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I principi dell'universo tramite il loro ambasciatore si lamentano presso Apollo

Riassunti e Apparato

I 99 I principi dell'universo tramite il loro ambasciatore si lamentano presso Apollo

della disaffezione e del tradimento così frequenti nei soldati e nei capitani (erano arrivati al punto che dovevano temere più «il servitore amico» che «il prencipe nimico») e nei popoli (che parevano provare, nel cambiare continuamente principe, lo stesso gusto «che aveano di variar vivande alla mensa»), e chiedono di instillare in essi l'amor di patria «che svisceratissimo si vede ne' sudditi delle republiche». Apollo risponde che il mezzo per suscitare presso i sudditi quel bene

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preziosissimo era più in potere loro che suo, e consisteva nell‟esercitare la giustizia e la liberalità, perché gli uomini, che per istinto amano la propria terra, se ne disamorano facilmente qualora i governanti gliela rendano odiosa: «essendo particolare instinto degli uomini di più tosto volere intirizzirsi di freddo, che stare a quel fuoco che empiendo la stanza di fumo faceva lacrimar gli occhi».

I 100 Ancora contro la critica pedantesca e in difesa di Tasso.

A un virtuoso che gli presenta una severa ma noiosa quanto inutile censura di un poema italiano (probabile allusione a Leonardo Salviati), Apollo rivolge un aspro rimprovero: «ai suoi pari si donava il buon del mellone, il rifiuto delle scorze alle bestie: che però immondizie tali in un carretto portasse alla cloaca massima o che la gettasse nel fiume, e che a lui presentasse i concetti buoni e le cose tutte virtuose che aveva notate in quell‟opera, ché non solo con avidità grande le avrebbe lette, ma che ne li avrebbe ancora avuta somma obbligazione». Quindi, per dimostrargli l‟evidenza dell‟inutilità e dannosità di quel tipo di operazione, gli fa portare dal suo «fattor generale» Columella un moggio di grano e gli ordina di separarne il loglio a mano, senza il crivello; quando poi gli chiede di venderlo in piazza, o di donarlo e di provare con ciò ad acquistarsi un amico, il virtuoso finalmente si accorge che «le immondizie che altri cavava dalle cose buone» non valevano «né per vendere né per donare». Mitigato lo sdegno, Apollo fa presente che neppure i capolavori vanno esenti dalle imperfezioni, e che i critici malevoli che si compiacciono nel rintracciare i difetti risultano fastidiosi come «vili e fetenti scarabei», mentre sono saggi quelli che evidenziano i pregi delle opere, come le api che sanno trarre il miele anche dai fiori amari. Quando infine sopraggiunge l'autore del poema incriminato (probabile allusione a Tasso) e chiede risentito di poter rispondere alla stroncatura con un'apologia, Apollo lo invita a “fare orecchie da mercante” per non dare risonanza a quelle futili chiacchere («Sorrise allora Apollo, e a costui disse che alle genti altrettanto poco saggio si mostrava chi con l'apologie metteva in riputazione le altrui chiacchiere, quanto molto maligno chi pubblicava le censure»): quel viandante che in pieno luglio nel suo cammino veniva annoiato dallo strepito delle cicale, era pazzo se per ucciderle tutte scendeva da cavallo, molto saggio se «con un buon paio di orecchi fingendo il sordo, attendeva a fare la sua strada, e le lasciava cantare e crepare».

A Columella (sec. I); Petrarca Francesco;

Tasso Torquato (1544-1595), probabile allusione;

un virtuoso: probabile allusione a Leonardo Salviati (1540-1589), fiorentino.

B Ippocrate (460 ca-370 ca a.C.); Livio (59 a.C.-17 d.C.);

Omero (secc. VIII-VII a.C.); Orazio (65-8 a.C.);

Ovidio (43 a.C.-17 d.C.); Pindaro (520 ca-438 ca a.C.);

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Sofocle (forse 497-406 a.C.); Tacito (55-120);

Virgilio (70-19 a.C.).

