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La dimensione educativa dei giovani universitari: un’inchiesta

aperta ad ogni contributo di idee

e di esperienze

Vittoria Bosna, Giovanna Da Molin

1. Introduzione

I ragazzi del Sessantotto volevano cambiare tutto, a tal riguardo si espresse il filosofo francese Edgar Morin affermando che cinquant’anni fa venne aperta una breccia e avviata una sorta di rivoluzione culturale, nei costumi e nelle vite di tutti quei giovani che ebbero il coraggio di osare. Una rivoluzione che forse non è ancora finita, dunque il Sessantotto continua?

Non è semplice liberarsi delle immagini tratte dai libri, dai giornali, dalle fotografie socializzate nelle famiglie. Si tratta di immagini mitiche che inevitabilmente riportano alle contestazioni degli studenti, alle fabbriche occupate, alle rappresentazioni di chi coraggiosamente sfidò la scuola e l’università borghesi. Si portano come esempio le università italiane, dove erano inevitabili i riferimenti a Marcuse, Sartre, Kerouac, le considerazioni sulla missione educativa di don Lorenzo Milani. Per non parlare dei riferimenti alle questioni sociali che affliggevano il mondo intero, comprese le rivolte nei ghetti neri d’America. Nel profondo della società si agitava qualcosa che aveva a che fare con la voglia di più diritti, più libertà, più democrazia e più modernità che ognuno interpretò a modo suo e che i ragazzi del Sessantotto con l’idea di cambiare tutto. Quale è stata la dimensione educativa dei giovani universitari?

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Globalizing the student rebellion in the long ’68 ISBN: 978-84-948270-3-7 Sostanzialmente, in tale periodo l’università stava diventando un luogo di scontro tra i sostenitori di un mondo diverso, tutti coloro che si trovarono coinvolti in tale ribellione poterono sperimentare in modo creativo un nuovo approccio allo studio e alla politica che divenne ben presto un vero e proprio stile di vita1.

La critica esprimeva la necessità di rovesciare gli ordinamenti istituzionali della società, il bisogno di manifestare contro l’autoritarismo delle istituzioni in genere: università e scuola2. A tal riguardo si ricordano alcuni illustri studiosi tra cui Max Horkheimer e la Scuola di Francoforte, don Lorenzo Milani e Lettera a una professoressa dei ragazzi della scuola di Barbiana, insieme ad alcune testimonianze circa le difficoltà da parte delle donne di inserirsi nella società come soggetto pensante.

2. Voci contro la società borghese: Don Milani

Sospesi tra il desiderio di emancipazione e quello di rifiuto, emersero forme di protesta radicali di carattere pacifico che al suo interno contenevano la scelta del rifiuto sia del mondo dell’istruzione che del mondo del lavoro. L’opera curata da Max Horkheimer (1977) che contribuì con i saggi sull’autorità e la famiglia ad avviare importanti studi sulle società e sulle personalità autoritarie, unitamente agli studi dei ricercatori tedeschi sulle tendenze liberali della borghesia (Betti & Cambi, 2011, pp. 78-79). Una ulteriore voce, particolarmente ascoltata dai giovani era quella di Marcuse (1967), il quale con la sua opera aprì le porte al pensiero critico verso le deviazioni psicologiche, economiche e culturali del sistema capitalistico.

Emerse «la critica dei contenuti formativi dell’ideologia della cultura borghese» (Balestrini & Moroni, 1988, p. 179), attaccando la figura autoritaria del docente. In questo panorama sociale pieno di bisogni di democrazia e di attese di profonde trasformazioni viene pubblicato Lettera

a una professoressa dei ragazzi della scuola di Barbiana di don Lorenzo

Milani3. Proprio il libro del sacerdote rivoluzionario diventò uno strumento fondamentale di assunzione di responsabilità sia per gli studenti che per gli insegnanti; si ricorda che in questo suo importante documento, divenuto in seguito uno dei principi guida della contestazione, si accusò la scuola di essere classista (Milani, 1968). La critica esprimeva la necessità 1 La ricerca si è avvalsa anche del contributo di alcuni opuscoli della rivista Panorama, speciale (a cura di) M. L. Agnese, in merito alla Storia dei giovani «prima, durante e dopo il Sessantotto», (n. 1, del 24/1/88, n. 2, del31/1/88, n. 3, del7/2/88).

2 Ivi, pp. 221-223.

3 Lettera ad una professoressa si può affermare che sia stato in un certo senso il testo

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di ribaltare i sistemi istituzionali della società, facendo emergere il bisogno di manifestare contro l’autoritarismo, ecco che in questo panorama sociale carico di bisogni di democrazia e di attese di trasformazioni decise. Si trattò di uno scritto che il coraggioso sacerdote elaborò insieme ai ragazzi della parrocchia a Barbiana del Mugello; un duro atto di accusa contro l’istituzione scuola che selezionava ed emarginava, una critica contro la scuola e l’insensibilità degli insegnanti (Falconi, 1965). Emerse una nuova cultura di cui i Quaderni piacentini diventarono una sorta di «summa ideologica»4 delle nuove idee. In un clima di cambiamento generale, le esperienze del sacerdote influenzarono il mondo cattolico e non, non riguardarono soltanto il settore della scuola, ma si estesero anche ad altre istituzioni.

