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L'interesse di Calvino per la produzione manganelliana

Nel documento Giorgio Manganelli e la traduzione (pagine 37-44)

2. Note di Italo Calvino alle traduzioni dei Tales nella versione di Giorgio Manganelli

2.1. L'interesse di Calvino per la produzione manganelliana

Il ventinove dicembre del 1983 sulle pagine del quotidiano nazionale «La Repubblica» compare un articolo di Italo Calvino dal titolo estremamente emblematico Edgar Allan

Manganelli. L’oggetto del presente articolo, che sarà successivamente incluso nel primo

tomo della raccolta di scritti critici di Calvino Saggi 1945-198580 col titolo Poe tradotto

da Manganelli, non desta particolare stupore nell’assiduo frequentatore degli scritti

manganelliani. La predilezione e soprattutto la particolare attenzione che Calvino rivolse nei confronti degli scritti di Giorgio Manganelli è nota; difatti, l’introduzione dell’edizione Adelphi di Centuria81 si apre proprio con un testo a sua firma. Calvino riteneva che Manganelli non fosse sufficientemente apprezzato all’estero e, dunque, in occasione della pubblicazione della versione francese di Centuria82, scrisse un’entusiasta

introduzione per i lettori d’oltralpe che si accingevano a scoprire questa figura schiva e perlopiù sconosciuta:

«Era ora. Da vent’anni la letteratura italiana ha uno scrittore che non assomiglia a nessun altro, inconfondibile in ogni sua frase, un inventore inesauribile e irresistibile nel gioco del linguaggio e delle idee: e non era mai stato tradotto in francese prima d’ora. Questo vuol dire che l’idea che il lettore si è fatto della letteratura italiana negli ultimi decenni mancava d’un dato essenziale: dal momento in cui la sagoma di Manganelli si staglia all’orizzonte, cambiano tutti i rapporti di prospettiva del paesaggio intorno.»83

È chiaro che Calvino reputa Manganelli una figura di primaria importanza all’interno della compagine della produzione letteraria in lingua italiana. Nel 1985, anno in cui Calvino scrisse l’introduzione alla versione francese di Centuria, Manganelli, ormai sessantatreenne, aveva pubblicato per le maggiori case editrici italiane (principalmente Feltrinelli, Bompiani, Rizzoli ed Einaudi) sedici volumi e aveva all’attivo circa un

80 I. CALVINO, Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, vol. I, Mondadori, Milano, 1995.

81 G. MANGANELLI, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, a cura di P. Italia, Adelphi, Milano, 1995. 82 G. MANGANELLI, Centuria – Cent petits roman-fleuves, trad. fr. di J. B. Para, Éditions «W», Mâcon, 1985.

83 I. CALVINO, Introduzione, in Giorgio Manganelli, (a cura di) Paola Italia, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Adelphi, Milano, 1995, p. 9.

34 migliaio di scritti (corsivi, articoli, saggi, prefazioni, drammi)84. Manganelli, schivo e querulo personaggio, ha sempre goduto d’un ottima reputazione negli ambienti letterari più sofisticati ed elitari85, benché collaborasse regolarmente come stravagante commentatore dei fatti del giorno con le maggiori testate giornalistiche, tra le quali va ricordata la collaborazione storica con il «Corriere della Sera». Calvino nella Introduzione a Centuria presenta Manganelli con termini appassionati, colmi di stima e ammirazione per le prodezze letterarie realizzate nell’ultimo ventennio, e descrive con lucidità cristallina e con estrema esattezza quale posizione Manganelli ricopra nel quadro del panorama letterario italiano:

«Potrei cominciare col dire che Manganelli è il più italiano degli scrittori e nello stesso tempo il più isolato nella letteratura italiana. Il più italiano perché nasce direttamente dalla prosa del nostro secolo diciassettesimo, col suo sontuoso spettacolo fatto di sintassi elaborata, di nomi e di verbi e soprattutto aggettivi inaspettati, l’arte di far sorgere dal pretesto più insignificante una fontana di zampilli verbali, vortici di analogie, una cascata d’invenzioni esilaranti. […] Nello stesso tempo è il più isolato perché demolisce senza pietà tutte le intenzioni virtuose e didascaliche o anche soltanto illustrative che hanno dominato le nostre lettere nei secoli diciannovesimo e ventesimo, così come ogni pretesa di contare in qualche modo nella storia della società.»86

In questa premessa Calvino coglie l’occasione per ricordare al pubblico francese la poliedricità e la versatilità della prosa manganelliana, mettendo in evidenza come, nella sua lunga carriera, Manganelli sia abilmente riuscito a mettere a disposizione la sua profonda erudizione e originalità soprattutto nella stesura di saggi critici. Inoltre, Calvino coglie l’occasione per raccontare ai lettori francesi il peculiare percorso di Manganelli, facendo perfino un breve accenno alla complessa operazione della traduzione de I

racconti di E. A. Poe:

«Alla poetica della ‘menzogna’ manganelliana, corrisponde un metodo critico che egli applica nella sua ininterrotta opera di saggista. Il suo terreno di elezione sono le letterature anglosassoni (è stato professore di letteratura inglese all’Università di Roma; come traduttore ha portato a

84 Cfr. G. PULCE, Giorgio Manganelli, Bibliografia (1942-2015) Con una cronologia della vita e delle opere e un registro delle collaborazioni radiofoniche, op. cit., p. 130.

