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Premessa

Lo scopo di questo capitolo è la ricostruzione dei fatti di cui il menante man mano informa i suoi lettori, e con essa la ricognizione dell‟ampio spettro dei personaggi compresenti in Parnaso in un piano atemporale che affianca, dando a tutti diritto di cittadinanza se non proprio pari dignità, personaggi della storia antica e moderna, e mescola a personaggi realmente esistiti, personaggi mitologici e anche d‟invenzione, a grandi personalità di tutti i tempi, figure di media statura e minori, minime, anonime, con un‟escursione di impronta dantesca.

Su questa dimensione in cui presente e passato diventano contemporanei, e sulla coesistenza di personalità eterogenee che propizia il dialogo e anche la disputa e la lite, alcune parole di Fumaroli:

l‟allegoria del Parnaso […] dà corpo e visibilità al mito della Repubblica delle Lettere, quella comunità invisibile che trascende gli Stati nazionali, rispecchiando in certo qual modo la cattolicità della Chiesa romana. In questa invenzione umanistica […] la montagna dove il poeta greco Esiodo aveva situato la sede di Apollo e delle Muse, all‟inizio di Le opere e i giorni, è insieme fuori del tempo, al di sopra del tempo e nel tempo, così come l‟Europa di quell‟epoca. Questo permette a Boccalini sapidi effetti cronologici […].237

L‟edizione Firpo ovviamente è già provvista di un indice dei nomi, ma qui l‟obiettivo non è la mera indicizzazione, appunto, quanto piuttosto il rilievo delle “coordinate” dei singoli ragguagli. Per rendere perspicua questa disamina ho predisposto i riassunti di tutti i ragguagli - concepiti anche come base per una lettura critica dell‟opera - e, dove necessario,238

ho utilizzato un apparato esplicativo diviso in due fasce, indicando nella prima i personaggi presenti all‟azione in veste di protagonisti o come personaggi secondari o anche di contorno, nella seconda i personaggi citati o allusi, o coinvolti negli antefatti. FASCIA A e B

Per l‟idea di distinguere fra personaggi “presenti all‟azione” e “personaggi citati” ho trovato sostegno, a posteriori, nell‟utile regesto, approntato da Bernard Delmay, dei personaggi della Commedia,239 in cui tuttavia i criteri seguiti per la classificazione, coerentemente con l‟altezza e la complessità dell‟oggetto analizzato, sono molto più articolati di quelli che ho adottato per i Ragguagli: ad

237

Cfr. Fumaroli, Le api e i ragni, cit. pp. 48-49. 238

Non pochi ragguagli hanno protagonisti anonimi, genericamente indicati, o collettivi:

propongono riflessioni morali o hanno come argomento la satira di costume oppure la polemica letteraria, senza addurre referenti precisi.

239

Cfr. Bernard Delmay, I personaggi della Divina Commedia. Classificazione e regesto, Firenze, Olschki, 1986.

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ogni modo, mutuo dallo studio di Delmay le “etichette” qui utilizzate per distinguere le fasce A e B.

Non rientrano nel novero dei personaggi Apollo, onnipresente; il corteo, quasi onnipresente, delle muse (tuttavia indicate quando compaiono individualmente); Dio, cristianamente inteso.240 Allo stesso modo, mentre accolgo i personaggi mitologici, non compaiono le personificazioni,241 che pure talvolta figurano come protagonisti o personaggi a diverso titolo coinvolti nell‟azione,242

ivi comprese quelle delle varie monarchie e repubbliche residenti in Parnaso generalmente

sub specie di dame, principesse, regine:243 lo scopo infatti non è un‟analisi

narratologica ma, come dicevo, quello di recensire le diverse componenti storiche (e in subordine, mitologiche) che costituiscono il sovramondo parnassiano.

