• Non ci sono risultati.

LE PROSPETTIVE FUTURE DEI DIRITTI UMANI NEL REGNO UNITO

Un ultimo argomento, di notevole importanza, che ha le sue radici in tempi precedenti l’approvazione dello Human Rights Act, e che, ancora oggi, è un argomento che interessa

ampiamente i politici e i giuristi britannici, soprattutto in questa fase della storia del Regno Unito, in cui sta avvenendo un importante cambiamento che avrà risvolti giuridici rilevanti anche nell’ambito dei diritti uman, è rappresentato dalla proposta di abrogare lo Human Rights Act e sostituirlo con un Bill of Rights britannico.

L’idea di creare una carta contenente i diritti fondamentali nei quali il popolo britannico si poteva riconoscere, precedeva la formazione dello Human Rights Act, con cui veniva solamente inserita nell’ordinamento inglese la Convenzione europea dei Diritti umani e non si creava una carta del Regno Unito. Anche all’interno del partito laburista, negli anni che precedettero la formazione del Governo Blair, si venne ad affermare l’idea che il Regno Unito dovesse dotarsi di una carta contenente i diritti fondamentali, posizione che fu resa esplicita già nel 1993 nella sua “A New Agenda for Democracy”, e successivamente nel documento programmatico “Bringing Rights Home” del 1996 il progetto del partito laburista fu reso ancora più chiaro: bisognava innanzitutto incorporare la Convenzione europea, e successivamente sarebbe dovuto essere approvato un documento contenente i diritti fondamentali nei quali il popolo britannico si sarebbe potuto riconoscere.

La storia successiva è nota: il governo Blair nel 1998 riuscì a far approvare lo Human Rights Act, che rappresentava il primo passo previsto dal documento programmatico, ma non andò oltre, abbandonando, almeno temporaneamente, il progetto di dare al Regno Unito una Carta dei Diritti fondamentali.

Solo qualche anno dopo, quando Blair fu sostituito al governo da Gordon Brown, si tornò a parlare del passo successivo, che avrebbe dotato il Regno Unito di un proprio Bill of Rights, nonostante ormai larga parte della dottrina e della giurisprudenza riteneva che non ci fosse la necessità di questo ulteriore passo, poiché lo Human Rights Act era, in realtà, esso stesso un documento contenente diritti fondamentali e non un semplice strumento di recepimento nell’ordinamento inglese di un trattato internazionale. A sostegno di questa tesi furono menzionati, da parte della dottrina, i tre elementi che secondo Philippe Alston, un noto studioso del tema dei diritti umani, sono comuni alle Carte dei Diritti fondamentali:

1. queste carte provvedono a difendere i diritti umani che, in un dato momento storico, sono considerati importanti,

2. le carte creano dei limiti per i governi degli stati in cui hanno efficacia legale,

3. infine, le carte dei diritti fondamentali hanno in comune la previsione di forme riparazione in quelle situazioni in cui si hanno delle violazioni dei diritti.

Una parte della dottrina ritiene, quindi, che nello Human Rights Act si possano individuare tutti questi elementi.

Tuttavia, nonostante la posizione di larga parte degli accademici e della giurisprudenza britannica, nel 2007 il nuovo governo Brown, tornò a parlare del progetto di dotare il Regno Unito di una Carta dei Diritti fondamentali. Tra i motivi che portarono il governo ad una tale decisione ci fu

sicuramente l’opinione pubblica: larga parte della popolazione, infatti, non percepiva la legge del 1998, o, per meglio dire, il suo contenuto, che rispecchiava quello della Convenzione europea,

come propria del popolo britannico, ma, piuttosto, come un prodotto straniero imposto alla nazione britannica, mancando, però, ogni considerazione del fatto che il Regno Unito è stato parte attiva nella formazione della carta regionale, e non ha certamente subito una imposizione da parte degli altri paesi fondatori. A rafforzare questa avversione dell’opinione pubblica nei confronti dello Human Rights Act ci sono stati vari fattori, come gli attacchi che venivano dall’opposizione conservatrice, la disinformazione, che veniva diffusa da una parte dei media britannici che si sentivano attaccati dalla nuova tutela offerta nel territorio inglese al diritto alla privacy, e,

