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L’utopia come meccanismo di rappresentazione: interpretazion

I. La città nell’Europa del Settecento tra realtà e immaginazione

2. Rappresentazione della città ideale

2.2 L’utopia come meccanismo di rappresentazione: interpretazion

Prima di procedere alla valutazione dei punti chiave della proposta cittadina utopica, pare opportuno soffermarsi su alcune questioni metodologiche sollevate dall’uso stesso dell’utopia come possibilità rappresentativa. Si tratta innanzi tutto di un problema di definizione, la cui complessità giustifica la scelta di un ampio ventaglio di approcci, a loro volta determinanti la scelta delle fonti. L’interpretazione della natura dell’operazione utopica incide allora non soltanto nell’ottica di una ricostruzione storica delle forme letterarie cui ha dato vita, ma anche in quella più complessa e controversa del ruolo del concetto stesso di utopia all’interno di una rappresentazione del mondo e delle sue possibilità evolutive.

L’utilizzo del termine utopia ci pone, infatti, di fronte a una duplice direzione, una legata a particolari forme descrittive, i cui contorni rifuggono una chiara definizione ma che restano nel solco della letteraria rinnovata e codificata da Thomas More, e una interessata al più generale concetto di utopia, inteso come un meccanismo di pensiero volto alla rappresentazione di realtà alternative, strutturate all’interno di una complessa elaborazione socio-politica. È questo il caso dell’utopisme definito dal filosofo Emil Cioran come una condizione dell’intelletto, una disposizione dell’esprit, orientata verso l’esplorazione delle possibili forme di comunità e la generazione di un modello originale di aggregazione sociale34. Se la mentalità utopica si distingue dalla costruzione

33 «Fictionner. Ce n’est pas narrer, conter, fabuliser; c’est imaginer des caractères moraux ou politique, pour faire passer des vérités essentielles à l’ordre social. Fictionner un plan de gouvernement dans une île lointaine, et chez un peuple imaginaire, pour le développement de plusieurs idées politiques, c’est ce qu’ont fait plusieurs auteurs qui ont écrit fictivement en faveur de la science qui embrasse l’économie générale des états et la félicité des peuples...» (LOUIS-SÉBASTIEN MERCIER, Néologie ou Vocabulaire des mots nouveaux, à renouveler, ou pris dans des acceptions nouvelles, Paris,

Moussard, 1801, p. 266).

utopica vera e propria, entrambe condividono una medesima tensione alla progettualità di un mondo nuovo, creato sulla base di un radicale ripensamento dei principi sociali esistenti e riproposto in un’organizzazione collettiva dall’auspicabile concretizzazione. Si tratta quindi di sciogliere il nodo intorno al significato di utopia, il cui concetto non è privo né di ambiguità né di problematicità interpretative, condizionate nella loro articolazione dal contesto intellettuale-culturale di riferimento e, soprattutto, da una riflessione sulla storia e sulle modalità del suo procedere.

In quest’ottica ricopre certamente un ruolo di primo piano la critica all’utopia formulata dal pensiero di Marx ed Engels che, interessandosi ad alcuni elementi ricorrenti dell’utopia, ripresi e riformulati nei testi di Robert Owen, Henri de Saint-Simon, Charles Fourier ed Étienne Cabet, strutturano una valutazione all’utopia in termini talmente radicali da costituire un punto di riferimento fondamentale per tutte le successive riflessioni. L’elemento chiave dell’attacco risiede non già nel tipo di tematiche articolate dalle costruzioni immaginarie, quanto piuttosto nelle modalità di rappresentazione di quegli stessi suggerimenti contenutistici in una formula giudicata inefficace.

L’abolizione della proprietà privata, il superamento del potere politico statale, l’organizzazione di modelli aggregativi a base comunitaria e la prefigurazione di società fondate su rapporti di lavoro e produzione socialisti, erano componenti essenziali di alcune proposte, che i protagonisti di quello che successivamente verrà definito ‘socialismo utopico’ rielaborarono, dando forma a comunità ideali che, pur mantenendo alcune importanti affinità con quelle che le avevano precedute, definivano nuovi parametri evolutivi del genere e soprattutto colmavano la scissione tra finzione letteraria e intenzione progettuale, affermando con forza la possibilità di una concreta realizzazione. Nonostante la messa in pratica di alcuni suggerimenti nella ristrettezza di determinate comunità proto-socialiste e nonostante il riconoscimento di alcuni termini chiave del progetto socialista all’interno di specifiche costruzioni utopiche, la critica di Marx condanna la formulazione stessa di quegli elementi in un disegno ritenuto chimerico. L’utopia non pareva infatti un programma, ma un sogno che, per quanto sapientemente strutturato e capace di anticipare alcuni fattori importanti del disegno socialista, lasciava troppo spazio all’immaginazione fantastica35; l’assenza di indicazioni

precise, di un’argomentazione scientifica chiaramente strutturata, veniva così additata,

