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LA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

L’APERTURA DEL REGNO UNITO

2. LA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

Strumenti il cui scopo era proteggere i diritti umani a livello extra-nazionale furono pensati anche a livello continentale. Gli anni della guerra avevano lasciato dei segni evidenti e profondi su tutta la popolazione europea, senza contare che solo pochi anni prima della seconda guerra mondiale l’intero continente era stato sconvolto da un’altra guerra devastante. La fine del secondo conflitto non aveva estirpato i timori per il futuro: l’Europa era un continente diviso in due, il blocco occidentale e quello orientale, quest’ultimo controllato da regimi comunisti; era quindi necessario mantenere un equilibrio per evitare un nuovo conflitto armato e, dal punto di vista del blocco occidentale, in particolar modo del Regno Unito, per evitare una proliferazione del comunismo. Il ministro degli esteri inglese dell’epoca, Ernest Bevin, suggerì che ciò che distingueva in maniera netta l’Europa occidentale da quella orientale erano i diritti umani e quindi la “difesa”

dell’occidente doveva partire da un organo il cui compito principale fosse il controllo del rispetto di questi.

Un primo tentativo di creazione di un’organizzazione politica europea avvenne nel marzo 1948, quando Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo conclusero il trattato di

Bruxelles, nel cui preambolo era chiaramente indicata tra le finalità dell’organizzazione l’impegno nel rispetto dei diritti umani. Alla fine questo tentativo non portò a nulla di concreto, ma fu

solamente un primo passo86.

Già un anno prima di questo tentativo, nel gennaio 1947, si era formato un “Movimento per l’Europa unita”, sostenuto fortemente da Winston Churchill, il cui scopo era la creazione di un organismo non governativo pan-europeo. La prima riunione si tenne a L’Aia nel maggio 1948 e furono presentate due proposte: la creazione di un’assemblea parlamentare europea e la stesura di una carta europea dei diritti umani. Tuttavia il governo del Regno Unito aveva una idea differente sulla modalità in cui doveva concretizzarsi la cooperazione europea; in particolar modo, Bevin presentò l’idea di un Consiglio dei ministri dell’Europa occidentale.

Alla fine fu raggiunto una soluzione di compromesso, che prevedeva un Consiglio d’Europa formato da un Comitato di Ministri e da un’Assemblea, priva di poteri legislativi, poiché il

83 Elizabeth Wicks, The evolution of a constitution: eight key moments in British constitutional history, Oxford and

Portland, Hart Publishing, 2006, pp. 114-116

84 Giuseppe F. Ferrari, Le libertà e i diritti: categorie concettuali e strumenti di garanzia, in P. Carrozza, A. Di Giovine, G.F. Ferrari (a cura di), Diritto costituzionale comparato, Roma-Bari, Editori Laterza, 2009, p. 1050 85 Natalino Ronzitti, Introduzione al diritto internazionale, Torino, Giappichelli editori, 2009, p. 295

86 Elizabeth Wicks, The evolution of a constitution: eight key moments in British constitutional history, Oxford and

problema della sovranità nazionale e di un suo ridimensionamento ad opera di organizzazioni sovranazionali era una grande preoccupazione per vari stati, in primis del Regno Unito.

Nel maggio 1949 i cinque paesi che avevano firmato il Trattato di Bruxelles con l’aggiunta di Italia, Irlanda, Svezia, Danimarca e Norvegia, firmarono lo statuto istitutivo del Consiglio d’Europa in cui, grazie alle richieste del governo inglese, fu data una grande attenzione alla questione dei diritti umani.

Dei diritti umani si discusse anche nella prima riunione tenutasi il 10 agosto 1949 dove i due punti chiave che emersero furono:

1. la funzione del futuro documento, il quale avrebbe dovuto esclusivamente contenere diritti che erano già esistenti;

2. creare una convenzione in cui fosse presente un metodo per tutelare in maniera collettiva il rispetto di questi diritti.

Proprio in questo ultimo punto sta l’innovatività della Convenzione e la sua distinzione dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu.

Questa soluzione fu però combattuta dai rappresentanti del governo inglese, Layton e Ungoed- Thomas, il quale era contrario ad un sistema giudiziario per il rispetto del futuro documento che si sarebbe necessariamente intromesso nell’ordinamento interno del Regno Unito. La posizione del governo inglese era, però, minoritaria nel Comitato.