curiosamente, la posizione critica anche del governo Blair, che aveva promosso un tale documento e di cui era il creatore. Le critiche che provenivano dal governo si devono inquadrare nel contesto storico: la legge, infatti, entra in vigore nel 2000, l’anno successivo ci fu l’attentato alle Torri Gemelle, che diede l’avvio alla cosiddetta lotta al terrore nella quale il Regno Unito si impegnò al fianco degli Stati Uniti; in questo contesto il governo non apprezzava le decisioni delle corti britanniche, che impedivano un trattamento particolare dei sospettati di terrorismo, e, soprattutto, impedivano l’espulsione degli stranieri sospettati nei territori d’origine se vi era rischio per la loro incolumità. Questo atteggiamento da parte dello stesso governo non aiutò il procedimento

d’accettazione della legge, che continuò ad essere vista con una certa diffidenza.

Per combattere la disinformazione che circondava lo Human Rights Act, il governo in un proprio documento del 2007, il Review of the Implementation of the Human Rights Act, dedicato ad una possibile modifica della legge, inserì un capitolo, il quarto, espressamente dedicato a confutare i miti e le percezioni sbagliate che si erano formati intorno ad essa. Nel fare questa opera di confutazione il Dipartimento degli affari costituzionali, che materialmente redasse il documento, analizzò critiche concrete che venivano mosse alla legge, mostrando la loro infondatezza: ad esempio, una delle questioni che sollevavano l’indignazione generale, così come riportata dagli avversari della norma, era la possibilità per coloro che fossero stati condannati per crimini seri di ottenere, per varie mancanze da parte delle autorità, risarcimenti. Nel documento governativo si sottolineò come la questione fosse, in realtà, insussistente, infatti l’articolo 8, al suo terzo comma, limita i casi in cui è possibile concedere un risarcimento e le corti inglesi hanno sempre interpretato la norma in maniera estremamente restrittiva rendendo difficile ottenere un risarcimento.

In generale la percezione che l’opinione pubblica britannica aveva, e probabilmente ha tuttora, consisteva nell’idea che questa legge, piuttosto che tutelare i cittadini del Regno Unito, si preoccupasse di salvaguardare i diritti degli stranieri da una parte, e dall’altra i diritti dei criminali151.

A partire dalla seconda metà del primo decennio del ventunesimo secolo la questione se adottare una propria carta dei diritti fondamentali ha assunto una posizione di rilevanza nazionale nella politica britannica. Il Joint Committee on Human Rights decise di occuparsi della questione in un Report del 2008, intitolato A Bill of Rights for the UK?, a cui fece seguito l’anno seguente un Green Paper del governo, che tratteggiava il modo in cui tale riforma, epocale per il regno, sarebbe dovuta avvenire.

Una novità introdotta nel documento governativo del 2009 è stata l’attenzione data, non solo ai diritti che sarebbero stati accolti nella nuova carta, ma anche ai doveri che ogni cittadino britannico avrebbe avuto nei confronti dello stato, ma anche dei loro concittadini. Il secondo capitolo del testo, “Rights and Responsabilities: developing our constitutional framework”, che già nel titolo esprime l’intenzione del governo laburista, è dedicato interamente al tema dei doveri: nel capitolo il governo sottolinea come l’idea che i cittadini siano portatori non solo di diritti, ma anche di doveri, non sia nuova, da una parte perché tutti i giorni i cittadini devono tenere conto delle responsabilità che hanno nei confronti dello stato e degli altri soggetti e, dall’altra parte, già la Convenzione europea

151 Silvia Sonelli, La tutela dei Diritti Fondamentali nell’ordinamento inglese: lo Human Rights Act 1998 e oltre, Torino, Giappichelli Editore, 2010, pp. 203-205; Governo del Regno Unito, Review of the Implementation of the