85 Nonostante nei primissimi anni Sessanta Manganelli non fosse ancora presente sulla scena letteraria italiana, la sua fama di valido traduttore di testi in lingua inglese e successivamente la sua riconosciuta prossimità con Gadda facilitarono il suo ingresso nel Gruppo ’63.

86 I. CALVINO, Introduzione, in G. Manganelli, a cura di P. Italia, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Adelphi, Milano, 1995, p.10.

35 termine imprese formidabili, ultimamente tutti i racconti di Poe), ma la sua erudizione e la sua curiosità lo spingono a esplorare tutti i raggi della biblioteca universale. Certamente il Manganelli critico non è meno originale del Manganelli scrittore: riesce a definire nella loro unicità e nel loro valore gli autori antichi o contemporanei anche più distanti o opposti alla sua poetica descrivendoli al di fuori di tutte le consuetudini critiche e inquadramenti storici.»87

L’entusiasmo di Calvino per la produzione manganelliana si manifesta quasi un ventennio prima del 1985, difatti nell’edizione Adelphi di Nuovo commento88, pubblicata per la

prima volta nel 1993, compare, come appendice al testo, una lettera privata scritta da Italo Calvino e indirizzata a Giorgio Manganelli datata 7 marzo 1969. In questa lettera Calvino raccoglie la sfida rappresentata dalla labirintica prosa di Nuovo commento e «contagiato dal demone commentatorio» inizia a chiosare l’ambizioso testo, cercando di tirare le fila del commento ad un testo inesistente con l’intento di svelarne la complessità strutturale. Così Calvino accoglie il nuovo enigmatico testo di Managanelli:

«Caro Manganelli,

grande festa ricevere il tuo manoscritto. L’ho letto con edonistica impazienza (in poltrona o a letto) e riletto con centellinamento metodologico (a tavolino, con penna carta per gli appunti). Il divertimento della prima esplorazione (non immune dall’elemento antagonistico di lotta con il testo labirintico) è stato confermato dalla soddisfazione di ricostruire il piano concettuale (comprensiva del piacere di perdercisi dentro).»89

La lettera-chiosa di Calvino alla seconda opera pubblicata da Manganelli (1969) si pone come ambizioso obiettivo quello di ricostruire sul piano concettuale la struttura del libro e si dispiega e si articola in diversi punti, tra i quali emerge, sin da subito, un netto dualismo nell’analisi concettuale di Nuovo commento. Difatti, nell’animo del Calvino-lettore, s’insinua un dissidio intellettuale: si delinea una dualità di prospettive. Da un lato Calvino si profila e si considera «un fanatico dell’”opera chiusa”» e cerca ossessivamente schemi lineari e finiti più appropriati per definire e descrivere l’ordine prestabilito dall’autore nella progettazione dell’opera. Mentre dall’altro lato egli ammette di trarre ghiotto “nutrimento” intellettuale dalla lettura del testo. In quest’ultimo caso, Calvino

87 Ivi, p. 11.

88 G. MANGANELLI, Nuovo commento, Adelphi, Milano, 1993.

36 riconosce, nel suo animo di lettore e soprattutto in quello di collega scrittore, un’inesauribile cupidigia di metafore, di rappresentazioni visive e soprattutto di macchine mentali che nella prosa manganelliana non mancano, anzi si accavallano, si scontrano, si sovrappongono per infittirsi sempre di più:

«Ti ho sintetizzato il processo mentale di quel fanatico dell’”opera chiusa” e degli schemi lineari che alberga in me, inguaribile potatore di ogni forzuta vegetazione lirica in una geometria di stecchi razionalistici. In questo senso, la mia nevrotica ossessione sistematrice mi porta a desiderare che tutto il disordine sia riconducibile a un ordine, a una sintassi che non lasci nulla al caso e agli scarti imprevedibili dell’estro della struttura del testo. Intanto, l’altro lettore che alberga in me, degustatore di gratuite fabulazioni visionarie si pasceva della folta vegetazione di metafore: quella fondamentale del testo come città, che ci accompagna dal principio alla fine, alternata o sovrapposta all’altra del testo come corpo umano, con tutte le metafore di contorno: la casa vuota senza pareti, l’astrazione-mutanda su pudenda, il commento come omicidio, l’autobanchetto, la città incinta, la città tutta scritta, la città morte, l’edicola dei giornali, la statua di Marco Aurelio, e il pezzo più bello di tutti, pp. 49-55 [51-55], il commentatore che legge tutto come linguaggio.»90