Invece è interessante notare i casi di autocitazione, in cui l‟io del narratore o comunque il riferimento al menante o ai Ragguagli entrano direttamente nel testo, con momentanea deroga dalla narrazione impersonale, come ad asseverare la veridicità della finzione giornalistica e forse al contempo, non è da escludere, a imitazione della prassi comune agli storiografi antichi. Ciò accade nei seguenti luoghi:

240

Mentre Apollo è spesso indicato col sintagma «Sua/Vostra Maestà», «Maestà divina» è riservato al Dio cristiano: ad esempio in I 20 la rubrica precisa che la «divina Maestà» - a cui i virtuosi-poeti chiedono la grazia di liberarli dagli ipocriti che hanno successo presso i principi - è, appunto, il «grande Iddio»; in I 35 «Sua Maestà» e «divina maestà del grande Iddio» indicano senz‟altro i due distinti referenti: nell‟episodio (il primo del ragguaglio) due ambasciatori vengono inviati dal genere umano «a Sua Maestà per chieder consiglio, se era bene che il genere umano supplicasse la divina maestà del grande Iddio a concedere agli uomini il beneficio che aveva dato a‟ ghiri […] di star lungo tempo senza cibo». In I 46 Dio è invocato (unitamente alla divinità delfica) sia dall‟inventore della bombarda, prima («Chiamo Dio in testimonio e la luce stessa della

Maestà Vostra che vede tutte le cose, che non, come veggio che sinistramente credono molti, per

affliggere il genere umano inventai l‟istrumento della bombarda, ma per carità, per zelo di grandissima pietà, dalla quale contro ogni mia volontà sono poi nati i mali innumerabili che ora vede il mondo […]»); sia da Apollo stesso, poi («[…] e poiché né il ferro né il fuoco erano sufficienti per liberar il mondo da questi crudeli macellai della carne umana, instantissimamente supplicava la maestà del suo creatore, che di nuovo aprisse le cataratte de‟ cieli […] per spiantare dal mondo […] quegli scelerati che, scordatisi dell‟obbligo che hanno di moltiplicare il genere umano, si son dati al crudel mestiere di annichilarlo col ferro e col fuoco»). In Parnaso, come risulta da I 66, alla divina Provvidenza è dedicato un tempio.

241 Della cui frequenza ad ogni modo i riassunti permettono di avere un‟idea anche piuttosto precisa.

242

Cfr. ad esempio I 11 e I 30 che hanno per protagonista la Fedeltà; I 26 in cui la Filosofia, «reina di tutte le scienze umane», passeggia nuda fra Aristotele e Platone; I 47 bis in cui la Giustizia si sdegna contro coloro che difendono il ricorso al duello; ancora, III 74 in cui la Cosmografia contende «la man destra» alla Filosofia.

243

Cfr. almeno I 25 in cui le «potentissime monarchie» (poi «potentissime reine») di Francia, Spagna, Inghilterra e Polonia figurano come dame che vanno a trovare la «Serenissima Libertà veneziana» per chiederle come ottenga dalla propria nobiltà ubbidienza e segretezza; I 78 in cui Apollo riceve la «reina d‟Italia» per congratularsi dell'accasamento delle due figlie di Carlo Emanuele di Savoia; II 17 in cui le «Libertadi più famose di Europa», poi «serenissime dame», si riuniscono nel tempio della Concordia per decidere se possano accogliere o meno Tacito; III 22 in cui, con stupore dei virtuosi di Parnaso, «la Monarchia spagnuola va a ritrovar la serenissima Reina d‟Italia e passano insieme grati complimenti».

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[…] e così come il menante non si terrà a fatica il notar qui le più principali [l‟oggetto sono le merci di maggiore necessità per gli uomini], così fermamente crede che a' galantuomini non sarà discaro il leggerle. (I 1)

[…] e di queste [si sta parlando di ampolle di vetro] il menante che scrive le presenti cose è stato fortunato di averne una per onesto prezzo […]. (I 1)

Lo stesso Pierio mi ha riferito che Michelangelo gli rispose queste formali parole: […]. (I 4)

Il menante entra nel fondaco de' politici, e dalle merci che vi comprano i letterati studia di venire in

cognizione della qualità de' geni loro. (I 10, rubrica; nel seguito del ragguaglio il menante è nuovamente citato varie volte)

[…] io che scrivo i presenti "Ragguagli", mi trovai presente allora che Beato Renano e Fulvio Orsino, amendue amorevolissimi di Tacito, tirarono il Lipsio in disparte […]. (I 23)