35 È proprio la critica marx-engelsiana a suggerire l’associazione dei concetti di ‘fantasioso’ e ‘chimerico’ all’idea di utopia, di cui si limita sempre di più la dimensione progettuale per farla divenire, nel linguaggio comune, sinonimo ancora attuale di ‘irrealizzabile’.

in linea con il più generale pensiero positivista della metà del XIX secolo, come difetto insormontabile, sufficiente a invalidare ogni proposta che, per quanto stimolante, rimaneva incompleta e infruttuosa.

La concezione materialistica della storia giustifica la valutazione negativa della tradizione utopica da parte di Friedrich Engels che, nel 1878, affermava la necessità di ricollocare le costruzioni ideali entro il contesto di produzione che, per primo, determina il loro insuccesso. Se il passaggio dal socialismo utopico a quello scientifico non può che essere attivato in una condizione ‘materiale’ di crisi del sistema capitalistico in atto, di crisi dei rapporti di produzione, e quindi di crisi sociale e politica, le elaborazioni utopiche non erano altro che disegni arbitrari, prodotti dall’immaginazione dei loro autori, completamente scissi dalla realtà; il progetto utopico non scaturiva dall’evoluzione dei rapporti di produzione, ma dalla riflessione di pensatori che, per quanto capaci di dare voce a situazioni sociali più tardi riprese e approfondite, proiettavano le loro proposte nella sola dimensione della rappresentazione fantastica36.

La messa in evidenza di rapporti storico-economici che costituiscono il motore della storia, e il fondamento della sua concezione materialistica, metteva dunque in crisi l’idea di un’intenzione attivamente progettuale nelle produzioni dell’utopia; quest’ultima appariva come il frutto di un’immaginazione particolarmente virtuosa, ma in aperta frattura con il dato reale, i cui presupposti concreti non erano tali da poter sviluppare un progetto propriamente socialista. L’insufficienza del pensiero utopico non veniva quindi individuato nella mancanza di profonda progettualità da parte degli utopisti, ma nelle condizioni dettate dal contesto storico in cui quegli stessi erano vissuti, dove i rapporti di produzione non erano ancora giunti a quella crisi che, nella seconda metà del XIX secolo, la costruzione marx-engelsiana interpreta e intende superare.

Nel pensiero di Engels la critica all’utopia non era quindi articolata sul riconoscimento di una mancanza teorica delle soluzioni sociali suggerite, ma sulla considerazione del momento storico in cui esse erano state avanzate; la disamina di ogni utopia, singolarmente presa, non è necessaria, giacché nell’affermare la necessità di un

36 «Gli utopisti, abbiamo visto, furono utopisti perché non potevano essere altro in un’epoca in cui la produzione capitalistica era ancora così poco sviluppata. Essi furono obbligati a costruire gli elementi di una nuova società traendoli dal proprio cervello, perché nella vecchia società questi elementi generalmente non erano ancora chiaramente visibili; per i tratti fondamentali del loro nuovo edificio essi furono ridotti a fare appello alla ragione, precisamente perché non potevano ancora fare appello alla storia del loro tempo.» (FRIEDRICH ENGELS, Anti-Dühring, Roma, Editori Riuniti, 1968, p.

determinato stato dei rapporti di produzione per l’elaborazione di un sistema socialista, Engels negava l’efficacia stessa del meccanismo utopico che, fino ad allora, si era espresso in termini fantastici e anti-scientifici. Utopia e scientificità sono allora i termini chiave dello sguardo rivolto dalla critica di Marx ed Engels alle costruzione di società ideali; se l’interesse si sofferma preliminarmente sulle proposte dei già ricordati Owen, Saint-Simon, Fourier e Cabet, l’attacco è in realtà estendibile all’intera tradizione utopica, giacché prima della rivoluzione industriale e delle sue più dirette conseguenze sui meccanismi di produzione non si ritiene possibile considerare l’utopia come un efficace progetto di rinnovamento sociale. Quest’ultimo è del resto possibile solo nel sovvertimento dell’ordine costituito attraverso la lotta di classe, completamente assente nell’esprit utopico che, di conseguenza, risulta una modalità di rappresentazione non soltanto inefficace perché antiscientifico, ma soprattutto dannoso al processo di auto- consapevolezza del ruolo storico del proletario indirizzato alla presa diretta del potere, e quindi pericoloso ai fini dell’instaurazione dell’autentico socialismo.