Nel febbraio 1950 si riunirono per la prima volta gli esperti che dovevano redigere la convenzione e si scontrarono subito con un problema rilevante, ovvero la differenza di approccio tra un sistema di Civil Law, vigente nella maggior parte delle nazioni del continente europeo, e un sistema di

Common Law, che era tipico del Regno Unito. La differenza in particolar modo riguardava come indicare i diritti: il governo inglese avrebbe preferito una definizione precisa dei diritti inseriti nella convenzione, mentre i paesi con una tradizione di Civil Law avrebbero voluto un approccio più evolutivo legato in particolar modo alle modifiche della giurisprudenza che la corte avrebbe promosso in riferimento ai diversi diritti.

Gli esperti presentarono una prima bozza che prevedeva un approccio vicino al sistema di Civil Law e una corte che avrebbe dovuto vigilare sul rispetto della Carta, ma il governo inglese non poteva accettare una tale proposta.

Una seconda riunione si tenne nel marzo 1950 e in questa occasione si cercò inutilmente un compromesso; la soluzione fu la preparazione di due alternative:

1. l’alternativa A prevedeva la semplice elencazione dei diritti riconosciuti a livello europeo; 2. l’alternativa B seguiva la visione inglese prevedendo una definizione precisa dei diritti

contenuti nella convenzione.

Inoltre in entrambi i casi era prevista una versione con un tribunale per la tutela dei diritti e una versione che non lo conteneva.

La scelta finale rispecchia il necessario compromesso che una situazione che vedeva la partecipazione di tanti stati con interessi nazionali e tradizioni giuridiche in alcuni casi molto differenti richiedeva; la scelta ricadde sulla seconda versione, quella che conteneva una precisa definizione dei diritti, fortemente voluta dal Regno Unito ma con la creazione di un tribunale europeo, funzionante grazie a petizioni individuali, che permettesse l’effettivo rispetto da parte degli stati firmatari del documento, riuscendo in ciò in cui l’ONU non riuscì con la propria Dichiarazione, cioè nel rendere un tale documento una carta legalmente vincolante.

L’approvazione della convenzione da parte del governo inglese non fu così scontata, nonostante il Regno Unito fosse stato una delle nazioni che aveva voluto tale soluzione continentale; i timori che il governo britannico aveva rispetto ad un sistema che prevedesse ricorsi individuali erano

principalmente due: l’idea che i membri di partiti comunisti potessero utilizzare questo strumento come un’arma esclusivamente politica in un’epoca fortemente polarizzata tra mondo comunista e

mondo occidentale rappresentava la prima obiezione, la seconda preoccupazione era rappresentata dall’esistenza dell’impero coloniale, e soprattutto delle possibili ripercussioni che la petizione individuale alla corte europea poteva avere sul governo delle colonie che all’epoca era piuttosto turbolento.

Un’altra delle preoccupazioni del governo britannico riguardava la minaccia, percepita anche da alcuni membri del gabinetto Attlee, nei confronti della sovranità del parlamento britannico, temendo che una Corte le cui pronunce avessero valore vincolante potesse estendere eccessivamente i confini dei diritti rispetto a quelli accettati in origine andando a minare la libertà di decisione del

Parlamento britannico.

Inizialmente, il consiglio dei ministri inglese criticò fortemente l’operato del ministero degli esteri e del ministro Bevin, chiedendogli addirittura di riportare la proposta davanti al Comitato dei ministri per ulteriori considerazioni, cosa che Bevin si rifiutò di fare, ma riuscì ad ottenere dal Comitato dei ministri l’affermazione che il ricorso individuale e la giurisdizione della Corte fossero opzionali, quindi i singoli stati potevano decidere se applicare lo strumento o meno.

Su queste basi, e con la convinzione che questo trattato non sarebbe mai stato utilizzato nei confronti del Regno Unito poiché il suo unico scopo era quello di combattere la formazione di nuovi regimi totalitari (sia fascisti che comunisti) nell’Europa occidentale, il gabinetto britannico approvò la convenzione il 24 ottobre 1950, per essere poi firmata dai paesi membri il 4 novembre dello stesso anno.