[…] e che ciò chiaramente si vedeva ne‟ “Ragguagli” di un moderno menante, ne‟ quali con nuova invenzione sotto metafore e sotto scherzi di favole si trattavano materie politiche importanti e scelti precetti morali […]. (I 28)

[…] il menante, che solo per poter dar soddisfazione a' suoi virtuosi avventori volle trovarsi presente all'ultima audienza, con verità istorica racconterà ora tutto quello che di segnalato vi occorse. (I 35)

Io poi da testimoni degni di fede sono stato accertato che Salustio Crispo, presidente del

collaterale, avendo tirato in disparte il governator di Libetro, grandemente amato e favorito da lui, gli disse che […]. (I 41)

[…] e perché l'importanza della materia lo merita, al menante non sarà noia registrar qui sotto lo stesso editto […]. (I 54)

Doppo la pubblicazione di così rigoroso editto, si mormora in questa corte - ma perché la faccenda molto va secreta, il menante, che non avvisa se non cose certe, non la dà per nuova

molto sicura, - che […]. (I 54)

Il menante, che con esquisitissima fedeltà scrive queste cose, da buonissimo luogo ha risaputo che la serenissima Libertà veneziana, senza punto alterarsi, alla Republica romana rispose che

[…]. (I 79)

Il menante, che prima d‟inviar la gazzetta de‟ suoi “Ragguagli” agli amorevoli suoi avventori, è obbligato portarla alla magnificenza del pretore urbano, non può, come conosce esser suo debito, registrar nelle sue carte quei soggetti italiani che in quelle facciate vergognosamente si veggono

dipinti […]. (I 87)

[…] un virtuoso, il nome del quale il menante, che non vuol tirarsi addosso qualche brutta ruina,

giudiziosamente tace. (I 100)

Ma fa qui mestiere che il menante, prima che più innanzi passi nella narrazione delle cose ch‟egli intende dire, a quelli che questi suoi “Ragguagli” leggeranno faccia sapere l‟ordinario e

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Il menante, che per sua fortuna grande si trovò presente a questo quesito, fa certa fede ad ognuno che al suo consanguineo così rispose Luzio Bruto […]. (II 30)

Ieri, che fummo alli dieci di luglio, per antico uso di Parnaso è stato giorno lugubre […]. (II 46)

Il menante (il quale, per dar compìto gusto a que‟ suoi amorevoli avventori a‟ quali egli ogni settimana invia la sua gazzetta, ogni possibil diligenza usa per venire in cognizione anco di quelle cose che in Parnaso più si operano secretamente), l‟altra mattina avendo odorato che […]. Io allora udii che con maniere non punto barbare a questi così rispose la Monarchia ottomana […].

(II 80)

La Monarchia di Spagna essendo ieri andata per negozi gravissimi a trovar la Maestà di Apollo, si è inteso che risentitamente si dolse di molti scrittori italiani moderni e in particolare del menante

Boccalini, che scrisse i presenti “Avvisi di Parnaso”, che, sempre che li nominavan nell‟istorie, gli

chiamavan crudeli, avari, ambiziosi e fino poco pii […]. (III 59)

E sebbene la pratica è passata segretissima, nondimeno, perché monsignor illustrissimo Sermoneta fece l‟istruzione di sua mano, la quale perciò che era (come è consueto de‟ prencipi) di pessimo carattere, fu sforzato a farla copiare; e il copista curioso e poco fedele ne serbò per sé

una copia, la quale mi è capitata nelle mani ed è la seguente […]. (III 92)

Mentre l‟inventario dei personaggi mira ad essere, nei limiti del possibile (per quest‟analisi, di fattura “artigianale”, non ho utilizzato elaboratori elettronici) e con le omissioni di cui si è detto, esaustivo, per la compilazione delle singole voci, per le quali mi sono avvalsa in primo luogo delle Annotazioni di Firpo, esclusa a priori l‟idea di illustrarle - compito che pertiene piuttosto a un commento -, ho deciso di fornire solo le indicazioni minime, utili alla contestualizzazione dei singoli ragguagli.

