinita e aleatoria, che si basa sul contesto in cui si è stati educati e nel quale si è formata la propria esperienza di vita. Inoltre, sebbene vi siano persone che giudicano una vita affetta da gravi disabilità fisiche o mentali come non degna di essere vissuta, molti disabili riferiscono di essere pienamente soddisfatti delle proprie vite, che ai loro

occhi non hanno minor valore rispetto alla vita dei normodotati128.

Come abbiamo visto, l’assunto della sacralità della vita umana si fonda su principi metafisici non accettabili per una concezione laica della

bioetica; tuttavia esso risulta in realtà ampiamente radicato nelle società umane e accolto nel diritto: in ogni società umana conosciuta vige infatti il divieto prima facie di uccidere, che può prevedere alcune eccezioni. Nelle società attuali, è ritenuto moralmente inaccettabile uccidere ogni essere umano, a meno che tale gesto non venga compiuto nei confronti di un nemico durante un periodo di guerra, per autodifesa, o, eventualmente, come punizione per gravi reati nei Paesi in cui vige la pena di morte.

Dato per vero questo assunto, dobbiamo ancora chiederci che cosa significhi il termine “essere umano”: con questa espressione si può infatti indicare qualsiasi essere vivente appartenente alla specie umana, oppure un essere vivente in possesso di alcune caratteristiche ben precise.

Secondo Peter Singer129 il termine “persona” viene spesso utilizzato

come sinonimo di “essere umano”, ma i due vocaboli non possiedono lo stesso significato poiché nella definizione di persona è implicito il concetto di essere autocosciente o razionale. Siamo quindi di fronte a due accezioni nettamente distinte: se la persona è definibile come un essere autocosciente e razionale, emerge chiaramente che non tutti gli esseri umani possano essere considerati persone.

Sebbene le variazioni di questa interpretazione possano apparire molteplici, poiché nello sviluppo degli esseri umani i diversi autori individuano diversi momenti o stadi di progressione che permettono di

definire l’individuo come persona, nelle etiche di matrice laica il concetto

di persona è generalmente interpretato in modo funzionalista e comportamentista130, in quanto nell’ambito di tali visioni etiche viene

rifiutata l’idea della presenza di un sostrato ontologico sostanziale che caratterizza la natura umana. La persona è così individuata dalla presenza di alcune funzioni, ad esempio la coscienza o la capacità di interagire con gli altri, costituenti degli “indicatori di personalità”131; quando tali funzioni

vengono a mancare, perché l’individuo in questione non le ha ancora sviluppate, o perché tali funzioni sono andate perdute per sempre, è possibile pensare che ci si trovi di fronte a un individuo appartenente alla specie umana ma non di fronte a una persona in senso proprio.

Engelhardt offre una definizione particolarmente restrittiva di “persona”, identificandola con l’individuo adulto autonomo, capace di intendere e di volere, escludendo in questo modo non solo tutti gli esseri umani non autocoscienti, ma anche i soggetti non ancora pienamente adulti e autonomi. Quest’ultimi sono definibili come persone in senso sociale, alle

130G.FORNERO, Bioetica cattolica e bioetica laica, cit., p. 87. 131Ivi, p. 88.

quali generalmente vengono accordati gli stessi diritti delle persone in senso stretto all’interno di comunità particolari, che condividono una particolare concezione sostanziale della morale132.

Singer, al contrario, individua nella capacità di autocoscienza, e quindi nell’interesse del soggetto a rimanere in vita, l’elemento sostanziale che rende l’essere vivente una persona meritevole di tutela, comprendendo in questa definizione anche individui appartenenti a specie diverse da quella umana. Gli esseri viventi autocoscienti, infatti, sono in grado di concepire se stessi come entità distinte, aventi un passato ed un futuro, sono dotati di interessi e preferenze, e perciò hanno il diritto al riconoscimento di tali interessi. Privare questi individui della propria vita significa frustrare i loro desideri per futuro, desideri il cui soddisfacimento deve invece essere considerato importante e meritevole di tutela.

