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La recedibilità ad nutum nel diritto societario: la durata

1. Durata indeterminata della società e recesso ad nutum

1.1. La recedibilità ad nutum nel diritto societario: la durata

Con l’emanazione del Testo Unico Finanziario (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) e con l’introduzione, poi, degli artt. 2341-bis e ter c.c., il legislatore ha definitivamente risolto la questione, oggetto di accesi dibattiti sia in sede dottrinale sia in giurisprudenza, della validità dei patti parasociali (in particolare dei sindacati di voto), disciplinando specificamente il profilo della loro durata e pubblicità13

.

Per quanto concerne l’aspetto della durata, si prevede che tali accordi possano essere stipulati tanto a tempo determinato14

quanto a tempo indeterminato: in quest’ultima circostanza, in funzione “riequilibratrice”, si attribuisce ai paciscenti il diritto di recedere ad nutum dal patto medesimo, nel rispetto di un termine di preavviso di durata semestrale.

Le parti, dunque, potranno non prevedere alcun termine di durata e, di conseguenza, l’accordo si caratterizzerà per un peculiare regime di

13

Nella disciplina codicistica si allude ai sindacati di blocco e di voto (patti parasociali che hanno come obiettivo quello di «stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società»). Mentre attraverso i sindacati di blocco i paciscenti si obbligano a non cedere a terzi la propria partecipazione, mediante i sindacati di voto essi si impegnano a votare in un certo modo in assemblea. Occorre precisare, peraltro, che in sede di riforma del diritto societario la disciplina dei patti parasociali è stata dettata con riguardo esclusivo alla società azionaria: come specificato nella relazione illustrativa al D. Lgs. 366/01, per i patti parasociali relativi ad altri tipi societari resterà applicabile la disciplina generale dell’autonomia privata e dei contratti.

14

Laddove il patto abbia durata determinata, questa non potrà eccedere i

cinque anni in caso di s.p.a. “chiusa”, ovvero i tre anni in caso di società

quotata. Qualora il patto sia stipulato per un termine maggiore, esso si intende comunque stipulato per il periodo di durata massimo legislativamente previsto. Come sottolineato da A. GRIECO, Patti parasociali e riforma societaria, in Giust. civ., XII, 2003, p. 525 ss., «Il termine quinquennale,

superiore di due anni rispetto a quello applicabile alle quotate, si giustifica in ragione della circostanza che le nuove norme 2341-bis e 234-ter si applicano a società per le quali l'esigenza della contendibilità è meno sentita rispetto alle società quotate anche se, val la pena ricordarlo, le norme nuove si applicano anche alle società che fanno ricorso al mercato di rischio per le quali l'esigenza di trasparenza è particolarmente avvertita».

instabilità a causa dell’attribuzione del recesso ad nutum; oppure, laddove decidano nel senso di prevedere un termine finale, resteranno vincolate al patto per quel determinato lasso temporale (la cui durata massima è stabilità dalla legge, potendo al più i contraenti rinnovare il patto alla scadenza) 15.

Occorre precisare, peraltro, che la Corte di Cassazione (superando un suo precedente orientamento16)aveva affermato la validità dei sindacati di voto, stipulati in assenza di un termine di durata predeterminato, già anteriormente all’intervento riformatore del 2003: con la sentenza 14865/01 la Corte, oltre ad aver attribuito valenza generale al principio della recedibilità ad nutum dai contratti atipici a tempo indeterminato, ha equiparato -per quanto concerne la fruibilità del rimedio in parola- tale situazione a quella dell’apposizione, da parte dei paciscenti, di un termine finale “eccessivamente protratto” 17

.

Preme a questo punto verificare, vista la posizione di centralità che la questione assume ai fini della presente trattazione (v. infra § 2), se

15

Si veda, in proposito, M. VENTORUZZO, Sindacati di voto a “tempo

indeterminato” e diritto di recesso dei paciscenti nelle società a responsabilità limitata, in Giur. comm., IV, 2006, p. 573 ss. Osserva l’A. che

il “problema” della durata dei patti parasociali, così risolto in punto di disciplina, coinvolge due diverse esigenze: da una parte si vuole tutelare la libertà delle parti di vincolarsi all’accordo per un determinato periodo, dall’altro lato è necessario non sacrificare eccessivamente la loro stessa libertà, nonché la contendibilità del controllo azionario.

