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Riflessioni conclusive: quel che resta L’attività di Impastato si può certamente collocare entro uno scenario

Peppino Impastato In questo contesto ed in tale temperie politico-culturale Giuseppe

3. Riflessioni conclusive: quel che resta L’attività di Impastato si può certamente collocare entro uno scenario

che vede l’ispirazione politica degli anni della contestazione giovanile coniugarsi con l’aspirazione alla prassi emancipativa del contesto sociale immediato, attraverso forme di lotta che sono sostenute dal bisogno di

coinvolgimento delle masse, di socializzazione degli obiettivi, di tenuta dell’utopia rivoluzionaria, a partire dai temi forti del problema sociale e

politico del Mezzogiorno e della Sicilia. In tale direzione è utile enuclearne uno «specifico siciliano», che può ben essere individuato in tre elementi: il sicilianismo, come ideologia della mafia e più in generale cultura tradizionale, capace di rinnovarsi nella sua funzione di strumento per mistificare ed assopire il conflitto di classe; la mafia, quale nuova classe dominante; l’autonomia regionale, pienamente riuscita come forma di potere mafioso e pienamente fallita come strumento di emancipazione democratica delle masse popolari siciliane.

La storia della Sicilia, con le lotte del movimento contadino, con centinaia di migliaia di persone impegnate per anni, dimostra che si sono formati partiti, sindacati, leghe, cooperative, si è data vita a originali forme posti strategici e centrali a livello istituzionale […] una contraddizione inaccettabile: ai primi la morte, ai secondi il successo […] ho saputo dopo che il procuratore generale Pizzillo sosteneva che Peppino Impastato era un estremista e che le nostre reazioni e gli esposti presentati potevano essere speculazioni orchestrate dai comunisti […]» (Impastato & Vassia, 2008, p.101).

12 Relazione della Commissione parlamentare antimafia. (2001, 2006). Peppino

Le periferie del Sessantotto: Peppino Impastato e «l’immaginazione al potere» in Sicilia (1968-1978)

di lotta, dalle affittanze collettive agli scioperi alla rovescia, ed è scorso sangue. L’emigrazione, con flussi imponenti, ha fatto il resto: rassegnazione e sfiducia nascono da questa storia di tentativi di cambiamento repressi e cancellati, non da una fantomatica e spesso rispolverata «natura» siciliana. Eppure, gli stereotipi spesso si sono fatti e si fanno scienza: è il caso qui di ricordare l’ interpretazione del fenomeno mafioso come «familismo amorale» di Banfield, che per lunghi anni ha dominato gli ambienti accademici, ed ancora la lettura di Hess, riferita ad una mafia come

«sub-cultura» di un’intera popolazione e, più recentemente, lo sguardo critico

di Putnam che taccia di «incivisme», intere generazioni meridionali, tarate ereditariamente (Bandield, 1958; Hesse, 1973; Lupo, 1993; Putnam, 1993)13.

Nella storia dei grandi eventi non si può certo prescindere dagli uomini, perché sono sensibilità, intelligenze, identità che si consegnano agli altri, e se affidano messaggi forti, quelli che mobilitano ragione e sentimento (testa e cuore), vincono sul tempo, perché producono futuro. I fatti, cioè, non sono chimica degli accadimenti, ma geografia umana. Parlarne, scriverne è attività anti-anestetica: tiene svegli. Ecco un modo per spiegare la perennità di cultura e ricerca, passioni rivolte ad altri, sacrificando il tempo del sentire individuale, al punto da ascriverle alle azioni senza egoismi, anche se dotate di intima compiacenza del fare per tutti, premiando se stessi con lo speciale dono delle emozioni (sentimenti forti per qualcuno o qualcosa). Ciò che costituisce una verifica importante per la formazione di future personalità, animata da percorsi non solo scientifici, ma umani e morali, se il traguardo consiste nel pensare a tutti coloro che aspettano contributi creativi da chi dispone di talenti specifici (il senso della democrazia sostanziale). E’ il senso del dovere inteso come dare, senza enfasi e senza trionfalismi. Siamo certi che un giorno compiuto per intero nell’espletamento del proprio «diario quotidiano» sia debito assoluto. Se ci si abbandona, se si guarda assenti attorno a sé, inevitabilmente il paesaggio si allontana, ed il rischio è che non ti appartenga più, che ti renda estraneo alla realtà ed essa appaia a te «nonluogo»14. Crediamo davvero che Peppino Impastato abbia costruito 13 Hesse, H. (1973). Mafia.tr. it. Bari: Laterza; Banfield, E.C. (1958). Le basi morali di una

società arretrata tr. it. (1976). Bologna: Il Mulino; Putnam, R. D. (1993). La tradizione civica nelle regioni italiane. tr.it. Milano: Mondadori; su questo ultimo si vedano le osservazioni critiche di

Lupo, S. (1993). Usi e abusi del passato. Le radici dell’Italia di Putnam, Meridiana (18). 14 Il riferimento è Augé (1993), in cui l’autore denuncia quel che viene definita la

damnatio memoriae, tratto convulso dell’era storica del telematico che ha accorciato i fili

della memoria, appunto, costringendo a vivere un presente che è sempre più declinato al presente, un presente immobile, che annulla ogni orizzonte storico, distorcendo le tracce del passato, rinunciando alle categorie di tempo e di spazio, che hanno reso caratteristiche le costruzioni tipiche delle varie civiltà e delle proprie conseguenti espressioni di cultura; si veda anche Augé, M. (2009). Che fine ha fatto il futuro?, tr. it. Milano: Eléuthera.

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Antonia Criscenti

Globalizing the student rebellion in the long ’68 ISBN: 978-84-948270-3-7 per sé questa teoria del dovere, come dover-essere possibile e verosimile, proiettando le proprie intime esigenze etiche e politiche verso la collettività e divenendone implicitamente educatore per quel pathos pedagogico che ha animato la sua battaglia, fino a farla divenire estrema, radicale, finale: obiettivo di vita, modello, in linea con quel progetto marcusiano, vessillo del «Movimento» internazionale di contestazione del Sistema. Il «gran rifiuto» verso ogni forma di oppressione/repressione, infatti, supponeva, nella appena richiamata teoria di Herbert Marcuse, non solo la prospettiva, ma anche la capacità di trascendimento, l’immaginazione: la ragione e il linguaggio non sono più in grado di superare la realtà e di opporre un grande rifiuto al modello vigente, per questo la filosofia deve appellarsi all’immaginazione, quale unico strumento in grado di comprendere le cose alla luce della loro potenzialità.

Ed è con un velo di amara consapevolezza, circa gli esiti del grande «Movimento» ed i suoi riverberi nei molti luoghi della democrazia a rischio, che concludiamo rispolverando un concetto di cui si fa carico Marcuse riproporre, a conclusione della sua matura e più fortunata opera, citando Walter Benjamin: «è solo per merito dei disperati che ci è data un speranza». Perché quella «confortevole e democratica non-libertà», segno del progresso tecnico, permea tutto di sé, niente le sfugge, neanche gli strati tradizionalmente anti-sistema come la classe operaia, che si è pienamente integrata nel sistema stesso.

Ma, se esistono, ed esistono, dimensioni al di fuori di esso, al di sotto della base popolare conservatrice, esse vanno ricercate presso gli emarginati, i disperati, i perseguitati, presso coloro che non sono ancora stati fagocitati dalla società repressiva: nelle carica costruttiva di costoro il cambiamento, il futuro possibile.

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