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La città ideale: individuazione e precisazione dell’oggetto urbano

I. La città nell’Europa del Settecento tra realtà e immaginazione

2. Rappresentazione della città ideale

2.3 La città ideale: individuazione e precisazione dell’oggetto urbano

L’osservazione della città ideale nella sua veste prettamente ‘materiale’ non costituisce il centro della descrizione proposta dall’utopia, interessata invece a un tipo di formulazione letteraria maggiormente attenta alla disamina delle possibilità politiche, sociali e morali delle comunità immaginate. Per quanto la comprensione dell’ordinamento ideale sia consentito solo dall’accesso fisico dell’autore-viaggiatore in una città architettonicamente intesa, la scomparsa dell’oggetto urbano dietro brevissime allusioni è certamente il caso più ricorrente.

Nonostante ciò, la visualizzazione di un ambiente urbano passa comunque in maniera indiretta: attraverso l’illustrazione accurata delle istituzioni e, soprattutto, dei costumi degli abitanti, protagonisti della rappresentazione utopica, le forme della città prendono corpo, imprimendosi nell’immaginario del lettore, a sua volta aiutato da raffigurazioni visive di solida tradizione. Da fugaci accenni diretti e dallo scrupoloso racconto di abitudini, tradizioni e comportamenti quotidiani del popolo di Utopia è così possibile reperire i termini ricorrenti della concezione ideale di città, talvolta poi esplicitamente considerata in opere più esaustive68. È questo il caso di due testi in particolare, entrambi

indice di un discorso urbano che, nella seconda metà del Settecento, sembra accelerare la propria trasformazione e acuire le proprie implicazioni sociali. Si tratta de Le voyageur philosophe dans un pais inconnu aux habitants de la Terre di Daniel Jost de Villeneuve (1761)69 e del già ricordato L’An 2440 di Louis-Sébastien Mercier (1770)70.

Scopo di entrambi è la raffigurazione di una società altra i cui valori sono completamente ridefiniti, così da rendere assolutamente lontani dalla realtà le leggi e i costumi della nuova comunità; sebbene l’illustrazione di questi ultimi costituisca il vero centro della rappresentazione, il peso dato alla descrizione prettamente urbanistica costringe all’inevitabile riflessione non soltanto su alternativi modelli di ordinamento politico-sociale, ma anche sulle possibilità di un ambiente cittadino adeguatamente ripensato. Gli spunti offerti dai due autori recuperano un immaginario urbano che l’intera tradizione letteraria dell’utopia aveva stabilito, ma vi aggiungono un’accuratezza descrittiva tale da giustificarsi solo con un cresciuto interesse verso l’oggetto città, che oltrepassa i confini della sola utopia. In effetti, le loro descrizioni sembrano inserirsi logicamente all’interno di quel vasto dibattito sulla condizione delle città contemporanee precedentemente considerato, quasi a volerne costituire risposta immediata. Se la città utopica è di per sé una valida alternativa alle lacune delle aggregazioni urbane reali, la maggiore attenzione dedicata alla sua descrizione da parte di determinati autori settecenteschi può così essere vista come il segno di un accresciuto interesse per la questione e una rinnovata esigenza di modelli ideali cui ispirarsi.

Tuttavia, se Villeneuve e Mercier riescono a dare particolare consistenza

68 DE BONI, Uguali e felici, cit., p. 197. Cfr. anche PIERRE RONZEAUD, «La représentation du peuple dans

quelques utopies françaises du XVIIe siècle», in HINRICH HUDDE – PETER KUON (éd.), De l’utopie à

l’uchronie. Formes, significations, fonctions. Acte du colloque d’Erlangen. 16-18 octobre 1986,

Tübingen, Gunter Narr Verlag, 1988, pp. 39-48.

69 DANIEL JOSTDE VILLENEUVE, Le voyageur philosophe dans un pais inconnu aux habitants de la Terre,

Amsterdam, 1761.