3. I cambiamenti: l’inchiesta sulla donna nella università

Durante il ’68 incominciarono anche alcune riflessioni in merito ai rapporti fra uomini e donne, alla famiglia e alla maternità, Simone de Beauvoir diede scandalo con la sua pubblicazione ed indusse le donne almeno ad una iniziale riflessione sul ruolo all’autorità patriarcale (Beauvoir, 2002). Il mondo stava cambiando ed arrivò la contestazione in merito ai problemi dell’educazione della donna che tra il Sessantotto e gli anni Settanta incominciò ad affollare le università italiane cercando di «scardinare» le diffidenze e le ostilità per inserirsi nella nuova società. Si parlava tanto di uguaglianza e di uguali possibilità, ma in realtà la donna continuava a vivere «in sordina», tanto che si è parato di un Sessantotto «tutto maschilista, nessun leader in gonnella». Le ragazze, come scrive Aldo Piro, erano secondo il linguaggio allora corrente, «angeli del ciclostile oppure vivandiere della rivoluzione durante le occupazioni». Era importante esserci, la consapevolezza di partecipare attivamente alla vita universitaria sarebbe arrivata in seguito, all’Università di Napoli, come a Catania nell’aula magna durante le era piena di donne, ma «era raro che una ragazza prendesse la parola in assemblea» (Piro, 1988).

Qualche esempio tratto dalle cronache del tempo può essere significativo per poter confermare l’elevata percentuale di giovani donne che affollava le università italiane, questo fenomeno divenne comune anche nelle università pugliesi5. L’inchiesta di Maria Teresa De Palma ne la

4 «I Quaderni piacentini, rivista bimestrale fondata a Piacenza da Piergiorgio Bellocchio, Grazia Cherchi e Goffredo Fofi, con una impaginazione volutamente povera, erano diffusi fra gli intellettuali affascinati dalla modernità e stanchi del burocratismo comunista». Carlo Rossella, «Maestri no, maestrini sì», in: Storia dei giovani. Prima, durante e dopo il

Sessantotto, Panorama, 24/01/1988, p. 48.

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Globalizing the student rebellion in the long ’68 ISBN: 978-84-948270-3-7 rivista «Nel Mese» alla vigilia degli anni ‘70 ha evidenziato il rapporto della donna proprio in tale luogo, ricercando le cause che portarono la donna del Sud ad abbandonare il suo ruolo tradizionale che la voleva soltanto sposa e madre per inserirsi nella nuova società, occupando posizioni riservare esclusivamente agli uomini.

Per questo, per la prima volta un gruppo di studentesse venne invitato a rispondere ad alcune domande in merito al loro reale interesse per lo studio, se l’iscrizione all’università indicasse una reale evoluzione della donna del Sud, oppure rappresentasse soltanto una evoluzione apparente. Prescindendo da quello che si ritenne giusto o sbagliato, si può dire che avvenne un cambiamento. Emersero difficoltà per le neolaureate, al momento del loro inserimento nel mondo del lavoro per vari motivi legati alla maternità per esempio. Infatti, fra le domande c’era la scontata richiesta di chiarimento in merito alla possibilità di poter conciliare una qualsiasi professione con le responsabilità del matrimonio. In modo particolare si chiedeva alle donne in che misura e se avessero dovuto affrontare difficoltà maggiori rispetto agli uomini, «quali le esperienze personali?» «quali consigli darebbe alle giovani donne che si apprestano a varcare le soglie dell’università?».

Prescindendo da quello che è stato giusto o sbagliato in queste discussioni, si aprì una battaglia per il raggiungimento della parità6.

L’alleanza fra giovani fece emergere una notevole vitalità tra teoria e prassi, questa generazione tentava di unire le esperienze concrete con lo studio impegnato, Landsheere sollecitò la necessità di stabilire un dialogo con gli studenti e con le loro esperienze di apprendimento (Landsheere, 1988). I movimenti femminili degli anni Settanta hanno lasciato un profondo segno nella ricerca formativa sollecitando esigenze di rinnovamento.

4. I movimenti studenteschi: una vita nuova

Dopo le varie occupazioni Furono proprio gli studenti delle scuole superiori, anche prima degli universitari, a far conoscere agli italiani la parola «contestazione» e lo fecero attraverso un giornalino scolastico del liceo Parini di Milano chiamato la «zanzara». Qualcosa di molto più profondo si stava muovendo nella società italiana degli anni sessanta e la rivolta studentesca rappresentò una sorta di detonatore. Infatti, ben presto, la protesta si allargò in tutto l’Occidente mettendo in crisi sia i metodi

6 Grande madre del femminismo moderno è stata Betty Friedan (1921-2006), organizzò molti sondaggi presso donne laureate oppure diplomate che avevano rinunciato al lavoro per dedicarsi ad una vita casalinga. Scrisse a tal riguardo un libro – inchiesta che ebbe un gran successo dal titolo The feminine mystique pubblicato nel 1963.

