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Recesso e modifica delle condizioni di rischio dell’investimento

Le riflessioni svolte sin ora, ed in particolare la costatazione che la vicenda societaria si presta ad essere inquadrata come gestione di un investimento, ci permettono di rintracciare nelle diverse cause di recesso un fondamento unitario.

Laddove il soggetto preposto alla gestione di quell’investimento, modificando i termini di svolgimento dell’attività, incida sulle condizioni di rischio originariamente previste, l’ordinamento attribuisce al socio il potere di “riscuotere” il valore monetario sottostante alla propria partecipazione, revocando così quell’incarico originariamente conferito attraverso l’assunzione della stessa30

.

A fronte di «cambiamenti sostanziali dell’operazione cui il socio partecipa»31, idonei pertanto ad incidere sulle condizioni di rischio originariamente previste, a costui l’ordinamento riconosce l’opportunità di ripensare alla convenienza della propria permanenza in società: le diverse fattispecie di recesso, allora, possono essere considerate in maniera unitaria se intese come altrettante alterazioni dell’originario negozio di investimento.

La bontà di siffatta prospettiva emerge in maniera paradigmatica dalla disciplina dettata in materia di «Direzione e coordinamento di società» (artt. 2497 ss. c.c.).

Ai fini dell’esercizio del diritto di recesso nei gruppi, infatti, non soltanto ed emblematicamente la lett. c dell’art. 2497-quater richiede che l’inizio e la cessazione dell’attività di direzione e coordinamento determinino «un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento» ma anche nell’ipotesi di cui alla lett b il riconoscimento dell’exit è funzionale a tutelare il socio in caso di una

30

Così M.MAUGERI,op. cit., p. 205.

31

modifica delle condizioni di rischio dell’investimento (una parte della dottrina sostiene, invece, che a questa causa di recesso debba essere ascritta una funzione di tipo “sanzionatorio”)32

.

Occorre, al fine di verificare la bontà di questa ricostruzione, soffermarsi preliminarmente sull’art. 2497 c.c., presupposto normativo della causa di recesso in esame.

Tale disposizione sancisce la responsabilità risarcitoria della «società o ente»33 che, nell’esercizio dell’ attività di direzione e coordinamento ed in violazione dei principi di corretta gestione societaria, abbia provocato un pregiudizio alla redditività e al valore della partecipazione sociale, agendo nell’interesse imprenditoriale «proprio o altrui»34

.

32

V. retro Capitolo I § 3.1. nota 43.

33

Per quanto concerne i soggetti responsabili, anche a fronte della correzione del pronome “chiunque”, contenuto della bozza di D. Lgs. del settembre 2002, con l’attuale formula «le società o enti», pare che il legislatore abbia voluto escludere la responsabilità della holding persona fisica. In tal senso P. MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. soc., 2007, p. 317.

34

C. FRIGENI, op. cit., p. 284, si sofferma sui tre requisiti enucleati dalla norma affinché sorga la responsabilità della capogruppo: il pregiudizio arrecato alla partecipazione sociale, la violazione dei principi di corretta gestione della controllata e l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento. Per quanto concerne la lesione «alla redditività ed al valore» della partecipazione, occorre precisare che in dottrina non vi è unanimità di vedute in merito al significato da attribuire a questi due concetti. SecondoA. GUACCERO, Interesse al valore per l’azionista e interesse della società, Milano, 2007, p. 181 ss., bisognerebbe mantenerli distinti: mentre il pregiudizio alla redditività dell’investimento, in particolare, si concreterebbe in una diminuzione del patrimonio sociale (che si riflette pro quota sulla singola partecipazione), il pregiudizio al valore consisterebbe in una diminuzione del valore di scambio della partecipazione sociale. Il secondo requisito, previsto affinché ci sia responsabilità risarcitoria della capogruppo, è che questa abbia agito in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale: si richiede, cioè, una valutazione in merito alla (il)legittimità del suo comportamento. Infine, come si è già avuto modo di rilevare (Cap. I § 3.1. nota 36), la prospettiva adottata dal legislatore è quella dell’attività: la condotta pregiudizievole dalla capogruppo deve essere valutata alla luce della sua strategia imprenditoriale, complessivamente intesa.

La norma contrasta l’ipotesi di abuso posto in essere dalla società capogruppo: questa, in particolare, ha complessivamente35

condotto la propria attività in maniera tale da frustrare le (legittime) aspettative dei soci esterni e dei creditori; essa, non avendo operato come “centro di profitto”, ha in sostanza eluso le ragioni del loro investimento in società36. Il socio di controllo, poichè in grado di orientare stabilmente l’attività sociale, deve tenere in considerazione anche le aspettative dei soci “esterni”: deve rispettare cioè «il significato economico» sotteso alla loro scelta di partecipare ad una società eterodiretta come soci estranei al gruppo di comando37

.

Il legislatore è consapevole «che la sottoposizione di una società ad un’attività di direzione e coordinamento caratterizza in misura rilevante il suo significato imprenditoriale, quindi le condizioni di rischio degli investimenti in essa e più in generale le aspettative di coloro che con essa entrano in contatto (…). Quelle condizioni di rischio, però, e quelle aspettative non riguardano soltanto l’appartenenza al gruppo (...) ma anche i modi in cui in concreto esso viene gestito: pure questi possono rappresentare un’alterazione di tali condizioni ed una delusione, quindi, di quelle aspettative»38

.

Ritenendo di dover aderire a siffatta dottrina, la «violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale», accertata

35

La norma in esame non fa emergere la prospettiva del singolo atto dannoso bensì il concetto più ampio di attività: ai fini della responsabilità della capogruppo, allora, bisognerà tener conto della strategia del gruppo

globalmente intesa. Se, alla luce di queste considerazioni, il singolo danno

risulterà neutralizzato, non ci saranno gli estremi per una pronuncia di condanna a carico della holding. Si tratta, come noto, della teoria dei cc.dd.

vantaggi compensativi: le operazioni compiute dalla società capogruppo non

devono essere valutate isolatamente, in quanto l’eventuale pregiudizio, conseguenza diretta di quell’operazione, può essere eliso da altri benefici che la società può trarre dalla sua appartenenza al gruppo. Sul punto, in giurisprudenza, Cass., 11 dicembre 2006, n. 26325 in Giur. it., 2007, p. 1437.

36

In tal senso C.ANGELICI,op. cit., p. 204.

37

Così C.FRIGENI, op. cit., p. 249 e 303 (corsivo aggiunto).

38

giudizialmente ex art. 2497 c.c., 39 determina un’alterazione (un aumento in particolare) delle condizioni di rischio in base alle quali il socio aveva deciso di investire in società: per questa ragione, in linea con quanto in precedenza affermato, a costui è attribuito il potere di sciogliersi unilateralmente dal rapporto sociale40.