70 LOUIS-SÉBASTIEN MERCIER, L’an deux mille quatre cent quarante. Rêve s’il en fut jamais, Paris, 1786

all’immaginario urbano da loro prospettato, anche dalla timidezza di altre raffigurazioni è possibile pensare l’ambiente di riferimento, che è necessariamente di tipo urbano. Lo spazio dell’utopia è infatti quello della città, la cui composizione, cornice essenziale delle istituzioni ideali, viene modellata attraverso la descrizione delle strutture architettoniche e della popolazione che quotidianamente le vive71; la progettazione

urbana viene costruita a partire non soltanto da un radicale ripensamento degli spazi reali, ma anche dalla codificazione di un patrimonio di simboli e principi basilari che assume particolare importanza all’interno di un discorso sulla città di più ampio respiro e non soltanto limitato alla produzione utopica. Se numerosi sono gli elementi che danno forma al sistema immaginato, il disegno dello spazio urbano ne è allo stesso tempo espressione unitaria e variabile necessaria, poiché in esso si condensano i principi fondamentali dell’intera costruzione, prendendo forma nella fisicità dell’ambiente rappresentato72. Il paradigma utopico trova così una sorta di ‘sintesi’ nella

visualizzazione della città che, pur non manifestandosi sempre in termini di dettagliata descrizione, trapela sistematicamente da ogni caso letterario73. Pare dunque possibile

individuare alcuni fattori essenziali della rappresentazione urbana che ricorrono lungo tutta la tradizione utopica e che poi, nel XVIII secolo, acquisteranno particolare importanza in funzione di una critica alle condizioni urbane largamente approfondita. La ricorrenza di tali elementi, che verrano qui di seguito presi in considerazione, si sviluppa poi in testi dove intenzioni propriamente utopiche si mescolano e confondono con proposte più ampiamente riformistiche a conferma, ancora una volta, dell’intima complementarietà dei due meccanismi intellettuali. Immaginazione utopica e progettualità riformistica si mostrano quindi quali sfaccettature di una medesima tensione alla rappresentazione della realtà che, nel momento stesso in cui riesce a isolare gli aspetti critici della contingenza, ne prospetta una possibile soluzione, così che - sebbene quest’ultima sia presentata come un dato acquisito, al di là di una ponderata riflessione sulle modalità di una sua eventuale attualizzazione - proprio la formulazione di un modello alternativo di spazio cittadino alimenta il discorso sulla città, incidendo sia sulla comprensione della sua attualità, sia sulla rappresentazione di ciò su cui è

71 Cfr. KRISHAN KUMAR, Utopianism, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1991, pp. 12 e sgg.

Studio anticipato dall’importante Id., Utopia and Anti-Utopia in Modern Times, Oxford, Basil Blackwell, 1987.

72 Cfr. ROGER MUCCHIELLI, Le mythe de la cité idéale, Paris, Puf, 1960, pp. 183 e sgg.

73 Nel corso del XVIII secolo, la rinuncia all’esposizione particolareggiata delle forme dell’ambiente urbano si giustifica con la diffusione stessa del paradigma utopico, il cui successo giustifica il richiamo a un immaginario ormai costituito lasciando spazio all’approfondimento di altri temi e, spesso, del dato puramente narrativo.

possibile intervenire.

Eppure, la linea tra l’utopia e la proposta riformistica non risulta sempre di facile percezione, fondendosi anzi in una rappresentazione composita. Se in alcuni testi l’istanza ‘riformistica’ sembra emergere con maggiore forza, ciò sembra dovuto a un discorso più ampio sulle intenzioni specifiche delle opere in questione, chiaramente determinate da un attivismo intellettuale orientato alla trasformazione diretta del reale. Di immediato riconoscimento è ad esempio il testo di Mercier, la cui costruzione utopica deve essere letta in stretta relazione al già ricordato affresco sulla realtà parigina di fine secolo, il Tableau de Paris; entrambi i testi partecipano infatti a un medesimo progetto di riforma che, sviluppato innanzi tutto come programma di rinnovamento morale, confluisce in una riorganizzazione degli spazi fisici all’interno di un ripensamento radicale dell’ambiente urbano. Certamente più complessa è invece l’individuazione della linea di confine tra ‘utopia e riforma’ in altri testi, primo fra tutti in quello di Villeneuve, dove la pur nutrita descrizione cittadina è inserita in un contesto narrativo di ben più ampio respiro, utopico ma dalla forte propensione al dato avventuroso-romanzesco. Se la differenziazione della rappresentazione propriamente utopica da quella più tendenzialmente riformistica (ammesso che una linea di confine così netta possa essere indiscutibilmente stabilita) risulta spesso difficile all’interno di uno stesso testo, dove le due dimensioni si mescolano e si completano; tuttavia, in alcuni casi sembra maggiormente distinguibile la presenza di un programma riformistico, non già strumentale alla rappresentazione stessa della realtà attraverso l’immaginazione, ma direttamente orientato alla modifica della contingenza; e, come vedremo, proprio la presenza di tali indizi ‘riformistici’ acquisterà un peso rilevante nella considerazione di quei testi utopici all’interno di un discorso sulla città la cui articolazione non è fine a se stessa, ma finalizzata a una trasformazione utile e positiva. Città, territorio e popolazione