Infine il parlamento inglese ratificò la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti

dell’uomo e delle libertà fondamentali l’8 marzo 1951, rinunciando però al ricorso individuale e alla giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo87.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel suo contenuto si ricollega alla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU, la principale differenza tra questi due documenti sta nella modalità di applicazione poiché la Dichiarazione delle Nazioni Unite non aveva, e non ha, valore vincolante, mentre la Cedu vincola gli stati firmatari, prevedendo anche un sistema giurisdizionale per valutare le eventuali violazioni.

La Convenzione è divisa in due sezioni: la prima ha natura sostanziale, elencando e definendo quelli che sono i diritti protetti dal documento; la seconda sezione invece ha natura procedurale,

descrivendo le modalità di tutela dei diritti di fronte alle autorità europee (accanto alle varie modalità a livello europeo esistono anche una forma di tutela interna ai singoli stati rappresentata dalla semplice applicazione della Convenzione).

I diritti che sono tutelati possono essere raggruppati nelle seguenti categorie: 1. Libertà delle persone fisiche,

2. Diritti legati ad un processo equo,

3. Diritti legati al rispetto della vita familiare e privata, del domicilio e della corrispondenza, 4. Libertà di pensiero ed espressione,

5. Libertà legate ad attività sociali e politiche, 6. Diritti legati al rispetto dei beni privati. Tra questi diritti non esiste una gerarchia.

Un importante elemento da sottolineare consiste nel fatto che la Convenzione contiene solo diritti di carattere politico e civile, lasciando esclusi i diritti cosiddetti sociali. Il Consiglio d’Europa non ha però lasciato questi diritti senza alcuna protezione: nel 1961 fu adottata una carta, la Carta Sociale Europea, che vincolava gli stati firmatari a rispettare una serie di diritti sociali considerati

fondamentali, tra questi diritti dobbiamo annoverare

87 Elizabeth Wicks, The evolution of a constitution: eight key moments in British constitutional history, Oxford and

Portland, Hart Publishing, 2006, pp. 118-123 e Ann Lyon, Constitutional history of the United Kingdom, Londra, Cavendish Publishing, 2003, pp. 443-444

1. il diritto al lavoro,

2. il diritto di organizzarsi e di prendere parte ad attività collettive, 3. il diritto ad un equo trattamento lavorativo,

4. il diritto alla protezione delle famiglie e dei soggetti vulnerabili.

Il controllo del rispetto da parte dei firmatari delle norme contenute nella carta spetta al Comitato europeo dei diritti sociali, un organo formato da esperti che devono valutare le relazioni che periodicamente gli stati, che hanno accolto la Carta Sociale, devono inviare al Comitato

descrivendo il modo in cui hanno dato efficacia alle previsioni contenute nel documento; una volta che il Comitato ha valutato la relazione presenta le proprie conclusioni, indicando le situazioni di non conformità al testo e alla sua interpretazione da parte del Comitato; le conclusioni vengono discusse da un Comitato Governativo, formato da inviati dei paesi membri e in seguito riferiscono al Comitato dei Ministri, il quale invierà allo stato sotto esame delle raccomandazioni sulle

modifiche da apportare alla legge nazionale e alle politiche del governo per allinearsi ai dettami della Carta Sociale. Il Regno Unito è stato il primo stato a ratificare la Carta, tuttavia il suo rapporto con questa è sempre stato abbastanza conflittuale; questa situazione deriva probabilmente dalla percezione e dal rilievo che i giuristi e i legislatori britannici hanno sempre avuto dei diritti cosiddetti sociali, arrivando al punto di non considerarli veri e propri diritti spettanti ai cittadini, degradandoli in questa maniera rispetto ai diritti civili e politici e per questo motivo le situazioni in cui il Regno Unito è stato trovato in una posizione di mancato rispetto delle norme da parte del Comitato di controllo sono state molte, soprattutto a partire dagli anni ‘80 e all’ondata di Neo- Liberismo che travolse il paese sotto i governi Thatcher; la situazione non è migliorata in tempi recenti, come dimostrano le relazioni presentate dal governo britannico e soprattutto le risposte del Comitato di esperti degli ultimi anni; in particolar modo gli ambiti in cui le mancanze inglesi sono maggiori riguardano la sicurezza sociale prevista dall’articolo 12, che è stata indicata dal Comitato come manifestamente inadeguata; il rispetto di un minimo salariale come prescritto dall’articolo 4 della Carta; e, infine, tra le maggiori mancanze nei confronti dei diritti sociali non possiamo dimenticare le lotte contro i sindacati e soprattutto contro le loro forme di azione (articoli 5 e 6) iniziate a partire dagli anni ‘80 e che ancora oggi non si sono concluse, come si evince dalle

