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Capitolo II Nel silenzio

3.3 L’ospitalità incondizionata

Avendo trattato della vicinanza tra evento e dono e del loro configurarsi come evento e dono dell’altro che si fonda sull’altrui precedenza, è il caso, adesso, di comprendere che questi elementi del pensiero di Derrida nascono proprio dall’interno della sua pratica filosofica e, precisamente, nella graduale pratica di lettura e di ascolto della parola di quell’altro che, per Derrida, è stato l’amico Emmanuel Lévinas192

.

191 J. Derrida, Invii, in La cartolina, cit., p. 39.

192 Il motivo per cui, in riferimento al rapporto fra Derrida e Lévinas, è quasi spontaneo fare ricorso al

concetto di ascolto o di amicizia risiede nel fatto che, come entrambi i pensatori hanno di sovente puntualizzato, il loro non è concepibile come un confronto di pensiero tradizionalmente inteso, in cui vengono sollevate obiezioni e messe a paragone delle posizioni inconciliabili. Il colloquio che Derrida e Lévinas intrattengono riguarda – ed è per questo che ci interessa indagarlo – la possibilità impossibile di ospitare l’altro e da questa stessa possibilità scaturisce l’andamento di una pratica di pensiero e di

74 Si è analizzata una parte di Violenza e Metafisica, il primo dei tre testi in cui Derrida si confronta con Lévinas nel 1964; come vedremo, tra quell’intervento d’esordio e i due successivi a cambiare non è solo la posizione di Derrida, ma sono soprattutto i toni e lo stile della sua scrittura. Violenza e metafisica rappresenta il luogo in cui si sviluppa la critica più intransigente che Derrida rivolge all’autore di Totalità e infinito, è qui che Derrida ribadisce la necessità di una contaminazione contro la concezione dell’alterità di Lévinas che può essere definita come un’eterologia della purezza. Se Lévinas avanza la pretesa di approdare al totalmente altro a partire dal tentativo di evasione dal logos occidentale, Derrida esprime le sue riserve sostenendo che per tematizzare l’alterità, anche quando si intende determinarne la purezza e l’impossibilità di una sua tematizzazione, si fa necessariamente ricorso ad una forma di violenza pre-etica in quanto ogni discorso si avvia a partire dal medesimo (même) nonostante sia volto a trattare dell’altro:

«C’è una violenza trascendentale e pre-etica, una dissimmetria (generale) la cui archia è lo stesso che permette la dissimmetria inversa, la non violenza etica di cui Lévinas parla. In effetti, o non c’è che lo stesso ed esso non può nemmeno più manifestarsi ed essere detto, e neppure esercitare la violenza (infinita o finitezza pure); oppure ci sono lo stesso e l’altro non può essere l’altro – dello stesso – se non essendo lo stesso (di sé: ego) e lo stesso non può essere lo stesso (di sé: ego) se non essendo l’altro dell’altro: alter ego […] Questa violenza trascendentale che non procede da una risoluzione o da una libertà etica, da una certa maniera di accostare o oltrepassare l’altro, instaura in effetti, la necessità di accedere al senso dell’altro […] la necessità di parlare dell’altro come l’altro o dell’altro come altro, cominciando dal suo manifestarsi-a-me-come-quello-che-è: l’altro […], questa necessità a cui nessun discorso può sfuggire fin dalla sua più giovane origine, questa necessità è la violenza stessa, o meglio

scrittura che dimostra ad ogni passo la natura dell’intento da cui è mossa. Per tali ragioni, si rende preliminarmente necessario, come chiarisce C. Resta: «accostarsi con una diversa attenzione, con un orecchio teso non solo al detto, ma anche al Dire, allo stile, al tono di queste scritture, al colloquio che, silenziosamente, intrattengono nella discrezione di una nota, di una parentesi, di una parola, di un nome proprio appena pronunciato, di impliciti omaggi e citazioni, di qualche corsivo o di una semplice virgolettatura» (cfr. C. Resta, L’evento dell’altro. Etica e politica in Jacques Derrida, cit., p. 107).

75 l’origine trascendentale di una violenza irriducibile, se supponiamo, come dicevamo più sopra, che possa avere un senso parlare di violenza pre-etica»193.