Non tutti gli esseri umani possono essere considerati, per Singer, persone in senso proprio; ciò non implica però che essi non abbiano diritto ad alcun tipo di considerazione morale: Singer, infatti, afferma che l’elemento minimale per l’attribuzione di diritti morali consiste nella sensibilità e non nell’autocoscienza. Di conseguenza, l’individuo non autocosciente, ma capace di provare piacere e dolore, deve essere considerato come paziente

morale, ovvero come un soggetto che, sebbene non abbia la possibilità di compiere scelte morali in prima persona, ha comunque il diritto, o almeno l’interesse, a non subire trattamenti forieri di ingiusta sofferenza. Tale diritto dovrebbe essere esteso a ogni essere senziente, indipendentemente dalla specie di appartenenza, poiché l’inaccettabilità morale della sofferenza inflitta a un essere senziente non può dipendere dalla classificazione di specie, pena la ricaduta in un atteggiamento specista, informato da quel particolare tipo di razzismo che privilegia gli interessi di un soggetto in base all’appartenenza di specie.

Tale considerazione deriva da una caratteristica interpretazione del principio di uguaglianza, che funge da base per un trattamento equo degli esseri umani. Per Singer, il principio di uguaglianza risiede nell’eguale considerazione degli interessi degli individui, che non può dipendere dalla razza di appartenenza o dalle capacità intellettive, sebbene i nostri doveri verso gli altri possano variare a seconda delle caratteristiche proprie dei destinatari delle nostre azioni. Il principio dell’uguale considerazione degli interessi non può trovare applicazione esclusivamente nei riguardi dei soli esseri umani: infatti, avendo accettato che il principio di eguaglianza rappresenti un fondamento moralmente valido per regolare i rapporti con i membri della nostra stessa specie, siamo perciò stesso impegnati ad

estenderlo ad ogni essere vivente, appartenente a qualsiasi specie animale, purché dotato della capacità di avere interessi, dal momento che l’appartenenza di specie non costituisce una caratteristica discriminante valida dal punto di vista morale.

Jeremy Bentham, fondatore dell’utilitarismo moderno, individua nella capacità di soffrire, propria dell’essere vivente, l’elemento fondamentale per un’adeguata considerazione degli interessi. La capacità di soffrire rappresenta una caratteristica moralmente rilevante e costituisce un limite invalicabile, in quanto prerequisito per il possesso di interessi: l’essere meramente senziente detiene, infatti, almeno l’interesse basilare a non subire trattamenti causanti ingiustificate sofferenze.

L’interesse ad evitare la sofferenza è un interesse che accomuna tutti gli esseri senzienti, indipendentemente dalla specie di appartenenza, e il principio di uguaglianza richiede che tali interessi debbano essere presi in eguale considerazione.

“Se un essere soffre, non può esserci giustificazione morale per rifiutare di prendere in considerazione tale sofferenza. Quale che sia la natura dell’essere, il principio di eguaglianza richiede che la sua sofferenza conti quanto l’analoga sofferenza di ogni altro essere – nella misura in cui confronti di tal genere possono essere fatti. Se un essere non è capace di provare dolore, o di avere esperienza di piacere o di felicità, non c’è nulla da

prendere in considerazione. Ecco perché il limite della sensibilità […] è il solo limite difendibile per il tener conto degli interessi altrui”133.

Tenere conto degli interessi altrui in base a caratteristiche diverse dalla capacità di provare piacere o dolore, ad esempio in base alla razionalità o all’intelligenza, costituirebbe una decisione arbitraria, in quanto tali elementi non sono moralmente rilevanti.

Il principio di uguaglianza prescrive inoltre che gli individui vadano trattati in maniera identica, a meno che non vi sia tra di essi una differenza moralmente rilevante che giustifichi una differenza di trattamento; per stabilire se tale discriminazione è eticamente giustificabile dobbiamo allora verificare se la differenza esistente tra gli individui sia rilevante o meno relativamente al trattamento in questione. Nel nostro caso, abbiamo un neonato estremamente prematuro che, a causa delle sue peculiari caratteristiche, potrebbe necessitare di un trattamento diverso dal neonato a termine o dall’adulto in situazione di emergenza.