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che i contenuti d’insegnamento. Proprio in questo frangente, gli studenti incominciarono a tessere una serie di collegamenti tra le varie università, svilupparono confronti e contestazioni sui mezzi di comunicazione consentiti dal sistema con manifesti, slogan, volantini. Soltanto alcune emittenti televisive comunicano pubblicamente quanto stava accadendo, finché nei primi mesi del ’68 con la diffusione delle Tv, anche la media borghesia venne informata. In tal modo anche in un paese ancora per certi versi molto tradizionalista, si apprendono in maniera diretta e non più soltanto attraverso la carta stampata, di quanto stava accadendo nel resto del mondo: della strage americana di My Lai in Vietnam, per esempio, dei messaggi di pace di Martin Luther King. La Cina, l’Algeria e Cuba diventarono i punti di riferimento internazionali delle contestazioni studentesche.

L’università venne individuata come uno strumento di integrazione, ma anche come «uno strumento di manipolazione ideologica e politica che produce subordinazione nei confronti del potere e adatta a cancellare nella personalità di ognuno le culture di solidarietà e della collettività attraverso il mito della competitività individuale» (Balestrini & Moroni, 1988, p. 238). Questo fece emergere la necessità di porre fine ad ogni forma di gerarchia sociale e mise il mondo intero, compresa la classe politica, nelle condizioni di cercare dei rimedi.

5. Conclusioni

La protesta dei giovani e non solo dilagò in Italia e in molti altri Paesi del Mondo. La protesta approdò nelle fabbriche del Nord Italia dove gli operai contestarono i salari, nonché i turni di lavoro; mentre a Sud Italia esplose malcontento per via della disoccupazione. Mentre tutto cambiava, il mondo della politica non riusciva a porre soluzioni, i ragazzi occupavano le scuole, le Facoltà di tutte le università italiane. I motivi che spingevano gli studenti a ribellarsi erano gli stessi sia a Nord che a Sud, sia gli studenti di Bari che i colleghi di Milano, di Camerino, di Perugia, di Palermo, di Ancona si ribellarono per la «ventitrèquattordici, cioè la legge Gui» per la riforma dell’università e della scuola (Mazzolini, 1967, pp. 18-19) che tardò molto per essere approvata. Si contestò non solo la lentezza del Parlamento, ma molto di più l’impostazione della riforma e le «baronie».

Si trattò di uno scontro tra un’Italia che cerca di ampliare i suoi spazi di democrazia, mentre l’altra frena e si oppone a tale cambiamento anche con episodi di violenza.

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6. Riferimenti bibliografici

Balestrini, N., & Moroni, P. (1988). L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata

rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale. Milano: Feltrinelli.

Bertin, G. M., Valitutti, S., & Visalberghi, A. (1976). La scuola secondaria

superiore in Italia. Roma: Armando.

Betti, C. (a cura di). (2009). Don Milani fra storia e memoria. La sua eredità

quarant’anni dopo. Milano: Unicopli.

Betti, C., & Cambi, F. (a cura di). (2011). Il ’68: una rivoluzione culturale tra

pedagogia e scuola. Itinerari, modelli, frontiere. Milano: Unicopli.

de Beauvoir, S. (2002). Il secondo sesso. Milano: Il Saggiatore.

de Landsheere, G. (1988). Storia della pedagogia sperimentale. Cento anni

di ricerca educativa nel mondo. Roma: Armando.

Don Milani (1968). Lettera a una professoressa. Firenze: Libreria Editrice fiorentina.

Horkheimer, M. (1977). Dammerung, trad. it. Crepuscolo. Torino: Einaudi. Marcuse, H. (1967). L’uomo a una dimensione. Torino: Einaudi.

Salvo Mazzolini, S. (1967). L’antimafia degli Atenei. Il Sessantotto, Volume 2, L’Espresso, pp. 18-19.

Oliverio, A. (1980). Come nasce un conformista. Roma: Editori Riuniti. Piro, A. (31/01/1988). Miss ciclostile. In Storie dei giovani. Prima, durante e

dopo il Sessantotto (pp. 77-78). Panorama, n. 2.

7. Riviste

AA.VV. (2018). Il Sessantotto, L’Espresso numeri: 1-2-3-4.

AA.VV. (24/01/1988). Storia dei giovani. Prima, durante e dopo il Sessantotto, Panorama numeri: 1-2-3-4.

AA.VV. (1969). Nel Mese, Periodico di cultura e attualità, numero 12, anno Terzo, Dicembre 1969, Arti Grafiche Bari.

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