Calvino, in questa lettera, avanza un’ipotesi di lettura di Nuovo commento molto sagace e individua una coincidenza esatta tra il testo inesistente, oggetto delle divagazioni scrittorie contenute nell’opera, e Dio e/o l’universo. Pertanto, sconfinando nel campo della logica più pura, essendo quest’ultimo indecifrabile anche il commento avrà la sua stessa natura: inafferrabile. Nuovo commento propone una lettura sostanzialmente capovolta, che parte dalle note e dai commenti per ricostruire il testo deliberatamente negato al lettore dall’autore. Nella parte centrale e finale della lettera Calvino procede infine in una complessa e articolata argomentazione metodologica sull’aspetto combinatorio del commento91, suggerendo e sollecitando infine Manganelli ad apportare alcune correzioni che ritiene doverose per raggiungere un livello di compattezza dell’opera estremamente efficace. In ultima istanza la scrittura di Manganelli per Calvino rappresenta un enigmatico rompicapo che va assaporato intellettualmente e poi infine risolto:

90 Ivi, p. 150.

37 «Insomma, rettificando quel che dicevo nella pagina precedente, sono riuscito a determinare una struttura perfettamente pertinente a ognuna delle tre parti e sono molto soddisfatto: accetta queste chiose di un d’un ragioniere paranoico all’estroso scoliasta come atto d’omaggio, col consiglio di differenziare graficamente le diverse serie di numeri, e/o completare l’incastratura di tutto nel tutto per rendere il tutto compatto come un uovo.»92

Proseguendo l'indagine a ritroso i rapporti tra i due scrittori, focalizzando l’attenzione sull'interesse di Calvino nei confronti di Manganelli, si rintraccia un altro articolo che risale addirittura al 1965, anno che segue la pubblicazione di

Hilarotragoedia93, l'opera d'esordio dell'ormai non più giovanissimo Manganelli, allora quarantatreenne. Il presente articolo dal titolo Notizia su Giorgio Manganelli94 apparse sulla rivista letteraria «Il Menabò», fondata nel 1959 a Torino e diretta in collaborazione dallo stesso Calvino e Vittorini. In questo articolo Calvino presenta ad un ipotetico osservatore esterno l'ultima generazione di scrittori e critici letterari e nello specifico si occupa di collocare la figura di Manganelli all'interno della complessa compagine letteraria della metà degli anni Sessanta. Inoltre, in questo breve saggio, Calvino sottolinea come la letteratura militante e l'accademia siano state perlopiù separate e non vi siano state che brevi e fugaci frequentazioni da parte degli scrittori. Questi ultimi, sottolinea Calvino, si formarono prevalentemente fuori dalle suddette strutture. Ciò che Calvino vuole rimarcare con forza è la presenza di queste nuove figure nel panorama della produzione letteraria in lingua italiana altamente specializzate e formatesi all'interno dell'accademia. Ciò testimonia un sostanziale mutamento sociologico che coinvolge l’eterogeneo quadro letterario italiano. Manganelli rientra appieno in questa tendenza della nuova leva letteraria, come sottolinea nel seguente passo:

«Fino a ieri la letteratura si poneva di fronte a all'università come portavoce della "vita" (o della "vita moderna" a seconda dell'inclinazione ideologica); la cultura (talora anche di prim'ordine) degli scrittori e dei poeti si caratterizzava per essere dettata da interessi al di "fuori; [...] Oggi l'asse della polemica sembra capovolto: dall'università versus il "fuori"; per la nuova leva letteraria non soltanto le più moderne metodologie specialistiche, usate una per volta o tutte insieme, ma anche la bibliografia erudita, il latino degli incunaboli, le figure della scolastica, sono

92 Ivi, p. 153.

93 G. MANGANELLI, Hilarotragoedia, Feltrinelli, Milano, 1964.

94 I. CALVINO, Notizia su Giorgio Manganelli, in «Il Menabò», n. 8, 1965; poi in Id., Saggi 1945-1985, vol. II, Mondadori, Milano, 1995; ora in Id., in «Riga», n. 25, Marcos y Marcos, Milano 2006, pp. 210-214.