Per quanto riguarda il valore della vita degli esseri meramente senzienti, e quindi la liceità morale della loro uccisione, Singer non ritiene che si possa sostenere che tutte le vite, umane e non umane, abbiano lo stesso

valore, dal momento che non possiamo asserire che la preferenza accordata alla vita di un essere autocosciente, dotato di pensiero astratto e della capacità di concepire se stesso nel futuro, rispetto alla vita di un essere

meramente senziente, costituisca un atteggiamento specista134. Singer

ritiene, infatti, che il valore attribuito dalle persone alla propria vita sia

diverso dal valore che la vita possiede per gli esseri senzienti, per questo motivo, mentre può essere moralmente obbligatorio salvare la vita di una persona intesa come essere autocosciente, può non esserlo salvare la vita di un essere meramente senziente.

Dal punto di vista morale, come abbiamo visto, non è importante sapere se una vita appartiene a un essere umano o a un animale non umano, ma è importante stabilire se l’individuo che la vive abbia la capacità di sperimentare piacere e dolore e di avere interessi e preferenze. Mentre tutti gli esseri umani in possesso delle facoltà mentali caratteristiche della propria specie e alcuni animali non umani, ad esempio alcuni primati, sono considerati da Singer persone, altri animali e alcuni esseri umani, come i neonati e coloro che hanno subito danni cerebrali rilevanti, non sono persone in senso morale, perciò la loro uccisione non rappresenta un atto necessariamente sbagliato dal punto di vista etico, poiché tale valutazione

necessita di ulteriori considerazioni. Secondo Singer, l’illiceità morale riguardante la soppressione di esseri viventi meramente senzienti, che non sono consapevoli di se stessi, consiste nella riduzione di piacere che in questo modo viene provocato135; nel caso in cui la vita soppressa non

dovesse rivelarsi nel complesso piacevole, ovvero nel caso in cui le sofferenze sperimentate in quella vita dovessero essere superiori agli stati piacevoli, non verrebbe commesso alcun torto diretto all’individuo ucciso.

Poiché, secondo Singer, l’appartenenza di specie non rappresenta una qualità moralmente rilevante, i principi che presiedono all’inaccettabilità etica dell’uccisione di animali non umani dotati di sensibilità, ma non di autocoscienza, devono applicarsi anche agli esseri umani privi di autocoscienza, ovvero, nel nostro caso, al neonato gravemente pretermine. Secondo questa concezione, nessun infante, essendo un essere senziente privo di razionalità e di autocoscienza, ha una pretesa alla vita altrettanto forte di quella appartenente a esseri viventi capaci di considerare loro stessi come entità distinte nel tempo. Pertanto, la deliberata uccisione di un neonato potrebbe non essere sempre un atto moralmente sbagliato.

Rachels, similmente a Singer, opera una distinzione tra vita biologica e vita biografica, sostenendo che ad avere valore non è la vita biologica in se

stessa, bensì la vita biografica, ovvero la vita vissuta dall’essere cosciente. Dal punto di vista di un individuo vivente, infatti, essere vivo ha importanza, in quanto rende possibile vivere una vita, essere soggetto di una vita. In assenza di una vita cosciente, per il soggetto di tale vita vivere o morire risulta indifferente. Le decisioni prese in merito al neonato gravemente pretermine non andrebbero pertanto a ledere alcun diritto dell’individuo, poiché il neonato non è soggetto di una vita, e non può avere preferenze sulla sua stessa vita.

La differenza tra uccidere in modo indolore neonati malformati e neonati sani non consisterebbe in un supposto diritto alla vita che i secondi possiedono e di cui i primi sono mancanti, ma poggerebbe su altre considerazioni relative al significato dell’uccidere. Secondo Singer, ad esempio, l’uccisione di un infante è considerato un atto gravemente illecito a causa del dolore che tale atto è in grado di provocare nei genitori: se ci trovassimo di fronte al caso in cui un bambino gravemente malformato avesse dei genitori che desiderano che egli continui a vivere, questo desiderio costituirebbe un valido motivo contro l’uccisione di quel neonato, ma nel caso in cui la malformazione fosse molto grave e i genitori non desiderassero la sua sopravvivenza, e fosse inoltre impossibile trovare una

famiglia disposta a prendersi cura del bambino malato, allora potrebbe non essere moralmente sbagliato togliere la vita a quel bambino.

3.2.2 Il criterio del miglior interesse per le scelte relative al soggetto