• Non ci sono risultati.

Societa' a tempo indeterminato e diritto di recesso

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Societa' a tempo indeterminato e diritto di recesso"

Copied!
123
0
0

Testo completo

(1)

Sommario

Introduzione ... 3

I- La disciplina del recesso del socio nelle società di

capitali ... 5

1. Il recesso del socio: origini dell’istituto, caratteristiche dell’art. 2437 c.c. ante riforma ... 5 2. La riforma del diritto societario: profili generali del “nuovo” diritto di recesso ... 11 3. Le cause legittimanti: gli artt. 2437 e 2473 c.c. ... 13 3.1 Exit e realtà di gruppo: il recesso da “fatto” ... 18 4. L’autonomia statutaria e i suoi limiti nella determinazione delle ipotesi convenzionali di recesso ... 26 5. La disciplina dell’esercizio del diritto di recesso ... 33 5.1 (segue) La determinazione del quantum spettante al socio ... 38 6. Il procedimento per la liquidazione della quota ... 42 7. Gli interessi tutelati e gli obiettivi dalla nuova disciplina: considerazioni e rinvio ... 47

II- Partecipazione sociale e fondamento causale del

diritto di recesso ... 51

1. Premessa ... 51 2. Partecipazione sociale e investimento ... 53 2.1 Insufficienza della prospettiva soggettiva dell’investimento per la ricostruzione del fenomeno societario ... 56

(2)

2.2. (segue) La partecipazione sociale e la gestione dell’altrui

investimento ... 58

3. Recesso e modifica delle condizioni di rischio dell’investimento ... 61

4. Il rischio di illiquidità dell’investimento ... 64

4.1. (segue) Quotazione e disinvestimento: cenni sull’art. 108, 2° comma t.u.f. ... 70

4.2 Record date e diritto di recesso ex art. 127 bis t.u.f. (cenni) . 72

III- Il diritto di recesso ad nutum nelle società di

capitali ... 75

1. Durata indeterminata della società e recesso ad nutum ... 75

1.1. La recedibilità ad nutum nel diritto societario: la durata indeterminata dei patti parasociali ... 81

2. La delimitazione della fattispecie: il tempo indeterminato ... 84

3. L’inderogabilità della fattispecie ... 88

4. L’introduzione successiva del termine di durata ... 91

5. Recesso ad nutum da società contratta a tempo determinato? .... 94

6. Inibizione del diritto di recesso e preavviso ... 98

7. La determinazione del valore della partecipazione sociale ... 103

7.1. I rimedi accordati al socio recedente in caso di erronea valutazione del valore della partecipazione ... 106

7.2. (segue) Le contromisure esperibili dalla società: la delibera di scioglimento ... 108

7.3. Riflessioni conclusive ... 110

(3)

Introduzione

Autorevole dottrina, in un’opera dedicata all’individuazione delle situazioni giuridiche soggettive dell’azionista, attribuiva al «diritto di partecipazione del socio alla società» natura di diritto soggettivo1

. Tale diritto, in particolare, si sostanziava nella pretesa di conservare la qualità di socio fino all’estinzione dell’ente: si osservava, infatti, che «l’interesse patrimoniale del socio nei confronti della società non p[oteva] trovare piena protezione se non era tutelato il suo interesse a rimanere nella società fino a quando egli lo desider[asse]»2

.

Negli ultimi anni, in una prospettiva diametralmente opposta rispetto al passato, può notarsi come lo studio della dottrina giuscommercialistica si sia mosso verso una tematica per certi versi speculare rispetto a quella del mantenimento dello status socii: l’attenzione si è focalizzata sugli strumenti di exit, sui presupposti e sugli istituti che consentono al socio di liquidare, in tutto o in parte, il proprio investimento in società3. Tra questi, non soltanto nell’ordinamento italiano, una posizione privilegiata è rivestita dal diritto di recesso.

Il presente lavoro di ricerca, nel prendere atto dello sviluppo di tale tendenza, ha ad oggetto una peculiare fattispecie di recesso: si tratta del recesso ad nutum da società contratta a tempo indeterminato. Scopo della trattazione è di mettere in luce, partendo da un dato normativo estremamente laconico, i punti controversi che coinvolgono l’interpretazione di questa fattispecie, già presente in materia di società

1

Si allude al lavoro di V. BUONOCORE, Le situazioni soggettive dell’azionista, Napoli, 1960, p. 211.

2

V. BUONOCORE,op. cit., p. 186.

3

Coglie questo capovolgimento di prospettiva G.FERRI jr, Investimento e conferimento, Milano, 2001, p. 157 nota 70. V., per la contrapposizione tra

strumenti di exit e poteri di voice, A. O. HIRSCHMAN, Exit, Voice, and Loyalty: Respones to Decline in Firms, States and Organization, Harvard,

(4)

personali, ed estesa con la riforma del diritto societario sia alla società azionaria non quotata che alla società a responsabilità limitata.

Preliminarmente, sarà necessario soffermarsi sulla disciplina del novellato diritto di recesso: il medesimo, in continuità rispetto al passato, si colloca fra gli strumenti previsti a presidio delle minoranze azionarie; con la riforma, tuttavia, si dà maggiore risalto alla sua funzione economica, valorizzandone la capacità di realizzazione del disinvestimento, anche parziale, del socio (Capitolo Primo).

Nel Secondo Capitolo, muovendo da un’indagine funzionale sulla partecipazione sociale, si cercherà di individuare il fondamento causale dell’istituto in esame (rectius del suo nucleo centrale): l’attenzione si focalizzerà sul perché, al ricorrere di determinati presupposti, il legislatore attribuisce al socio non assenziente il potere di sciogliersi unilateralmente dal vincolo sociale.

Infine, il Capitolo conclusivo della trattazione sarà dedicato allo studio del recesso ad nutum da società contratta a tempo indeterminato. Si tratta, anticipando alcune considerazioni che saranno sviluppate nel prosieguo, di una fattispecie di recesso quasi del tutto negletta per la dottrina che si è occupata del tema, che ha rievocato quel sentimento di sfavore che aveva connotato l’istituto fino all’intervento riformatore del 2003.

(5)

Capitolo Primo

La disciplina del recesso del socio nelle società di

capitali

SOMMARIO: 1. Il recesso del socio: origini dell’istituto, caratteristiche dell’art. 2437 c.c. ante riforma. – 2. La riforma del diritto societario: profili generali del “nuovo” diritto di recesso. – 3. Le cause legittimanti: gli artt. 2437 e 2473 c.c. -3.1. Exit e realtà di gruppo: il recesso da “fatto”. – 4. L’autonomia statutaria e i suoi limiti nella determinazione delle ipotesi convenzionali di recesso. – 5. La disciplina dell’esercizio del diritto di recesso. – 5.1. (segue) La determinazione del quantum spettante al socio. – 6. Il procedimento per la liquidazione della quota. – 7. Gli interessi tutelati e gli obiettivi dalla nuova disciplina: considerazioni e rinvio.

1. Il recesso del socio: origini dell’istituto, caratteristiche

dell’art. 2437 c.c. ante riforma

L’istituto del diritto di recesso compare all’interno del nostro ordinamento societario con l’art. 158 del codice di commercio del 18821

.

1

Ai sensi dell’art. 158 cod. comm. il recesso spettava ai soci dissenzienti dalle deliberazioni riguardanti la fusione con altre società, l’aumento del

(6)

Tale diritto, fin dalla sua introduzione, si caratterizzò per essere uno strumento di tutela della minoranza a fronte di delibere, particolarmente rilevanti, modificative dell’atto costitutivo.

Come osservato dalla prevalente dottrina, il recesso era strumento destinato a contemperare l’interesse della maggioranza alla modifica dell’atto costitutivo con quello dei soci dissenzienti, «riluttanti a subirla»2.

Il suo riconoscimento, in particolare, si ricollega al passaggio dalla regola dell’unanimità per le modifiche del contratto sociale all’adozione del principio maggioritario, funzionale a garantire maggiore elasticità all’impresa societaria.

La fisionomia dell’istituto non muta con l’emanazione del codice civile del 1942, ove all’art. 2437 c.c. si disciplina il diritto di recesso del socio dalle società di capitali3

.