conclusioni di tempi recenti del Comitato, che in particolar modo ritiene eccessivamente limitate le possibilità per i lavoratori di difendere i loro interessi con legittime azioni collettive, considera eccessiva la necessità di dare notizia ai lavoratori di una votazione su un’azione collettiva, ha individuato come insufficienti le protezioni dei lavoratori contro i licenziamenti in seguito ad attività collettive e infine ha ripetutamente sottolineato che le garanzie per assicurare un corretto procedimento di contrattazione collettiva sono insufficienti88.

L’individuazione dei diritti che dovevano essere inseriti nella Convenzione non fu però del tutto pacifica a causa delle diverse vedute e concezioni su ciò che rientra nei diritti umani e dei limiti entro cui tale documento doveva muoversi, tuttavia alcuni diritti furono più contestati di altri; tra questi abbiamo il diritto di sposarsi, il diritto dei genitori di educare i loro figli, il diritto di voto (curiosamente il Regno Unito non era d’accordo nell’inserire all’interno della convenzione i diritti politici, nonostante la convinzione che l’unico scopo di questo documento doveva essere la difesa dai totalitarismi, perché si affermava che fossero troppo vaghi e al di fuori della definizione di diritti umani, sebbene la vera ragione fosse di stampo politico temendo che come era stata formulata la norma in esame obbligasse il governo inglese ad introdurre un sistema elettorale proporzionale) e il diritto alla proprietà privata. Quest’ultimo fu particolarmente contestato a causa delle diverse posizioni politiche all’interno dell’Assemblea: lo scopo dell’introduzione di un tale diritto rientrava sempre nell’idea di contrastare possibili rivolgimenti totalitari nei paesi dell’Europa occidentale, poiché la storia recente dell’Europa dimostrava come una dittatura tenda a privare oppositori o

88 Colm O’Cinneide, The European Social Charte and the UK: why it matters, in King’s Law Journal, 2018, pp. 275- 296

appartenenti a minoranze indesiderate delle loro proprietà, però se tutti i rappresentanti dei vari paesi erano consapevoli di questa necessità, gli approcci tra i vari schieramenti politici erano ben diversi; i rappresentanti di partiti conservatori con una tale norma volevano evitare non solo gli abusi di un eventuale regime totalitario ma anche dalle politiche ridistributive degli avversari politici di sinistra, mentre i rappresentanti di sinistra non volevano essere troppo legati in questo ambito. Alla fine i membri dell’Assemblea decisero di eliminare la norma che conteneva una tutela nei confronti della proprietà privata, ma la questione non fu accantonata e alla fine il diritto alla proprietà privata fu inserito nel primo articolo del Protocollo 189.

Al testo originario della Convenzione nel tempo si sono aggiunti una serie di protocolli che hanno permesso un ampliamento dei diritti che vengono tutelati; i protocolli fino ad oggi sono stati 16 (dei quali, attualmente, il quindicesimo non ancora entrato in vigore per la mancanza del numero di ratifiche sufficiente). La particolarità dei protocolli consiste nel fatto che la loro ratifica non è obbligatoria, ma gli stati membri possono decidere liberamente se accoglierli o meno, elemento che comporta la creazione di tutele dei diritti differenti per cittadini di diversi stati membri; questa particolarità rappresenta anche un limite rispetto l’intento di creare uno standard di promozione e tutela dei diritti comune agli stati europei facenti parte del Consiglio d’Europa. Tra i protocolli ricordiamo in particolar modo il primo che ha introdotto i diritti di seconda generazione nei confini della tutela europea (basti pensare che è nell’articolo 1 di questo protocollo che viene tutelata la proprietà privata), il protocollo 12 che inserisce una tutela nei confronti delle discriminazioni, infine i protocolli 11 e 14 che, a differenza degli altri, non sono protocolli addizionali ma di emendamento, poiché non aggiungono diritti a quelli già previsti dalla struttura della convenzione ma, come dice il nome stesso, sono utilizzati per modificare elementi strutturali, nello specifico aspetti legati alla struttura e al funzionamento della corte europea dei diritti dell’uomo, della Convenzione e che a differenza dell’altro tipo di protocolli necessità della ratifica di tutti gli stati membri per poter entrare in vigore.

