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La delimitazione della fattispecie: il tempo indeterminato

Il primo comma dell’art. 2285 c.c., nel disciplinare il diritto di recesso dalle società personali, attribuisce al socio il potere di sciogliersi ad nutum dal contratto sociale quando la società è costituita «a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci»22.

La giurisprudenza, nell’interpretazione della succitata norma, ha riconosciuto la disponibilità del diritto in parola anche nel caso di termine lunghissimo, superiore alla durata della vita media umana, tale da far ritenere che i soci non “sopravvivrebbero” comunque alla società23.

recesso è previsto come strumento di tutela della libertà contrattuale, non può che concludersi che tale diritto esprime un principio generale e rappresenta la regola applicabile alle obbligazioni contrattuali ad esecuzione continuata prive di termine e, dunque, anche ai patti di sindacato relativi a s.r.l.».

21

Così M.VENTORUZZO,op. ult. cit., p. 573 ss.

22

V. M.GHIDINI,Società personali, Padova, 1972, p. 524 ss.

23

Sul punto v. B. IANNELLO, Recesso del socio da società con durata superiore alla vita media umana, in Società, 1997, II, p. 1032; Trib. Milano,

Volgendo lo sguardo verso i modelli capitalistici può rilevarsi come siffatta equiparazione non sia stata accolta dal legislatore in sede di riforma: è necessario, pertanto, soffermarsi sul sintagma “tempo indeterminato” al fine di individuare le concrete ipotesi in cui il socio, nel rispetto del termine di preavviso, potrà liberamente sciogliersi dal contratto sociale.

Se agevolmente si può convenire sulla durata indeterminata della società quando ciò sia espressamente previsto nell’atto costituivo e, analogamente, in mancanza di ogni indicazione ad essa relativa, è controverso se il socio possa recedere “senza giusta causa” da una società contratta a tempo solo formalmente determinato24.

La dottrina, sul punto, appare divisa.

A sostegno della soluzione negativa sono state invocate, in sostanza, due diverse argomentazioni: la prima, di ordine sistematico, in virtù della quale si è osservato che, consentendo il legislatore la derogabilità del recesso in caso di proroga del termine di durata, deve ritenersi conforme al sistema quella clausola di durata del contratto sociale che prevede un termine “abnorme” senza il riconoscimento del diritto de quo25

.

In realtà, a ben vedere, si tratta di due soluzioni diverse e non perfettamente sovrapponibili: sebbene la proroga possa escludersi come causa di recesso, la proposta di posticipare ad un tempo determinato la scadenza del termine di durata della società deve comunque esser sottoposta al vaglio assembleare; ai soci, allora, verrebbe comunque garantita la possibilità di esprimersi sulla convenienza di tale decisione26.

24

Si pensi ad una società a responsabilità limitata contratta sino al 2100.

25

A.PACIELLO,Commento all’art. 2437 c.c., in Società di capitali, Napoli, 2004, p. 1115.

26

Come rilevato da M.VENTORUZZO,I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, in Riv. soc., 2005, 2, p. 329, «la circostanza che i

soci siano chiamati a votare sulla continuazione della società (a scadenze “ragionevoli”), pur in assenza del diritto di recedere di chi non concorre alla decisione, non può essere a priori considerata un formalismo insignificante

Il secondo orientamento, nel rimarcare le differenze tipologiche sussistenti tra società di capitali e società di persone, esclude per queste ultime l’applicazione analogica dell’art. 2285 c.c.27

Se da una parte può convenirsi sull’insussistenza dei presupposti per l’applicazione analogica dell’art. 2285 c.c. (in particolar modo nelle s.p.a., in virtù del rilievo centrale assunto della persona del socio nei modelli societari personalistici) da un altro punto di vista si ritiene che per interpretare in concreto il sintagma «tempo indeterminato» occorra partire dallo spirito della disposizione per poi, in un secondo momento, vagliare la compatibilità dei risultati raggiunti con la disciplina generale del novellato recesso.

Questa scelta di metodo, conformemente ai risultati cui è recentemente pervenuto il Supremo Collegio28

, ci consente (pur nella consapevolezza delle notevoli difficoltà che potrebbero presentarsi in sede di applicazione della norma) di affermare l’equiparabilità di un termine finale, fissato assai lontano nel tempo, alla durata indeterminata.

(…) a meno di ritenere comunque l’assemblea un vuoto simulacro non in grado di incidere sulle decisioni di una maggioranza precostituita»

27

Escludono l’applicazione analogica dell’art. 2285 c.c. al fine di equiparare durata indeterminata e ipotesi di società con termine di durata “abnorme” o comunque eccedente la durata della vita di una persona: L.SALVATORE, Il

«nuovo» diritto di recesso nelle società di capitali, in Contr. e impr.,2003, p.

635; F. CHIAPPETTA, Nuova disciplina del recesso di società di capitali:

profili interpretativi e applicativi, in Riv. soc., II, 2005, p. 497. Contra, con

esclusivo riferimento alla s.r.l. strutturata personalisticamente dall’atto costitutivo V. CALANDRA BUONAURA, Il recesso del socio di società di

capitali, in Giur. comm., 2005, I, P. 300.