La rappresentazione della città passa innanzi tutto attraverso l’individuazione stessa dell’oggetto in questione, riconosciuto in rapporto al suo esterno. Proprio per questo, prima di osservare la conformazione interna, le descrizioni utopiche si soffermano sulla considerazione dell’ambiente circostante, di cui la comunità urbana costituisce il punto di riferimento. La città utopica si erge così all’interno di un contesto geografico che funge da cornice al collocamento dello spazio urbano in posizione territorialmente privilegiata, come quella della capitale dell’isola di More («Amauroto dunque è posta

sul dolce declivio...»74) o la celebre Città del Sole di Tommaso Campanella, anch’essa

posta sulle pendici di una collina75. La considerazione dell’ambiente che circonda la

città è tanto più rilevante nell’economia della narrazione quanto maggiore è lo scivolamento del paradigma utopico verso il romanzo avventuroso, che consente all’autore una maggiore libertà nella descrizione di paesi interi e territori vastissimi, funzionali allo stesso svolgersi del racconto. Ma al di là delle esigenze prettamente letterarie che giustificano molte illustrazioni del contesto in cui è inserita la città ideale, resta l’importanza di una valutazione, anche minima, delle campagne che circondano l’agglomerazione urbana e che, di fatto, provvedono al suo mantenimento, come ad esempio nel caso della colonia di nuova fondazione, destinata ad assumere i caratteri propri della città ideale, proposta da Jean Terrasson (1732)76:

Il regardoit comme le principal avantage d’un lieu d’établissement d’avoir un bon port. Celui-ci se trouva excellent. L’eau de ces trois bras de rivière est salée, et la colonie phénicienne en tira dans la suite tout le sel dont elle eut besoin; mais un peu au dessus vers l’équateur est une rivière d’eau douce. (…) La plaine qui n’étoit interrompue que par quelques côteaux verts paroissoit extrêmement fertile.

74 MORE, L’utopia o la migliore forma di repubblica, cit., p. 57.

75 «Sorge nell’ampia campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor delle radici del monte, il quale è tanto, che la città fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette miglia di circolo; ma, per la levatura, più abitazioni ha, che si fosse in piano.» (TOMMASO CAMPANELLA, La Città del Sole, a cura di Luigi Firpo, Roma-Bari, Laterza,

1997, p. 4).

76 L’opera di Terrasson, ambientata in un Egitto immaginario, costituisce un interessante punto di riferimento a chi a quel mondo decise di rivolgersi negli ultimi anni del XVIII secolo, come nel celebre caso di Mozart nella composizione dell’opera Die Zauberflöte (1791). Sebbene il confronto con la cultura egiziana restasse alquanto superficiale, giacché non supportato da una reale conoscenza di quelle epoche lontane, è noto come esse abbiano interessato la cultura settecentesca nella loro dimensione prettamente mitica. Ed è, in particolare, la massoneria a instaurare con esse un ‘dialogo’ complesso, ponendole all’origine di una conoscenza di cui si faceva segreta portatrice. Se l’approfondimento del rapporto che lega Terrasson, e soprattutto la sua descrizione di Séthos, alla massoneria costringerebbe qui a una notevole deviazione investigativa, altrettanto farebbe la comprensione della questione massonica all’interno di un discorso sulla città e sulle possibilità della rappresentazione della sua composizione fisica. In effetti il problema della massoneria come ‘gruppo’ sociable tenuto insieme da una tensione al miglioramento della condizione umana attraverso la conoscenza e l’esplicita connessione instaurata tra la Logge e l’arte architettonica apre interessanti prospettive di ricerca che potrebbero indagare sull’esistenza di una specifica costruzione urbana da parte dei Francs-Maçons. Rilanciando il tema per eventuali ricerche ‘collaterali’, basterà tuttavia anticipare come il confronto con la questione massonica si riproporrà in questa seda in occasione dell’analisi del pensiero di Étienne-Louis Boullée che, pur restando ignota la sua appartenenza o meno a una Loggia, nel progettare alcuni edifici ‘modello’ utilizzerà elementi caratteristici del linguaggio simbolico massonico, interpretandoli all’interno di una composizione architettonica di ampio respiro. Di fronte a una sterminata bibliografia sulla massoneria, si indicano qui almeno alcuni importanti contributi di carattere generale: PIERRE YVES BEAUREPAIRE, L’Europe des Francs-Maçons. XVIIIe-XXIe siècles, Paris, Belin, 2002; Gian MARIO CAZZANIGA, «Nascita della

massoneria nell’Europa moderna», in Annali. Storia d’Italia, Torino, Einaudi, vol. 21, La

Massoneria, 2006; GIUSEPPE GIARRIZZO, Massoneria e illuminismo nell’Europa del Settecento,

Venezia, Marsilio, 1994; MARGARET C. JACOB, Living the Enlightenment, Freemasonry and Politics in Eighteenth-Century Europe, New York, Oxford University Press, 1991.

