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LA RIVOLUZIONE FRANCESE E IL XIX SECOLO

Un evento che alla fine del diciottesimo secolo ha toccato ed influenzato l’Europa intera, compresa la Gran Bretagna nell’applicazione dei diritti che erano propri dei sudditi inglesi, fu la Rivoluzione francese.

La posizione del governo e della classe dirigente inglese fu ambivalente: inizialmente il

cambiamento in Francia fu ben visto poiché destabilizzava una potenza europea sua rivale, ma con il radicalizzarsi della rivoluzione e l’instaurarsi del regime cosiddetto del Terrore, che portò

all’esecuzione dei sovrani di Francia e di qualunque altro oppositore, la posizione

dell’establishment della Gran Bretagna divenne sempre più ostile, fino alla dichiarazione di guerra nel 1793.

Non tutti però vedevano nella rivoluzione un male, auspicando anche per la Gran Bretagna un cambiamento radicale. Di questo avviso era, ad esempio, Thomas Paine che già nel 1790 scrisse una opera, Rights of Man, in risposta alle Reflections on the Revolution in France di Edmund Burke che vedeva nell’evento un atto di una minoranza, sostenendo la sua contrarietà alle istituzioni

tradizionali e alla monarchia ereditaria.

Sulle idee di Paine nel febbraio del 1792 Thomas Hardy fondò la London Corresponding Society che chiedeva tasse più basse, cibo meno caro, una migliore istruzione per tutti e soprattutto che la politica fosse accessibile a tutti.

Il governo temeva che anche in Gran Bretagna potesse formarsi un movimento che destabilizzasse lo stato, nonostante non vi fosse nessun segnale in tal senso a parte la London Corresponding Society e altre simili che si formarono nel regno ma che avevano un numero di iscritti relativamente basso, e per questo agì con un proclama reale del maggio 1792 che istruiva i magistrati di stare attenti ai libelli considerati sediziosi, inoltre nel 1794, come visto in precedenza, ci fu la

sospensione dell’Habeas Corpus. Il parlamento andò oltre: con il Seditious Meetings Act furono proibite tutte le riunioni non autorizzate con più di 50 persone, mentre con il Treasonable Practices Act fu stabilito che qualunque critica al re o al governo fosse considerata come tradimento.

Un’ulteriore ondata di limitazioni delle libertà che avevano contraddistinto la Common Law e il sistema giuridico inglese da secoli ci fu a causa degli avvenimenti che videro protagonista l’Irlanda. Già tra il 1792 e il 1793 il governo Pitt cercò di ridurre le tensioni portate avanti all’epoca

soprattutto dal movimento United Irishmen, che richiedeva riforme e uguali diritti tra fedeli di religioni diverse, prendendo delle misure che riducevano le durezze della condizione della popolazione cattolica: grazie a queste misure potevano acquistare proprietà, far parte di giurie, accedere ad alcuni uffici legali e giuridici, ma non potevano ancora sedere in parlamento. Con la crescita delle tensioni tra Gran Bretagna e Francia gli irlandesi iniziarono a vedere nei francesi una speranza per liberarsi definitivamente del trono di Londra e furono intavolate trattative per una invasione francese in territorio irlandese.

Un primo tentativo fu fatto nel 1796 ma per fortuna del governo di Londra una tempesta disperse la flotta che doveva invadere l’Irlanda, mentre un secondo tentativo fu effettuato nell’agosto del 1798, la flotta questa volta riuscì ad attraccare ma le forze inglesi riuscirono a sconfiggerle, come

riuscirono a sopprimere le sollevazioni popolari che in contemporanea erano scoppiate. A questo punto il governo sospese nuovamente l’Habeas Corpus, dichiarò le associazioni considerate radicali illegali ed emanò le Combination Acts nel 1799 e nel 1800 con le quali furono dichiarate illegali tutte le associazioni dei lavoratori (prime embrionali organizzazioni sindacali sebbene molto distanti da quelle moderne) e qualunque riunione con più di quattro persone che avesse scopi politici.

Questo clima repressivo non si concluse con il periodo rivoluzionario francese e il successivo periodo napoleonico, ma continuò per i primi decenni del diciannovesimo secolo, decenni che videro l’Inghilterra infiammata da movimenti che chiedevano più diritti.

