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Il ruolo della Corte di Giustizia e dell'Ufficio Europeo d

PARTE III: IL CONTENUTO OGGETTIVO DELLA

CAPITOLO 3. LA PROTEZIONE SUSSIDIARIA NEL

4. Il ruolo della Corte di Giustizia e dell'Ufficio Europeo d

Come sottolineato dall'UNHCR, un'Unione Europea che ha dichiarato di essere un'area di giustizia non può tollerare una situazione in cui “refugee's chances of being granted protection vary dramatically depending on the Member State in which he or she applies for protection”.158 È opportuno chiedersi quali interventi potrebbero essere

attuati oggi in ambito europeo per rendere maggiormente omogenee le valutazioni effettuate dalle diverse autorità nazionali a fronte di situazioni analoghe.

Una prima possibile linea di intervento sarebbe, probabilmente, quella di coinvolgere maggiormente la Corte di Giustizia nell'interpretazione dei criteri dettati dalla Direttiva Qualifiche. Al momento, infatti, la Corte del Lussemburgo si è espressa solo in un numero limitato di circostanze per specificare, ad esempio, le nozioni di “persecuzione” e “danno grave”. Ancora molti, tuttavia, restano i punti della Direttiva applicati in maniera difforme, da Stato a Stato, e che necessiterebbero di una puntuale ricostruzione da parte della Corte.

Importanti dubbi interpretativi riguardano, ad esempio, i criteri per accedere alla protezione sussidiaria. Abbiamo visto, infatti, come sulla nozione di “violenza indiscriminata”, rilevante ai sensi dell'Art. 15, lett. c), Direttiva Qualifiche, sia intervenuta (in maniera peraltro non del tutto risolutiva) la Corte di Giustizia. Tuttavia, anche altri elementi

158UNHCR, Asylum in the European Union. A Study of the Implementation of the

della fattispecie prevista dall'Art. 15(c) necessiterebbero di essere portati al vaglio della Corte, dal momento che di essi gli Stati continuano a fornire interpretazioni per nulla omogenee. Una riflessione in tal senso merita il tema della “fonte” della violenza, che alcuni Stati ritengono rilevante ai fini dell'applicazione della norma. Pur non essendo specificato all'interno della disposizione in esame che la violenza debba necessariamente provenire da una delle parti in conflitto, la giurisprudenza tedesca, ad esempio, prevede che la violenza meramente criminale non debba essere tenuta in considerazione, a meno che non provenga da una delle parti in conflitto.159 Tale interpretazione, che non trova alcun riscontro nella

lettera della disposizione, restringe ulteriormente il campo di applicazione della norma, senza tener conto delle dinamiche reali che si verificano nei conflitti contemporanei.

«Today’s armed conflicts» – afferma l'UNHCR – «are characterized not just by indiscriminate violence perpetrated by parties to the conflict, but indiscriminate violence by other actors exploiting a breakdown of law and order. In fact, it is frequently difficult to

distinguish between threats of violence emanating from combatants and those deriving from criminals. From the perspective of civilians

present in areas ravaged by such violence, the threat to life or person remains real regardless of the perpetrators or their motives». Pertanto, conclude la nota, «there is nothing in Article 15 (c) that limits its application according to the source of the violence as long as it arises

in the context of an armed conflict».160

Conformemente a quanto sostiene l'Alto Commissariato delle Nazioni

159Federal Administrative Court, Sentenza del 24.6.2008, BverwG 10C 43.07 – VGH 13a B 05.30833, para 24 in UNHCR, Safe at last?, ibidem.

160UNHCR, Safe at last? Law and practice in selected EU member States with

Unite, Stati quali il Belgio, la Francia e il Regno Unito non richiedono invece che la minaccia alla vita o alla persona sia posta dai protagonisti del conflitto in questione. In tal senso, possiamo richiamare quanto recentemente affermato dall'UKUT (United Kingdom Upper Tribunal): «It is not necessary for the threat to life or person to derive from protagonists in the armed conflict in question: it can simply be a product of the breakdown of law and order».161 Su tale punto, quindi,

un'interpretazione della Corte di Giustizia sarebbe quanto mai necessaria.