Human Rights Act, 2006, pp. 29-34; Silvia Sonelli, Dallo Human Rights Act ad una nuova Carta dei Diritti?, in Quanderni Costituzionali, 2012, pp. 175-178; Francesc Klug, A Bill of Rights: do we need one or do we already have one?, in Public Law, 2007, pp. 701-715

riconosce l’esistenza di responsabilità e doveri l’uno nei confronti dell’altro (un esempio può essere l’articolo 10 della Convenzione). Quindi il governo britannico, con questa nuova carta, sarebbe andato semplicemente a rendere espliciti e a codificare qualcosa che già esisteva nei fatti. Contraria a questa nuova impostazione, che vede porre sullo stesso piano i diritti spettanti ai cittadini con i loro doveri, era la Joint Committee, nata con lo Human Rights Act, che, nel report dell’anno

precedente, sottolineava la propria opposizione ad una Carta dei Diritti e Doveri, poiché l’esistenza dei diritti, viene affermato nel testo, non deve essere legata al rispetto di obblighi. I membri della commissione affermavano inoltre che quegli stessi doveri che verrebbero imposti ai cittadini in realtà esistono già, inseriti nelle norme e nelle leggi dell’ordinamento britannico. Il rischio, quindi, che molti vedono nell’inserimento in una carta dei diritti, considerati umani e fondamentali, anche di elementi di responsabilità, è quello di sminuire gli stessi diritti, che dovrebbero esistere a prescindere dalla tenuta di un determinato comportamento, con il semplice fatto di essere nati (sebbene questa posizione contrasti con la percezione che parte della società inglese aveva, ed ha, del trattamento dei diritti, visti come troppo sbilanciati a favore di stranieri e delinquenti); sulla questione il governo nel testo del 2009 ha voluto specificare che il godimento dei diritti non sarebbe stato subordinato al rispetto dei doveri in capo ai cittadini, ma riteneva che, per il funzionamento di una democrazia sana, fossero necessari l’indicazione dei diritti fondamentali, ma anche dei doveri che ci si aspetta dai cittadini.

Per quanto riguarda i diritti che la Carta avrebbe dovuto contenere, il governo precisò che questi sarebbero stati, innanzitutto, quelli previsti dallo Human Rights Act, e quindi i diritti già previsti nella Convenzione europea, ad essi avrebbero dovuto, però, essere aggiunti degli ulteriori diritti non contemplati in quel documento e venutisi a formare indipendentemente dallo stesso: tra i diritti che il governo Brown avrebbe voluto esprimere in un tale atto dobbiamo menzionare il diritto

all’uguaglianza, quello ad una buona amministrazione, una maggior tutela alle vittime dei reati e non solo.

Un diritto che il governo britannico avrebbe avuto intenzione di inserire è quello del Trial by Jury, ovvero del procedimento giudiziario di fronte ad una giuria; questo diritto non è previsto nella Convenzione per le problematiche che avrebbe comportato, poiché non tutti i paesi membri del Consiglio d’Europa prevedono, nel loro sistema giudiziario, un tale strumento. Nel Regno Unito è invece considerato un diritto fondante, sebbene in decadenza anche qui, la cui origine si deve individuare addirittura nella Magna Carta e che è, per questo, sentito come un diritto caratterizzante il popolo britannico, o perlomeno inglese, poiché nell’ordinamento giudiziario scozzese,

storicamente, non risulta una forma processuale di fronte ad una giuria, e ancora oggi in Scozia non abbiamo un tale procedimento, anche nei casi limitati in cui, nel resto del Regno Unito, il Trial by Jury è sopravvissuto.

Una questione delicata era, invece, quella dei diritti di tipo sociale-economico, che sono da sempre visti in maniera contraddittoria dai governi britannici, soprattutto sul loro valore di veri e propri diritti umani. Nel testo governativo, si esprime l’idea di voler includere questi “diritti”, senza però considerarli tali, come da tradizione inglese, secondo cui i diritti sono solo quelli politici e civili, ma, piuttosto, di percepirli come dei principi che toccano ambiti che, ormai, anche nel Regno Unito, erano considerati come meritevoli di una protezione particolare: è il caso di quelle prestazioni collegate alla sanità, all’istruzione, al possesso di una casa e ad avere un livello di vita accettabile. Questa visione del governo era stata espressa, in precedenza, anche nel documento della Joint Committee in cui venivano bocciate le opzioni che avrebbero portato a considerare questi principi come diritti legalmente vincolanti, o che, all’opposto, avrebbero previsto tali diritti come delle semplici direttive rivolte alle autorità politiche ma che non avrebbero avuto alcun valore pratico. Per la commissione bicamerale sarebbe necessaria una terza via, sul modello della Carta dei Diritti del Sud Africa, in cui la Carta contiene una serie di diritti economico-sociali, gli stessi elencati sopra, ma che rimanda per la tutela di questi diritti alle leggi, che le autorità politiche devono emanare.