Elle était couverte d’arbres fruitiers...77

Superato il primo contatto con il territorio circostante, lo spettatore è messo di fronte a questioni demografiche che contribuiscono al chiaro reperimento dell’oggetto urbano, riconoscibile nella sua densità aggregativa in netto contrasto con quella del territorio circostante. Alcune utopie mostrano così un certo interesse verso la precisazione dei meccanismi di ‘popolamento’ che danno origine e forma alle città e che, talvolta, non sono affatto lasciati al caso; così ad esempio già nel testo di More si manifestava l’esigenza di precise regolamentazioni demografiche, a garanzia dell’uniformità tra le diverse aggregazioni urbane:

Ma perché una città non diventi spopolata o cresca eccessivamente, si provvede acciocché nessuna famiglia (…) abbia meno di 10 o più di 16 giovani; ché dei ragazzi non si fissa limite. Ed è facile serbar misura, col trasferire presso famiglie che ne manchino i giovani in soprannumero di famiglie troppo fornite. E se talora nel suo totale sovrabbonda di giovani, vanno questi a riempire i vuoti di altre loro città.78

Le preoccupazioni di More si manifestano qui secondo una duplice prospettiva: da una parte si rileva infatti l’imposizione di un limite al numero di abitanti che può risiedere in ciascuna città e dall’altra, maggiormente sottolineata, si afferma la necessità di una ‘politica demografica’ tesa all’omogenizzazione delle famiglie-unità produttive, mediante lo spostamento di individui dai gruppi più numerosi a quelli meno nutriti. Pare opportuno ricordare come, al momento della composizione dell’opera di More, lo sviluppo demografico moderno non avesse ancora mostrato pienamente le sue capacità espansive79, così da rendere lo spettro della paralisi delle attività produttive e delle

conseguenze economico-sociali innescate da fenomeni di spopolamento un ricordo ancora vivo nella memoria collettiva. A tali preoccupazioni si aggiunge la tradizionale concezione che individua nel volume della popolazione la ricchezza del paese, in quanto base della forza produttiva e militare, giacché «C’est le nombre du peuple, & l’abondance des aliments, qui forme la vraie force, & la vraie richesse d’un royaume»80.

Con il perfezionarsi degli strumenti di analisi, unito all’accrescimento dei poteri dello stato e, quindi, alla necessità di controllo sulle popolazioni, il problema di una

77 JEAN TERRASSON, Séthos, histoire ou vie tirée des monuments anecdotes de l’ancienne Égypte, Paris,

chez D’Hautel, 1813, vol. IV, p. 10 (I° ed. Paris, 1732). 78 MORE, cit., pp. 59-61.

79 Cfr. bibliografia indicata in nota 27 cap. «La città settecentesca».

80 FRANÇOIS DE SALIGNAC DE LA MOTHE-FÉNELON, Les Aventures de Télémaque, fils d’Ulysse par Feu Messire De Salignac etc. Nouvelle édition Enrichie de Figures en taille-douce et de Notes Historique, Politiques et Morales, Venise, chez Guillaume Zerletti, t. II, 1768, p. 183 (I° ed. 1699).

considerazione accurata della situazione demografica assume un peso sempre più consistente fino a diventare elemento importante del discorso illuminista81. A questo

proposito è necessario ricordare come quello spirito scientifico che nella presente ricostruzione abbiamo direttamente visto in azione nelle proposte di risoluzione di specifici problemi urbani sia un tratto caratteristico della cultura settecentesca, che si riflette in ogni campo della conoscenza e quindi anche nella meditazione sugli ordinamenti politici e sulle possibilità di aggregazione sociale.

Com’è noto, il più sistematico ripensamento delle scienze sociali in un’ottica ‘matematizzata’ è rintracciabile nell’articolo Tableau général de la science qui a pour objet l’application du calcul aux sciences politiques et morales, pubblicato nel 1793 da Condorcet82. Come sottolinea Vincenzo Ferrone, il saggio si presentava come manifesto

di una nuova scienza tesa non soltanto alla razionalizzazione delle conoscenze intorno al rapporto tra uomo e società, ma più in generale alla costruzione di un analisi complessa basata sull’osservazione delle «opérations de l’esprit humain» in termini matematici83.