Un'altra disposizione della Direttiva Qualifiche sulla quale sono sorte notevoli questioni, e la cui interpretazione influenza notevolmente anche l'ambito di applicazione della protezione sussidiaria, è l'Art. 8 (“Protezione all’interno del paese d’origine”). Tale articolo garantisce agli Stati la possibilità di rifiutare la propria protezione al richiedente che possa ottenere analoga protezione “in una parte del territorio del paese d’origine”. Come rilevato sempre dall'UNHCR, «the manner in which the provisions of the Qualification Directive on internal protection are applied may be another reason why in some Member States subsidiary protection in accordance with Article 15 (c) is hardly granted, if at all».162 Sulla base del combinato disposto degli Artt. 8(1)

e 15(c) DQ, infatti, gli Stati possono escludere la protezione sussidiaria laddove la situazione di violenza indiscriminata – allegata a fondamento della richiesta di protezione – non interessi l'intero Paese di provenienza del richiedente asilo, ma soltanto determinate aree. Dal momento, però, che la situazione di violenza indiscriminata rilevante ai fini dell'Art. 15 è di per sé interpretata in maniera particolarmente restrittiva dagli Stati membri, sarà molto improbabile che tale

161UKUT, Sentenza del 22.9.2010, Caso HM and Others, para 80 in UNHCR, Safe

at last?, ibidem.

situazione sia presente sull'intero territorio nazionale. Di conseguenza, sarà piuttosto facile per lo Stato di arrivo negare la sussistenza dei presupposti per accedere alla protezione sussidiaria, qualora questa sia richiesta adducendo esclusivamente il rischio contemplato dall'Art. 15 (c).

Tuttavia, secondo quanto previsto dall'Art. 8, il richiedente può essere escluso dalla protezione internazionale e rimpatriato in una regione diversa del proprio Paese di provenienza solo quando “può legalmente e senza pericolo recarsi ed essere ammesso in quella parte del paese e si può ragionevolmente supporre che vi si stabilisca”. Tale clausola è stata aggiunta appositamente dalla Direttiva Qualifiche Recast, in risposta a due sentenze della Corte di Strasburgo. Nella prima, quella sul caso Sheekh c. Paesi Bassi,163 la Corte aveva affermato che “as a

precondition for relying on an internal flight alternative certain guarantees have to be in place: the person to be expelled must be able to travel to the area concerned, gain admittance and settle there”. Secondo quanto affermato dalla Corte, infatti, l'esecuzione di un rimpatrio in assenza delle suddette garanzie darebbe luogo ad una violazione dell'Art. 3 CEDU, tanto più se in assenza di tali garanzie vi sia “a possibility of the expellee ending up in a part of the country of origin where he or she may be subjected to ill-treatment”. Nella seconda delle due sentenze – quella sul caso Sufi ed Elmi c. R.U.164

la Corte aveva, inoltre, osservato come la situazione di violenza generalizzata non sia l'unico rischio “that a returnee might have to face if he were to relocate to another part of southern and central Somalia”. Nel caso specifico, infatti, secondo quanto sostenuto dalla Corte, le aree con i più bassi livelli di violenza generalizzata (quelle del sud e

163CEDU, Caso Salah Sheekh c. Paesi Bassi, sentenza del 11.1.2007, Appl n° 1948/04, para 141

164CEDU, Caso Sufi ed Elmi c. Regno Unito, sentenza del 28.6.2011, Appl 8319/07 e 11449/07

centro) sono le aree che risultano avere le peggiori condizioni per quanto riguarda i diritti umani, a causa dell'egemonia esercitata nella zona dal gruppo integralista al-Shaaby. Un'eventuale ricollocazione all'interno di tale area, conclude pertanto la Corte, darebbe luogo ad una violazione dell'Art. 3 della Convenzione europea.