Dall’analisi dei tratti salienti della normativa emerge chiaramente come la tutela predisposta mediante il diritto alla liquidazione della quota fosse circondata da numerose restrizioni.

Questa, riconosciuta al socio dissenziente, risultava disincentivante per almeno tre ordini di ragioni: il ristretto numero di ipotesi che consentiva al socio di “uscire” dalla compagine sociale, la rigidità del procedimento mediante il quale costui doveva comunicare all’ente la propria volontà di exit ed, infine, i criteri per la determinazione del valore delle azioni, per lui fortemente penalizzanti.

capitale, il cambiamento dell’oggetto sociale e la proroga di durata della società.

2

C.VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, Milano, 1926, II, p. 513. Per

una trattazione completa dell’istituto, nel vigore del codice di commercio, cfr. G.DONADIO, Il recesso del socio per modifiche statutarie, Milano, 1940,

passim.

3

La disciplina del recesso dalla società azionaria, infatti, era espressamente richiamata dall’art. 2494 c.c., disposizione dettata in materia di s.r.l. Per una completa analisi sul diritto di recesso prima della riforma del diritto societario v. G. GRIPPO, Il recesso del socio, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, 6*, Torino, 1993, p. 133 ss.;

(7)

Quanto alle cause legittimanti, l’art. 2437 c.c. attribuiva il diritto di recesso nelle sole ipotesi di cambiamento dell’oggetto sociale, cambiamento del tipo di società e trasferimento all’estero della sede sociale4. L’ambito di applicazione della disposizione, dunque, era confinato esclusivamente al «radicale mutamento delle basi essenziali societarie»: il riconoscimento del potere di exit si ancorava a modifiche dell’atto costitutivo che la maggioranza poteva legittimamente adottare per adeguare la società alle mutevoli esigenze del mercato ma che tuttavia non potevano essere imposte al socio dissenziente, al quale inderogabilmente era riconosciuto il potere di porsi al di fuori della compagine societaria5

.

Fortemente dibattuta, poi, era la questione inerente alla possibilità di prevedere ulteriori ipotesi di recesso mediante il ricorso all’autonomia statutaria.

Parte della dottrina, in linea con la concezione “contrattualistica” della società, muovendo sia dal principio della libertà contrattuale sia dalla constatazione dell’assenza di una norma proibitiva in tal senso, riteneva possibile l’incremento delle ipotesi legali di recesso per mezzo dell’autonomia statutaria6

. Si argomentava, in particolare, ex art. 2437, 3° comma, c.c.: sanzionando con la nullità ogni patto volto a escludere o rendere più gravoso l’esercizio del recesso, questa disposizione garantiva al recedente un minimo di tutela senza che da

4

Un’altra ipotesi di recesso era, ed è tuttora, contemplata dall’ultimo comma dell’art. 2343 c.c.: il socio può recedere se in sede di revisione della stima risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti è inferiore di oltre un quinto rispetto a quello per cui avvenne il conferimento. La presente disposizione si propone di tutelare sia l’effettiva formazione del capitale sociale sia l’interesse del socio a reagire a fronte della minusvalenza accertata in sede di revisione.

5

G. GRIPPO, op. cit., p. 133.

6

Così A. SCIALOJA, In tema di recesso nelle società a responsabilità

limitata, in Foro it., 1948, I, p. 330 ss.; G. TANTINI, Le modificazioni dell’atto costitutivo nelle società per azioni, Padova, 1973, p. 163.

(8)

ciò potesse inferirsi la tassatività delle ipotesi previste al primo comma.

Di segno opposto altra parte della dottrina, avallata dalla giurisprudenza maggioritaria, escludeva la possibilità di creare ipotesi di recesso convenzionali7: a sostegno della tassatività delle cause di recesso era invocata sia la natura eccezionale dell’istituto in esame (il quale si poneva in contrasto con la regola, sancita dal 1° comma dell’art. 2377 c.c., della vincolatività delle deliberazioni assembleari valide) sia «la sua [potenziale] forza disgregatrice, in pregiudizio non solo delle ragioni dei creditori sociali, ma anche dell’interesse pubblico alla conservazione dei valori patrimoniali dell’impresa»8

.

Il timore, detto altrimenti, era che le conseguenze patrimoniali dipendenti dal recesso potessero frenare la maggioranza ad adottare importanti modifiche statutarie, necessarie per adattare l’assetto societario alle mutevoli esigenze del mercato, durante societate.

Quanto alle modalità di esercizio del diritto in esame, il 2° comma dell’art. 2437 fissava due diversi termini perentori entro cui la dichiarazione di recesso doveva essere comunicata alla società: per i soci intervenuti in assemblea tale termine era di tre giorni dalla data di chiusura della stessa, mentre per quelli non intervenuti di quindici giorni dalla data di iscrizione della deliberazione nel Registro delle Imprese9. Occorre soffermarsi sulla disposizione in esame rilevando come la stessa abbia dato luogo a diversi problemi, non solo quanto

7

G.COTTINO, Diritto commerciale, I, Padova, 1994, p. 647; G. GRIPPO,op. cit., p. 142. In giurisprudenza v. Cass. 20 settembre 1995, n. 9975, in Giur. it., 1996, I, 1, c.164; App. Milano, 12 marzo 2002 in Giur. it. con nota di S.

Luoni, p. 2103 ss.

8

G. GRIPPO,op. cit. , p. 145.

9

G. PRESTI, Questioni in tema di recesso nelle società di capitali, in Giur.

comm., I, Torino, 1982, p. 106, definisce il termine «iugulatorio» ma non

ritiene la lettera della norma superabile, evidenziando il paradosso creato dal legislatore, il quale se da un lato prevede termini eccessivamente brevi, dall’altro vieta ogni pattuizione idonea a comprimere il diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo comma.

(9)

alla sua interpretazione, ma anche per le conseguenze (negative) prodotte in capo al recedente.

Per quanto concerne, in primo luogo, la legittimazione all’esercizio del suddetto diritto, una vexata quaestio riguardava la possibilità per il socio astenuto di recedere, stante la natura “neutrale” riconosciuta all’astensione.

Un primo orientamento dottrinale assimilava al dissenso il mancato esercizio del diritto di voto: per beneficiare degli strumenti di reazione era sufficiente che il socio non avesse concorso10, con una propria manifestazione di volontà, a determinare la scelta presa dalla maggioranza11. Per contro, argomentando dalla presunta eccezionalità che caratterizzava l’istituto, altra parte della dottrina riteneva la fattispecie di “stretta interpretazione” e circoscriveva l’area dei legittimati a chi si fosse formalmente astenuto in seno all’adunanza12

. In secondo luogo, i termini entro i quali era necessario comunicare all’organizzazione la volontà di sciogliersi dal vincolo sociale risultavano, per la loro eccessiva brevità, del tutto inadeguati per il socio recedente: peraltro, la prevalente dottrina attribuiva alla dichiarazione di recesso natura di atto recettizio, divenendo così necessario che nel suddetto termine la dichiarazione non fosse semplicemente spedita alla società ma da questa venisse ricevuta13

. L’ultima questione da affrontare riguarda il sistema di rimborso delle azioni.

10

Si vedano, nella loro formulazione attuale, gli artt. 2377, comma 2°, e 2437, 1° comma, c.c. che rispettivamente riconoscono in favore del socio astenuto il potere di impugnativa delle deliberazioni assembleari ed il diritto di recesso.

11

F.FERRARA jr., Gli imprenditori e le società8, Milano, 1980, p. 528.

12

G.GRIPPO, op. cit., p. 175.

13

La natura recettizia della dichiarazione di recesso era riconosciuta dalla dottrina pressoché unanime. Contra, ritenendo che entro i termini di cui all’art. 2437 c.c. la dichiarazione dovesse essere semplicemente spedita, G. C.FRÈ, Della società per azioni, in Comm. del cod. civ. a cura di Scialoja e

(10)

L’art. 2437 c.c., già nella sua formulazione originaria, prevedeva criteri di rimborso differenziati a seconda che la società fosse o meno quotata in borsa: mentre per le società emittenti titoli quotati il riferimento era al prezzo medio delle azioni nell’ultimo semestre, per le altre il quantum spettante al socio veniva determinato proporzionalmente al patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio.