Pertanto nel registrare gli autori delle letterature moderne - ovviamente si fa menzione in primo luogo di scrittori italiani -, e più in generale gli uomini d‟arte e di cultura e i personaggi della storia d‟età medievale e moderna, ho indicato, a seconda dei casi: solo il nome (ad esempio, Giovanni Boccaccio); il nome, le date di nascita e di morte, il luogo d‟origine (ad esempio per Michelangelo, Tasso, Biondo Flavio); altrove, a queste informazioni ho aggiunto la qualifica (ad esempio per Ludovico Dolce, poligrafo; oppure Girolamo Mercuriale, medico), talvolta indicando solo nome, date e qualifica (sono per esempio i casi esotici di Averroè, Osman-Ottomano, o Tamerlano).

Per gli autori, i pensatori e gli artisti del mondo classico e per i personaggi della storia antica ho indicato solo le date o il/i secolo/i di appartenenza.

Inoltre, nel mondo anche bizzarro del Parnaso di Boccalini talvolta compaiono quali personaggi primari o secondari anche le opere degli autori, accompagnate o meno dai loro “titolari”, con una casistica che ho cercato di rendere in modo trasparente, distinguendo i casi in cui un autore figura come personaggio (ad esempio Aristotele), un autore figura come personaggio insieme alla sua opera (ad esempio Macrobio con i Giorni saturnali), l‟opera di un autore figura autonomamente come personaggio (ad esempio il Pastor fido di Guarini,

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presente in veste di villano ferrarese), o ancora, un personaggio di un‟opera figura come personaggio parnassiano a fianco ad altri di diverso profilo o statuto ma posti sullo stesso piano (ad esempio Bacchide, personaggio terenziano, o Alessi, personaggio virgiliano, presente la prima e citato il secondo accanto a Terenzio e a due giuristi del XV-XVI secolo, Giasone del Maino e Filippo Decio). Quanto agli imperatori, romani (in primo luogo Tiberio e quelli appartenenti alla dinastia giulio-claudia, per ovvi motivi tacitiani), dell‟impero germanico e di altri imperi dell‟età moderna (quello bizantino e quello ottomano in primo luogo, ma anche gli imperi moscovita, persiano, mongolo), e quanto ai re e ai principi (presenti coi vari titoli di signore, conte, duca, granduca), nonché ai papi, ho indicato solo il periodo in cui furono al potere oppure, in casi di minor rilievo, solo le date anagrafiche.

Un discorso a parte va fatto per Tacito: è registrato regolarmente fra i personaggi quando appare come tale (mentre, va da sé, tralascio di indicare le citazioni dalle sue opere, di cui i Ragguagli sono letteralmente intarsiati); a fianco di Tacito segnalo anche la presenza dei tacitisti, editori o commentatori dello storico dell‟impero. Qui richiamo brevemente l‟attenzione su un‟ulteriore componente del tacitismo di Boccalini che, a quanto mi consta, non è stata ancora opportunamente messa in luce: vale a dire la presenza dell‟autore - grandissimo - non solo come somma auctoritas e come agens, ma anche, in modo più intrinseco, segno di una profonda assimilazione, con riprese intertestuali che si intessono alla materia dei ragguagli e la sostanziano, nella forma di studiati parallelismi (o forse, al contrario, di automatismi dovuti alle attente riletture: casi di interdiscorsività dunque) e di prelievi di passi, singoli elementi, situazioni, motivi che vengono ricontestualizzati - ed eventualmente rovesciati di polarità, come nel caso in cui azioni del feroce Tiberio vengono trasferite su Apollo, sovrano invece illuminato -, e nell‟insieme danno l‟idea, se si ammetta il gioco di parole, di una tacita ma pervasiva emulazione di Tacito. Segnalo qui alcune di queste convergenze, limitatamente ad Annales e Historiae, sulla base di semplici annotazioni prese durante la lettura delle due opere.