C Data anche l‟alta visibilità del testo dovuta alla collocazione alla fine della centuria, sorprende un po‟ rilevare come, a proposito dell‟identificazione dei due protagonisti del ragguaglio, Firpo “scivoli via” con la breve nota che qui riporto: «è impossibile identificare l‟autore della censura

fatta sopra un poema di un virtuoso italiano, il cui nome il Boccalini volle prudenzialmente tacere:

certo si tratta d‟uno degli scritti polemici divulgati in gran copia nel corso della disputa su Dante (cui già è dedicato il precedente256 ragguaglio) o in quella accesasi tra il Tasso e la Crusca». Da una lettura attenta del ragguaglio emergono invece alcuni indizi, sui quali richiamo brevemente l‟attenzione qui di seguito, che lasciano poco adito a dubbi circa il riferimento alle critiche mosse, probabilmente dal Salviati, sicuramente a Tasso - autore che Boccalini mostra apertamente di stimare257 e che probabilmente riteneva il più grande poeta dopo Petrarca (per rimanere a questo ragguaglio, non pare un caso che l‟unico nome esibito sia proprio quello dell‟autore del Canzoniere, a cui Apollo inizialmente si rivolge, in un moto di sdegno, certo di trovare comprensione, come al più degno e capace insomma di valutare l‟alta qualità del poema che il critico malevolo intendeva demolire).

Dunque, quando Apollo fa presente che l‟imperfezione si assume come inevitabile in tutte le opere umane, compresi i capolavori letterari, le sue parole sono queste: anco dagli scritti di

Omero, di Virgilio, di Livio, di Tacito e di Ippocrate, ch‟erano la meraviglia degli inchiostri, quando altri con la stamigna di un accurato studio avesse voluto stacciarli, sempre avrebbe cavato un poco di crusca. In esse sono trasparenti sia il richiamo alla Stacciata del Salviati, cui Tasso

rispose con l‟Apologia (1584)258 - a cui, non a caso, si lascia cadere un‟allusione verso la fine del ragguaglio, quando il letterato contro del quale era stata composta la censura, comparso in gran fretta davanti ad Apollo, instantemente chiese che ne gli fosse data copia, affine che al suo

malevole con un‟apologia avesse potuto rispondere -, sia il richiamo all‟Accademia della Crusca

(che infatti è allegata da Firpo nella nota di cui sopra, in relazione appunto alla polemica sulla

Gerusalemme liberata, e però è posta in alternativa con l‟altra polemica, attorno a Dante,259 che invece suona poco plausibile: è difficile credere che Boccalini, che pure in una certa misura tratta Dante come uno dei tanti poeti radunati in Parnaso, e che col suo modo di procedere “onnicomprensivo” li mette un po‟ tutti alla pari, possa indicare la Commedia, genericamente, giusta la perifrasi che compare nella rubrica, come un poema di un virtuoso italiano).

Dietro il rifiuto dei modi sprezzanti azzardati nella critica contro Tasso (non dissimili dal trattamento riservato a Dante, due ragguagli più su), si sente, forse, anche l‟eco della tormentata vicenda umana, oltre che letteraria, che, com‟è noto, portò il poeta persino a sottoporsi più volte al giudizio dell‟Inquisizione, oltre che a vedersi pubblicato il poema senza la sua approvazione. Con parole “aspre e chiocce” Apollo pare insomma voler affermare l‟esigenza di maggiore dignità e rispetto, che ci si deve poter attendere dai letterati (i quali, giudiciosi e amorevoli, devono essere attenti ad occultare quei difetti de‟ virtuosi scrittori che invece dai maligni vengono

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In realtà si tratta di I 98. 257

Cfr. I 28 e I 58: nel primo si elogia la Gerusalemme liberata e si polemizza contro

l‟aristotelismo letterario e contro Castelvetro in particolare; nel secondo si elogia l‟Aminta e si riconosce a Tasso una grandezza inimitabile: nominato prencipe poeta e gran contestabile della

poesia italiana, gli si attribuiscono infatti anche le insegne reali, solite concedersi a‟ titolati poeti, di poter tenere i pappagalli alle finestre, le scimmie alla porta.

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Cui seguì la replica del Salviati che, collo pseudonimo di Infarinato, pubblicò a Firenze nel 1585 una Risposta all‟Apologia di Torquato Tasso.

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Forse suggerita, oltre che dal precedente di I 98, anche dai toni a tratti espressionistico- infernali di quest‟ultimo ragguaglio, cui si aggiungono anche sfumature invece più delicate, che però a loro volta riecheggiano alcune movenze dantesche (si veda l‟incipit: Già Apollo avea

fornito il faticoso corso del giorno, quando nell‟orizzonte del ponente scendendo dal suo radiantissimo carro, gli si fece innanzi un virtuoso).