Occorre evidenziare come il carattere prudenziale delle valutazioni di bilancio non fosse idoneo a rappresentare fedelmente il patrimonio della società (il tutto a discapito del socio uscente «e a favore dell’impresa, dei suoi creditori, e dei soci superstiti») nonché, da un diverso angolo visuale, come la norma riservasse un trattamento differenziato a danno dei soci delle società non quotate14

.

Non essendo indicate, poi, le modalità attraverso le quali doveva avvenire il rimborso della quota di partecipazione, in assenza di utili distribuibili o riserve disponibili, si rendeva necessario intaccare il capitale sociale15

.

Esaminato il dato normativo, pare opportuno fare qualche riflessione di ordine generale.

14

G.PRESTI, op. cit., pp. 112-113

15

In realtà, a causa della mancanza di una disciplina ad hoc, numerosi furono i problemi interpretativi affrontati dalla dottrina: in primo luogo, era controverso se l’operazione avente ad oggetto l’acquisto di azioni proprie da parte della società costituisse un passaggio obbligato prima di procedere alla riduzione del capitale sociale oppure se ciò rappresentasse una mera possibilità a disposizione dell’ente. Ci si domandava, inoltre, se l’operazione di riduzione dovesse avvenire ai sensi dell’art. 2445 (riconoscendo il potere di opposizione ai creditori sociali) oppure ex art. 2446 c.c., attribuendo al socio un diritto incondizionato al rimborso della partecipazione. Si veda, in proposito, E.FREGONARA, Recesso e procedimento per la liquidazione della

quota, Milano, 2008, p. 2 e ss. Altro problema “classico” era quello

concernente il momento in cui si realizzava la perdita del cd. status socii. La dottrina era divisa tra chi riteneva che già con la dichiarazione di recesso il socio dovesse considerarsi al di fuori dalla compagine sociale e chi, invece, tendeva a procrastinare questo evento in una fase successiva. Per una rassegna delle diverse posizioni presenti in dottrina, D.GALLETTI,op. cit., p.

(11)

Il difficile compito che il diritto di recesso era chiamato a svolgere, contemperare l’interesse della società ad adeguarsi prontamente alle nuove esigenze del mercato con quello del socio dissenziente, ha determinato una “flessione” dell’istituto a beneficio dell’ente societario. Il rischio di depauperamento del patrimonio sociale ed un contesto quale quello del 1942, in cui forti erano le istanze di tutela della produttività delle imprese, hanno comportato un’accentuata marginalizzazione dell’istituto, destinato «se non proprio ad un inesorabile declino, a ricoprire nella prassi un ruolo del tutto marginale e di trascurabile rilievo»16

.

Proprio a fronte della fisionomia “storica” dell’istituto e dell’atteggiamento di sfavore che ne ha contraddistinto l’applicazione in giurisprudenza, si è parlato di «rivoluzione copernicana» realizzata con la riforma del diritto societario.

2. La riforma del diritto societario: profili generali del

“nuovo” diritto di recesso

La riforma del diritto delle società di capitali, realizzata con il D. Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, ha profondamente modificato la disciplina del recesso delineata dal legislatore del 194217.

16

Così G. NICCOLINI, Recesso per giusta causa del socio di società di capitali? in Riv. dir. comm., 1992, II, p. 72.

17

Sul tema v., ex multis, V.CALANDRA BUONAURA, Il recesso del socio di

società di capitali, in Giur. comm., 2005, I, p. 291 ss.; M.STELLA RICHTER,

Diritto di recesso e autonomia statutaria, in Riv. dir. comm., 2004, I, p. 389

ss.; C.GRANELLI, Il recesso del socio nelle società di capitali alla luce della

riforma societaria, in Società, 2004, p. 143 ss.; R.RORDORF, Il recesso del

socio di società di capitali: prime osservazioni dopo la riforma, in Società,

2003, p. 923 ss.; L. DELLI PRISCOLI, L’uscita volontaria del socio dalle

società di capitali, Milano, 2005, passim; A.MORANO, Analisi delle clausole

statutarie in tema di recesso alla luce della riforma della disciplina delle società di capitali, in Riv. not., 2003, p. 303 ss.; L.SALVATORE, Il «nuovo»

diritto di recesso nelle società di capitali, in Contr. e impr., 2003, p. 629 ss.;

(12)

Prima di mettere in luce alcuni fra i punti più significativi dell’attuale disciplina occorre fare qualche considerazione di ordine generale sugli obiettivi che con questa volevano realizzarsi.

La legge di delega n. 366/01, anche al fine di «favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese», ha previsto una sorta di emancipazione della s.r.l. rispetto alla società azionaria. Tale autonomizzazione del tipo ha coinvolto anche la regolamentazione del recesso, istituto oggi disciplinato per i due modelli societari dagli artt. 2473 e 2437 e ss. c.c.

In particolare, mentre la disciplina della società per azioni «è modellata sui principi della rilevanza centrale dell’azione, della circolazione della partecipazione sociale e della possibilità di ricorso al mercato del capitale di rischio»18

(art. 4, 1° comma, l. 366/01), nella s.r.l. il riferimento è alla «rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra soci» (art. 3, 1° comma, lettera a).

In linea generale, però, è possibile affermare che in entrambi i tipi societari si è assistito ad un potenziamento dell’istituto in parola: le cause legittimanti sono notevolmente ampliate (e si prevede espressamente la possibilità di individuarne ulteriori mediante il ricorso all’autonomia statutaria), più favorevoli sono i criteri per la determinazione del valore della quota di liquidazione ed è, infine, previsto un articolato procedimento per il rimborso della partecipazione sociale, teso a contemperare l’interesse del socio a monetizzare il valore effettivo ed attuale della sua partecipazione con quello della società a non subire, se non come extrema ratio, un

Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da

Abbadessa-Portale, Torino, 2006, 3, p. 203 ss.; V.DI CATALDO, Il recesso

del socio di società per azioni, Ibidem, p. 219 ss.; A.TOFFOLETTO, Il recesso

nella nuova disciplina delle società di capitali, in Riv. dir. comm., 2004, p.

347 ss.

18

La rilevanza centrale dell’azione, e in particolare il principio di autonomia delle azioni, ha comportato l’espresso riconoscimento del recesso parziale nel tipo s.p.a. (V. infra § 3).

(13)

depauperamento del proprio patrimonio19.

3. Le cause legittimanti: gli artt. 2437 e 2473 c.c.

Come già in parte anticipato, uno dei profili maggiormente innovativi della riforma ha avuto ad oggetto l’ampliamento delle cause legali di recesso, oggi assai numerose ed eterogenee.

Accanto a queste ultime, peraltro, è espressamente previsto che gli statuti delle società a responsabilità limitata e delle società per azioni “chiuse” individuino ipotesi di recesso ulteriori.

Nella società a responsabilità limitata, in particolare, un ruolo assolutamente centrale è svolto dall’autonomia statutaria: in questo modello societario è lo statuto che deve determinare «quando» il socio può recedere, fermo restando il riconoscimento di cause legali inderogabili (il diritto di recesso spetta al socio «in ogni caso») ai sensi dell’art. 2473, 1° comma, secondo periodo20

.

19

Di contrario avviso A. PACIELLO,Il diritto di recesso nella s.p.a.: primi rilievi, in Riv. dir. comm., 2004, p. 435-437, secondo il quale: «La

“celebrata” protezione dell’interesse individuale del socio, attuata anche con la “generosa utilizzazione” del recesso, si rivela nei fatti ben poca cosa (…) Il recesso, sbandierato come efficace strumento di contrattazione della minoranza, è in realtà un’arma che il socio deve sperare, minacciandone l’uso, nessuno si accorga esser caricata a salve».