Da Annales, vol. primo (libri I-VI):

Città in lutto per la morte di Germanico (II, 82, pp. 180-81): cfr. analoghe manifestazioni di lutto, ad esempio per l‟assassinio di Enrico IV (I 3);

Riferimenti al teatro di Pompeo (III, 23, pp. 212-13; VI, 45, pp. 424-25; XIV, 20, pp. 636-37): cfr. erezione in Parnaso, da parte dello stesso Pompeo, di una sede analoga (II 97);

L‟isola pietrosa di Serifo (IV, 21, pp. 298-99): cfr. il «sasso Serifo» (I 90);

La rupe Tarpea (IV, 29, pp. 304-05 e VI, 19, pp. 392-93): cfr. il «sasso tarpeio» (I 90);

«Sed Caesar [Tiberio], quo famam averteret, adesse frequens senatui legatosque Asiae, ambigentis quanam in civitate templum statueretur, pluris per dies audivit.» (IV, 55, p. 336): cfr. le regolari udienze di Apollo;

«Caesar [Tiberio] Pollionis ac Viniciani Scaurique causam, ut ipse cum senatu nosceret, distulit […].» (VI, 9, p. 382): cfr. analoghi e frequenti provvedimenti di Apollo che avoca a sé le cause;

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Notizia dell‟esame cui dev‟essere sottoposto un libro da aggiungere a quelli della Sibilla Cumana, con riferimento alla «disciplina del cerimoniale» (VI, 12, pp. 384-85): cfr. la regolare procedura di valutazione delle candidature, ovvero delle opere dei candidati, per l‟ammissione in Parnaso, e l‟annesso rituale;

Episodio in cui Tiberio a Rodi elegge Trasillo “indovino di fiducia”, oltre che amico intimo, dopo che, sentite le sue profezie circa le sorti dell‟impero, lo aveva messo alla prova chiedendogli cosa gli predicesse la sua scienza in merito al suo stesso destino, e a quel giorno in particolare, e vistolo confuso dal crescente timore per il pericolo che incombeva su di lui, ne aveva dedotto il valore nella pratica dell‟astrologia - l‟imperatore era solito far gettare in mare dall‟unico liberto ammesso a quel segreto, dal punto più alto della sua dimora che sovrastava gli scogli, gli indovini in cui avesse accertato imperizia o frode, e nel mostrarsi terrorizzato Trasillo aveva dato prova delle sue doti divinatorie (VI, 21 pp. 392-95): cfr. Apollo irride la falsità dell‟astrologia giudiziaria che aveva permesso a Luca Gaurico di predire al suo signore le sventure che lo attendevano, ma non l‟aveva reso edotto sulle proprie (I 35).

Da Annales, vol. secondo (libri XI-XVI):

«[…] nunc inimicitias accusationes, odia et iniurias foveri, ut quo modo vis morborum pretia medentibus, sic fori tabes pecuniam advocatis ferat.» (XI, 6, pp. 438-40): la denuncia ricorre nei

Ragguagli;

I capi della Gallia “Comata” chiedono la facoltà di ottenere cariche a Roma e Claudio vuole integrare il Senato (XI, 23, pp. 458-59): cfr. analogia con le tante ambascerie ad Apollo e in particolare ragguaglio in cui questi provvede a sostituire i senatori morti o passati a fare i governatori (III 94);

«Adnotabant periti […]» (XII, 25, p. 500): cfr. le analoghe formule riferite ai pareri dei politici «più accapati» di Parnaso, frequenti nei Ragguagli;

«qua pugna filius legati M. Ostorius servati civis decus meruit» (XII, 31, pp. 504-06): cfr. «le corone murali, le rostrali, le civiche» (III 66);

«e il copista curioso e poco fedele ne serbò per sé una copia [delle istruzioni date dal Sermoneta per ottenere il pontificato], la quale mi è capitata nelle mani ed è la seguente» (III 92);

«et fixum est <aere> publico senatus consultum […].» (XII, 53, p. 528): cfr. le leggi romane delle XII tavole (I 83) e le «tavole della eternità» del fòro massimo (II 90), nonché le «perpetue tavole di metallo» del fòro Delfico (III 95);

«sed neque Neroni infra servos ingenium […].» (XIII, 2, p. 548): cfr. I 19;

«nec defuere qui arguerent viros gravitatem adseverantes, quod domos villas id temporis quasi praedam divisissent.» (XIII, 18, pp. 564): cfr. le analoghe critiche a Seneca (I 4 e II 78);