In Violenza e metafisica, Derrida critica Lévinas soprattutto in riferimento ai punti di scarto che quest’ultimo aveva segnato rispetto ad Heidegger, nel saggio del 1964 si trova, in effetti, una difesa della posizione heideggeriana che Lévinas attacca; questo riferimento non è superfluo per comprendere l’andamento del rapporto tra Derrida e Lévinas dato che, come si è visto, l’autore della decostruzione sviluppa il suo pensiero e la sua pratica di lettura e scrittura a stretto contatto con il Denkweg heideggeriano. Come fa notare S. Petrosino, questo intervento di Derrida è stato spesso interpretato, così come l’intera opera La scrittura e la differenza, come un momento giovanile e ancora in gran parte estraneo alla gestualità di pensiero propria di Derrida, così legata ai temi lévinassiani della traccia o dell’alterità194

.

A partire da questa circostanza, non entriamo ulteriormente nei dettagli argomentativi di questo saggio, spostando l’attenzione sulla seconda tappa dell’incrocio fra questi due pensatori rappresentata da un testo contenuto in Psyché che porta il titolo In questo momento in quest’opera eccomi. Qui, Derrida mantiene quasi invariato l’impianto argomentativo del primo intervento rivolto a Lévinas, ma con alcune differenze; innanzitutto non rivolge l’attenzione a Totalità ed infinito, ma si concentra su Altrimenti che essere195

e questa scelta ha almeno due importanti conseguenze: in primo luogo In questo momento in quest’opera eccomi non si presenta più sotto forma di un testo speculativo tradizionale come fa Violenza e metafisica, ma assume una forma epistolare mimando in qualche misura il testo di Lévinas; in secondo luogo in

193

J. Derrida, Violenza e metafisica, in La scrittura e la differenza, cit., pp. 162-163.

194 Cfr. S. Petrosino, L’umanità dell’umano e l’essenza della coscienza, prefazione a J. Derrida, Addio a

Emmanuel Lévinas, cit.

195 E. Levinas. Autrement qu' être ou au-delà de l' essence, Nijhoff ,La Haye 1974; tr, it. di S. Petrosino,

76 Altrimenti che essere Derrida rileva che proprio il modo in cui Lévinas scrive quest’opera, nonostante non siano sostanzialmente mutate le sue tesi, produce un «effetto d’alterità»196

.

Procedendo con ordine, sembra utile notare come questo scritto si apra emblematicamente con un riferimento alla questione del dono; nelle prime pagine di In questo momento in quest’opera eccomi, infatti, Derrida afferma che:

«niente è più difficile che accettare un dono. E dunque, ciò che «voglio» «fare» qui è accettare il dono, affermarlo e riaffermarlo come ciò che ho ricevuto. Non da qualcuno che, invece, ne abbia avuto l’iniziativa, ma da qualcuno che abbia avuto la forza di riceverlo, di riaffermarlo»197.

Ecco chi è precisamente Emanuel Lévinas, quel pensatore che ha già, prima di Derrida anche se con i dovuti scarti, inquadrato la questione dell’altro come ciò che rovescia l’etica e la metafisica tradizionalmente intese e apre una breccia verso una forma di fenomenologia del non tematizzabile. Precisamente, ancora nell’intento di marcare l’interruzione fra lo stesso e l’altro, nella scrittura di Lévinas di Altrimenti che essere, non solo comprare la questione dell’obbligazione, ma si mostra all’opera quella necessaria (obbligata) negoziazione o contaminazione di cui parlava Derrida e a cui la scrittura di Lévinas si sottomette al di là del contenuto della sue tesi:

«Come scrive quindi? Come ciò che scrive fa opera [ouvrage] e Opera nell’opera [ouvrage]? Che cosa fa, per esempio e in modo eminente quando scrive al presente, nella forma grammaticale del presente, per dire ciò che non si presenta e non sarà mai stato presente in quanto il (cosid)detto presente non si presenta che in nome di un Dire che lo deborda, al di fuori e al di dentro, infinitamente, come una sorta di anacronia assoluta, quella di un tutt’altro che,

196 S. Petrosino, L’umanità dell’umano e l’essenza della coscienza, prefazione a J. Derrida, Addio a

Emmanuel Lévinas, cit., p. 17.