Superamento della critica marx-engelsiana e riconsiderazione dell’utopia

Se il pensiero di Marx ed Engels aveva modellato un’interpretazione dell’utopia in senso inequivocabilmente negativo, il dibattito sul suo ruolo nell’evolversi storico non si arresta e proprio il superamento dell’idea che la presunta assenza di una scientificità di fondo limitasse il valore dell’immaginazione utopica costituisce un elemento essenziale della riconsiderazione dell’utopia sotto una nuova luce. Così, già nel 1908, pur riprendendo la messa in evidenza del carattere fantastico delle utopie, George Sorel proponeva una nuova interpretazione che riteneva quelle stesse rappresentazioni un programma razionale e astratto, cui era sotteso uno spirito di azione concreta37;

quest’ultima, pur non trovando chiare e precise indicazioni nel disegno complessivo, costituiva lo scopo ultimo dell’elaborazione. Tuttavia, la mancanza di una specifica argomentazione delle modalità di applicazione pratica, l’impegno concreto cui si mirava diveniva in un certo senso un punto di riferimento astratto, che si prestava a qualsiasi strumentalizzazione. Non trovando infatti ordinata illustrazione dei tempi e dei modi di attualizzazione dell’ideale utopico l’azione politica auspicata restava vaga e, di conseguenza, il progetto utopico trovava infinite possibilità di teorica realizzazione. Non a caso, sottolineava Sorel, molti utopisti furono abili riformatori, giacché se il

37 GEORGE SOREL, La décomposition du marxisme, Paris, Éditions Marcel Rivière, 1908; Id., Réflexions sur la violence, Paris, Librairie des ‘Pages Libres’, 1908.

progetto utopico è un disegno generico, che risponde in maniera vaga all’esigenza di una costruzione sociale migliore, senza però imporre i meccanismi per la sua concretizzazione, esso si presta ad azioni riformiste di ogni tipo, costituendone anzi, un motore concettuale importante.

Sebbene l’approccio di Sorel mostrasse la possibilità di valutazione dell’utopia, la cui positività era individuata nella formulazione di un modello ultimo cui aspirare, ideale astratto ma, in qualche modo, realizzabile, la sua articolazione all’interno di una griglia concettuale in cui l’opposizione fantasia/scientificità sembra ancora particolarmente ingombrante impedisce il pieno riconoscimento dell’utopia come elemento chiave dell’evolversi storico. Il primo drastico rovesciamento dell’interpretazione dell’utopia giunge invece alla fine degli anni ‘20, quando con la pubblicazione di Ideologie und Utopie (1929)38 il sociologo Karl Mannheim riformula il dibattito in termini

radicalmente innovativi, strutturando la sua argomentazione intorno alla netta distinzione tra i due termini del titolo e stabilendo l’importanza del contesto storico nella valutazione di ogni produzione utopica. Nella convinzione che la chiave di interpretazione non risiedesse nelle proposte o nei valori specifici presentati, egli poneva al centro dell’attenzione la scissione tra immaginazione e realtà e il legame che la stessa elaborazione utopica intendeva stabilire. Appurati i parametri fondamentali della contingenza, Mannheim incitava alla comprensione della frattura tra l’universo del reale e quello dell’immaginario e alla valutazione delle intenzioni di quest’ultimo nei confronti del primo. In questo senso, l’utopia era da considerarsi tale quando la rappresentazione dell’alterità che strutturava era posta in termini di effettivo rifiuto, superamento e stravolgimento della realtà concreta; se l’utopia agiva da motore primo al cambiamento sociale e politico, al contrario l’ideologia, presentava forme sociali solo apparentemente opposte alla realtà, auspicando dunque il mantenimento dell’ordine esistente. L’ideologia sarebbe allora quel sistema di valori condiviso dai gruppi sociali dominanti e interessati alla conservazione dello stato attuale attraverso un meccanismo di occultamento della realtà, più o meno conscio, che impedisce la comprensione dei reali meccanismi in atto e mostra la rappresentazione offerta come la migliore possibile; al contrario l’utopia intenderebbe svelare gli orrori della contingenza ripensando l’intero sistema sociale e organizzandolo in nuova, auspicabile, forma39. Non potendo qui