Nel febbraio 1817 il governo istituì un comitato segreto per valutare i rischi di ribellioni, e si riscontrò l’esistenza di un rischio di destabilizzazione causato da un movimento rivoluzionario che aveva base a Londra sebbene oggi si dibatta sulla vera esistenza di tale minaccia56. La conseguenza

di questo allarme lanciato dal comitato fu l’emanazione di una nuova legislazione repressiva che prevedeva tra le altre cose la sospensione dell’Habeas Corpus per coloro che venivano accusati di tradimento, misura ormai consueta quando si percepiva un rischio per lo status quo, e il divieto di riunione non autorizzata che prevedesse la presenza di più di cinquanta persone; bisogna

sottolineare però che queste misure furono utilizzate in maniera blanda e durarono fino all’inizio del 1819.

Queste norme repressive non avevano cancellato i movimenti radicali, i quali iniziarono

nuovamente a far sentire la loro voce tramite uno dei loro leader più carismatici, Henry Hunt, il quale incitava la popolazione inglese a chiedere diritti d’uguaglianza e il suffragio universale maschile; proprio in occasione di una manifestazione in cui doveva parlare Henry Hunt ci fu il famoso massacro di Peterloo il 16 agosto 1819, in cui 11 persone persero la vita e 400 furono ferite. A questo evento fecero seguito i Six Acts i quali avevano un contenuto eterogeneo ma tutte volte a eliminare i conflitti sociali57: si andava dal ribadire il divieto di riunione senza autorizzazione

all’eliminazione di materiale blasfemo e sedizioso al proibire organizzazioni militari non autorizzate.

Un’altra questione che infiamma la prima metà del diciannovesimo secolo è quella della libertà religiosa o, per meglio dire, della libertà dei cattolici di professare la loro fede, poiché le altre confessioni protestanti erano perlomeno tollerate dalla chiesa ufficiale inglese.

Negli anni ‘20 del secolo si presentò nell’attualità politica l’emancipazione dei cattolici, tema delicato non tanto per la popolazione inglese, dove coloro che professavano la religione cattolica erano una minoranza, ma soprattutto per la popolazione irlandese che era per la maggioranza di fede cattolica. Nel 1825 ci furono 3 tentativi in parlamento di approvazione di una legge che prevedeva un miglioramento della condizione dei cattolici, tra questi quella più significativa fu quella

presentata da Sir Francis Burdett che riuscì a superare le tre letture previste della Camera dei Comuni, anche grazie al supporto di una parte della maggioranza Tory che però era profondamente divisa sul tema, ma non riuscì a superare il successivo passaggio nella Camera dei Lords, anche a causa di un discorso totalmente ostile da parte del Duca di York, uno degli ultimi discorsi relativi a questioni politiche del momento da parte di un membro della famiglia reale58.

La questione si ripresentò qualche anno dopo, nel 1829, anno in cui il governo Wellington agì anche per evitare il degenerare della situazione in Irlanda: nella contea di Clare si era presentato alle elezioni del 1828 Daniel O’Connell, Leader dell’Associazione Cattolica, ed era riuscito a farsi eleggere ottenendo più dei due terzi dei voti, ma nonostante questo non poteva prendere possesso del suo seggio in quanto cattolico, tuttavia il Lord-Lieutenant d’Irlanda avvertì il governo che nuove elezioni avrebbero portato a risultati identici, e probabilmente a scontri per il secondo rifiuto.

Peel, Ministro degli Interni del Gabinetto Wellington, per evitare il verificarsi di questi scontri, decise di presentare in parlamento una proposta di legge governativa che aveva principalmente due propositi:

1) permettere ai cattolici di essere eletti in parlamento,

2) permettere ai cattolici di accedere a tutte le cariche tranne quelle legate a o che rappresentavano la corona.

Il Roman Catholic Relief Act passò in entrambe le camere con una larga maggioranza, per poi essere presentato a re Giorgio IV perché desse il suo assenso. Il re nonostante la sua opposizione non andò contro il suo governo e la legge divenne efficace.

56 Ann Lyon, Constitutional history of the United Kingdom, Londra, Cavendish Publishing, 2003, pp. 307-311 57 Claudio Martinelli, Diritto e diritti oltre la Manica, Bologna, il Mulino, 2014, pp. 84-98

Discorso vivo e soprattutto divisivo nel paese era anche quello dell’estensione del diritto di voto. Ormai nel paese si era diffuso un senso di scontento nei confronti della classe politica che non riusciva neanche a formare un governo stabile e forte.