197 J. Derrida, In questo momento in quest’opera eccomi, in Psyché. Invenzione dell’altro Vol. I, cit., p.

77 per quanto incommensurabilmente eterogeneo alla lingua del presente e al discorso del medesimo, vi lascia pur tuttavia una traccia: sempre improbabile, ma ogni volta determinata, questa e non un’altra? […] Non bisogna rovesciare la domanda almeno in apparenza e chiedersi se questa lingua non è da sé slegata, quindi aperta al tutt’altro, al suo proprio al di là, sì che non si tratta tanto di eccedere questa lingua quanto di trattare altrimenti con le sue proprie possibilità. Trattare altrimenti, cioè calcolare la transazione, negoziare il compromesso che lascerà il non-negoziabile intatto, e fare in modo che la mancanza, quella che consiste nell’iscrivere il tutt’altro nell’impero del medesimo, alteri quanto basta il medesimo per assolversi da sé. Secondo me è la sua risposta; e questa risposta di fatto, per così dire, questa risposta in atto, in opera piuttosto nella serie di negoziazioni strategiche, questa risposta non risponde a un problema o a una domanda, risponde all’Altro – per l’Altro – e abborda la scrittura disponendosi a questo per-l’Altro»198 .

Questo è un punto importante perché Lévinas in Altrimenti che essere sembra affermare che l’Altro precede attivamente la tematizzazione filosofica dell’alterità ed è proprio su ciò che interviene Derrida, commentando come ogni scrittura sull’altro sia già da sempre risposta all’altro, al fatto che l’altro precede l’interrogazione sull’alterità. Risiede qui il motivo per cui Derrida non può più scrivere nella forma utilizzata nel 1964; se in Violenza e metafisica egli sentiva la necessita di procede in un domandare sempre più radicale ed impersonale nei confronti dell’opera di Lévinas, nel secondo intervento ciò che è necessario, e la cui necessità è stata proprio svelata dalla scrittura di Lévinas, è l’ascolto di un appello che proviene dall’altro, in questo caso proprio da Emmanuel Lévinas. È esattamente questo ciò a cui allude il titolo del saggio: «in questo momento», cioè nell’atto di scrivere sull’altro, «in quest’opera», cioè nelle lettere scritte, nella lingua in cui solo è possibile interrogarsi sull’altro, «eccomi», cioè rispondo all’appello che mi è già sempre rivolto a causa dell’originaria precedenza dell’altro. Il titolo, non a caso, è una frase del testo di Lévinas che Derrida ri-scrive, ri- tracciando così anche il movimento di obbligazione di cui parla a proposito della

198 J. Derrida, In questo momento in quest’opera eccomi, in Psyché. Invenzioni dell’altro Vol. I, cit., pp.

78 scrittura di Lévinas: essa mette all’opera, nell’opera di Lévinas, l’obbligazione della contaminazione fra altro e medesimo e, al contempo, «egli avrà obbligato»199, nello stesso senso, anche la lettura di Derrida, che in questo testo inizia a lasciarsi abitare dalla scrittura di Emmanuel Lévinas. Questo obbligo allora, così operando, svela peculiarmente il modo in cui opera decostruzione e ci mostra le due pratiche che ne sono alla base ( la scrittura e la lettura) come sempre più annodate.

Prima di procedere con l’analisi del terzo ed ultimo momento in cui Derrida si rivolge a Lévinas, può essere utile precisare un aspetto fin ora solo accennato inerente al fatto che In questo momento in quest’opera eccomi si apre con un forte riferimento alla questione del dono. Sebbene in questo lavoro si sia già trattato del tema della traccia, così come si sviluppa nel pensiero di Derrida in relazione al concetto di différance e specialmente in riferimento ad Husserl ed Heidegger, non si è esposto riguardo al debito che Derrida ha nei confronti del pensiero della traccia di Lévinas. Di fatto, però, questo debito è più riconoscibile adesso che il pensiero di Derrida si svela come abitato dalla questione dell’alterità.

Il termine traccia, che compare già in Violenza e metafisica, ritorna nel 1967 in De la grammatologia, opera di cui è un tema fondamentale; in questo contesto, Derrida riconosce che ciò a cui la parola traccia si riferisce è vicino a ciò che intende Lévinas negli ultimi scritti della sua vita e nella critica che avanza all’ontologia. Poche righe dopo, tuttavia, Derrida sente l’esigenza di precisare che il suo pensiero della traccia non è affine solo alla speculazione di Lévinas, ma anche a quella di Heidegger (specialmente in riferimento al suo concetto di Spur)200 e a quella di Nietzsche e Freud. Più tardi, nella conferenza La différance si rende ancora più esplicito come la traccia e la différance