Infine, un ulteriore elemento di novità del progetto laburista di una Carta dei Diritti fondamentali del Regno Unito, sarebbe stato l’inserimento dei diritti di terza generazione, categoria che contiene al suo interno diritti molto eterogenei tra loro, spaziando infatti dal diritto all’autodeterminazione ai diritti relativi l’ambiente; in particolar modo il documento del governo guarda con attenzione ai diritti ambientali, ritenendo questioni come il cambiamento climatico o l’estinzione di specie animali e vegetali, oltre che la perdita di habitat naturali, problemi talmente importanti, soprattutto per le generazione future, da non poter essere esclusi da un atto il cui scopo è la salvaguardia dei cittadini. Questa possibilità è tra quelle che hanno portato ad un acceso dibattito: tra i sostenitori della posizione del governo possiamo individuare, ad esempio, i membri della commissione parlamentare sui diritti umani, che, già un anno prima della pubblicazione del documento

governativo, avevano auspicato l’introduzione, in un futuro Bill of Rights del Regno Unito, di diritti che tutelassero un ambiente sano e sostenibile; di posizione differente è invece una eminente rappresentante del potere giudiziario britannico, ovvero Lady Hale, oggi Presidente della Corte Suprema del Regno Unito, che di fronte alla stessa commissione bicamerale affermò la sua contrarietà all’introduzione di tali diritti in un eventuale Bill of Rights, semplicemente perché avrebbe seguito una modalità contraria a quella tipica delle evoluzioni giuridiche inglesi, basate su piccoli passi evolutivi, mentre un tale approccio avrebbe comportato un cambiamento enorme rispetto alla situazione precedente.

Ultimo argomento delicato quando si parla di Carta dei Diritti, nel Regno Unito, riguarda il valore che tale Carta dovrebbe avere nell’ordinamento britannico. Come sappiamo, fin dall’approvazione della Convenzione europea, le autorità politiche del Regno Unito non hanno mai accettato fino in fondo che un’autorità giudiziaria, sia straniera che interna, potesse inserirsi nell’ambito della scelta e dell’azione politica, per questo anche nello Human Rights Act il governo aveva optato per la Dichiarazione di Incompatibilità e non per una revoca di una norma in violazione dei diritti convenzionali. Il governo di Gordon Brown ha deciso di non prendere una posizione netta sulla questione nel suo testo del 2009, limitandosi piuttosto a descrivere quelle che sono le diverse possibilità, dalle più estreme alle più moderate, lasciando, così, l’argomento del tutto aperto e senza alcun indizio di come il governo avrebbe potuto risolverlo. Un altro organo politico, la commissione bicamerale del Parlamento sui diritti umani, aveva invece le idee più chiare sul valore legale della nuova Carta: secondo l’opinione dei membri della commissione, espressa nel report del 2008, i diritti del nuovo Bill of Rights avrebbero dovuto avere la stessa modalità di protezione prevista nello Human Rights Act, con l’obbligo per i ministri di presentare una dichiarazione di compatibilità con la Carta per i progetti di legge, che avrebbe dovuto essere motivata (oggi non è prevista la necessità di motivazione per tali dichiarazioni), e la possibilità per i tribunali nazionali di presentare una dichiarazione di incompatibilità in caso di violazione dei diritti dei cittadini; elemento nuovo, secondo la visione della commissione, sarebbe consistito nella possibilità per il parlamento di legiferare in maniera contrastante con la Carta dei Diritti, quando l’organo legislativo lo ritenesse necessario, purché tale posizione fosse resa esplicita nella stessa legge.

Questo quadro predisposto dal governo nel 2009 è, però, rimasto lettera morta; il governo Brown non fece mai i passi necessari per tradurre in legge questo progetto, e nel 2010 il governo laburista fu sostituito da un governo di coalizione conservatore-liberale. Quanto delineato sopra, resta

comunque, sia nei temi che nelle possibili soluzioni, anche per il dibattito successivo sulla possibile approvazione di una Carta dei Diritti Fondamentali britannica, che non si arrestò con la caduta del governo laburista152.