20

Contra ritenendo derogabili le fattispecie legali di recesso previste dal 1°

comma dell’art. 2473 c.c., V. SALAFIA, Il nuovo modello di Società a responsabilità limitata, in Le Società, 2003, p. 7. F.ANNUNZIATA,Commento all’art. 2473 c.c., in Commentario alla riforma delle società, a cura di

Marchetti-Bianchi-Ghezzi-Notari, Milano, 2008, p. 459, sottolinea come il primo periodo dell’art. 2473, per la prevalenza assegnata alle cause di recesso convenzionali, possa considerarsi il “manifesto” della riforma nella materia in esame. Peraltro, sempre in materia di s.r.l., l’autonomia statutaria non rileva soltanto ai fini dell’individuazione delle cause di recesso: mancando una norma analoga all’art. 2437-bis, ai soci spetta altresì il compito di specificare modalità e termini per l’esercizio di siffatto diritto. In generale, sul nuovo equilibrio tra “diritto dei privati e ordine pubblico economico in materia societaria” v. A. GAMBINO, Spunti di riflessione sulla riforma: l’autonomia societaria e la risposta legislativa alle esigenze di finanziamento

(14)

Quanto alle ipotesi legali, l’art. 2437 c.c. sancisce espressamente sia l’ammissibilità del recesso parziale, sia la legittimazione a recedere del socio astenuto 21 . La norma prosegue elencando le fattispecie inderogabili: le prime tre, salvo qualche ritocco formale, coincidono con quelle previste dalla normativa anteriore.

Per quanto concerne l’ipotesi di cambiamento dell’oggetto sociale, risolvendo definitivamente alcune questioni interpretative che si erano sviluppate prima della riforma, si prevede che il recesso sia riconosciuto al socio in caso di «modifica della clausola dell’oggetto sociale quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società»22.

La lettera b, poi, attribuisce il diritto di recesso in caso di trasformazione della società. Rispetto alla sua formulazione originaria, la disposizione in commento non fa più riferimento alle deliberazioni riguardanti «il cambiamento del tipo della società»: la diversa

dell’impresa, in Giur. comm., 2002, p. 641 ss. L’A. pone l’accento su come,

con la riforma, sia stata accolta l’istanza di concedere un più ampio spazio all’autonomia societaria: ciò sia al fine di permettere la raccolta del capitale di rischio e di credito ad un costo inferiore, sia per consentire una diversificazione in ordine alle scelte di corporate governance, in particolare nelle s.r.l., le quali non costituiscono più un modello “derivato” delle società azionarie.

21

Il riconoscimento del recesso parziale nella società azionaria si spiega in virtù della centralità, presente in questo modello societario, dell’azione rispetto alla persona del socio. Attraverso tale strumento si vuole tutelare l’interesse del socio a graduare l’entità del proprio investimento: costui potrà diversificare il proprio portafoglio azionario permanendo comunque all’interno dell’organizzazione societaria. Nella s.r.l., in assenza di un’espressa previsione, la possibilità di recesso parziale è controversa. In dottrina, stante il silenzio del legislatore sul punto, si ritiene che i soci possano prevedere un’apposita clausola statutaria in tal senso. Così G. ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, Milano, 2010, p. 776, nota 1, ove ampi riferimenti bibliografici.

22

Si deve trattare di una modifica formale dell’oggetto sociale che altera in misura rilevante il rischio dell’investimento. Così L.SALVATORE, op. cit., p.

(15)

enunciazione è conseguenza dell’introduzione degli artt. 2500-septies e 2500-octies c.c., disciplinanti la trasformazione eterogenea23

.

Infine, terza causa di recesso recepita dall’originario impianto codicistico è il trasferimento della sede sociale all’estero.

La riforma, come già anticipato, ha esteso notevolmente l’ambito applicativo del recesso, attribuendo inderogabilmente24siffatto diritto anche nelle ipotesi di: revoca dello stato di liquidazione, eliminazione di una o più cause di recesso derogabili o statutarie, modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso e, in ultimo, modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.

Nonostante l’analisi puntuale delle nuove cause di recesso esuli dal presente lavoro, preme sin da ora anticipare come le stesse tutelino il socio a fronte di determinate modifiche, assunte a maggioranza senza il suo consenso, delle «essenziali condizioni contrattuali alla luce delle quali lo stesso aveva effettuato il proprio investimento nella società»25 (v. infra Cap. II).

Il secondo comma dell’articolo sopraccitato contempla, poi, altre due deliberazioni che legittimano l’exit: la proroga del termine di durata e l’introduzione o la rimozione di limiti alla circolazione delle azioni. Si tratta, differentemente da quanto previsto per le cause regolamentate al 1° comma, di fattispecie di recesso derogabili, operanti soltanto laddove lo statuto non abbia altrimenti disposto26.

Ai fini della presente trattazione, particolare attenzione merita l’ipotesi di proroga del termine di durata.

23

Tale innovazione terminologica determina una scarsa coerenza sistematica: in tema di s.r.l., infatti, il legislatore continua a fare riferimento al «cambiamento del tipo».

24

L’ultimo comma dell’articolo in esame, infatti, fulmina con la sanzione della nullità «(…) ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo comma».

25

Così C.GRANELLI,op. cit., p. 148.

26

Peraltro, la loro successiva rimozione può comportare l’exit del socio ai sensi della lettera e del primo comma.

(16)

Questa fattispecie di recesso, infatti, si inserisce perfettamente in una logica tesa a favorire il disinvestimento del socio27

: il fondamento causale del diritto di recesso risiede nell’impossibilità di imporre al socio di prolungare la durata della sua operazione d’investimento (differendone così il momento della realizzazione), salvo che costui non abbia accettato di rinunciare, attraverso la deroga statutaria, a tale tutela.

L’altra causa di recesso derogabile è costituita dalla modifica statutaria che introduca o elimini limiti alla circolazione delle azioni.

La norma, che ha una portata più ampia rispetto all’art 2355-bis c.c.28 , fa riferimento alle clausole di prelazione e gradimento29: essa non salvaguarda soltanto l’interesse del socio a non subire limitazioni alla circolazione delle azioni ma, poiché anche l’eliminazione di precedenti vincoli è idonea a far sorgere il diritto di recesso, ha un respiro più ampio tutelando l’affidamento del socio circa il carattere “chiuso” o “aperto” della compagine sociale30

.

In merito alle cause di recesso previste dall’art. 2473 c.c., conformemente all’impostazione adottata, si cercherà di cogliere gli

27

Così V.CALANDRA BUONAURA, op. cit., p. 298.

28

Così A. PACIELLO, Commento all’art. 2437 c.c., in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini-Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, II, p.

1116.

29

Il secondo comma dell’art. 2355-bis c.c. si riferisce, invece, alle cosiddette clausole di mero gradimento. In particolare, laddove la concessione del

placet da parte di un organo sociale non dipenda da parametri oggettivamente

apprezzabili, si rende necessario contemperare l’interesse della società al “controllo” della compagine sociale, con quello del socio alla trasferibilità della sua partecipazione. Al fine di comporre i suddetti interessi, salvo che non si preveda un obbligo di acquisto a carico della società (o degli altri soci) oppure il recesso dell’alienante, la legge sancisce l’inefficacia di queste clausole. C.ANGELICI,La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Padova, 2006, p. 94, ritiene che il diritto di recesso sia

«strumento (non solo di disinvestimento, ma anche) per incidere sulle scelte della società»; i costi conseguenti al recesso possono anch’essi fungere da «incentivo per l’avvio di negoziazioni endosocietarie».

30

Così D.GALLETTI, Commento all’art. 2437 c.c., in Il nuovo diritto delle società, Padova, 2005, II, p. 1512.

(17)

aspetti peculiari, anche in rapporto alla disciplina dettata in materia di società azionaria.

Nella società a responsabilità limitata, come chiarito nella legge delega, un ruolo centrale è riconosciuto alla persona del socio. Tale caratterizzazione del tipo si riflette inevitabilmente anche sulla regolamentazione dell’istituto in discorso.

In relazione all’ipotesi di cambiamento dell’oggetto sociale, mentre l’art. 2437 c.c. prescrive che deve trattarsi di un cambiamento significativo, in materia di s.r.l. si riconosce il potere di exit non solo a fronte di un cambiamento non significativo, ma anche in caso di modificazione indiretta, purché sostanziale, dell’oggetto sociale31. La matrice personalistica di questo tipo societario, ed in particolare l’interesse alla stabilità della compagine, spiega perché fra le cause di recesso legali siano ricomprese anche le operazione straordinarie di fusione o scissione: l’interesse tutelato attraverso queste ipotesi non ha soltanto natura economica, con le stesse infatti si vuole evitare che il socio subisca l’ingresso di terzi estranei in società32

.