Nonostante le sentenze della CEDU ed il successivo intervento del legislatore europeo, l'applicazione della c.d. “Internal Protection Alternative” (IPA) rappresenta ancora oggi uno dei principali fattori di differenziazione nel riconoscimento della protezione internazionale da parte degli Stati UE. Proprio il Regno Unito, ad esempio, protagonista del caso Sufi ed Elmi, sta attualmente portando avanti una politica di rimpatri dei richiedenti asilo afgani nella città di Kabul, dove, secondo un recente studio pubblicato sull'International Journal of Refugee Law, più del 80% della popolazione vive in accampamenti di fortuna, «where there is limited access to basic health services and food security and where deaths frequently occur in the harsh winter conditions».165 Secondo lo stesso studio, inoltre, molti di coloro che

vengono rimpatriati dalle autorità britanniche sono minori non accompagnati, “who face a significant risk of forced marriage and sexual abuse”. Pertanto, conclude, la ricerca, «it is clear […] that the return to a so-called IPA may result in exposure to human rights violations». Altri Stati, invece, come ad esempio la Francia, hanno opportunamente deciso di disapplicare del tutto (o quasi) l'Art. 8, fin dall'entrata in vigore della Direttiva qualifiche, alla luce appunto delle gravi implicazioni che esso comporta sui diritti umani dei richiedenti asilo.166 Non è un caso, quindi, se nel 2014 il tasso di riconoscimento

165GHRAINNE, The Internal Protection Alternative Inquiry and Human Rights

Considerations – Irrelevant or Indispensable? In International Journal of Refugee

Law, 2015, Vol. 27, No. 1, p. 31.

166UNHCR, Implementation of the Qualification regime, ibidem, p. 64: “There has been no reported decision in France where an applicant has been denied protection in France on the basis that he or she could find protection in another

dei richiedenti asilo afgani in Francia è stato decisamente più elevato di quello che si è riscontrato nel Regno Unito: in Francia, infatti, una forma di protezione è stata riconosciuta in prima istanza nel 85% dei casi, mentre in Regno Unito solo nel 35%.167

Da quanto fin qui detto, risulta pertanto che diverse e significative sono le incongruenze tuttora riscontrabili nella valutazione (operata dagli organi nazionali competenti) dei requisiti per accedere alla protezione internazionale. Su tali incongruenze, la Corte di Giustizia è intervenuta fino ad oggi solo parzialmente e in maniera non sempre decisiva. Nel valutare il ruolo svolto dalla stessa Corte, in materia di protezione internazionale, dobbiamo tuttavia tenere conto di un elemento fondamentale. Nella formulazione dell'Art. 68 TCE precedente al Trattato di Lisbona, infatti, il rinvio pregiudiziale nelle materie del Titolo IV, Parte III, era possibile solo da parte delle Corti nazionali di ultima istanza. Tale peculiarità è stata eliminata dal Trattato di Lisbona. È possibile, pertanto, ritenere che gli interventi della Corte in materia di riconoscimento degli status di protezione – fino ad oggi non troppo numerosi – siano destinati ad aumentare. Un altro mezzo per aumentare il grado di uniformità delle soluzioni adottate in situazioni analoghe all'interno dei Paesi europei sarebbe poi - a nostro avviso – quello di potenziare il ruolo dell'Ufficio europeo di

sostegno per l'asilo (EASO nell'anagramma inglese), istituito nel 2010

tramite un apposito Regolamento.168 Secondo quanto previsto dal

Considerando n° 13, del Regolamento istitutivo: “L’Ufficio di sostegno

part of their country of origin where the individual had not lived previously. This is apparently not due to the fact that the issue is not raised in the determination of cases, but that the criteria established by the Asylum Law, as amended by the Constitutional Court, are rarely found to be satisfied”.

167AIDA, ibidem, p. 23.

168Regolamento (UE) n° 439/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19.5.2010 che istituisce l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo.

dovrebbe essere un centro europeo specializzato in materia di asilo con il compito di facilitare, coordinare e rafforzare la cooperazione pratica fra gli Stati membri nei molteplici aspetti di tale settore, in modo che gli Stati membri siano maggiormente in grado di offrire protezione internazionale a coloro che ne hanno diritto, riservando al tempo stesso un trattamento equo ed efficace a quanti non soddisfano le condizioni per beneficiare della protezione internazionale”. Tuttavia, le competenze concretamente attribuite all'EASO sono ad oggi piuttosto variegate ed alquanto generiche: esso, infatti, può elaborare raccomandazioni, raccogliere informazioni sui Paesi di provenienza dei richiedenti asilo, organizzare e promuovere la formazione dei soggetti che lavorano nel settore dell'accoglienza. Secondo quanto espressamente previsto dall'Art. 2(6) del medesimo Regolamento, tuttavia, l'Ufficio “non ha alcun potere in relazione al processo decisionale delle autorità degli Stati membri responsabili per l’asilo per quanto riguarda le singole domande di protezione internazionale”. Dal momento che nessun altro organo dell'UE risulta al momento dotato del potere di incidere sul suddetto processo decisionale, questo risulta essere condotto in via esclusiva da parte delle autorità nazionali competenti, nel rispetto ovviamente della normativa nazionale ed europea.

