• Non ci sono risultati.

LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA

Nei primi anni Duemila al quadro dei diritti fondamentali, o meglio della salvaguardia dei diritti fondamentali, si aggiunge un ulteriore documento ad affiancare la Convenzione del Consiglio d’Europa, questa volta redatto dall’Unione europea ed entrato in vigore insieme al Trattato di Lisbona il 1° dicembre 2010.

Il percorso che ha portato a questo risultato inizia qualche anno prima quando durante il Consiglio europeo a Colonia del 4 giugno 1999 fu affermato che:

“La protezione dei diritti fondamentali è un principio fondante dell’Unione e un prerequisito fondamentale per la sua legittimità… Sembra essere necessario, allo stadio attuale dello sviluppo dell’Unione, stabilire una Carta dei diritti fondamentali per rendere la loro importanza e rilevanza

più visibile ai cittadini dell’Unione.134

In seguito a questo Consiglio fu quindi istituita una Convenzione con il compito specifico di formare una tale Carta. Il risultato fu ovviamente un compromesso tra diverse anime e diverse visioni su un argomento delicato come quello dei diritti umani e della loro salvaguardia.

Una volta che la Carta fu creata, tuttavia, non fu incorporata nel Trattato di Nizza del 2000 ma fu solamente solennemente proclamata dalle autorità europee.

Con l’apertura del procedimento di formazione di una vera e propria costituzione europea iniziato nel 2003, fu prevista l’incorporazione nel testo della Carta dei Diritti Fondamentali (avrebbe costituito la parte II delle tre parti in cui era divisa). Il progetto della Costituzione europea si arenò nel 2007 quando i popoli francese e olandese la bocciarono ai referendum indetti dai rispettivi governi, ma il processo verso il riconoscimento di un valore legale vincolante della Carta non si arrestò qui: nel successivo Trattato di Lisbona, pur non essendo inserite nel testo le previsioni della Carta dei diritti, come avveniva con la Costituzione europea, fu previsto l’articolo 6 del Trattato, il quale stabilisce che la Carta ha lo stesso valore legale dei Trattati.

Vari paesi, tra cui il Regno Unito, insistettero perché fosse aggiunto un quinto comma all’articolo 52 del Trattato di Lisbona, come condizione per dare al documento valore legale; questo comma prevede che quegli articoli che contengono principi possano essere attuati solamente in quei casi in cui gli stati e le autorità europee stiano attuando una qualche norma del diritto comunitario. Oggi la norma è letta come una forma di limitazione alla possibilità di agire contro le violazioni di questi principi. L’articolo 52, comma quinto, deve essere letto insieme al primo comma dell’articolo 51 in cui abbiamo la distinzione tra diritti, che devono essere rispettati, e i principi, che invece devono essere osservati da parte degli stati e delle autorità europee nelle situazioni in cui questi attuano il diritto comunitario, e solo in questo caso possono essere portati di fronte alle Corti per le loro violazioni. Il governo del Regno Unito, attraverso Lord Goldsmith, suo rappresentante presso la Convenzione europea che ha fatto seguito all’incontro di Laeken, ha cercato di diffondere una definizione ancora più generale dei principi, indicandoli come delle semplici aspirazioni, sottolineando inoltre come la maggior parte delle norme appartenenti al titolo della Solidarietà rientrino all’interno delle aspirazioni.

A livello pratico ci sono casi in cui la distinzione tra diritto e principio è sufficientemente semplice, altri in cui invece è più complicato distinguere tra le due categorie135.

La Carta ha lo scopo esplicito di difendere i diritti fondamentali, in particolar modo l’ultima frase del Preambolo della Carta afferma che l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi che sono enunciati nella stessa, i quali provengono dai diritti derivanti dalle tradizioni degli stati membri, dai trattati comunitari, dalla Convenzione europea dei Diritti Umani, nonché dalla giurisprudenza sia della Corte di Giustizia sia della Corte dei Diritti dell’Uomo.

La Carta è divisa in sette parti I. Dignità, II. Libertà, III. Uguaglianza, IV. Solidarietà, V. Cittadinanza, VI. Giustizia,

l’ultima parte, intitolata Disposizioni generali, si occupa a livello pratico della tutela dei diritti elencati.

