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I. La città nell’Europa del Settecento tra realtà e immaginazione

1. La città settecentesca

1.4 Spazi urbani, sicurezza e controllo

Posto al centro del discorso urbano, l’uomo costituisce l’elemento essenziale del ripensamento degli spazi, che si struttura come risposta alle urgenze igieniche suggerite dai progressi della medicina contemporanea e, allo stesso tempo, come organismo complesso che richiede una generale riconsiderazione. Questa si delinea nelle riflessioni degli architetti all’insegna di un funzionalismo fondamentale, non indifferente a specifiche esigenze estetiche che rientrano tanto in una dimensione prettamente stilistica quanto all’interno di una più ampia meditazione sul problematico rapporto tra decoro urbano e prestigio istituzionale, in una prospettiva in cui la fisicità delle forme cittadine si trova intimamente connessa alla necessità di trasmettere il valore, la potenza, la ricchezza e l’autorevolezza dello stato, della monarchia. Del resto, gli interventi più rilevanti nel contesto parigino si erano sviluppati all’insegna di quel programma di embellissement convergente in un’architettura di tipo monumentale, maggiormente incline alla realizzazione di imponenti strutture piuttosto che alla riorganizzazione dell’intero tessuto urbano. Nonostante la presenza di alcune iniziative direttamente rivolte alla ‘cittadinanza’, come la distruzione delle case sui ponti o la regolamentazione dell’allineamento delle strade, l’impegno pubblico della seconda metà del XVIII secolo sembra contraddistinguersi per un interessamento verso edifici dal notevole impatto

nell’economia spaziale della capitale, in mancanza però di un ripensamento di insieme, capace di comprendere, e controllare, le dinamiche costruttive private, vero motore dello sviluppo urbanistico.

Ne fuoriesce l’immagine di un ambiente caotico, dove l’assenza di un piano complessivo, la cui urgenza trapela solo in parte nella teorizzazione architettonica, è accompagnata da una grave insufficienza strutturale che mette in pericolo gli stessi abitanti. Si tratta qui di specifici elementi urbani, la cui mancanza o inefficienza è registrata da numerosi progetti di riforma, nei quali è possibile rintracciare uno sguardo sulla città articolato sulla base di molteplici istanze, tra le quali quelle igienico-sanitarie assumono una rilevanza centrale. Attraverso di esse è allora possibile accedere a una rappresentazione dello spazio fortemente influenzata da una fiducia nella scienza quale base per il miglioramento della condizione contingente, consentita solo da una rivalutazione del ruolo dell’ambiente sul benessere umano.

Tuttavia, la rappresentazione degli spazi scaturita dalle proposte avanzate a risoluzione di specifiche criticità e dalle riflessioni propriamente architettoniche acquista maggiore completezza nella considerazione di altre problematicità che, pur estensibili all’intero quadro politico-sociale tardo settecentesco, si trovano esplicitate chiaramente nel contesto prettamente urbano. È qui in questione, la sicurezza degli abitanti, che proprio nelle città costituisce un importante nodo del rapporto tra la pratica amministrazione e le modalità di rappresentazione degli spazi; la condivisa denuncia dei pericoli fisici che caratterizzano il quotidiano urbano contribuisce infatti alla percezione di un ambiente non soltanto come inadeguato e disfunzionale, ma come complesso caotico, ostile ai suoi stessi abitanti. Tale ostilità, radicata nelle forme fisiche della città, è determinata, tuttavia, anche dalla materia umana che vi risiede, di cui se da una parte certe pratiche di controllo cercano di regolare, almeno teoricamente, i comportamenti ‘pericolosi’, dall’altra alcuni tipi di rappresentazione ne evidenzia l’immoralità di fondo. Proprio nella messa in scienza del cittadino, oggetto di sorveglianza e soggetto comportamentale, la cultura settecentesca pensa la città come organismo architettonico, ma anche come insieme umano specifico, la cui osservazione sollecita una riflessione più ampia sui meccanismi e il valore stesso della civilità.