38 KARL MANNHEIM, Ideologie und Utopie, Bonn, Cohen, 1929.

39 Mannheim individua per l’età moderna quattro grandi pensieri utopici: quello chialistico, quello liberale-umanitario, quello conservatore e quello socialista-comunista. Pur ponendo al centro della propria proposta classi sociali ben distanti (contadini, borghesia e intellettuali, proletario), pur stabilendo diversi rapporti con il tempo (installando le proposte utopiche ora nel passato, ora nel

approfondire le implicazioni prettamente sociologiche su cui tali considerazioni inviterebbero a riflettere, pare interessante notare come l’ideologia e l’utopia concepite da Mannheim si pongano su posizioni antitetiche rispetto alla realtà e al divenire storico. In effetti, se l’ideologia compatta le tensioni sociali facendole convergere verso l’adesione al sistema già in atto, l’utopia si articola come sovversione dei modelli comunitari esistenti stabilendo la possibilità di un nuovo inizio, di una nuova storia e un nuovo percorso umano. Il carattere rivoluzionario dell’utopia si pone, almeno concettualmente, come unica strada per la trasformazione della realtà, del cui miglioramento i suo paladini si fanno progettatori.

In quest’ottica la costruzione utopica, o più generalmente l’esprit utopico, funge da motore culturale del cambiamento e, di conseguenza, anche le sue forme letterarie non possono essere interpretate se non come progetto di possibilità sociali altre, concretamente attualizzabili. Le utopie dell’Europa moderna andrebbero allora osservate come veri e propri modelli statali e civili, che non vengono proposti come ingenue fantasticherie di mondi migliori, quanto piuttosto come linee guida di una riorganizzazione sociale ripensata su nuove basi.

Tuttavia, nell’elaborazione di Mannheim ideologia e utopia si pongono tra loro anche in termini consecutivi poiché, se la prima è una prerogativa delle classi già dominanti e la seconda una nozione propria dei gruppi in ascesa, al momento dell’eventuale ribaltamento dei ruoli, anche i due paradigmi si trovano invertiti. O meglio, ogni utopia, per quanto originalmente rivoluzionaria, è suscettibile di divenire a sua volta ideologia, rappresentazione delle classi che, precedentemente politicamente ed economicamente minoritarie, una volta raggiunti gli obiettivi prefissi mireranno anch’esse al mantenimento dell’ordine raggiunto. Lo spettro ‘ideologico’, potenzialmente in nuce in ogni utopia e attivabile in funzione degli eventi, si delinea come l’elemento più problematico della costruzione di Mannheim, limitandone in parte la funzione mobilitante della rappresentazione utopica; nonostante questo però, a suo avviso, solo la mentalità utopica permette di evitare l’immobilismo della società, continuamente rinnovata da una progettualità che, per quanto connessa soprattutto al confronto conflittuale tra gruppi, resta la struttura concettuale di riferimento40.

futuro), esse condividono un medesimo slancio vitale proiettato verso il superamento del sistema in atto.

40 Lavorando sul rapporto ideologia/utopia, ben più tardi, Paul Ricœur giunge a diverse conclusioni: in un ciclo di conferenze tenute presso l’Università di Chicago nel 1976, egli riprende il confronto tra utopia e ideologia sottolineando il sistema simbolico elaborato dalle due nozioni in funzione degli interessi di specifiche classi: se l’ideologia costruisce una realtà che di fatto legittima quella

Nella formulazione di Mannheim l’utopia conquistava così un posto di primo piano nell’evolversi storico, superando i limiti che le erano stati precedentemente attribuiti e profilandosi quale possibilità di rappresentazione intellettuale problematica ma fondamentalmente positiva. Quest’ultima dimensione prosegue nella rilettura della critica marxista all’utopia impostata da Herbert Marcuse e Ernst Bloch. Il primo41, che

reagisce alle condanne del marxismo-leninismo, si sofferma sull’argomentazione engeliana del passaggio tra socialismo utopico e socialismo scientifico, osservando come la situazione capitalistica del secondo dopoguerra fosse tale da consentire la realizzazione del vero sistema socialista a patto di un rinnovo radicale del pensiero che ne costituiva la base. Se esistevano ormai le condizioni intellettuali e materiali per una società realmente libera, era necessario rinnovare il progetto marxista in un’ottica propriamente utopica, dove l’utopia indicava una posizione concretamente combattiva proprio perché proiettata in un futuro altro, di possibile attualizzazione.