La validità della Carta dei diritti fondamentali, per quanto riguarda i singoli stati, non ha però valore generale, ma ha efficacia solamente quando gli stati devono attuare una qualche norma dell’Unione europea, come afferma l’articolo 51 della Carta stessa. Tuttavia proprio la l’inciso “attuare il diritto comunitario” ha un significato ambiguo che ha dato vita a diverse interpretazioni, ma quella che oggi è seguita è quella espressa dalla Corte di giustizia nella sentenza sul caso Fransson, in cui è stato precisato che la Carta deve essere applicata tutte le volte che la legislazione di uno stato rientri nello scopo del diritto dell’Unione europea; in parole più semplici quando uno stato si ritrova ad agire su uno dei temi che rientrano nella competenza comunitaria.

Importante è vedere come questo documento si intreccia e interagisce con l’altra carta dei diritti europea, che, come abbiamo visto, è espressamente richiamata nel Preambolo dell’elenco dei diritti dell’Unione Europea, ovvero la Convenzione europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali; in particolar modo alcuni articoli della Carta dell’UE sono copiati dalla Convenzione europea, come l’articolo 4, che proibisce la tortura e i trattamenti e le punizioni disumane o degradanti, il quale riprende l’articolo 3 della Convenzione, mentre altri articoli

sebbene non riprendano le stesse parole della Convenzione sono identici nello spirito e nel diritto da tutelare; per questo motivo nell’interpretare la Carta spesso viene fatto riferimento alla Convenzione e viene letta in maniera coerente con quest’ultima, come è specificato dall’articolo 52, terzo

comma, contenuto nell’ultima parte della Carta, che impone una identica interpretazione dei diritti e della loro tutela quando vi è una corrispondenza dei diritti tra le due carte. Non possiamo però non tenere conto che lo stesso articolo della Carta sottolinea come, a livello di Unione europea, è possibile una maggior tutela rispetto a quella che viene concessa alla Corte di Strasburgo136.

A livello dottrinale l’articolo 52, terzo comma, ha creato un dibattito per quanto riguarda l’utilizzo della giurisprudenza della Corte dei Diritti di Strasburgo da parte della Corte di giustizia

dell’Unione europea quando si trova a dover giudicare la violazione di un diritto tutelato dalla Carta. In origine questo articolo faceva un esplicito riferimento ad un obbligo della Corte dell’Unione europea di guardare alla giurisprudenza di Strasburgo, ma nella versione approvata dall’articolo 52 è stato rimosso qualunque riferimento a tale possibilità, sebbene molti abbiano letto nel semplice riferimento alla Convenzione europea l’estensione della sua vincolatività anche alla

135 Kieron Beal e Tom Hickman, Beano No More: the EU Charter of Rights After Lisbon, in Judicial Review, 2011, pp. 119-120

136 David Anderson e Cian C. Murphy, The Charter of Fundamental Rights, in Andrea Biondi (a cura di), EU Law

giurisprudenza nata intorno ad essa. Ma questa posizione non era condivisa da tutti: un politico lussemburghese, Marc Fischbach, sostenne apertamente la tesi secondo cui l’assenza di riferimenti alla giurisprudenza di Strasburgo comportava il rischio che venisse meno quel livello di tutela minima, che i redattori della Carta avevano pensato dall’utilizzo combinato delle due Carte europee, in riferimento a quei diritti riconosciuti dal sistema del Consiglio d’Europa, non perché inseriti nella Convenzione ma perché formulati direttamente dalla Corte dei Diritti Umani, e inseriti dall’Unione europea nella Carta; per questo motivo il Preambolo parla anche della giurisprudenza di Strasburgo nell’elenco delle fonti dei diritti che essa tutela. Tuttavia, secondo molti, la soluzione adottata dalla Convenzione incaricata di redigere il testo non appare la più adatta per eliminare il problema sopra riscontrato, ad esempio manca qualunque riferimento all’obbligatorietà del rispetto delle sentenze della Corte dei Diritti dell’Uomo, ma si fa riferimento esclusivamente all’essere fonte della Carta; inoltre, il Preambolo lasciava aperto il problema delle eventuali divergenze che possono sorgere tra l’approccio della Corte di Strasburgo e quella di Lussemburgo. Nonostante l’assenza di riferimenti rispetto al valore che le sentenze sulla Convenzione europea hanno nei casi portati di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea, quest’ultima ha sempre guardato a queste sentenze con molta attenzione accordandogli un grande rilevanza nelle proprie decisioni, sebbene non fosse obbligata a tenere un tale atteggiamento137.