Nel 1830 un parlamentare radicale, Henry Brougham, presentò alla Camera dei Comuni un progetto di legge per riformare il “sistema della rappresentanza”, il progetto era fortemente osteggiato dal governo retto da Wellington che però fu sconfitto in una votazione sulla questione nei Comuni si dimise.

Per formare un nuovo governo fu chiamato Charles Grey, che si fece promotore di questa

rivoluzione istituzionale; egli formò una commissione che aveva lo scopo di studiare e scrivere una riforma del sistema elettorale. Il risultato fu il Reform Bill, presentato alla Camera nel marzo del 1831 da Lord John Russell, che seguiva 3 principi cardine59:

1) eliminazione dei cosiddetti Rotten Boroughs, ovvero borghi di campagna quasi del tutto privi di popolazione, ma che mantenevano seggi in parlamento60, caso eclatante quello di Old Sarum che

aveva in tutto sette elettori nel 183161;

2) creazioni di nuove circoscrizioni corrispondenti alle nuove città industriali, poiché città quali Birmingham o Leeds, nate e cresciute in seguito alla rivoluzione industriale, non avevano alcuna rappresentanza;

3) incremento della popolazione con diritto di voto.

Inoltre questo progetto prevedeva anche l’introduzione del voto segreto e la riduzione della durata della legislatura da sette a cinque anni.

La proposta ebbe una forte e ambivalente opposizione: i radicali la vedevano come una riforma troppo debole mentre altri, i Tories in particolare, all’opposto ritenevano che il sistema esistente andasse bene. Durante la seconda lettura della riforma presso la Camera dei Comuni il governo fu sconfitto, a questo punto Grey chiese al re ed ottenne lo scioglimento del parlamento.

Le elezioni successive videro il predominio dei candidati favorevoli al cambiamento istituzionale, dando una larga maggioranza al governo Grey, che ripresentò di nuovo il testo di riforma. Questa volta alla Camera dei Comuni il testo passò senza problemi, ma le difficoltà giunsero con il passaggio alla Camera dei Lords dove i Tories avevano la maggioranza; il testo fu bocciato nell’ottobre del 1831 e il Primo Ministro chiese a re Guglielmo IV di nominare nuovi Pari del partito Whig; quando il sovrano si rifiutò di farlo Grey si dimise.

Guglielmo IV richiamò al governo Wellington che però non riuscì nelle modifiche istituzionali necessarie, mentre i disordini, che vedevano protagonisti la classe media ma anche la classe lavoratrice, crescevano in tutto il paese e si diffuse anche l’idea di una disobbedienza civile

smettendo di pagare le tasse, tanto che la classe dirigente inglese temeva una insurrezione popolare. In questa situazione di incertezza, l’unica soluzione fu richiamare Grey a capo del governo, che ottenne il completo appoggio del re.

La paura diffusa per la situazione di instabilità del paese porto sia i Comuni che i Lords a votare il Representation of the People Act che ottenne l’assenso reale il 7 giugno 1832; per la prima volta fece la sua comparsa nella sfera politica l’opinione pubblica, che riuscì a indirizzare l’agenda del parlamento e anche a portare il parlamento a votare in modo ad esso compiacente62.

La nuova legge prevedeva la cancellazione di 56 Rotten Boroughs e la riduzione ad un seggio di una trentina di questi, furono inoltre create 22 nuove circoscrizioni binominali e 20 con un solo

rappresentante; ancora più importante però è quella parte della riforma che permette un allargamento dell’elettorato attivo, infatti viene meno il criterio del possesso fondiario e viene stabilito che potevano votare tutti coloro che avevano un reddito di 10 sterline o in affitto una casa per lo stesso valore, oppure chi avesse in affitto un podere per un valore di 50 sterline.