199 Ivi, p. 175. 200

79 siano pensate nel pieno intento decostruttivo dell’ontologia e della presenza201

. In effetti, Derrida e Lévinas sono affini nelle critiche rivolte ad Husserl ed Heidegger in merito alle rispettive concezioni sulla temporalità. Si può probabilmente comprendere, dunque, come alla base del movimento decostruttivo del presente e della presenza ci sia il desiderio (chance) di creare uno spazio (una spaziatura) per quell’alterità che non è riducibile e non deve ridursi al piano del medesimo. Acquistano maggiore senso, in quest’ottica, anche le argomentazioni sulla metafisica del proprio volte ad affermare la necessità di una contaminazione che si istaura già da sempre fra l’appropriante e l’espropriante. La decostruzione della temporalità era necessaria per il riconoscimento dello scarto fra me e l’altro, un scarto ineludibile e fin troppo eliso da una tradizione filosofica basata sul concetto di tempo presente ed inteso come presente alla coscienza, perché, come spiega Maratti-Guénon:

«questa messa in causa del presente è dettata dalla necessità di pensare nel movimento stesso della temporalità l’iscrizione di un’alterità irriducibile, dalla necessità di mostrare che il tempo non può essere pensato come auto-affezione pura […] il tempo pensato come traccia introduce una diacronia irreversibile, un ‘tempo che non si raccoglie’, un tempo da sempre travagliato da una disgiunzione che è il ‘luogo’ stesso dell’alterità: senza dubbio dell’alterità dell’altro, ma anche del soggetto a se stesso»202

.

Non è difficile comprendere come questa descrizione della temporalità pensata altrimenti coincida con il modo in cui si è precedentemente definita l’evenemenzialità;

201 «Un passato che non è mai stato presente, questa formula è quella con la quale Emmanuel Lévinas,

seguendo delle vie che non sono certo quelle della psicanalisi, qualifica la traccia e l’enigma dell’alterità assoluta: altri [autrui]. Almeno in questi limiti e da questo punto di vista, il pensiero della différance implica tutta la critica dell’ontologia classica intrapresa da Lévinas. E il concetto di traccia, come quello di différance, organizza così, attraverso queste tracce differenti e queste differenze di traccia, nel senso di Nietzsche, di Freud, di Lévinas ( questi «nomi di autori» che non sono che indizi), la rete che raccoglie e attraversa la nostra «epoca» come de-limitazione dell’ontologia (della presenza)», (J. Derrida, La

différance, cit., pp. 49).

202 P. Maratti-Guénon, Derrida et Lévinas: éthique, écriture, historicité, «Les Cahiers Philosophiques de

Strasbourg», n. 6, 1997, pp. 263; tr. it. di S. Petrosino in L’umanità dell’umano e l’essenza della

80 nel testo In questo momento in quest’opera eccomi le questioni fondamentali del pensiero di Derrida come quella dell’evento, degli invii, dell’adresse sono tutte attive, messe in pratica; esse operano in vista di quel compito impossibile che conduce al cuore della decostruzione e che è il dono dell’altro. Nel precedente paragrafo si accennava al fatto che l’espressione “il dono dell’altro” (così come “l’invenzione dell’altro” che ne è quasi un sinonimo) può essere letta tanto in senso oggettivo quanto in senso soggettivo, cioè il dono dell’altro può rappresentare il dono che l’altro fa o il dono che l’altro è; per comprendere l’inscindibilità di questi due sensi, la loro indecidibilità, ed insieme intravedere il legame fra lo stile e i toni di In questo momento in quest’opera eccomi con le questioni portanti di La carte postale, può essere utile leggere quanto scrive Derrida in esordio nel saggio del 1980:

«Mi chiedo da dove viene che io debba indirizzarmi a te per dire questo. E perché, dopo tanti tentativi, tanti scacchi, eccomi qui obbligato a rinunciare alla neutralità anonima di un discorso proposto, almeno nella sua forma, a chiunque, che pretende di dominare se stesso e il suo oggetto in una formulazione senza resto? Non pronuncerei il tuo nome, non lo scriverei neppure, ma tu non sei anonima nel momento in cui eccomi qui a dirti questo, inviandolo verso di te come una lettera, dandotela da ascoltare o da leggere, dove il dartela mi importa infinitamente di più di ciò che potrebbe trasmettere nel momento in cui ne ricevo da te il desiderio, nel momento in cui mi lascio dettare da te ciò che ti vorrei dare di me stesso»203.