Guardando nello specifico all’applicazione del documento dell’Unione europea nel Regno Unito dobbiamo tenere conto del Protocollo numero 30 annesso al Trattato di Lisbona, ma, per avere ben chiare le posizioni dei politici britannici, possiamo anche ricordare le parole che nel 2001 espresse l’allora ministro inglese per l’Europa, Keith Vaz, secondo cui nessuno avrebbe potuto iniziare un’azione legale sulla base di questo documento, che avrebbe avuto piuttosto un valore persuasivo. Il Protocollo, che non riguarda solo il Regno Unito ma anche la Polonia, è composto di soli due articoli: nel primo articolo, al primo comma, si riafferma il concetto già espresso nell’articolo 51 della Carta, che questo atto non introduce nuove competenze alla Corte dell’Unione o alle Corti degli stati interessati, mentre al secondo comma precisa che i diritti indicati nel Titolo IV della Carta, quello dedicato alla Solidarietà, ovvero perlopiù diritti di tipo socio-economico, non possono essere azionabili di fronte alle corti nazionali, tranne che per quei diritti di questa categoria che siano espressamente contenuti e tutelati da una legge nazionale (precisando però che questo comma non impedisce l’entrata in vigore negli stati interessati dal Protocollo di quelle norme rilevanti dell’Unione europea che rientrino in questo ambito). Il secondo articolo invece afferma che se un articolo della Carta faccia riferimento a pratiche o leggi nazionali la stessa si applicherà solo nel caso in cui le leggi o le pratiche dei paesi interessati permettano la sua applicazione.

L’ambito di applicazione di questo Protocollo è stato oggetto di dibattito; soprattutto non sembrava essere chiaro se nel Regno Unito fosse applicabile il contenuto della Carta dei Diritti Fondamentali. A tale riguardo dobbiamo prendere in esame il caso NS, deciso dalla Corte di Giustizia nel

dicembre del 2011138: il ricorrente del processo era un richiedente asilo, entrato nell’Unione Europea

attraverso la Grecia per poi essere passato nel Regno Unito; il governo inglese cercò quindi di rimandarlo in Grecia sulla base del Convenzione di Dublino, secondo cui la richiesta d’asilo presentata da un cittadino extracomunitario deve essere valutata nel paese di entrata, ma il

ricorrente contestava la validità dell’atto sulla base del suo contrasto con la Carta dei Diritti, nello specifico con l’articolo 4, che proibisce la tortura e pene disumane e degradanti. Inizialmente il tribunale inglese rigettò la richiesta, e in particolar modo il giudice Cranston sostenne, nel paragrafo 155 della sentenza139, che i diritti della Carta dell’Unione europea non possono essere fatti valere di

fronte alle corti interne del Regno Unito, precisando che possono avere eventualmente un’influenza indiretta. Questa posizione fu però ribaltata in appello dallo stesso Segretario di Stato, ovvero il

137 Stephen Brittain, The Relationship Between the EU Charter of Fundamental Rights and the European Convention

on Human Rights: an Originalist Analysis, in European Constitutional Law Review, 2015, pp. 500-504

138 Corte di giustizia, 21 dicembre 2011, causa C-411/10, N.S. v Secretary of State for the Home Department, 139 R (S) v Secretary of State for the Home Department [2010], EWHC 705, Admin.

convenuto, il quale sostenne che il governo britannico accettava, in generale, la valenza interna dei diritti della Carta, pur mantenendo la posizione nel caso specifico140. La Corte d’appello inglese,

comunque, inviò la questione alla Corte di Giustizia dell’UE, ponendo la domanda se la Carta dovesse essere considerata vincolante per il Regno Unito o meno; la Corte di Giustizia rispose che l’articolo 1, primo comma, non fa alcun riferimento sull’applicabilità della Carta nei paesi

interessati, come anche il Preambolo al Protocollo conferma, quindi il Regno Unito non può essere considerato esentato dall’accettare procedimenti che si basino sulla violazione di diritti tutelati dalla stessa. La Corte dell’Unione europea ha, quindi, affermato esplicitamente che il Protocollo 30 del Trattato di Lisbona non possa essere in alcuna maniera considerato un “opt-out” per il Regno Unito; in altre parole non è un mezzo che deroghi l’utilizzo della Carta dei Diritti Fondamentali all’interno dei confini britannici141.