16

Cfr. Cass., sez. I, 20 settembre 1995, n. 9975 in Giur. Comm., II, 1997, con nota di V. BUONOCORE. Con questa sentenza il Supremo Collegio, pur riconoscendo la validità di un sindacato di voto attraverso il quale si determinavano le modalità di designazione di amministratori e sindaci, sanzionava con la nullità, in quanto non meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2°, c.c., il patto di sindacato di voto che non prevedeva alcun termine finale: tale accordo, infatti, contrasterebbe con un principio generale del nostro ordinamento giuridico, in virtù del quale non è possibile assumere obbligazioni di durata indefinita.

17

V. Cass., sez. I, 23 novembre 2001, n. 14865. Nella sentenza in esame la Suprema Corte afferma che l’esigenza di temporaneità del vincolo può essere assicurata dall’ordinamento (non già “travolgendo” l’accordo attraverso la sanzione della nullità bensì) mediante l’attribuzione alle parti del diritto di recesso ad nutum: «la sanzione della nullità, applicata alla pattuizione nella sua interezza, appare eccessiva, ed anche eccentrica rispetto alla ratio (cui la sanzione sarebbe informata) di evitare, semplicemente, la perpetuità del vincolo negoziale».

all’indomani della riforma le soluzioni interpretative cui è pervenuto il Supremo Collegio siano ancora da condividere.

Si tratta di chiarire, detto altrimenti, quale disciplina deve essere applicata qualora il termine di durata del patto risulti “eccessivamente lontano”.

La questione, come autorevolmente sostenuto in dottrina, deve essere risolta distinguendo a seconda che il patto de quo riguardi una società per azioni ovvero una a responsabilità limitata18.

Mentre nel caso della società azionaria è preferibile ricondurre l’ipotesi in oggetto alla disciplina prevista dal 1° comma dell’art. 2341-bis c.c.19, una diversa conclusione si lascia preferire laddove il patto riguardi i soci di una s.r.l.

In questo tipo societario, infatti, l’assenza di una specifica disciplina in materia di patti parasociali comporta la piena applicazione di quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 2001: ai paciscenti sarà riconosciuto il potere di recedere ad nutum sia laddove l’accordo nulla disponga in merito alla sua durata, sia in caso di termine di durata “eccessivo”20

. Da un punto di vista funzionale,

18

M.VENTORUZZO,op. ult. cit., p. 573 ss.

19

Le parti, infatti, fissando un termine di durata hanno inteso vincolarsi all’accordo per un determinato periodo di tempo; l’attribuzione del diritto di recesso ad nutum -a causa dell’instabilità che si ripercuoterebbe sull’accordo- , potrebbe porsi in contrasto con gli interessi effettivamente perseguiti dai paciscenti. Tuttavia, poiché il patto eccede il termine di durata massima previsto dal legislatore, esso deve intendersi stipulato per tre o cinque anni, a seconda che la società sia o meno quotata.

20

Come sottolineato da M.VENTORUZZO, op. ult. cit., p. 573 ss, «sebbene

l'art. 1372 c.c. circoscriva le ipotesi di scioglimento del contratto per cause diverse dal mutuo dissenso, numerose disposizioni di legge indicano il principio che, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, conclusi a tempo indeterminato, i contraenti possono liberamente recedere fornendo un congruo preavviso. La recedibilità ad nutum da vincoli obbligatori di durata indeterminata trova, infatti, espresso fondamento normativo, oltre che nella disciplina appena richiamata dei patti parasociali di s.p.a., nelle società di persone e in quelle di capitali non quotate; nelle associazioni di diritto privato; e in diversi contratti tipici non associativi quali, ad esempio, somministrazione, conto corrente, ed altri ancora. Anche le obbligazioni pecuniarie, che l'ordinamento consente siano perpetue, sono in tale ipotesi redimibili.
Ponendo mente ai casi, esplicitamente disciplinati, nei quali il

infatti, il diritto di recesso rappresenta «lo strumento che l'ordinamento appronta per coniugare il principio di conservazione del contratto con quello della temporaneità delle obbligazioni»21.

Nel successivo paragrafo, muovendo dal fondamento causale del recesso ad nutum da società contratta a tempo indeterminato, si verificherà se tale assimilazione possa valere anche nell’ipotesi in cui sia il termine di durata dell’ente ad essere “eccessivamente protratto”. Laddove si giunga ad una soluzione positiva, al socio dovrà essere riconosciuto il diritto di recedere “senza onere di motivazione”, in conformità di quanto espressamente previsto dagli artt. 2437, comma 3°, e 2473, 2° comma, c.c.