Strade affollate

All’interno di una riflessione maggiormente architettonica, che guarda alla città come un organismo materiale le cui singole parti dovrebbero essere ripensate in funzione di

un miglioramento generale, si trovano così le denunce relative allo stato delle strade. Tali critiche, ponendosi in continuità con quelle circa l’insalubrità e la sporcizia precedentemente ricordate, insistono sul disagio provocato dalle numerose carrozze la cui pericolosità era determinata dalla fisicità stessa del tessuto stradale, caratterizzato da spazi angusti e tortuosi e quindi dall’assenza di un ordinamento globale:

L’humble vinaigrette [petite voiture à deux roues tirée par un homme] se glisse entre deux carrosses, et échappe comme par miracle. Elle traîne une femme à vapeurs, qui s’évanouirait dans la hauteur d’une carrosse. Des jeunes gens à cheval gagnent impatiemment les rempart, et sont de mauvaise humeur, quand la foule pressée, qu’ils éclaboussent, retarde un peu leur marche précipitée. Les voitures et les cavalcades causent nombre d’accidents, pour lesquels témoigne la plus parfaite indifférence.129

Come non ricordare, infatti il celebre episodio ricordato da Rousseau nella seconda promenade solitaire, che lo aveva visto protagonista di un’avventura urbana particolarmente frequente130. Se ampio spazio è dato da Rousseau alla narrazione di tale

evento, più concisi sembrano altri casi letterari, dove maggiore peso è dato all’inadeguatezza delle strade nella loro composizione materiale, la cui pericolosità è aggravata dall’alto numero di carrozze131; così ad esempio il già ricordato Nikolaj

129 MERCIER, vol. I, pp. 107-108. Le preoccupazioni derivanti dai pericoli della strada appartengono

ormai a una diffusa percezione dell’urbanità, così che è facile reperire l’esigenza concretamente riformistica che sottostà ai numerosi premi proposti dall’Académie royale des sciences per stimolare innovativi progetti di trasformazione delle condizioni cittadine, come si legge in BERNIÈRES, Programme des prix proposés par la Société libre d’émulation établie à l’imitation de celle de Londres, pour l’encouragement des inventions qui tendent à perfectionner la pratique des Arts & des Métiers utiles, Paris, 1776.

130 «J’étais, sur les six heures, à la descente de Ménilmontant, presque vis-à-vis du Galant-Jardinier, quand des personnes qui marchaient devant moi s’étant tout à coup brusquement écartées, je vis fondre sur moi un gros chien danois qui, s’élançant à toutes jambes devant un carrosse n’eut pas même le temps de retenir sa course ou de se détourner quand il m’aperçut. Je jugeai que le seul moyen que j’avais d’éviter d’être jeté par terre était de faire un grand saut, si juste que le chien passât sous moi tandis que je serais en l’air. Cette idée, plus prompte que l’éclair, et que je n’eus ni le temps de raisonner ni d’exécuter, fut la dernière avant mon accident. Je ne sentis ni le coup, ni la chute, ni rien de ce qui s’ensuivit, jusqu’au moment où je revins à moi. Il était presque nuit quand je repris connaissance. Je me trouvai entre les bras de trois ou quatre jeunes gens qui me racontèrent ce qui venait d’arriver. Le chien danois, n’ayant pu retenir son élan, s’était précipité sur mes deux jambes et me choquant de sa masse et de sa vitesse, m’avait fait tomber la tête en avant; la mâchoire supérieure, portant de tout le poids de mon corps, avait frappé sur un pavé très raboteux, et la chute avait été d’autant plus violente qu’étant à la descente, ma tête avait donné plus bas que mes pieds. Le carrosse auquel appartenait le chien suivait immédiatement et m’aurait passé sur le corps si le cocher n’eût à l’instant retenu ses chevaux.» (JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Les Rêveries du promeneur solitaire, Paris, Librairie E. Gennequin Fils, 1869, p. 109).