Spetta tuttavia al filosofo tedesco Ernst Bloch il merito di aver recuperato i nodi problematici dell’utopia nell’argomentazione di stampo marxista più ampia e strutturata42. Riconsiderando la tesi del passaggio dall’utopia alla scienza operato dal

marxismo, Bloch stravolge l’impostazione collocando alla radice stessa della scienza la speranza e l’utopia, motori primi dell’agire umano e quindi della storia. Al di là delle implicazioni all’interno della riflessione prettamente marxista, l’opera di Bloch riabilitava l’utopia definendola non già come una delle tante possibili forme del pensiero umano, quanto piuttosto come dimensione caratteristica di quello stesso; l’evoluzione storica andava allora considerata alla luce di un pensiero utopico che, lungi dall’essere implicitamente deviante perché anti-scientifico, costituiva la radice prima

esistente, e conseguentemente i gruppi dominanti, l’utopia si ripromette lo smascheramento delle falsità imposte, opponendosi violentemente al dato contingente e auspicandone il ribaltamento. Tuttavia, a differenza di Mannheim, il filosofo francese insiste sul carattere ‘fantastico’ dell’utopia che, proprio incitando al superamento della contingenza, limita le sue potenzialità concrete, impedendo il passaggio dalla costruzione simbolica all’attivismo. Ricœur sottolinea quindi la stretta relazione tra le due nozioni che divengono l’una il ‘rimedio’ dell’altra, giacché se l’ideologia sembra necessitare dell’utopia per uscire dalla propria implicita stagnazione, l’utopia non può essere pensata che in funzione di un’ideologia, ovvero in funzione di una reale attualizzazione potenzialmente suscettibile di divenire a sua volta ideologia. Sui termini di base proposti da Mannheim, Ricœur articola allora un sistema dialettico tra utopia e ideologia che, per quanto concentrato sul dibattito sull’utopia impostato dalla critica marxista, interessa qui soprattutto nella messa in evidenza dell’immaginario simbolico cui le due rappresentazioni danno luogo. Cfr. PAUL RICŒUR, Lectures on Ideology and Utopia, New York, Columbia University Press, 1986.

41 HERBERT MARCUSE, Das Ende der Utopie, Berlin, Verlag Peter von Maikowski, 1967 (it. La fine dell’utopia, Bari, Laterza 1968); Id., Eros and Civilization: a philosophical Inquiry into Freud,

Boston, Beacon Press, 1955.

42 ERNST BLOCH, Geist der Utopie, München, Duncker & Humblot, 1918 (ed. it. Spirito dell‘utopia,

Milano, Sansoni, 2004); Id., Das Prinzip Hoffnung, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1953-1959 (redatto tra 1938 e1947; ed. it. Il principio speranza, Milano, Garzanti, 1994).

dell’azione contingente, l’essenza della trasformazione. Se il pensiero di Bloch offre numerose suggestioni, che ci spingerebbero a considerare la rivalutazione della religione e dell’arte all’interno del sistema da lui elaborato, ci limiteremo qui a sottolineare la fondamentale rivendicazione della centralità dell’utopia nell’agire umano e nella storia; centralità che approfondisce quel senso di progettualità effettiva implicita nell’elaborazione utopica che costituisce il centro della riflessione storica sull’utopia quale verrà sviluppandosi negli studi di Franco Venturi e Bronislaw Baczko.

Problemi di Utopia: ripensamenti degli anni ‘60 e ‘70

Tuttavia, prima di giungere alle interpretazioni dell’utopia all’interno di un discorso propriamente storico, viene messo in moto un altro tipo di riconsiderazione del paradigma, che si trova ora condannato non già in quanto ostacolo ingombrante allo sviluppo politico-sociale auspicato dal pensiero marx-engelsiano, né tanto meno per la sua inefficienza progettuale, quanto piuttosto perché collocato all’origine di un percorso intellettuale che viene messo direttamente in relazione con l’affermarsi dei regimi totalitari novecenteschi. Tra gli anni ‘60 e ‘70 del XX secolo, il confronto con le tragiche vicende recenti, unito all’insinuarsi di una crisi dei sistemi ideologici e di un sentimento di perdita identitaria determinata dall’emergere di una cultura di massa allo stesso tempo allettante e sospetta, preme sull’approfondimento estremamente diffuso del dibattito intorno all’utopia e sulla messa in discussione dei valori di riferimento che essa prospetta. La critica dell’utopia emerge allora come ricerca storica specifica, ma anche come argomento di così grande attualità da interessare numerosi studiosi che vi si lasciarono coinvolgere all’interno di analisi politiche e sociologiche più ampie.