Un aspetto che è stato affrontato dalle Corti inglesi più volte e che ha dei risvolti pratici importanti sul modo in cui la Carta esplica la propria efficacia è quello della possibilità di applicare i diritti in essa contenuti direttamente di fronte i tribunali nazionali ed esclusivamente con soggetti privati come parti. Prima di passare alle posizioni dei tribunali britannici dobbiamo soffermarci sul modo in cui la Corte di giustizia dell’Unione europea si sia pronunciata sulla questione; a tal fine

dobbiamo prendere in considerazione una sentenza del 2014 sul caso Association de mediation sociale (AMS)142 in cui un sindacalista francese ha fatto causa all’AMS per violazione dell’articolo

27 della Carta; la Corte di giustizia ha stabilito che in questa controversia, che riguardava

esclusivamente dei privati, non poteva essere fatto valere il contenuto dell’articolo 27 della Carta. Il motivo per cui una tale sentenza è importante consiste nel fatto che, per la prima volta, la massima Corte dell’Unione europea è stata chiamata per rispondere ad un aspetto che non era chiarissimo del documento europeo, e la sua risposta ha permesso di comprendere come non tutte le norme della Carta possano essere utilizzate in ogni contesto. I giudici europei hanno individuato quegli elementi che ci permettono di distinguere quali norme possono essere direttamente azionabili di fronte alle Corti, da quelle che non lo permettono: deve essere valutata l’efficacia diretta di una norma, la sua azionabilità orizzontale e, infine, se la norma contenga un diritto o un principio. Sulla stessa questione si sono espresse più volte anche le corti del Regno Unito con alterne conclusioni: con la sentenza del 2013 R (Chester) v Secretary of State for Justice143 un tribunale inglese si è occupato della compatibilità con il diritto comunitario del divieto di voto stabilito per i detenuti. Il divieto era considerato in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, che affermava l’illegittimità di una limitazione generalizzata del diritto di voto, concedendo invece la possibilità di limitazioni mirate. La Supreme Court sostenne che la richiesta presentata nella domanda introduttiva non potesse essere accettata poiché il diritto comunitario non concedeva un diritto di voto individuale. Interessante di questa sentenza è l’opinione di Lord Mance in relazione alla possibilità che le corti nazionali potessero disapplicare la normativa interna: nonostante nel caso specifico la Corte non applicò la seguente concezione, egli sostenne nel paragrafo 51 della sentenza che un giudice, nell’applicare la legge nazionale, debba fare tutto ciò che è in suo potere per proteggere gli individui in maniera consona a quanto stabilito dall’Unione Europea, nei limiti della sua giurisdizione; perciò la disapplicazione o meno di una norma si basa sulla permanenza del giudice all’interno dei limiti della propria giurisdizione o meno, non negando a priori tale strumento. Ad una diversa soluzione giunsero i giudici con un procedimento successivo, il caso Benkharbouche: in questo caso la ricorrente era una lavoratrice presso l’ambasciata del

140 R (NS) v Secretary of State for the Home Department [2010], EWCA, Civ. 990

141 David Anderson e Cian C. Murphy, The Charter of Fundamental Rights, in Andrea Biondi (a cura di), EU Law

After Lisbon, Oxford, Oxford University Press, 2012, pp. 170-171; Michael Rhimes, Charting the Charter: a UK Guide to the Application of the EU Charter, in Judicial Review, 2017, pp. 304-305; Steve Peers, The “Opt-Out” that Fell to Earth: the British and Polish Protocol Concerning the EU Charter of Fundamental Rights, in Human Rights Law Review, 2012, pp. 382-384

142 Corte di giustizia, Caso C-176/12, Association de mediation sociale v Union locale des syndicats CGT 143 R (Chester) v Secretary of State for Justice [2015] UKSC 63