131 «Le nombre des Carrosse est aujourd’hui si considérable dans cette ville, qu’on a beaucoup de peine à se retirer des embarras qu’ils causent. Autant ils étoient simples & lourds dans leur origine, autant ils sont élégans & lestes actuellement.» (LUC-VINCENT THIÉRY, Almanach du voyageur à Paris, contenant une description sommaire mais exacte de tous les Monumens, chef-d’œuvres des Arts, Embellissemens, utilités, & autre objets de curiosité que renferme cette capitale, Paris, chez

Mihajlovič Karamzin, il cui testo interessa per le interessanti informazioni fornite a proposito dello stato della capitale, al di là di un’effettiva traduzione e circolazione della sua opera in ambito francese, mette in sciena la popolazione parigina ampiamente esercitata all’evitare gli ostacoli, proteggendosi da sporcizia e fango; ma soprattutto, ricorda come il celebre botanico Joseph Pitton de Tournefort, dopo aver esplorato il mondo, concluse i suoi giorni a Parigi, schiacciato da una vettura:

Malheur aux pauvres piétons, principalement quand il pleut! Ou bien vous êtes condamné à pétrir la boue au milieu de la rue ou bien l’eau, qui coule des toits par des dauphins, ne vous laisse pas un fil de sec. Une voiture est indispensable ici, au moins pour nous autre étrangers; les Français savent d’une façon merveilleuse marcher au milieu des saletés sans se salir; ils sautent artistement de pavé en pavé. (…) L’illustre Tournefort, qui avant fait presque le tour du monde, après être revenu à Paris, fut écrasé par une fiacre, parce que durant son voyage il avait désappris l’art de bondir comme un chamois dans les rues, talent indispensable pour tous ceux qui vivent ici.132

Anche laddove la critica non si risolve nel richiamo di veri e propri incidenti, comunque frequenti, il problema dell’inadeguatezza delle strade in rapporto all’alto numero di carrozze costituisce un elemento essenziale della rappresentazione urbana settecentesca, che si interroga sia sulla convenienza della condivisione degli spazi da parte di pedoni e vetture, sia sull’effettiva necessità della così ingombrante presenza di queste ultime. Entrambe le riflessioni alimentano così un più ampio discorso urbano dove il ripensamento degli spazi non ignora né problemi più contingenti relativi alla sicurezza degli abitanti né problemi di ordine morale. Nel primo caso due dimensioni si completano vicendevolmente: da una parte viene evidenziata l’urgenza di una riorganizzazione della strade, attraverso la ridefinizione dei tracciati e la razionalizzazione dei sistemi di eliminazione dei rifiuti133, dall’altra è richiamata

l’attenzione sull’assenza di una separazione netta tra spazi riservati a pedoni e quelli riservati alle carrozze, ovvero sulla grave mancanza dei marciapiedi, la cui presenza potrebbe risolvere molti dei problemi quotidiani. In effetti, sebbene la descrizione di

132 NIKOLAJ MIHAJLOVIČ KARAMZIN, cit., pp. 88-89.

133 Si pensi ad esempio alle riflessioni di Pierre Patte «...la disposition des rues de Paris, de Madrid, de Naples & autres, quoique plus avantageuse par rapport aux maisons & à la propreté, occasionne des accidens journaliers, parce qu’en général leurs rues sont trop étroites, & le chemin des voitures n’étant pas distinct de celui du peuple, il résulte que celui-ci est souvent foulé aux pieds des chevaux, ou en risque d’être écrasé» (PATTE, Mémoires, cit., p. 20). O ancora «Tantôt à cause du peu de largeur

des rues & de leur disposition vicieuse, ce seront des citoyens exposés à être foulés aux pieds des chevaux, ou à être écrasés par les voitures, qui attireront votre attention: enfin lorsqu’il pleut vous appercevrez tout un peuple inondé d’une eau sale & mal-propre, provenant de la lavure des toîts qui, par leur disposition, centuplent l’eau du ciel, ou bien couvert d’un déluge de boue par le piétinement des chevaux ou le roulement des voitures dans les ruisseaux.» (Ivi, p. 6).

Parigi nell’Encyclopédie nomini già l’esistenza di tali elementi urbani134, se pur per il

solo caso del Pont-Royal, negli anni ‘80 del secolo la loro diffusione caratterizza lo sviluppo della città in un’ottica di messa in sicurezza degli spostamenti a piedi così gravemente ostacolati dalle vetture.