Lo stesso Consiglio dell'Unione Europea, tuttavia, ha di recente invitato la Commissione europea a portare a compimento uno studio circa la possibilità di istituire un meccanismo europeo di valutazione delle richieste di asilo.169 Anche in risposta a tale richiesta, la

Commissione ha pubblicato nel 2013 un Report intitolato “Study on the feasibility and legal and practical implications for the joint

169Consiglio dell'UE, Programma di Stoccolma, 4.5.2010, disponibile in: http://eur- lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex:52010XG0504(01)

processing of asylum applications on the territory of the EU”.170

Secondo quanto si legge nello studio, una netta maggioranza di tutti coloro che sono stati intervistati nel corso delle ricerche – inclusi “government officials” di sedici Paesi membri – si sono espressi a favore di un accordo in virtù del quale “processing of asylum applications is jointly conducted by two or more Member States, or by the European Asylum Support Office (EASO), with the potential participation of the UNHCR, within the territory of the EU”.

La piena realizzazione di un simile obiettivo comporterebbe, secondo quanto immaginato dalla stessa Commissione, “a completely harmonised, EU-based approach for joint processing of (essentially all) asylum applications within the EU”. In tal caso, specifica il Report, il mandato dell'EASO dovrebbe essere esteso “to allow it to essentially act as an EU agency for asylum issues”. Tale sistema comporterebbe il superamento di una serie di questioni fondamentali, tra cui in particolare quella dei tassi di riconoscimento nettamente disomogenei da Paese a Paese. In ipotesi, infatti, le decisioni sulle domande d'asilo sarebbero prese da ufficiali dell'Unione Europea, sulla base di una normativa unica europea. Inoltre, trattandosi di decisioni prese a livello comunitario, e non più nazionale, esse dovrebbero essere riconosciute da tutti gli Stati membri. Si supererebbe così anche l'annosa questione del mutuo riconoscimento delle decisioni in materia di asilo, che al momento riguarda solo le decisioni negative. La suddetta proposta appare, al momento, la più ambiziosa tra quelle presentate nel Report, presupponendo essa diverse modifiche legislative nell'acquis

communitaire in materia di asilo. «Several legislative steps would be

170Commissione Europea, Study on the feasibility and legal and practical

implications for the joint processing of asylum applications on the territory of the EU, 2013, disponibile in: http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/e- library/documents/policies/asylum/common-

required, including amending the founding regulation of EASO in order to award EASO decision-making powers and creating a specialised court under the Court of Justice of the European Union to hear the appeals against the administrative decisions issued by EASO».171 Per quanto difficilmente realizzabile nel breve periodo, tale

opzione rappresenta a nostro avviso il punto di arrivo necessario nel processo di creazione di un sistema di asilo comune che, in virtù dell'Art. 78 TFUE, dovrebbe includere anche “procedure comuni per l'ottenimento e la perdita dello status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria” (paragrafo 2, lett. d).

Come suggerito dalla stessa Commissione, un primo passo verso la realizzazione di un sistema totalmente integrato potrebbe essere quello di incrementare le competenze dell'Ufficio Europeo nella fase iniziale del procedimento di valutazione delle singole domande d'asilo. Membri specializzati dell'Ufficio Europeo, infatti, potrebbero coadiuvare gli organi nazionali competenti nella fase istruttoria (preparando dossier e fornendo raccomandazioni sui singoli casi), lasciando comunque la decisione finale ai componenti delle autorità amministrative o giudiziarie nazionali. Per descrivere tali prime forme di supporto delle autorità europee nelle procedure nazionali di valutazione delle richieste di asilo, si può correttamente parlare (piuttosto che di “joint processing”) di un “supporting processing”. Un simile sistema, da un lato, non intaccherebbe la sovranità degli Stati