Il Regno Unito attualmente ha ratificato tutti i protocolli tranne quattro, ovvero i numeri 4, 7, 12 e 1690.

La convenzione è quindi uno strumento vivo, come fu esplicitamente detto nella sentenza Tyrer v. United Kingdom91 del 1978, che cambia nel tempo, in ragione dei cambiamenti e dell’evoluzione della società, attraverso gli interventi delle autorità politiche del Consiglio d’Europa con

l’approvazione dei protocolli, ma anche grazie agli interventi della Corte europea dei diritti dell’uomo che attraverso le loro sentenze permettono una interpretazione evolutiva, adattando i diritti, o perlomeno la loro applicazione, alle nuove esigenze dei tempi. In tempi recenti è tornato sulla direzione che i diritti dovranno prendere nel futuro anche un presidente della Corte Europea, Jean-Paul Costa, che nel discorso di apertura dell’anno giudiziario 2009 ha sottolineato come i diritti siano più complessi e più fragili a causa delle nuove minacce e di nuovi contesti, ma questo non può essere un motivo di resa, piuttosto tutto ciò rende necessario dare nuova vita e rinforzare questi diritti attraverso una necessaria attività di aggiornamento92.

Un ulteriore strumento di evoluzione per l’applicazione dei diritti convenzionali, sebbene non permetta un cambiamento omogeneo tra tutti i sottoscrittori della Carta, è rappresentato anche dall’attività svolta dagli stessi stati membri, i quali possono espandere l’applicazione di questi diritti

89 Danny Nicol, Original intent and the European Convention on Human Rights, in Public Law, 2005, pp. 152-164 90 Natalino Ronzitti, Introduzione al diritto internazionale, Torino, Giappichelli editore, 2009, p. 299;Annamaria

Viterbo, Origini e sviluppo della Convenzione europea dei diritti umani, in Andrea Caligiuri, Giuseppe Cataldi e Nicola Napoletano (a cura di), La tutela dei diritti umani in Europa: la sovranità statale e ordinamenti

sovranazionali, Padova, Cedam, 2010, pp. 77-80

91 Tyrer v United Kingdom, (Application No. 5856/72), [1978] ECHR 2

92 Jean-Paul Costa, Solemn Hearings of the European Court of human rights on the occasion of the opening of the

con la loro attività legislativa interna; gli stati infatti possono decidere di dare una applicazione maggiore ai diritti rispetto a quella prescritta dalla Convenzione stessa.

Un esempio di questo possibile atteggiamento può essere individuato nel Regno Unito in riferimento all’applicazione dell’articolo 12 della Convenzione, il quale esprime il diritto di sposarsi. Nello specifico l’articolo 12 afferma che “uomini e donne hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia”; interessante è ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale di questo articolo negli ultimi vent’anni, in riferimento alle coppie omosessuali.

Il primo caso da valutare è del 1998, Sheffield and Horsham v United Kingdom93, in cui non veniva riconosciuto il diritto di sposarsi ad una persona transessuale, operata, poiché veniva sostenuto che la Convenzione, all’articolo 12, si riferisse esclusivamente a persone biologicamente di sesso opposto. Solo quattro anni dopo, tuttavia, la giurisprudenza europea modifica la propria posizione con il caso Goodwin v United Kingdom94, in cui la Corte di Strasburgo estese il diritto di sposarsi anche alle persone transessuali operate, con persone non biologicamente opposte, superando l’idea tradizionale del matrimonio volta alla procreazione; alcuni hanno provato a leggere nella nuova interpretazione dell’articolo (come durante il processo Wilkinson v Kitzinger) una apertura ai matrimoni omosessuali, ma non possiamo non tenere presente che nella sentenza i giudici europei parlano di persone transessuali che hanno già cambiato il loro genere, e non di persone transessuali in generale, ritenendo necessario il cambiamento di sesso e impedendo di poter accogliere una interpretazione troppo ampia del diritto convenzionale.

Di conseguenza, nonostante questa innovazione nell’interpretazione dell’articolo 12, la Corte europea mantiene l’idea che questo articolo non contenga un obbligo per gli stati membri di