Per concludere ed entrare nel vivo della questione etico-politica in cui è immerso il rapporto fra Derrida e Lévinas, è probabilmente importante precisare come le caratteristiche dell’atteggiamento di Derrida in quest’incrocio con Lévinas e che, come si è visto, sono più in generale le caratteristiche della pratica decostruzionista, hanno qualcosa a che fare anche con quella che nel pensiero heideggeriano è definita la

203 J. Derrida, In questo momento in quest’opera eccomi, in Psyché. Invenzioni dell’altro Vol. I, cit., pp.

81 Zusage204

. Tale questione è approfondita da Derrida nel testo Dello Spirito205

; non è intenzione di questo lavoro fornire un’analisi puntuale né del complesso tema heideggeriano né del commento che ne adduce Derrida, tuttavia per ribadire ulteriormente come, con la sua logica di dono/debito aneconomico, il pensiero Derrida si sottrae alla tentazione di essere interpretato mediante contrapposizioni nette, a partire da questo riferimento si può affermare che, dopo Violenza e metafisica, non si può probabilmente stabilire un rapporto in termini di distanza o vicinanza fra Derrida ed Heidegger o fra Derrida e Lévinas. A ben vedere, infatti, proprio l’obbligazione a cui sottomette la nuova lettura di Lévinas, conduce Derrida a leggere diversamente, ad ascoltare l’appello attivo anche nell’opera di Heidegger e specialmente nel concetto di Zusage in cui è in questione proprio l’ascolto e l’accoglienza della parola206

.

Il terzo luogo di confronto fra Derrida e Lévinas porta proprio il titolo La parola d’accoglienza; qui, Derrida è chiamato a pronunciarsi sull’opera di Lévinas, sulla sua eredità e chiarisce innanzitutto che l’unico tipo di parola che egli si sente in possibilità di pronunciare in merito è una «parola di benvenuto»207

. La parola di benvenuto, infatti,

204

Per l’approfondimento della questione rimando a C. Resta, Etica del linguaggio, in Id., La Terra del

mattino. Ethos, Logos e Physis nel pensiero di Martin Heidegger, Angeli, Milano 1998.

205 J. Derrida, De l’esprit. Heidegger et la question, Galilée, Paris 1987; tr, it. di G. Zaccaria, Dello

spirito. Heidegger e la questione, Feltrinelli, Milano 1989.

206

Questo giudizio nasce dalla lettura delle opere di Derrida e anche dalla lettura degli scritti su Derrida pubblicati da vari interpreti che nel merito non concordano perfettamente. La posizione di questo lavoro è per certi versi affine all’approccio che caratterizza l’interpretazione di Telmon ( cfr. M. Telmon, La

differenza praticata. Saggio su Derrida, cit.) e a quello di C. Resta che, in una nota (circostanza forse non

trascurabile) precisa in proposito che: «proprio in virtù di una torsione lévinassiana, Derrida è tornato a leggere altrimenti Heidegger, la cui presenza rimane costante, come testimoniano, ad esempio, tematiche come quelle del dono e dell’evento, per le quali il debito nei confronti di Heidegger è esplicitamente riconosciuto. Credo che il movimento non sia di semplice avvicinamento o distanza, ma che Derrida, ancora una volta, obbedisca a una logica di contaminazione e di integrazione, da non confondersi co una conciliazione, cercando piuttosto di ritramare insieme queste due filosofie così allergiche l’una nei confronti dell’altra. Non è forse questa la segreta posta in gioco del pensiero stesso di Derrida?» (C. Resta, L’evento dell’altro. Etica e politica in Jacques Derrida, cit. p. 110).

207

82 rappresenta un saluto208

e precisamente quella forma di saluto che permette il passaggio dall’uno verso l’altro, che permette, per esempio di accogliere a casa propria (chez soi). Derrida pone in apertura (ouverture) di questo teso una citazione tratta da Totalità e infinito, in cui Lévinas scrive che:

«andare incontro ad Altri nel discorso significa accogliere [mi permetto di sottolineare questo termine, J. D.] la sua espressione nella quale egli va continuamente al di là dell’idea che un pensiero potrebbe portarne con sé. Significa dunque ricevere [corsivo di Lévinas] da Altri al

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