59 Ann Lyon, Constitutional history of the United Kingdom, Londra, Cavendish Publishing, 2003, pp. 322-324; Elizabeth Wicks, The evolution of a Constitution, Oxford and Portland, Hart Publishing, 2006, pp. 65-67, 70-71 60 Claudio Martinelli, Diritto e diritti oltre la Manica, Bologna, il Mulino, 2014, pp. 152-153

61 Elizabeth Wicks, The evolution of a Constitution, Oxford and Portland, Hart Publishing, 2006, p. 66

Non è chiaro quanto sia stato l’incremento dell’elettorato attivo, poiché in precedenza mancavano uffici elettorali con l’indicazione del numero di elettori, ma si stima un aumento compreso tra il 50% e l’80% della popolazione inglese (un aumento, sebbene minore, si ebbe anche tra l’elettorato scozzese e quello irlandese per i quali furono emanate 2 leggi separate e specifiche)63, non si poteva

ancora chiamare il Regno Unito una democrazia in senso moderno ma sicuramente fu un primo passo per un cammino che non si concluse qui.

Nel diciannovesimo secolo inizia anche il lento cammino dei diritti civili e sociali che sono considerati ancora oggi capisaldi del Regno Unito (e di tutte le democrazie).

Per quanto riguarda i diritti civili dobbiamo menzionare la libertà di stampa, in particolare due leggi, del 1855 e del 1861, con le quali furono abrogate le cosiddette “tasse sulla conoscenza”, che toccavano i giornali e la carta, cosa che permise ai quotidiani di fiorire in tutto il paese. Dobbiamo tuttavia tenere conto della posizione di Dicey, secondo cui nell’ordinamento inglese mancava la necessità, propria dei sistemi continentali dotati di Costituzioni scritte, di esprimere esplicitamente la libertà di stampa, e più in generale di parola; per Dicey questa libertà era implicita nel sistema di Common Law per cui chiunque può pubblicare o esprimere la propria opinione con la semplice conseguenza di risponderne davanti ad un tribunale nel caso di abuso, sebbene anche Dicey

ammettesse che nel corso dell’800 anche in Inghilterra il parlamento avesse iniziato a intervenire in questo ambito per risolvere alcune problematiche specifiche legate alla stampa, come la

diffamazione mezzo stampa.64

Per quanto riguarda invece i diritti sociali, bisogna prima fare una precisazione; il termine diritto sociale non fa parte della cultura giuridica inglese, poiché i vantaggi che le leggi che contemplavano questi diritti non erano visti dai giuristi e legislatori inglesi come dei diritti, questo termine infatti si applicava solamente a quelle garanzie e libertà protette dall’ordinamento e dalla costituzione65.

In questo ambito dobbiamo innanzitutto ricordare la legge del 1824 con la quale si abrogavano quelle norme che impedivano la formazione di coalizioni sindacali sia da parte dei lavoratori che da parte dei datori di lavoro, permettendo quella libertà di associazione che era stata vietata dalle Combination Acts del 1799 e 1800.

Nel 1825 il parlamento tornò sulla questione per fissare dei limiti alla lotta sindacale evitando che questa sfociasse in atti di molestie e ostruzionismo. La questione del diritto allo sciopero fu, come spesso accaduto nella storia legale inglese, affrontato in maniera empirica adattandolo e

modificandolo a seconda delle contingenze del caso, soprattutto per quanto riguarda la definizione di sciopero, sulla quale ritornò una legge del 1859 e due del 1871; nell’art. 5 della legge del 1871 si afferma che “nessuno può essere punito per nessun atto o deliberazione tendente a restringere il libero corso del commercio, quando ciò non sia previsto espressamente da una legge speciale o non abbia carattere coercitivo”. Fu in questi anni che abbiamo una stabilizzazione e ufficializzazione di queste associazioni.

Sempre in ambito lavorativo dobbiamo ricordarci degli sforzi portati avanti dal settimo conte di Shaftesbury che riuscì a far approvare il Coal Mines Act con la quale si proibiva l’utilizzo di donne e bambini di età inferiore ai dieci anni per lavori sotterranei e qualche anno dopo nel 1874 il governo conservatore di Disraeli approvò il Factory Act con il quale si dava tutela a donne e bambini che erano impiegati nelle fabbriche. Ovviamente queste norme sono solo un primo passo per una più larga legislazione di tutela dei lavoratori, basti pensare che non contemplavano alcuna forma di tutela per i maschi adulti, che erano in numero ben maggiore e privi di qualunque forma di salvaguardia.