28

Cass., sez. I, 22 aprile 2013, n. 9662. Con questa pronuncia, la prima emanata dalla Cassazione in tema di recesso da s.r.l., la Corte conferma l’interpretazione dell’art. 2473 c.c. fornita dal giudice di merito (App., Milano, 12 maggio 2010). Basandosi sulla ratio della fissazione del termine di durata (i.e. stabilire il periodo di vita dell’ente in relazione alle possibilità di realizzazione dell’oggetto sociale), il Supremo Collegio ritiene assimilabile alla fattispecie di cui all’art. 2473, 2° comma, l’ipotesi in cui la società, pur contratta a tempo formalmente determinato, presenti un termine finale fissato assai lontano nel tempo. In secondo luogo, si afferma che la modifica del termine finale della società, nel caso di specie la sua riduzione dal 2100 al 2050, fonda -comportando «l’eliminazione di una o più cause di recesso previste nell’atto costitutivo»- il diritto di recesso del socio. Relativamente a questa problematica si rinvia infra al § 3.

Dal punto di vista funzionale, infatti, l’attribuzione legale del recesso “senza motivazione” in caso di società contratta a tempo indeterminato trova la sua ragion d’essere nella necessità di tutelare il socio e, più in particolare, il suo interesse al disinvestimento: onde evitare di trattare in maniera diversa situazioni sostanzialmente analoghe, pare opportuno riconoscergli la possibilità di recedere ad nutum anche se la società, le cui azioni non sono quotate in un mercato regolamentato, è contratta a tempo (solo) sostanzialmente indeterminato29.

Resta in ultimo da chiarire se l’interpretazione prospettata possa minare l’equilibrio individuato dal legislatore in sede di contemperamento dei vari interessi coinvolti nel recesso.

Invero, eventuali timori di pregiudizio ai creditori sociali dovrebbero dirsi attenuati in virtù del novellato procedimento di liquidazione: solo in ultima istanza, infatti, il recedente sarà rimborsato a spese del patrimonio sociale.

29

M.VENTORUZZO,op. cit., p. 329. In senso conforme, ammettendo il diritto

di recesso anche in caso di società contratta a tempo sostanzialmente indeterminato, A.BARTOLACELLI,op. cit. p. 1128 ss.; E.L.NTUK,Commento all’art. 2328 c.c., in Il nuovo diritto societario. Commentario, a cura di

Cottino-Bonfante-Cagnasso-Montalenti, Bologna, 2004, 1*, p. 72; F. ANNUNZIATA,op. cit., p. 495; G.B.PORTALE,Osservazioni sullo schema di decreto delegato (approvato dal governo in data 29-30 settembre 2002) in tema di riforma delle società di capitali, in Riv. dir. priv., 2002, p. 709; P.

REVIGLIONO,op. cit., p. 212 ss., secondo il quale è del tutto irrilevante, ex latere socii, che la durata della società sia formalmente indeterminata ovvero

che sia previsto un termine oltremodo lontano: «un tipo di interpretazione che non consentisse di equiparare le ipotesi sopra menzionate a quella, espressamente regolata dalla legge, della società del tutto priva di termine di durata, si porrebbe in chiara contraddizione con la ratio della disposizione in esame». Originale la soluzione prospettata da A. MORANO, Analisi delle clausole statutarie in tema di recesso alla luce della riforma della disciplina delle società di capitali, in Riv. not., 2003, p. 311, il quale distingue il caso in

cui la partecipazione sociale sia detenuta da una persona fisica ovvero giuridica: nella prima ipotesi, secondo l’A., deve riconoscersi la libera recedibilità; ciò poiché, nella prospettiva del socio persona fisica, siffatta situazione è equiparabile ad una durata anche formalmente indeterminata. Ad opposta soluzione giungendo nel secondo caso: «posto che il socio persona giuridica non ha di per sé una durata “normale” o “media”, manca un parametro atto a stabilire il limite oltre il quale un termine di lunga durata possa equipararsi ad una durata senza determinazione di termine».

Per quanto concerne la tutela dell’ente societario, poi, sebbene l’ipotesi di recesso in parola possa attentare alla sua stabilità economico- patrimoniale, è al contempo la stessa scelta di prevedere un termine di durata “abnorme” a conferire alla persona giuridica fisiologica precarietà.

Come chiarito dalla Cassazione, infatti, la fissazione di un termine oltremodo lontano, inidoneo a ricostruire la scelta della società fra l’opzione tempo determinato od indeterminato, si risolve «o in un mero esercizio delimitativo che equivale nella sostanza al significato della mancata determinazione del tempo di durata della società ovvero in un sostanziale intento elusivo degli effetti che si produrrebbero con la dichiarazione di una durata a tempo indeterminato».

De iure condendo la scelta legislativa di attribuire al socio il diritto di recedere ad nutum può certamente prestare il fianco a numerose critiche30

: la soluzione restrittiva, però, cagionerebbe una forte compressione delle potenzialità insite nella norma e, in un panorama normativo ove il diritto di recesso ha acquistato con la riforma nuova linfa vitale, si contraddirebbe quello che è lo spirito proprio di questa disposizione, provocando una sostanziale elusione del ruolo che il legislatore ha inteso attribuirgli.