Sudan che portava i suoi datori di lavoro di fronte al giudice, poiché sosteneva che stessero violando le Working Time Regulations, che a sua volta davano attuazione ad una direttiva

dell’Unione Europea, violando l’articolo 47 della Carta; inizialmente il procedimento fu bloccato in quanto l’ambasciata fu considerata immune dalla normativa grazie allo State Immunity Act 1978, ma la Court of Appeal non accettò questa conclusione, anzi andò oltre affermando esplicitamente che la Carta dei Diritti fondamentali avesse efficacia orizzontale tra due soggetti privati e, perciò, sulla base del diritto ad un effettivo rimedio disapplicò le norme dello State immunity Act, che impedivano alla ricorrente di ottenerlo144. Nello stesso periodo la Court of Appeal giunse alla

medesima conclusione anche per un’altra controversia, Vidal-Hall and Others v Google Inc145 che si occupava della protezione dei dati degli utenti online. Queste due sentenze hanno aperto alla possibilità per i giudici, che applichino articoli della Carta dei Diritti fondamentali, di decidere la disapplicazione di norme della legislazione interna che non permettono l’aderenza alle suddette norme, aprendo nuovamente un problema che nella storia dei rapporti tra potere giudiziario e legislativo nel Regno Unito è stato ampiamente discusso, ovvero fin dove si estendono i poteri delle corti britanniche nell’agire sulle fonti primarie. La Court of Appeal nei casi Benkharbouche e Vidal sembrerebbe aver dato una risposta, affermando che è permessa una pura e semplice

disapplicazione, mentre in quelle situazioni in cui la disapplicazione di una norma da sola non porta a nessuna utilità, ma sarebbe necessario un ulteriore intervento “sostitutivo”, non può procedere con tale tecnica, poiché andrebbe oltre i poteri che il sistema costituzionale britannico ha concesso al potere giudiziario: quindi il limite che deve sempre essere tenuto presente è quello della necessaria sostituzione di ciò che viene disapplicato o meno146.

La situazione, tuttavia, si trova in una fase transitoria. Il 23 giugno 2016 si è tenuto nel Regno Unito un evento che non aveva precedenti nella storia dell’Europa unita: un referendum il cui quesito chiedeva ai cittadini britannici se volessero rimanere o meno nell’Unione Europea, il cui risultato ha visto prevalere il partito favorevole all’abbandono dall’Europa unita. Il risultato fu inaspettato per l’intera Europa; anche il governo conservatore di Cameron, che aveva indetto il referendum e aveva condotto una campagna referendaria a sostegno della permanenza nell’Unione, non aveva previsto un tale risultato. Per questo motivo in seguito all’ufficializzazione dei risultati il Primo Ministro si dimise, e David Cameron fu sostituito dal suo ministro degli interni, Theresa May. Iniziò quindi il lungo percorso che dovrà portare lo stato britannico fuori dall’Unione Europea, iniziato

ufficialmente il 29 marzo 2017, con la presentazione alle autorità europee della notifica prevista dall’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea, dedicato all’eventualità dell’uscita di uno stato membro, e che si sarebbe dovuto concludere il 29 marzo 2019 quando il Regno Unito avrebbe dovuto lasciare ufficialmente l’Unione Europea. Con la sua uscita il Regno Unito sarà impegnato con il problema della legislazione europea che, in maniera diretta (tramite i regolamenti) e indiretta (grazie alle direttive tradotte in legge nazionale), ha influenzato l’operato di tutte le autorità

pubbliche britanniche dal 1972 fino al 2019. Come qualunque altro ambito della legislazione, l’ambito dei diritti umani non è esente da possibili modifiche derivanti in particolar modo da come verrà trattata, dal governo inglese, la Carta dei Diritti fondamentali.

Bisogna precisare che qualunque sia la scelta di trattamento dei diritti derivanti dall’Unione europea, non porterà all’abbandono da parte del Regno Unito della salvaguardia dei diritti

fondamentali (nel luglio 2018 la Premier Theresa May ha in tal senso rassicurato l’Unione Europea sul fatto che il Regno Unito non abbandonerà la Convenzione europea dei Diritti Fondamentali), ma