PARTE II: I REQUISITI PER ACCEDERE ALLA
1. La definizione di “beneficiario di protezione sussidiaria”
La prima norma della Direttiva Qualifiche (DQ) che dobbiamo analizzare è l'Art. 2. In esso, infatti, sono contenute una serie di definizioni, indispensabili per individuare i soggetti che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva. La lettera f), in particolare, dichiara “persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria” chiunque sia “cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito nell'articolo 15, e al quale non si applica l'articolo 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non può o,
a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese”.
Secondo quanto desumibile dal testo appena citato, il primo imprescindibile elemento per poter beneficiare dello status di protezione sussidiaria è un elemento di carattere negativo: consiste, infatti, nell'assenza, in capo al richiedente asilo, dei requisiti per essere riconosciuto come “rifugiato”. Ciò, evidentemente, fa sì che la tutela offerta dall'istituto che stiamo analizzando sia – come già più volte affermato – una tutela di carattere “complementare”, e non aggiuntivo, rispetto a quella offerta dallo status di rifugiato. Essa interverrà, infatti, solo nel caso in cui un soggetto non abbia i requisiti per essere considerato rifugiato. Viceversa, il rifugiato non potrà mai essere considerato (né in via esclusiva né in via ulteriore) beneficiario di protezione sussidiaria.
Altro elemento da considerare fin da subito è che – stando sempre alla lettera della stessa disposizione – alla protezione sussidiaria possono accedere, oltre agli apolidi, soltanto i cittadini di Stati terzi (ovvero non aderenti all'Unione Europea). Tale limitazione pone una presunzione assoluta, secondo la quale un soggetto non può subire un danno grave all'interno dei confini dell'Unione Europea. Ora, dal momento che la protezione sussidiaria è uno strumento di carattere regionale e ulteriore rispetto alla protezione sancita dalla Convenzione di Ginevra, si può certo argomentare che la scelta operata dalle istituzioni europee, per quanto politicamente discutibile, sia comunque giuridicamente legittima, dal momento che non si pone in contrasto con alcuno strumento internazionale. Bisogna ricordare, tuttavia, che identica presunzione è stata prevista, all'interno della stessa Direttiva Qualifiche, con riferimento alla dichiarazione dello status di rifugiato:
alla lett. d) dello stesso Art. 2, si definisce, infatti, rifugiato il “cittadino di Stato terzo […]”. Così facendo, però, viene surrettiziamente introdotta, a livello regionale, una limitazione territoriale dell'ambito di applicazione della Convenzione di Ginevra. In tal caso, dunque, oltre che politicamente discutibile, la scelta operata è stata ritenuta da alcuni autorevoli commentatori anche giuridicamente illegittima, in quanto potenzialmente idonea ad entrare in conflitto con la Convenzione di Ginevra di cui tutti gli Stati UE fanno parte. Per tali motivi l'UNHCR, sostenuto da parte della dottrina,94 non ha esitato a esprimere
preoccupazione per tale scelta, definendola una “de facto restriction of the refugee definition” e raccomandando ai legislatori nazionali di rendere chiaro “that protection under the 1951 Convention should be granted to all applicants who fulfill the Convention’s refugee definition”.95
Continuando a leggere il testo dell'Art. 2, si ricava poi che l'elemento che caratterizza in positivo la figura dell'avente diritto alla protezione sussidiaria è quello del “grave danno”, mentre quello caratterizzante la figura del rifugiato abbiamo visto essere la “persecuzione”. Si afferma, infatti, nel testo della Direttiva Qualifiche, che il richiedente asilo – non qualificabile come rifugiato né cittadino europeo – può ottenere la tutela sussidiaria allegando la presenza di “fondati motivi” per ritenere sussistente il “rischio effettivo di subire un grave danno” qualora ricondotto nel Paese di cittadinanza (o di provenienza, nel caso dell'apolide). La stessa norma, poi, rinvia all'Art. 15, Direttiva Qualifiche, per la puntualizzazione della nozione di “grave danno”. Su quest'ultima disposizione, dunque, dovremo soffermarci con
94 Vedi McADAM, The European Union Qualification Directive: The Creation of a
Subsidiary Protection Regime, in Int J Refugee Law(2005) 17 (3), pag. 469-470 95 UNHCR, Annotated Comments on the EC Council Directive 2004/83/EC of 29
particolare attenzione, al fine di cogliere il significato specifico della tutela accordata. Prima, però, finiamo di analizzare l'Art. 2, Direttiva Qualifiche. Secondo l'articolo 2, ultima parte, non ha diritto alla tutela sussidiaria colui al quale si applichino i primi due paragrafi dell'articolo 17, Direttiva Qualifiche. Quest'ultimo articolo, in analogia con l'articolo 1(F) della Convenzione di Ginevra, fissa una serie di cause di esclusione – dettate per lo più da esigenze di “ordine pubblico” – che analizzeremo in un apposito paragrafo.
Ultimo elemento della definizione ex Art. 2(f) Direttiva Qualifiche, è che il richiedente asilo – per essere ammesso a godere della protezione sussidiaria – non deve poter avvalersi della protezione del proprio paese di cittadinanza o (nel caso dell'apolide) di provenienza. Quest'elemento, che riprende in maniera pressoché identica quanto affermato dalla Convenzione di Ginevra con riferimento ai rifugiati, è sintomatico della volontà di tutelare non soltanto coloro i quali subiscono direttamente un “grave danno” da parte delle autorità statali del proprio Paese, ma anche coloro i quali non sono sufficientemente tutelati dalle stesse autorità. Tale volontà risulta, peraltro, esplicitata dall'Art. 6, Direttiva Qualifiche, laddove si elencano tra i possibili responsabili della persecuzione o del danno grave anche “soggetti non statuali”, a patto che si riesca a dimostrare che i soggetti statali o comunque in grado di controllare lo Stato o una porzione consistente del suo territorio “non possono o non vogliono fornire la protezione” necessaria. Come, specifica l'Art. 8 Direttiva Qualifiche, inoltre, gli Stati membri possono rifiutarsi di concedere la protezione laddove ritengano che il richiedente asilo potrebbe ottenere la tutela del proprio Paese di origine in un'area diversa da quella di provenienza, a patto però che il rimpatrio eventualmente conseguente al rifiuto di fornire protezione possa avvenire in maniera legale e senza mettere a
repentaglio l'incolumità del soggetto.