Nel corso dei primi decenni del diciannovesimo secolo si crearono vari gruppi, che oggi

chiameremmo di pressione, per portare avanti istanze di diverso tipo, famoso è il caso della Anti-

63 Ann Lyon, Constitutional history of the United Kingdom, Londra, Cavendish Publishing, 2003, p. 326 64 Claudio Martinelli, Diritto e diritti oltre la Manica, Bologna, il Mulino, 2014, pp. 172-174

Corn Law League che si batteva per l’eliminazione della Corn Law che teneva i prezzi del grano alti per favorire i proprietari terrieri inglesi a discapito dei bisogni della popolazione più povera. Negli anni ’30 si formò un movimento chiamato Cartismo che rappresentò un ombrello per tutti questi movimenti e gruppi66. Il nome fu preso dalla “People’s Charter” redatta nel 1837 da parte

della London Working Men’s Association, un associazione con intenti riformistici; la carta era composta da sei punti:

1. suffragio maschile universale 2. ballottaggio segreto

3. uguali distretti elettorali

4. abolizione della qualifica di proprietari per i parlamentari 5. parlamenti annuali

6. pagamento dei parlamentari.

Il movimento cartista presentò nel corso degli anni varie petizioni al parlamento affinché prendessero in considerazione e approvassero le loro proposte.

La prima petizione fu presentata nel 1837 con la richiesta che fosse approvata una nuova riforma istituzionale, ma questo primo tentativo non andò a buon fine. Un’altra petizione fu presentata nell’estate del 1839, ma anche in questo caso, nonostante le voci di possibili insurrezione che si erano diffuse nel paese, non portò a nulla. Il movimento ci riprovò nel 1842 ottenendo lo stesso esito. L’ultimo tentativo ci fu nella primavera del 1848, mentre il continente europeo era sconvolto da rivolte che toccarono la maggior parte degli stati, ma neanche questa volta vide il movimento cartista prevalere.

Il tentativo del 1848 fu anche l’ultimo, il motivo di questo fallimento fu dovuto all’incapacità della leadership del movimento di tenere una posizione unita e risoluta, di non essere riuscita ad ottenere il supporto di membri del parlamento e di aver fatto pressione tramite la minaccia di violenza e ribellione67.

Con le modifiche al sistema elettorale effettuate nel 1832, le lamentele e i malumori diffusi nei confronti del sistema e della classe politica si placarono per circa 20 anni.

Le critiche riemersero nella seconda metà degli anni ‘50, anche a causa dei fallimenti militari inglesi durante la guerra di Crimea che tenne occupato l’esercito inglese dal 1854 al 185668, critiche

che chiedevano, come negli anni ‘30 un allargamento dell’elettorato attivo.

Le richieste furono inserite in un progetto di legge presentato nel 1858 dal governo conservatore, che però durò in carica solo fino al 1859, che prevedeva l’estensione del diritto di voto a coloro che facessero parte di determinati gruppi occupazionali o che avessero un determinato livello

d’istruzione, oltre che ai possessori di titoli di stato e ai sudditi con almeno 60 sterline di risparmi, ma il testo non fu approvato ancora una volta per “l’alleanza” tra coloro che ritenevano che con questa riforma si osava troppo e coloro che all’opposto credevano che la riforma fosse troppo contenuta.

Una novità introdotta nel 1858 fu l’eliminazione dell’obbligo della qualifica di proprietario per gli eletti in parlamento (che ricordiamo essere uno dei sei punti del manifesto cartista), modifica molto importante sulla carta ma che rimase lettera morta fino all’introduzione della retribuzione per i parlamentari69.

Un nuovo tentativo, si ebbe con Gladstone, durante il governo Russell, nel 1866. I termini per essere considerati elettori stabiliti con la riforma del 1832 furono abbassati: le 10 sterline annue di rendita o di affitto di un’abitazione furono abbassate a 7 sterline, le 50 sterline annue per l’affitto di

66 Ann Lyon, Constitutional history of the United Kingdom, Londra, Cavendish Publishing, 2003, pp. 329-330; Claudio Martinelli, Diritto e diritti oltre la Manica, Bologna, il Mulino, 2014, pp. 192-195

67 Ann Lyon, Constitutional history of the United Kingdom, Londra, Cavendish Publishing, 2003, pp. 333-337 68 Ann Lyon, Constitutional history of the United Kingdom, Londra, Cavendish Publishing, 2003, p. 347 69 Ann Lyon, Constitutional history of the United Kingdom, Londra, Cavendish Publishing, 2003, pp. 347-348