171Commissione europea, Study on the feasibility and legal and practical

implications for the joint processing of asylum applications on the territory of the EU, 2013, p. 6, disponibile in: http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/e- library/documents/policies/asylum/common-

procedures/docs/jp_final_report__final_en.pdf. Ma vedi anche Commissione europea, ibidem, p. 82: “In order to comply with the requirement to provide the fundamental right of remedy and appeal, a specialised court could be created under Article 257 TFUE with a specific mandate in this field and would function under the Court of Justice of the European Union, whereby the General Court would be able to review its decisions on matters of law or fact”.

Membri, dall'altro, favorirebbe comunque una maggiore uniformità di giudizio. Alcune proposte in questa direzione sono state peraltro già previste dal Consiglio dell'Unione Europea, nella riunione straordinaria tenutasi in data 23 aprile 2015. In questa sede, infatti, il Consiglio europeo, oltre a considerare opzioni per la ricollocazione di emergenza dei migranti tra tutti gli Stati membri, ha previsto l'impegno a “inviare squadre EASO negli Stati membri in prima linea ai fini di un esame

congiunto delle domande d'asilo, anche riguardo alla registrazione e al

rilevamento delle impronte digitali”.172

A prescindere da quali riforme verranno in futuro concretamente attuate, risulta comunque evidente come il processo di armonizzazione in materia di protezione internazionale abbia dato risultati finora non del tutto soddisfacenti anche a causa della mancanza di meccanismi idonei a far applicare in maniera uniforme la disciplina sostanziale dettata dall'Unione europea. Del problema sembra essere particolarmente consapevole la Commissione Europea, che nella sua recentissima European Agenda on Migration, ha affermato la necessità di portare avanti una “longer term reflection towards establishing a single asylum decision process […] aiming to guarantee equal

treatment of asylum seekers throughout Europe”.173

172Consiglio Europeo, Riunione straordinaria del 23.3.2015, Dichiarazione, disponibile in: http://www.consilium.europa.eu/it/press/press- releases/2015/04/23-special-euco-statement/

173Commissione europea, A European Agenda on Migration, Bruxelles, 13.5.2015 COM(2015) 240 final, p. 17, disponibile in: http://ec.europa.eu/dgs/home- affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/background-

information/docs/communication_on_the_european_agenda_on_migration_en.pd f

CONCLUSIONI

Giunti alla fine di questo lavoro, vorremmo cercare di tirare brevemente le fila di quanto detto, fissando i concetti più importanti espressi nel corso della tesi. Possiamo, allora, innanzitutto affermare che la nozione di “protezione complementare” può essere considerata una species all'interno del genus “protezione internazionale”. Con la prima locuzione, infatti, s'intendono indicare tutte quelle forme di tutela che gli Stati garantiscono – generalmente in applicazione di obblighi internazionali o costituzionali – ad una serie di soggetti che non rientrano nell'ambito della Convenzione di Ginevra, ma che sono comunque bisognosi della protezione di uno Stato diverso dal proprio (ovvero, in senso lato, di una forma di protezione internazionale). L'Unione Europea, nel processo di istituzione di un sistema comune di asilo, ha opportunamente cercato di regolamentare la materia della protezione complementare, attraverso la creazione di un apposito istituto: quello cioè della “protezione sussidiaria”. Tale istituto fu originariamente pensato, da parte della Commissione europea, quale fonte di tutela da applicare a chiunque – non rientrando nella nozione convenzionale di rifugiato – fosse soggetto al rischio di subire una violazione grave dei diritti umani all'interno del proprio Paese di cittadinanza o (nel caso degli apolidi) di provenienza. Nella bozza originaria di Direttiva Qualifiche, infatti, l'Art. 15(b) prevedeva tra le fonti di danno grave idonee ad integrare i presupposti per la concessione di tutela sussidiaria la “violazione di uno dei diritti umani sufficientemente grave per far sorgere la responsabilità internazionale dello Stato membro”. In tal modo, la protezione sussidiaria sarebbe stata concessa su presupposti analoghi a quelli previsti – dalla stessa Direttiva – per accedere allo status di “rifugiato”, con l'unica (ma