Sebbene la comprensione del lavoro di Condorcet necessiterebbe di una sua inclusione all’interno di un più ampio momento culturale84, basterà qui ricordare come esso

costituisse una lucida sintesi di una vera e propria mathématique sociale, che mirava

81 Si pensi ad esempio a Mercier, che nelle prime pagine del suo Tableau de Paris, non rinuncia a formulare alcune precisazioni sul presunto numero degli abitanti della capitale, chiamando in causa la scientifica autorità di Buffon: «M. de Buffon (…) soutient que la force de cette ville pour le maintien de sa population a augmenté depuis cents ans d’un quart, et que sa fécondité est plus suffisante pour sa population. Chaque mariage, dit-il, produit quatre enfants. Il se fait chaque année environ quatre à cinq mille mariages, et le nombre des baptêmes mont à dix-huit, dix-neuf, et vingt mille. Ainsi ceux qui entrent à la vie, semblent égaler en nombre ceux qui en sortent; proportion qui a quelque chose d’admirable, et qui démontre à l’œil attentif un plan soutenu dans la circulation de la vie et de la mort. (…) Il meurt à Paris, année commune, vingt mille personnes environs; ce qui, selon la même observation, paraît donner une population de sept cent mille âme, en comparant trente-cinq vivants pour un mort. Toutes les grands hivers augmentent cette mortalité. Elle s’est trouvée en 1709, de 30000, en 1740, de 24000. D’après les mêmes observations, il naît à Paris plus de garçons que de filles, et il y meurt plus d’hommes que de femmes, non seulement dans la proportion de naissances des mâles, mais encore considérablement au-delà de ce rapport.» (MERCIER, Tableau de Paris, cit.,

vol. 1, pp. 65-66).

82 JEAN-NICOLAS DE CARITAT MARQUIS DE CONDORCET, «Tableau général de la science qui a pour objet

l’application du calcul aux sciences politiques et morales», Journal d’instruction sociale, 29 juin 1793, pp. 105-128; 6 juillet 1793, pp. 166-84.

83 VINCENZO FERRONE, «Il dibattito su probabilità e scienze sociali nel secolo XVIII», in Id., Una scienza per l’uomo. Illuminismo e Rivoluzione scientifica nell’Europa des Settecento, Torino, Utet, 2007,

pp.65-95.

84 In particolare, il lavoro di Condorcet meriterebbe un’analisi più approfondita nel senso di un’indagine accurata dei legami culturali che si instaurano tra i meccanismi della ricerca propriamente matematica (come, ad esempio, nel caso del calcolo delle probabilità) e la riflessione su tempi sociali più ampi, che vedono i philosophes ricorrere il perfezionamento degli strumenti più adeguati per ricondurre anche i fenomeni umani all’interno di una comprensione ‘esatta’. Cfr. FERRONE, cit.; GEORGE GUSDORF, Les sciences humaines et la pensée occidentale, Paris, Payot, 1966;

SERGIO MORAVIA, La scienza della società in Francia alla fine del secolo XVIII, Firenze, Olschki,

1967; Id., Il pensiero degli «idéologues». Scienza e filosofia in Francia (1780-1815), Firenze, La Nuova Italia, 1974.

alla razionalizzazione di ogni ricerca nell’ambito delle scienze sociali, e che si poneva come lucida conclusione di una tendenza di lungo periodo, tesa a una conoscenza del mondo in termini razionali. Se il progresso delle scienze ‘esatte’ aveva radicato tale razionalizzazione nella riduzione matematica e geometrica degli specifici fenomeni, nel corso del Settecento il raffinamento di questi ultimi porta infatti a un ripensamento di ogni campo del sapere tale da mettere in discussione anche l’interpretazione dei ‘fatti umani’, di cui si tenta un riconduzione logica entro modelli matematici astratti.

Tuttavia, per quanto riguarda l’indagine sulle popolazioni, il XVIII secolo mostra ancora la propria immaturità per una osservazione propriamente scientifica delle modalità di aggregazione umana e di distribuzione sul territorio, e del resto, la formazione di una vera e propria scienza demografica è del tutto inattuale, dovendosi ancora perfezionare gli strumenti statistici necessari ed essendo ancora inefficiente il sistema di raccolta di dati da parte delle amministrazioni. Queste ultime avevano, tuttavia, già da tempo provveduto a una sorta di ‘censimenti’ che, pur nella loro