Infine, il diritto di recesso spetta al socio qualora siano compiute operazioni tali da comportare una rilevante modifica dei diritti attribuiti a norma dell’art. 2468, 4° comma c.c.33

Terminata l’analisi delle cause che legittimano l’exit è possibile individuare tra queste un denominatore comune.

Limitando per il momento la riflessione alle sole ipotesi legali può osservarsi come tutte siano accomunate da un dato che pare incontrovertibile: il recesso è attribuito in presenza di una modifica

31

Così G.ZANARONE, op. cit., p. 789. Contra M.STELLA RICHTER, op. cit. p. 405 e F. ANNUNZIATA, op. cit., p. 469.

32

C. ANGELICI, op. cit., p. 92. L’A. evidenzia come tale interesse assuma

rilevanza anche nell’ipotesi di recesso prevista dall’art. 2481-bis c.c.: laddove l’atto costitutivo preveda che l’aumento di capitale possa essere attuato mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi, ai soci che non hanno consentito alla decisione, spetta il diritto di recesso.

33

Il recesso opera tanto per le modifiche indirette di tali diritti quanto per quelle dirette, laddove lo statuto deroghi al criterio dell’unanimità in favore del principio maggioritario Così, G.ZANARONE, op. cit., p. 794.

(18)

(che per le s.p.a. è sempre apprezzabile su un piano formale) di un elemento caratterizzante la partecipazione ad una determinata società (rectius: la partecipazione ad una determinata operazione di investimento).

Il diritto di recesso, dunque, è strumento che consente al socio di monetizzare il valore della propria partecipazione laddove sia stato legittimamente alterato l’assetto societario presente al momento del suo ingresso in società34.

L’ampliamento delle cause di recesso, poi, è indice della rinnovata attenzione dedicata a questo istituto ed alle sue potenzialità: esso non è più soltanto limite al principio maggioritario ma è strumento poliedrico, idoneo a svolgere funzioni diverse e forse complementari, tale da attribuire al socio una possibilità di disinvestimento laddove costui non abbia concorso a modificare le condizioni originarie per le quali decise di investire, attraverso la sottoscrizione della partecipazione sociale, in quella determinata società.

3.1 Exit e realtà di gruppo: il recesso da “fatto”

Come noto, il legislatore della riforma ha introdotto una prima disciplina organica in materia di «Direzione e coordinamento di società» (artt. 2497 ss. c.c.)35.

34

Così C. FRIGENI, Partecipazione in società di capitali e diritto al

disinvestimento, Milano, 2009, p. 159 ss.

35

Definisce “organica” la disciplina delineata dagli artt. 2497 ss. c.c., R. PENNISI,Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e coordinamento: alcune considerazioni, in Riv. dir. soc., 2009, I, p. 35 ss.

Sebbene la forma organizzativa del gruppo d’imprese caratterizzi da tempo la moderna realtà economica, anche a livello internazionale, soltanto con la riforma Vietti si è proceduto a disciplinare in maniera organica siffatto fenomeno. In particolare, in virtù di quanto previsto dall’art 10 della legge delega n. 366/01, il legislatore del 2003 è intervenuto prediligendo un approccio di tipo “fenomenologico”: come efficacemente motivato al § 13

(19)

Lo statuto organizzativo del gruppo d’imprese (oltre a caratterizzarsi principalmente per la presenza di un limite all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento dato dall’art 2497 c.c.) contempla specifiche ed ulteriori ipotesi di recesso rispetto alle fattispecie previste per le società “monadi” 36

.

In questo quadro normativo il diritto di recesso non trova la sua ragion d’essere in una delibera adottata dalla società dominata: rilevano, piuttosto, determinati “fatti” riguardanti la società capogruppo.

Si tratta, più precisamente, di «ipotesi nelle quali cambia l’assetto imprenditoriale in cui la società si trova ad operare e, con esso, il senso economico dell’investimento partecipativo; oppure di casi nei quali l’attività di direzione e coordinamento è stata svolta in modo non conforme ai principi di corretta gestione affermati dall’art. 2497»37

. In particolare, l’art. 2497-quater c.c. attribuisce il diritto di recesso ai soci delle società eterodirette in tre distinte ipotesi: a) quando “la società o l'ente che esercita attività di direzione e coordinamento” delibera una trasformazione che implica il mutamento del suo scopo

della relazione illustrativa, «nell'attuare la delega, all'art. 2497 si è innanzitutto ritenuto non opportuno dare o richiamare una qualunque nozione di gruppo o di controllo, e per due ragioni: è chiaro da un lato che le innumerevoli definizioni di gruppo esistenti nella normativa di ogni livello sono funzionali a problemi specifici; ed è altrettanto chiaro che qualunque nuova nozione si sarebbe dimostrata inadeguata all'incessante evoluzione della realtà sociale, economica e giuridica».

36

L’art. 2497 c.c., nel dettare una specifica disciplina in tema di responsabilità delle “società o enti che esercitano attività di direzione e coordinamento”, adotta la prospettiva (non del singolo atto bensì) dell’attività. Come osservato da C.ANGELICI,op. cit., p. 197, «(…) l’azione

risarcitoria in discorso non si giustifica sulla base di un singolo atto pregiudizievole, ma richiede di essere fondata su una considerazione complessiva del modo in cui è svolta l’attività di direzione e coordinamento». Attraverso la suddetta disposizione, inoltre, s’introduce un regime di responsabilità volto a tutelare i caratteri essenziali della partecipazione sociale: la redditività ed il valore della stessa. Così, C.PASQUARIELLO, Il recesso nei gruppi di società, Padova, 2008, p. 23.

37

Così F.CHIAPPETTA, Nuova disciplina del recesso di società di capitali:

profili interpretativi e applicativi, in Riv. soc., II, 2005, p. 516; R. RORDORF, op. cit., p. 928, afferma che le ipotesi di recesso dai gruppi rappresentano una

sorta di “contrappeso” a fronte di una situazione di «strutturale debolezza» del socio estraneo al gruppo di controllo.

(20)

sociale, ovvero modifica il proprio oggetto sociale determinando così un’alterazione “sensibile e diretta” delle condizioni economiche e patrimoniali della società eterodiretta ; b) quando in favore del socio, e contro chi esercita attività di direzione e coordinamento, è pronunciata sentenza di condanna esecutiva ex art. 2497 c.c.; in tal caso il socio può recedere soltanto per l’intera partecipazione; c) all'inizio ed alla cessazione dell'attività di direzione e coordinamento, purché non si tratti di una società quotata e non venga promossa un'offerta pubblica di acquisto, se si realizza un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento.

Passando all’esame del contenuto di siffatta disposizione, la lettera a contempla due diverse cause di recesso. In primo luogo, si attribuisce il potere di exit al socio della società controllata se la società o l’ente che esercita attività di direzione e coordinamento adotta una delibera di trasformazione che implica il mutamento del suo scopo sociale38

. La fattispecie in esame, non riferendosi semplicemente al “cambiamento del tipo”, richiama l’istituto della trasformazione eterogenea39

.

La società capogruppo, cambiando la propria causa negotii, realizza una modifica tale da stravolgere il senso economico dell’originario investimento partecipativo: infatti, sebbene la trasformazione riguardi la controllante, essa è idonea a ripercuotersi automaticamente sulle

38

Come rilevato da M.VENTORUZZO, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, in Riv. soc., II, p. 350, tale diritto spetterà

indistintamente a tutti i soci della società sottoposta a direzione e coordinamento, tanto nelle ipotesi di cui alla lett. a che in quella disciplinata nella lett. c. Viceversa, nell’ipotesi di cui alla lett. b, il diritto di recesso spetterà soltanto al socio che ha ottenuto la pronuncia di condanna.