38 strumenti di critica alla vita moderna, (“di massa” oppure “borghese” a seconda del tipo di escaton che le si riserva) o alla vita tout-court, per chi si rifiuta di vedervi sia escaton che processo storico o barlume di significati. Manganelli lo situeremmo subito tra questi ultimi. Perché allora, a me che continuo a giudicare i libri dal punto di vista di quel “fuori” (sempre più difficile da definire), il libro uscito l'anno scorso da Feltrinelli (Hilarotragoedia) è stata una felice sorpresa? Per l'abbondanza e qualità di divertimento e di invenzioni, certo, e sia nella scrittura sia nelle immagini. Ma anche perché la forma in cui l'autore ordina le sue invenzioni non è quella del romanzo ma quella del trattato: e da tempo m'aspettavo che qualcuno cominciasse a farlo»95 Dunque Calvino rintraccia la presenza di una vera e propria mutazione antropologica e sociologica all’interno della categoria degli scrittori italiani e il “fuori”, ovvero la posizione prevalentemente esterna all’accademia, principalmente assunta dagli scrittori, diventa un confine sempre più sottile e quasi indistinguibile. Questi nuovi scrittori aprovenienti dall’accademia si conquistano un ruolo centrale nel processo di ricerca letteraria apportando soluzioni fino ad allora impensabili. Un esempio lampante relativo al caso di Manganelli è rappresentato dalla scelta di prediligere un altro genere prosaico rispetto al comunemente affermato romanzo: il trattato. Calvino prosegue la sua attenta ricostruzione della figura di Manganelli tracciando un preciso percorso letterario; una linea specifica che ha origine nella trattatistica italiana del Cinquecento e Seicento e s’intreccia saldamente con i pamphlet satirici Settecenteschi, di gusto swiftiano, per poi legarsi a doppio nodo con il Romanticismo di stampo sterniano. In questa linea Calvino rintraccia un punto in cui le diverse tradizioni si raccolgono in un’unità che assume un valore nuovo e personale nella prosa di Manganelli. Egli circoscrive con rigore chirurgico le origini della prosa di Manganelli e soprattutto individua, con esemplare specificità, gli autori dai quali attinse e che contribuirono alla formazione del suo complesso gioco di mimesi letteraria in una prospettiva diacronica e multinazionale:

«Arcaismo in cui vedo una faccia italiana di mimesi della trattatistica scientifico-religioso-stregonesca del nostro Cinquecento e Seicento (dal Della Porta al Campanella) e una faccia inglese di capovolgimento burlesco dell'opera dotta (Swift), con forte intromissione della presenza lirica dell'autore in funzione di esplorazione della miseria umana (quell'esplorazione che nel Seicento aveva toccato punte vertiginose e solenni: Burton, Donne) e poi confinante (attraverso Sterne) con l'ironia romantica, mista di egotismo e di pietà di sé; ed è su questo fondo

39 di deiezione fisiologico-esistenziale che viene a specchiarsi capovolto un repertorio di immagini medievali, […] l'interesse (giocoso non si sa fino a che punto) per le allegorie dell'oltretomba.» 96 Nella conclusione del presente saggio Calvino formula alcune considerazione sulla propria analisi del contesto letterario italiano immaginando un ipotetico rifiuto di Manganelli alla presente tipologia d’inquadramento storico. Questo perché l’universo linguistico di Managnelli era difficilmente incasellabile. Calvino individua in Manganelli una nota antistoricistica, in virtù della quale non si può mettere in relazione in maniera legittima un universo linguistico ad un altro. Esso si definisce esclusivamente all’interno di se stesso. Pertanto la categorizzazione dei generi letterari e di conseguenza anche degli scrittori non ha ragione di esistere. Nell’ultimo passo di questo avvincente saggio Calvino allude alla presenza di una componente potenzialmente rivoluzionaria nell’approccio letterario impiegato da Manganelli:

«Questo tipo d’analisi probabilmente Manganelli lo rifiuta perché la sua bestia nera è lo storicismo e quindi per lui è illegittimo distinguere e classificare storicamente vari piani del suo linguaggio: un “universo linguistico” può essere definito solo all’interno di esso. Ma che senso c’è che sia io a esporre le idee che Manganelli non s’è ancora deciso a mettere sulla carta? Posso tutt’al più dire che la mia impressione […] è che l’antistoricismo di Manganelli e il suo imperturbabile gusto del rigore intellettuale (che io giudico paradossale, e apprezzo in quanto tale) siano una sfida, un pungolo, molto più utili di quel vago escatologismo millenaristico che da più parti viene spacciato per prospettiva storica. Insomma, io sospetto dell’etichetta rivoluzionaria sovrapposta a materiali culturali che non si ha il coraggio di manifestare per quello che sono – schegge della grande polemica contro il razionalismo e il concetto di progresso – e quindi pèrdono anche il loro originario valore di contestazione e non servono a far fumo. Invece chi, come Manganelli, si guarda bene dal dirsi…»97

96 Ivi, p. 213.

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Nel documento Giorgio Manganelli e la traduzione (pagine 37-44)