Tuttavia, le maggiori critiche si concentrano sulla presenza delle carrozze in quanto tali, giacché il loro numero era ritenuto l’indice di una deviazione morale preoccupante che, oltre a essere la causa dei molti incidenti, pareva ad alcuni il segno di un declino dei costumi che proprio la considerazione dell’ambiente urbano metteva in risalto. Dal momento che la vettura rifletteva il nome, il potere economico e il ruolo sociale del suo proprietario, le loro corse all’interno dello spazio cittadino erano considerate come un momento di celebrazione e affermazione del prestigio della famiglia, di fronte agli occhi della cittadinanza ma, soprattutto, di fronte a quelli di altri esponenti di spicco del contesto parigino135. Il problema delle carrozze settecentesche si inserisce perciò in un

discorso più ampio sul valore del lusso sull’economia e sulla moralità del paese. Pur non potendo soffermarci su tali questioni, basterà qui ricordare l’esistenza del lungo dibattito in cui gli accusatori della corruzione dei costumi determinata dalle azioni volte al perseguimento di una vita lussuosa si scontravano con i sostenitori di una valenza fortemente positiva della messa in circolazione del denaro, ma anche dell’elaborazione di un’etica ‘del vizio’ necessaria al funzionamento dell’intero sistema economico136.

134 Nella voce «Paris» redatta da Jaucourt si trova: «Ce pont est soutenu de quatre piles & de deux culées, qui forment cinq arches entre elles; les deux extrémités du même pont sont en trompe pour en faciliter l'entrée aux carrosses & aux grosses voitures. Il y a des trottoirs des deux côtés pour la commodité des gens de pié: sa longueur est à-peu-près de soixante & douze toises; sa largeur est de huit toises quatre piés, desquelles on a pris neuf piés pour chaque trottoir, sans compter deux autres piés pour l'épaisseur des parapets.» («Paris», in Encyclopédie, t. XI, Neufchastel, chez Samuel Faulche, 1765). In realtà i marciapiedi su modello inglese faranno la loro comparsa nelle strade parigine soltanto nel 1781 con la riorganizzazione del percorso lungo il Pont-Neuf e in rue de

l’Odéon (LE ROY LADURIE, cit., p. 453). Proprio per questo, è probabile che quei trottoirs cui si

riferisce l’Encyclopédie non siano veri e propri marciapiedi, ovvero elementi completamente autonomi del percorso stradale ed espressamente riservati ai pedoni, bensì una sorta di primitiva separazione degli spazi per consentire l’esposizione delle merci commercializzate lungo la strada. (FIERRO, cit., p. 1184). Mercier condanna ancora tale compresenza di pedoni e vetture in medesimi

spazi che, di fatto, sottolinea le differenze economiche tra i ricchi che potevano permettersi il viaggio in carrozza e chi invece era costretto ad andare a piedi: «Aucune commodité pour les gens de pied; point de trottoirs. Le peuple semble un corps séparé des autres ordres de l’État; les riches et les grands qui ont équipage, ont le droit barbare de l’écraser ou e le mutiler dans les rues.» (MERCIER,

cit., vol. I, p. 62) o ancora: «..les piétons qui, semblables à des oiseaux effrayés sous le fusil du chasseur se glissent à travers les roues de tous ce chars prêts à les écraser» (Ivi, p. 916).

135 Ne è esempio più evidente l’affollamento di carrozze che era possibile osservare nei pressi delle

promenades, come registra un viaggiatore nei primi anni ‘80: «L’heure de la promenade de goût

étant arrivée, nous avons suivi le torrent et nos chevaux, plutôt que nous-mêmes, nous ont promenés sur les boulevards couverts de plus de deux mille carrosses qui, par l’ordre qu’on y tient, forment deux rangs.» (ROUAUD, Voyage de Paris en 1782: journal d’un gentilhomme breton, Vannes, Lafolye,

1900, p. 19). Cfr. LAURENT TURCOT, Le promeneur à Paris au XVIIIe siècle, cit.

Al di là di tali implicazioni, pare opportuno rilevare come alla condivisa partecipazione all’infezione tipica delle strade, con i suoi odori e le sue sporcizie, da parte dell’intera cittadinanza, al di là di ogni ordine sociale, non corrisponda una medesima appropriazione degli spazi urbani. Sebbene ancora non si tratti di una gerarchia spaziale, giacché solo alcuni dei nuovi quartieri si caratterizzavano per la forte presenza delle famiglie più agiate, mentre nell’intera città queste risiedevano nelle immediate vicinanze di quelle del popolo, l’osservazione delle strade come luogo di comune convivenza mostra tutt’altro quadro; in effetti, la distinzione sociale è evidente nel momento in cui il pedone si distingue dal proprietario di carrozza e, per quanto non sia possibile una generalizzazione netta tra le due possibilità di mobilità, resta indubbio come l’appropriazione dello spazio venisse percepito anche in termini di possibilità economiche. Del resto, anche i brani finora citati hanno palesato l’esistenza di una certa polemica verso quei ceti più agiati, le cui finanze consentivano il mantenimento di costose vetture, a loro volta pericolose per il ‘povero pedone’, la cui implicita associazione al peuple pare plausibile.