«[…] cum ex dignitate populi Romani repertum sit res inlustres annalibus, talia diurnis urbis actis mandare.» (XIII, 31, p. 578): per il riferimento ai giornali di Roma;

Possibile che Boccalini istituisca un parallelismo fra la lotta contro i Parti, costante spina nel fianco per l‟impero romano (contro di essi si impegnarono Lucullo, Pompeo, tutta la dinastia Giulio-Claudia, il generale Corbulone, e poi ancora Traiano), e quella contro gli Ottomani. In particolare, per la vittoria di Corbulone contro i Parti, Nerone riceve il titolo di “imperator”, gli si conferiscono onori e si decreta di considerare giorno festivo quello della vittoria, quello dell‟arrivo della notizia e quello della relazione in Senato (XIII, 41, pp. 592-93): cfr. analogia, anche se a maglie larghe, con gli onori tributati a Offredo Giustiniani, che per primo annunciò la vittoria di Lepanto a Venezia e che per questo fu creato cavaliere dal senato veneziano (III 66);

«[detto di Seneca] qua sapientia, quibus philosophorum praeceptis intra quadriennium regiae amicitiae ter milies sestertium paravisset?» (XIII, 42, p. 594): cfr. le analoghe affermazioni riferite sempre a Seneca (per questo si veda in particolare il cap. 4);

«Isdem consulibus auditae Puteolanorum legationes […]» (XIII, 48, p. 602): cfr. le frequenti delegazioni di ambasciatori che si recano in udienza da Apollo;

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«[…] cuius rei iudicium princeps senatui, senatus consulibus permisit. Et rursus re ad patres relata, prohibiti publice in decem annos eius modi coetu Pompeiani […]». (XIV, 17, p. 634): cfr. analogia coi casi in cui le deliberazioni vengono demandate da Apollo ad altri consessi, con passaggio circolare di consegne;

«[…] quae causa Neroni fuit suscipiendi iudicii […]» (XIV, 50, p. 666): cfr. le regolari udienze di Apollo;

«[…] et additae supplicationes templumque fecunditatis […]» (XV, 23, p. 710): cfr. I 78 e III 45; Nerone declama e suona e la folla assiste (XVI, 4, pp. 769-71): analogia, per quanto attenuata in Boccalini, con un ragguaglio in cui la folla accorre non per assistere alla disputa fra Aristotele e Platone, ma solo per ascoltare «i cantimbanco» (II 55);

«[…] Ostorius multa militari fama et civicam coronam apud Britanniam meritus […]». (XVI, 15, p. 780): cfr. «le corone murali, le rostrali, le civiche» (III 66, già citato).

Da Historiae, vol. primo (libri I-II):

«Inermes provinciae atque ipsa in primis Italia, cuicumque servitio exposita, in pretium belli cessurae erant» (I, 11, p. 104); cfr. i vari ragguagli in cui si parla dell‟Italia contesa tra Francia e Spagna.

«Paucis iudicium aut rei publicae amor [il frangente è quello della discussione sull‟opportunità di adottare un successore di Galba]: multi stulta spe, prout quis amicus vel cliens, hunc vel illum ambitiosis rumoribus destinabant, etiam in Titi Vini odium, qui in dies quanto potentior eodem actu invisior erat.» (I, 12, p. 106): cfr. III 94, già citato: «Onde, essendosi penetrata la mente d'Apollo, molti senatori corsero subito a Sua Maestà, la quale è stato riferito che rimase di essi molto scandalizzata, poiché consumôrno la udienza piuttosto in suggerire i difetti di questo e di quello, che in ricordare i meriti e le virtù de' buoni, e che gli apportò nausea il vedere che quei senatori, nel proporre qualche soggetto, apertamente mostravano d'aver riguardo maggiore alla propria passione che alla reputazione di lui e di quell'eccelso senato; […]»;

«Etiam si ego ac tu [sono parole di Galba a Pisone] simplicissime inter nos hodie loquimur, ceteri libentius cum fortuna nostra quam nobiscum; […]» (I, 15, pp. 114-16): cfr. II 74: «che la maggior parte degli uomini con tanto poca virtù di animo grato vivevano al mondo, che viziosamente solo