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propalati): e che la professione di cavar dai poemi altrui le sole immondizie solo era mestiere da

vili e fetenti scarabei, che nelle più puzzolenti sporcizie degli escrementi altrui con sommo gusto menavano la vita loro: cosa molto lontana dall‟esercizio di quegli onorati letterati, che fruttuosamente pascono gli animi loro di cose virtuose.

È certo che nel ragguaglio ricorre tre volte l‟aggettivo pazzo:260

pur essendo utilizzato anche altrove nell‟opera e, contestualmente, pur essendo riferito ad entrambi i contendenti (nelle prime due occorrenze all‟anonimo critico, nella terza al poeta) - all‟atteggiamento dei quali fa da contrappeso l‟equilibrio mantenuto da Apollo, anche nello sdegno -, sembra però legittimo leggervi una connotazione in direzione tassiana (del poeta si dice anche che era accorso

alteratissimo al cospetto di Apollo, per difendere il suo poema), soprattutto nella chiusa che ha

sapore donchisciottesco.

Quanto invece alla “prudenza”, ricordata da Firpo nella nota suddetta, con cui Boccalini celerebbe i nomi dei protagonisti del ragguaglio, essa pare - qui, del resto, come in altri casi - più presunta che effettiva. Sulla soglia del ragguaglio il menante dichiara, è vero, di voler tacere per cautela, ma, data la trasparente (come a me pare dimostrabile) riconoscibilità dei due virtuosi, si tratta di un‟affermazione ironica, o comunque giocata sul filo del rasoio:261 li lascia nell‟”anonimato”, certo che il lettore intuisca - se non subito, poi - di chi si tratti. Semmai, questa reticenza si offre come una strategia di intervento militante, con cui Boccalini, e nelle vesti semiserie di scrittore satirico e in quelle impegnate di fautore o “partigiano” di Tasso (come si è detto),262

in linea con quanto il suo alter-ego Apollo in questo stesso ragguaglio consiglia espressamente al poeta, tace il nome dell‟avversario per gettare, proprio con un silenzio significativo, discredito su di lui, per additarlo implicitamente come indegno di essere seriamente tenuto in considerazione (come fa Dante in I 98 quando dichiara di non conoscere i banditi che l‟anno assalito: «disse che non conosceva quelli che così male l'avevano trattato»).

Infine, riconsiderando anche il terzultimo ragguaglio: posto che I 98 e I 100 risultano allacciati fra loro (lo suggeriva già Firpo, e qui aggiungo che depongono a favore della continuità fra i due testi anche le date delle opere cui indirettamente si alluderebbe, che si pongono in progressione cronologica), si può affermare che qui il menante-Boccalini - che gioca a nascondersi ma in realtà esce allo scoperto, con la fierezza e l‟audacia che lo contraddistinguono nei Ragguagli - vuole dimostrarsi più coraggioso di Ronsard e con ciò forse, proseguendo e rilanciando la polemica letteraria che fa da sfondo ai due avvisi, criticare l‟atteggiamento cauto e in primis il gusto classicistico del fondatore della Pleiade, e soprattutto - definitivamente - prendere le distanze dal malinteso senso del classicismo dei letterati pedanti (per questo si veda il già ricordato I 28, sul fraintendimento della Poetica di Aristotele e contro Castelvetro in particolare, in difesa del poema di Tasso).

260 Riporto di seguito le tre occorrenze: […] quando intraprese il pazzo negozio di lasciar le rose

che aveva trovate nel poema censurato da lui, per far inutile e vergognosa conserva delle spine;

[…] non sapea vedere com‟egli fosse così pazzo, che potesse indursi a credere che nella lezione

di quelle sue malignitadi avessero voluto gettar quelle ore che utilmente potevano spendere nello studiar le vigilie di Pindaro, di Sofocle, di Ovidio e del suo dilettissimo Orazio venosino; […] e che quel viandante che in mezzo dell‟infocato luglio nel suo cammino veniva annoiato dallo strepito delle cicale, affatto era pazzo se per ucciderle tutte scendeva da cavallo, molto saggio se, con un buon paio di orecchi fingendo il sordo, attendeva a fare il suo cammino, e le lasciava cantare e crepare.

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Né è da escludere - e questo vale per molti dei ragguagli - che si tratti di una tecnica allusiva a imitazione di analoghi riferimenti, che si collocano tra il criptico e l‟intellegibile, sparsi nella

Commedia.

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2.2. CENTURIA SECONDA