Strade illuminate

L’immaginazione della città come luogo pericoloso alla vita dei suoi frequentatori è così un topos ricorrente, che si articola dietro molteplici profili, giacché il rischio si trova tanto nella penosa condizione delle strade, ‘latrine a cielo aperto’, quanto nella presenza di carrozze sempre più numerose, grosse e veloci; se il pericolo è causato sia dalla composizione stessa della città sia dai comportamenti dei suoi abitanti, entrambe le dimensioni alimentano una rappresentazione dell’ambiente urbano fortemente negativa, messa in evidenza da viaggiatori e commentatori, da intellettuali e architetti. D’altra parte, le timide riforme portate avanti dalla monarchia non risolvono i problemi strutturali, lasciando le strade della capitale in uno stato di inefficienza e pericolosità preoccupanti.

Tra le migliorie che vengono apportate nel tessuto stradale parigino, compare però quella relativa all’illuminazione pubblica la cui rilevanza pone importanti spunti all’interno di un più ampio discorso sulla lenta instaurazione di un controllo sulla

rilievo del peso delle vetture nella caratterizzazione dello spazio urbano, anche al di là di osservazioni prettamente morali, è del resto evidente nella diffusa ironia sulla presunta incapacità dei parigini di far uso delle proprie gambe, come si legge ad esempio nel polemico sguardo del viaggiatore de Rouald: «Je ne vous dis rien des voitures qui courent les rues de Paris. Il suffit de savoir que les hommes et les femmes, excepté les gens du peuple, semblent ici avoir perdu ou avoir toujours ignoré l’usage des jambes et qu’on y fait de la nuit le jour.» (Ivi, p. 15).

popolazione che, al di là del suo effettivo successo, costituisce un nodo fondamentale di certe interpretazioni sul Settecento e sull’Illuminismo avanzate nel secondo dopoguerra. In effetti, l’illuminazione delle strade pare un importante problema già sollevato all’inizio del XII secolo quando ad alcune strutture, come lo Châtelet o il Cimetière des Innocents, era stato imposto l’obbligo di mantenere accesa una candela durante tutta la notte. La storia dell’illuminazione parigina prosegue nei secoli, condizionata dalle contingenze specifiche che pressavano sulla sua messa in pratica, come in occasione di rivolte popolari o, in epoca moderna, durante i disordini provocati dalla Ligue. Tuttavia, l’organizzazione dell’illuminazione notturna resta un’obbligazione dei privati, cui veniva ordinato di mantenere accese le candele in particolari momenti di crisi, o eventi religiosi e celebrativi.

Per una prima illuminazione pubblica, per quanto rudimentale, bisogna attendere il XVII secolo quando vengono accordate le prime lettres patentes che consentivano a determinati porta-lanterne di accompagnare le persone che si spostavano di notte. Nel 1667 veniva poi instaurato un vero e proprio sistema di illuminazione, non più mobile, ma stabile in tutte le strade e in tutte le stagioni137.

Contrastanti opinioni si registrano a difesa o critica dell’organizzazione dell’illuminazione pubblica parigina. Se nel 1781 Mercier condannava l’inefficienza del sistema e ricordava come il ricorso ai porta-lanterne fosse ancora necessario138, solo

qualche anno dopo, nel 1790, il già ricordato Karamzin osservava estasiato lo spettacolo della notte, la cui ombra non calava mai su Parigi, illuminata dalla stelle e da lanterne in tutte le strade:

...lorsqu’il a commencé à faire sombre, je suis sorti sur le Pont-Neuf, et,

137 «...il est d’une extrême conséquence d’establir dans tous les quartiers et dans toutesles rues de Paris des lanternes pour les éclairer (….) il fut ordonné que dans toutes les rues, places et autres endroits