39

La disciplina della trasformazione da società di capitali ad altro contratto associativo, caratterizzato da una diversa causa non lucrativa, mutualistica o ideale (art. 2500-septies) e viceversa (art. 2500-octies), costituisce un’importante novità della riforma. In passato, infatti, si riteneva che la trasformazione potesse coinvolgere esclusivamente il cambiamento del tipo societario, senza poter mai intaccare, però, la causa negotii. Per ulteriori approfondimenti sul tema si veda, ex multis, G.MARASÀ,Le trasformazioni eterogenee, in Riv. not, III, 2003, p. 585 ss.

(21)

altre società del gruppo. A differenza dell’altra ipotesi di cui alla lettera a, la modifica dello scopo sociale è idonea a far sorgere il diritto di recesso a favore di (tutti i soci di) tutte le società assoggettate alla capogruppo, senza che sia necessario procedere ad una verifica sull’alterazione, sensibile e diretta, delle condizioni economiche e patrimoniali della controllata40.

Sempre in costanza di appartenenza al gruppo, poi, il recesso spetterà ai soci “esterni” della società eterodiretta in caso di modifica dell’oggetto sociale della capogruppo: il diritto di recesso potrà essere esercitato soltanto se siffatto cambiamento sia tale da alterare in modo sensibile e diretto le condizioni economico-patrimoniali della società controllata. Confrontando la fattispecie in esame con l’omologa previsione di cui all’art.2437 c.c., può evidenziarsi come entrambe le disposizioni richiedano, seppur in termini diversi, un cambiamento significativo dell’attività sociale.

Per quanto concerne la disciplina dettata in materia di gruppi, il requisito dell’alterazione “sensibile” rinvia, ai fini della legittimazione del diritto in parola, ad un cambiamento rilevante delle condizioni economiche e patrimoniali della società dominata: sarà necessario valutare caso per caso il possibile impatto delle modifiche statutarie della holding sulla società controllata.

Più problematica è l’interpretazione del secondo requisito, secondo il quale l’alterazione deve essere “diretta”.

Pare condivisibile quella ricostruzione dottrinale secondo cui la norma de qua richieda che la modifica dell’oggetto sociale incida

40

Così C.FRIGENI,op. cit., p. 164 nota 164; M.VENTORUZZO,Brevi note sul diritto di recesso in caso di direzione e coordinamento di società (art.

2497-quater c.c.), in Riv. soc., 2008 p. 1180, ove si afferma che la modifica delle condizioni di rischio dell’investimento è ritenuta sussistente in re ipsa a fronte dell’abbandono dello scopo lucrativo o mutualistico della capogruppo.

(22)

direttamente (e non già solo in via mediata) sull’assetto economico-patrimoniale della controllata41

.

Passando all’esame della lettera b, si attribuisce il diritto di recesso, da esercitarsi esclusivamente per l’intera partecipazione sociale, al socio della società eterodiretta che abbia ottenuto a suo favore una sentenza (rectius: una condanna con “decisione esecutiva” ai sensi dell’art. 2497 c.c.) contro il soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento.

Si tratta, come è stato osservato, «di una sorta di “divorzio” della minoranza alla luce delle condotte dei vertici di gruppo»42

.

Sebbene in dottrina si sia autorevolmente sostenuto che all’ipotesi di recesso in parola dovesse essere ascritta una funzione di tipo sanzionatorio, nel corso della presente trattazione, indagando sul fondamento causale del diritto di recesso, si rileverà l’unitarietà funzionale di tutte le ipotesi di exit dai gruppi. Si rinvia, pertanto, infra (Cap. II § 3) 43

.

41

Così M.VENTORUZZO,op. ult. cit., p. 1182. Contra C. PASQUARIELLO,op. cit., p. 146, la quale attribuisce all’aggettivo “diretta” la funzione di limitare

il recesso soltanto alle modifiche che, da un punto di vista temporale, siano strettamente indirizzate a ripercuotersi sulla controllata. Come osservato da C.FRIGENI,op. cit., p. 164 nota 164, non è necessario che si verifichi una

concreta alterazione delle condizioni economiche e patrimoniali della controllata, essendo sufficiente che tale effetto si possa produrre. Così, per D. GALLETTI, Commento all’art. 2437-quater c.c., in Il nuovo diritto delle società, Padova, 2005, p. 2412, il giudice dovrà verificare se, alla luce di un

giudizio di prevedibilità, la modifica dell’oggetto sociale possa coinvolgere altresì le linee funzionali della società diretta e controllata.

42

M.VENTORUZZO, Brevi note sul diritto di recesso in caso di direzione e coordinamento di società (art. 2497-quater c.c.), cit., p. 1184. L’A., infatti,

rileva uno stretto collegamento tra la preclusione di recesso parziale in questa ipotesi e la sua stessa “natura”.

43

Attribuisce una funzione essenzialmente “sanzionatoria” all’ipotesi di recesso in esame, M.MAUGERI,Riflessioni minime sul recesso dal gruppo, in Riv. dir. comm., 2009, X, p. 888. In tal senso anche, R.RORDORF,op. cit., p.

928; F. CHIAPPETTA, op. cit., p. 517; C. PASQUARIELLO, op. cit., p. 152,

parla, riferendosi alla fattispecie di recesso in esame ed all’azione risarcitoria

ex art. 2497 c.c., di «rimedi cumulabili» a disposizione del socio per far

(23)

L’ultimo presupposto per l’esercizio del diritto di recesso è individuato dalla lettera c. Tra le diverse cause che legittimano il recesso in materia di direzione e coordinamento, quest’ultima assume una notevole rilevanza pratica, in particolare per quanto concerne il «mercato del controllo» delle società non quotate.44

La norma attribuisce il diritto di exit ai soci delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento «all’inizio ed alla cessazione» della stessa, in presenza di un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento, e a condizione che la società non abbia azioni quotate in mercati regolamentati e non sia stata promossa un’offerta pubblica d’acquisto45

.

In primo luogo occorre chiarire qual è l’ambito di applicazione della disposizione in esame. Essa prende in considerazione sia l’ipotesi in cui una società “monade” perda la propria autonomia in forza del suo ingresso in una realtà di gruppo sia quella in cui, per effetto dell’uscita dal gruppo, ritorni ad operare sul mercato in maniera autonoma. Anche il mero cambiamento del soggetto posto al vertice della struttura di gruppo può alterare le condizioni di rischio e di redditività

44

Così M.VENTORUZZO,op. ult. cit., p. 1187 ; ID., I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, cit., p. 335. In forza della previsione

di cui all’art. 2497-sexies, infatti, il trasferimento del pacchetto di controllo determina (salvo prova contraria) la cessazione della precedente attività di direzione e coordinamento e l’inizio di una nuova, ad opera del nuovo socio di maggioranza. Ciò, in definitiva, si traduce nell’attribuzione al socio di minoranza di un potere di exit che, tenuto conto anche dell’effettiva consistenza della sua partecipazione, potrebbe permettergli di incidere in maniera significativa sulle trattative per la cessione del controllo. Ritiene, anche per questa ragione, che il recesso sia «rimedio esorbitante» a favore della minoranza, A. PAVONE LA ROSA, Nuovi profili della disciplina dei

gruppi societari, in Riv. soc., IV, 2003, p. 777

45

La fattispecie in esame ha dato attuazione all’art. 10, 1° comma, lett. d, l. 366/01. In particolare, si attribuiva al legislatore delegato il compito di «individuare i casi nei quali riconoscere adeguate forme di tutela al socio al momento dell’ingresso e dell’uscita della società dal gruppo, ed eventualmente il diritto di recesso quando non sussistono le condizioni per l’obbligo di offerta pubblica di acquisto».

(24)

dell’investimento ed è, pertanto, idoneo a legittimare l’esercizio del recesso46

.

Passando alla struttura della disposizione preme rilevare come ai fini della legittimazione del diritto in discorso essa richieda l’avverarsi di due condizioni negative: la non quotazione delle azioni della società controllata, nonché la mancata promozione di un’offerta pubblica di acquisto.

L’infelice formulazione della norma ha creato non poche incertezze quanto alla sua interpretazione 47.