Anche nel campo dei conservatori, negli ultimi vent’anni, si è iniziato a discutere del tema della salvaguardia dei diritti fondamentali, con posizioni oscillanti. Per capire meglio, si deve spiegare

152 Silvia Sonelli, La tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento inglese: lo Human Rights Act 1998 e oltre, Torino, Giappichelli Editore, 2010, pp. 205-210; Joint Committee on Human Rights, Twenty-ninth Report, A Bill of

Rights for the UK?, 2008, pp. 34-39, 45-55, 57-63, 68-73; Governo del Regno Unito, Rights and Responsabilities: developing our constitutional framework, 2009, pp. 14-19, 31-39, 43, 51-57

che il Partito Conservatore, per quanto riguarda il tema delle riforme, ha sempre espresso una posizione che deriva dalla visione burkiana della politica, ovvero i cambiamenti non possono avvenire tramite rivoluzioni o cambiamenti repentini, ma devono avvenire tramite un processo evolutivo. Per questo motivo, la posizione dei conservatori inglesi di fronte ai grandi cambiamenti, che venivano chiamati da questi “vandalismo costituzionale”, della fine degli anni ‘90 del

ventesimo secolo (non solo l’approvazione dello Human Rights Act, ma anche il processo della Devolution e la riforma della Camera dei Lord), era rappresentata da una certa ostilità; nello

specifico, lo Human Rights Act era visto come una possibile minaccia per la sovranità parlamentare da parte del potere giudiziario. Col tempo, tuttavia, la loro posizione si è leggermente modificata, accettando le riforme effettuate negli anni del governo laburista, ma ritenendo, all’interno di questa nuova cornice costituzionale, di poter effettuare dei miglioramenti. Per questo la posizione

dell’allora nuovo leader del Partito Conservatore ha lasciato molti perplessi153.

Nel 2006, nel corso di un suo intervento, David Cameron, da poco eletto nuovo Leader del Partito Conservatore, annuncia la nuova linea del partito sul tema dei diritti umani, consistente

nell’abrogazione dello Human Rights Act e alla sua sostituzione con un British Bill of Rights che permettesse di “Define the core values which give us our identity as a free nation”154, come lo stesso Cameron ha affermato. Questa posizione differisce in maniera sostanziale da quella dei precedenti dirigenti del partito, che preferivano una modifica graduale della legge fatta approvare dal governo Blair, mantenendola in vita, ma anche del governo laburista, all’epoca ancora al potere, il quale, successivamente rispetto al momento in cui questo discorso fu pronunciato, propose la creazione di una Carta dei Diritti Fondamentali del Regno Unito, ma con il mantenimento del sistema di salvaguardia introdotto dallo Human Rigts Act.

Come detto in precedenza, l’opposizione conservatrice aveva sottolineato, più volte,

dall’approvazione della legge, quelle che, dal suo punto di vista, erano sue criticità. Queste furono riprese ed esasperate da Cameron nel suo discorso e successivamente; in particolar modo, egli si soffermò su due aspetti: il primo riguarda la paura che una norma potesse limitare la sovranità parlamentare, considerata un caposaldo della democrazia britannica, mettendosi nelle mani dei giudici, e, soprattutto, dei giudici stranieri della Corte europea dei Diritti dell’Uomo. In realtà questa posizione non può essere sostenuta in quanto la legge permette, nell’articolo 6, secondo comma, al parlamento di agire in maniera contraria rispetto all’obbligo del rispetto dei diritti convenzionali, e un’attività di compromesso era già avvenuta in fase di stesura, con la previsione che le corti interne non potessero disapplicare le norme approvate dal parlamento, nonostante la loro incompatibilità con la Convenzione. Infine, anche nel caso in un tribunale interno presentasse una Dichiarazione d’Incompatibilità, il parlamento non ha alcun obbligo d’intervenire sulla norma in questione per adattarla ad una posizione più conforme alla Convenzione. L’autorità politica britannica, quindi, continua ad avere una certa autonomia, all’interno di un quadro generale di