Riguardo al primo presupposto, esso ci consente di porre l’accento sulla relazione sussistente tra diritto di recesso e alienazione della partecipazione: in tal caso la contrazione del primo (rectius l’impossibilità assoluta di recedere) trova la sua ragion d’essere nella possibilità di facile disinvestimento attraverso la cessione della quota

46

Così M.VENTORUZZO,op. ult. cit., p. 1187. In senso conforme anche C.

PASQUARIELLO,op. cit., p. 172. Secondo S.GILOTTA,Diritto di recesso che consegue all’inizio dell’attività di direzione e coordinamento, in Giur. comm., 3, 2014, p. 592 ss, in questa particolare ipotesi «il recesso, agendo

quale contrappunto all'apertura concessa dal legislatore al dispiegarsi della direzione unitaria e con essa al perseguimento dell'interesse di gruppo, offre all'investitore esterno la possibilità di liquidare il proprio investimento per un prezzo congruo nel momento in cui l' “evento di rischio” rappresentato dall'ingresso della società nel gruppo (…) si attualizza. Grazie a una tale possibilità di uscita l'azionista non soffre più il pericolo di ritrovarsi a far parte di una società che agisce ora secondo logiche e in vista di obiettivi diversi rispetto a quelli originari e cessa quindi di percepire la relativa eventualità come un fattore di rischio da scontare nel prezzo di sottoscrizione, rendendosi adesso disponibile a offrirne uno che rifletta appieno la qualità (e cioè la potenzialità di produrre ricchezza) del progetto imprenditoriale proposto».

47

Così C.FRIGENI, op. cit., p. 220. Sottolinea la «fumosità» della fattispecie anche A.PAVONE LA ROSA, op. cit., p. 777, il quale ha espresso più di un dubbio in merito all’opportunità del riconoscimento del diritto di recesso nell’ipotesi di acquisto e cessione del pacchetto di controllo. Altre questioni interpretative, poi, potrebbero sorgere per l’individuazione del momento in cui l’attività di direzione e coordinamento può dirsi iniziata o conclusa. In dottrina (v. C.PASQUARIELLO, op. cit., p. 173 nonché M.VENTORUZZO, op. cit., p. 1188) è stata privilegiata un’interpretazione sostanzialistica: il recesso

è esercitabile quando effettivamente inizia o termina siffatta attività senza che rilevi l’adempimento degli obblighi pubblicitari di cui all’art. 2497-bis c.c.

(25)

di partecipazione, trattandosi appunto di azioni quotate in un mercato regolamentato48

.

Il legislatore, laddove l’istanza di disinvestimento possa agevolmente realizzarsi attraverso la negoziazione della partecipazione, limita l’operatività del rimedio succedaneo del recesso.

La seconda condizione negativa di operatività è data dalla circostanza che non sia promossa un’offerta pubblica di acquisto.

Per quanto concerne il rapporto di reciproca esclusione tra recesso ed o.p.a. obbligatoria49 , è opportuno precisare che dal punto di vista del socio di minoranza entrambi assicurano una tutela per certi versi analoga: nonostante i due istituti assolvano a funzioni diverse (l’o.p.a., tra l’altro, assicura la parità di trattamento sul mercato finanziario), tutti e due consentono al socio di dismettere la propria partecipazione beneficiando di criteri legali di calcolo del valore delle azioni50

. Infine, emblematicamente, la disposizione in esame collega la legittimazione all’esercizio del diritto de quo ad un’alterazione delle

48

Per alcune considerazioni analoghe a proposito del recesso ad nutum ex art. 2437, 3° comma, v. infra Cap. III. Così C.PASQUARIELLO, op. cit., p. 176; M. VENTORUZZO, op. cit., pp. 1188 ss. L’A., sulla scorta di tali considerazioni, s’interroga sulla possibilità che il socio, titolare di azioni non

quotate, receda dalla società che abbia emesso anche azioni quotate. Pur

propendendo per la soluzione negativa, afferma che «al di là dai formalismi giuridici, appare sostanzialmente differente la posizione di un investitore titolare di azioni negoziate su un mercato regolamentato, rispetto a quella di un azionista che detiene titoli non quotati, seppur emessi da una società che deve considerarsi quotata». In senso conforme anche R. PENNISI,op. ult. cit.,

p. 943.

49

Che il legislatore si riferisse all’o.p.a. obbligatoria lo si può desumere tenendo a mente quanto disposto dalla legge delega. Cfr. art 10, lett. d., l. 366/01.

50

Così C. FRIGENI,op. cit., p. 221. L’A. ritiene che il diritto di recesso sia

escluso anche laddove il mutamento del controllo si realizzi in forza di un’o.p.a. volontaria, tale da esonerare l’offerente a lanciare un’o.p.a. totalitaria successiva. In senso conforme anche R.PENNISI, op. cit., p. 944. A. PAVONE LA ROSA, op. cit., p. 778, ritiene che il recesso sia escluso, tout

court, nell’ipotesi in cui sia promossa un’o.p.a. “facoltativa”. Contra A.

DENTAMARO,Quotazione e diritto dell’azionista al disinvestimento, Napoli,

2005, p. 457, la quale, argomentando dalla formulazione dell’art. 10, comma 1°, lett. d della legge di delega 366/01, ritiene che il diritto di recesso sia subordinato soltanto alla promozione di un’o.p.a. obbligatoria.

(26)

condizioni di rischio dell’investimento: il recessonon spetta al socio tout court ma è necessario che l’appartenenza al gruppo, o l’uscita da esso, comportino siffatta alterazione 51.

Anticipando alcune considerazioni che saranno approfondite nel prosieguo (v. infra Cap. II § 3), preme soffermarsi sul senso complessivo della disposizione in commento.

Essa predispone a favore dei soci esterni un rimedio in seguito alla verificazione di determinati “fatti” che pur non riguardando direttamente la società dominata, sono idonei a ripercuotersi in maniera significativa sulle condizioni di rischio del loro investimento52.

Anche il denominatore comune delle fattispecie di recesso da “fatto”, allora, è costituito da un’alterazione delle originarie condizioni di rischio dell’investimento, analogamente a quanto affermato per le ipotesi discendenti da un deliberato assembleare53

.

4. L’autonomia statutaria e i suoi limiti nella determinazione

delle ipotesi convenzionali di recesso

Risolvendo i dubbi interpretativi che si erano sviluppati ante riforma sulla tassatività o meno delle ipotesi di recesso, il legislatore del 2003 ha riconosciuto all’autonomia statutaria la possibilità di introdurre

51

Secondo F. GALGANO, Direzione e coordinamento, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 2005, p. 160, in questa ipotesi l’alterazione delle

condizioni di rischio è correlata ad un supposto intuitus societatis dato “dal prestigio o dall’entità del capitale o dall’ambito territoriale di una azione della holding”.

52

In tal senso, specialmente in relazione alle ipotesi di cui alla lett. a) e c), C. FRIGENI,op. cit., p. 164; V.CALANDRA BUONAURA, op. cit., p. 301 nota 20; C.GRANELLI,op. cit., p. 150.

53

(27)

cause di recesso convenzionali, tanto nelle s.p.a. “chiuse” quanto nelle s.r.l.54

Sebbene in termini generali sia possibile affermare che la riforma marci «sotto la bandiera dell’autonomia statutaria»,55occorre ricordare come la legge delega disponga diversamente per i due modelli societari: le indicazioni provenienti dalla medesima depongono a favore di una lettura differenziata dei limiti che incontra l’autonomia statutaria in questa materia5657.

Per entrambi i tipi societari, comunque, pare di dover escludere che il legislatore abbia attributo alla potestà statutaria una discrezionalità assoluta58: nel giudizio di liceità sulle ipotesi convenzionali di recesso è necessario, infatti, tenere adeguatamente in considerazione anche altri interessi, diversi da quelli riferibili ai soci.

A tal proposito, è da condividere quella ricostruzione dottrinale secondo la quale le cause di recesso convenzionali devono comunque consistere in modifiche idonee ad incidere sulle condizioni di rischio

54

Occorre specificare qual è la ratio dell’esclusione, per le società “aperte”, della potestà statutaria in materia. In primo luogo, la relazione illustrativa del D. Lgs. 6/03 considera, al § 9, la «turbativa che in società con diffusa platea azionaria porterebbero facili, diffusi recessi». Secondo S. CAPPIELLO,

Recesso ad nutum e recesso “per giusta causa” nelle s.p.a. e nella s.r.l., in Riv. dir. comm., 2004, p. 500, il fondamento di una tale limitazione

risiederebbe altrove. In particolare, in contesti societari “aperti” potrebbero mancare «quelle condizioni di contrattazione informata e consapevole tra soci che giustificano l’attribuzione agli statuti di un potere dispositivo in tema di recesso nelle s.p.a. “chiuse” e nelle s.r.l.».

55

Così, icasticamente, F. D’ALESSANDRO, “La provincia del diritto

societario inderogabile (ri)determinata”. Ovvero: esiste ancora il diritto societario? in Riv. soc., 2003, p. 38.

56

Mentre l’art. 3, comma 2°, lett. f prevede in materia di s.r.l. un generico ampliamento dell’autonomia statutaria, nella s.p.a. l’art. 4, comma 9°, lett. d stabilisce che lo statuto possa introdurre ulteriori ipotesi di recesso «a tutela del socio dissenziente».

57

Così A.TOFFOLETTO,op. cit., p. 370 ss e G.ZANARONE, op. cit., p. 785.

58

Così C.FRIGENI,op. cit., p. 188. Contra V.DI CATALDO,op. cit., p. 231 il

quale ritiene che «i soci siano assolutamente liberi di individuare, come causa di recesso, qualunque decisione o fatto cui ritengano opportuno affidare tale ruolo» ad eccezione del recesso “ad nutum” e “per giusta causa”.

(28)

dell’investimento, in linea con la funzione generale assolta da questo istituto59

.

In particolare, tanto nelle s.p.a. quanto nelle s.r.l., la riflessione della dottrina ha avuto ad oggetto, principalmente, l’individuazione dei limiti entro cui tale potere può legittimamente concretizzarsi: così, l’attenzione degli Autori si è focalizzata sull’ammissibilità o meno di clausole di recesso “per giusta causa” e “ad nutum”, nonché sulla possibilità di far discendere il recesso non già da una delibera dell’assemblea ma da un mero “fatto”.

Per quanto concerne la prima ipotesi è d’obbligo il richiamo al 2° comma dell’art. 2285 c.c., il quale sancisce la recedibilità per “giusta causa” dalle società di persone.

La dottrina che si è occupata del tema ha cercato di tracciare i confini della “giusta causa” al fine di individuare quali ipotesi siano ad essa concretamente riconducibili; in accordo con una parte della giurisprudenza60

si è ritenuto di interpretare estensivamente suddetta clausola nel senso di ricomprendere: «(...) fatti che legittimerebbero la proposizione dell’azione di risoluzione del contratto, imputabili a uno o più soci, tali da giustificare la pretesa di uscire dalla società (…). Essa può consistere anche nel fatto incolpevole di un altro socio, come la sua interdizione; o in un evento esterno, indipendente dai soci. (...). Può consistere in una situazione attribuibile, in maggiore o minor grado, a tutti i soci, come lo stato di grave discordia insorto tra di essi»61.

59

In tal senso C. FRIGENI,op. cit., p. 188; F.CHIAPPETTA,op. cit., p. 502. Sulla funzione assolta dal diritto di recesso si rinvia infra al Capitolo II.

60

V. App. Roma, 5 settembre 1959, in Rep. Giur. It., 1960, voce «Società», n.51-52. Contra, per un’interpretazione restrittiva prevalente in

giurisprudenza, v. Cass. 13 giugno 1957, n. 2212, in Mass. giur.it., 1957, p. 495. La Suprema Corte ha collegato il concetto di “giusta causa” alla violazione di doveri di fedeltà tali da incidere sulla natura fiduciaria che caratterizza il rapporto tra i soci in questi modelli societari.

61

(29)

Volgendo lo sguardo ai modelli capitalistici, mentre in materia di s.p.a. si ritiene prevalentemente inammissibile la previsione statutaria della “giusta causa” quale ipotesi di recesso62

, e ciò argomentando in base alla sua intrinseca connotazione soggettiva (incompatibile con la tendenziale irrilevanza della persona del socio presente in questo tipo societario), in caso di società a responsabilità limitata la questione appare più problematica.

In dottrina possono individuarsi due distinti orientamenti.

Alcuni commentatori ritengono che non vi siano elementi ostativi all’introduzione di una generica “giusta causa” di recesso. In proposito si è affermato che la previsione della clausola in esame non contrasterebbe né con la formulazione dell’art. 2473 c.c. né con argomentazioni di carattere sistematico: in relazione a quest’ultimo aspetto, in un contesto societario quale è quello della s.r.l., riconoscere la possibilità di recedere al verificarsi di una “giusta causa” sarebbe coerente con il carattere personale che può presentare la partecipazione a questo modello societario63

.

62

G. PERRINO, La “rilevanza del socio” nella s.r.l.: recesso, diritti

particolari, esclusione, Giur. Comm., 2003, I, p. 823 ss; L.DELLI PRISCOLI,

op. cit., p. 110 ss; V. DI CATALDO, op. cit., p. 232; V. CALANDRA

BUONAURA, op. cit., p. 794. Più cauto appare S.CAPPIELLO,op.cit., p. 522, il

quale ritiene che un recesso per “giusta causa” sarebbe ammissibile anche nelle s.p.a. Egli, argomentando a partire dall’ipotesi di recesso prevista all’art. 2497-quater lett. b, ritiene che l’istituto potrebbe funzionare come strumento di reazione nei confronti di violazioni dell’obbligo di correttezza che caratterizza l’agire societario anche nelle s.p.a.; C.FRIGENI,op. cit., p.

293 ss., risolve in senso affermativo il quesito relativo all’ammissibilità del recesso «per giusta causa» in entrambi i modelli capitalistici, traendo anch’egli spunto dall’ipotesi di recesso di cui alla lettera b dell’art.

2497-quater c.c. L’Autore ritiene che tale ipotesi di recesso sia posta a presidio del

socio e del suo interesse a disinvestire laddove la società capogruppo non abbia indirizzato la gestione della controllata nel modo atteso dai “soci esterni”. Così, estende all’ipotesi di recesso «per giusta causa» la disciplina prevista in caso di recesso ex lett. b dell’articolo sopracitato.

63

Così S. CAPPIELLO, op. cit., p. 519. In senso conforme anche V.

CALANDRA BUONAURA,op. cit., p. 304; F. ANNUNZIATA,op. cit., p. 502 ss.;

M. VENTORUZZO,Recesso da società a responsabilità limitata e valutazione della partecipazione del socio recedente, in Nuova giur. civ. comm., 2005, II,

Riferimenti

Documenti correlati

Ora che abbiamo capito quando si può esercitare il diritto di recesso se il consumatore cambia idea, vediamo come fare per restituire un bene o rifiutare un servizio a contratto

Le ragioni di bilancio (punto 110) sebbene … possano costituire il fondamento delle scelte di politica sociale di uno Stato membro e possano influenzare la natura ovvero

In conclusione si registra, per il periodo gennaio-settembre 2015, un saldo dei contratti a tempo indeterminato - vale a dire la risultante dei movimenti di assunzioni,

​Si richiede con la presente la restituzione, entro 14 giorni dal ricevimento, della somma di euro ..., pagata per l’acquisto suddetto mediante ……….. Provvederò

Di conseguenza, trattandosi della prosecuzione del precedente rapporto di lavoro, mentre deve ritenersi esclusa la possibilità di monetizzare le ferie maturate e non godute

Dicevamo non è la prima volta che accade: tuttavia, è la prima volta che accade con tale intensità a causa di una tecnica legislativa arrembante o, secondo i punti di

Per effettuare una prima valutazione tecnica dell’impatto degli sgravi fiscali a favore delle assunzioni a tempo indeterminato, pubblichiamo alcuni dati relativi

Nei due paragrafi di questa Misura – relativi rispettivamente alla complessiva dinamica dei contratti a tempo indeterminato (assunzioni, cessazioni e trasformazioni) e ai flussi