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La Direttiva 65/2001/CE e l’introduzione del fair value

II. OLTRE LA IV DIRETTIVA GLI ANNI 2000 DELL’ARMONIZZAZIONE

2.2 La Direttiva 65/2001/CE e l’introduzione del fair value

Come anticipato in precedenza, gli interventi auspicati nel 2000 dalle numerose comunicazioni di Parlamento Europeo e Commissione si concretarono con la pubblicazione della Direttiva 65/2001 del 27 settembre 200138, che andava a modificare le direttive fondamentali sui conti annuali incidendo sulle regole di valutazione, e, l’anno successivo, con l’emanazione del Regolamento 1606/2002/CE del 19 luglio 2002.

La motivazione dietro l’utilizzo delle due diverse fonti di diritto comunitario si spiega con il differente impatto che il legislatore europeo auspicava produrre con la loro diffusione.

Storicamente, infatti, la Commissione – anche dietro pressione da parte degli stessi Paesi membri – si era sempre affidata allo strumento della direttiva per la divulgazione della disciplina contabile. Questo sia per motivi temporali (per l’adozione dei suoi contenuti sono richiesti almeno 18 mesi dall’emanazione dell’atto normativo), sia per il maggior spazio lasciato ai legislatori nazionali nel

loro recepimento, anche se, come si è visto in precedenza proprio in ambito contabile, questo ha spesso portato a risultati divergenti tra i vari Paesi, vanificando gli sforzi di armonizzazione in ambito europeo.

L’utilizzo del regolamento, d'altra parte, rendeva manifesta l’urgenza con cui la Commissione intendeva operare al fine di migliorare l’informativa destinata ai mercati finanziari e allineare gli obblighi di trasparenza alla migliore prassi contabile internazionale.

La direttiva come strumento per la diffusione del criterio di fair value rivela, d’altra parte, come gli effetti attesi per la sua applicazione fossero considerati come più lievi e dalla portata meno incisiva. In effetti, si temeva un potenziale effetto lesivo alla tutela dell’integrità patrimoniale posta a garanzia di terzi e creditori sociali: come ricordato in precedenza, infatti, il criterio del costo storico poneva a riparo da tale pericolo data la conformità al principio di prudenza più volte richiamato al fine di ottenere il “quadro fedele” della situazione economica, patrimoniale e finanziaria d’impresa – caposaldo indiscutibile dei dettami comunitari.

Adottando il fair value, d’altra parte, i risultati si discostano talvolta sensibilmente dal criterio appena menzionato: la valorizzazione delle poste contabili avviene comunque tramite stime, seppur l’obiettivo perseguito sia quello di ottenere informazioni aggiornate e illustrative del valore economico dell’impresa, ma rappresentando – allo stesso tempo – una possibile minaccia alla salvaguardia del

patrimonio sociale39.

La direttiva in esame identificava il perimetro di applicazione del fair value40 inizialmente con riguardo alla valutazione degli strumenti finanziari primari (azioni e obbligazioni) e derivati (in questo caso, è limitato agli investimenti finanziari detenuti per la negoziazione a fini speculativi)41 – dei quali, per altro, non viene fornita una vera definizione nel testo della direttiva42.

In ogni caso, va evidenziato come i singoli legislatori nazionali erano chiamati a decidere per quali tipi di società estendere l’utilizzo del nuovo criterio, se come obbligo o mera facoltà in presenza dei relativi presupposti, con riguardo ai soli bilanci consolidati; riservata ai singoli Paesi la possibilità di sceglierne, invece, la previsione nei conti annuali. Prevedere una simile opzione nel diritto comunitario, d’altra parte, avrebbe potuto generare ancora una volta il rischio di ottenere risultati disomogenei tra i vari Paesi.

Si è fin ora rilevato come il costo storico fosse da sempre considerato dal legislatore comunitario un criterio maggiormente affidabile rispetto al principio del

39 E’ bene ricordare che ancor prima dell’emanazione delle direttive fondamentali in ambito contabile, l’Unione Europea aveva sentito l’esigenza di inserire nella Prima e nella Seconda Direttiva (rispettivamente, 68/151/CEE e 77/91/CEE) interventi di armonizzazione destinati alla disciplina delle società dotate di personalità giuridica, al fine di coordinare e assicurare una tendenziale equivalenza sul piano della tutela dei diritti di creditori sociali e terzi in generale. Questo a evidenziare quanto fosse ritenuto essenziale un intervento in tal senso, per garantire il miglior svolgimento possibile dei negozi giuridici all’interno del mercato comunitario.

P. PETROLATI, op. cit., pag. 36.

40 Le disposizioni sulle “Valutazioni al valore equo” furono adottate mediante l’introduzione, nella Dir. 78/660/CEE, della Sezione 7bis, composta dagli artt. 42-bis al 42-quinquies

41 I criteri ispiratori della direttiva in esame traggono origine dai principi IAS 32 e 39 in materia di strumenti finanziari. In effetti, proprio da questi documenti deriva la nozione di fair value, nei quali è definito come

il valore equo al quale uno strumento finanziario può essere scambiato nell’ambito di una transazione fra parti informate e consenzienti.

42 Per l’esplicazione di cosa intende, la direttiva, per “strumenti finanziari” si può sicuramente far riferimento agli stessi IAS 32 e 39 richiamati.

“valore equo” di nuova introduzione. Questa tendenza deriva principalmente dalla natura stessa della metodologia valutativa in esame, basata su fonti in minor misura alterabili – quali, ad esempio, il prezzo di una specifica transazione che riflette un determinato negozio, da cui, in prima battuta, risulterebbero stime più attendibili. Ciò non esclude che successivamente possano essere imputati elementi dotati di un certo grado di soggettività (a titolo esemplificativo, si può ricordare la determinazione del tasso di ammortamento di un cespite o dei costi accessori di un’attività in generale). Il dato che ne deriva rispecchia, allora, la situazione patrimoniale dell’impresa orientata a elementi passati, non riflettendone le possibili evoluzioni future.

E’ necessario comunque fare una precisazione in tal senso: l’historical cost rimaneva, infatti, il metodo valutativo principale nel quadro delineato dalla disciplina comunitaria, derogabile solo in presenza di determinate condizioni a favore del criterio più appropriato per la stima di taluni elementi finanziari. Il mercato mobiliare affidava alla valutazione a valori correnti un carattere di maggiore significatività43, derivante dalla capacità di definire il valore del capitale economico dell’impresa.

La nuova Direttiva, dopo aver evidenziato le modalità di determinazione degli elementi patrimoniali con il criterio di nuova introduzione44, poneva l’obbligo di

43 S. FORTUNATO (2007), Dal costo storico al fair value. Al di là della rivoluzione contabile, su

www.academia.edu, pag. 14

44 In particolare, queste modalità differiscono per l’eventuale esistenza di un mercato affidabile; vi si farà riferimento nel caso in cui questo possa essere individuato, mentre, in caso contrario, il “valore equo” sarà determinato tramite regole accreditate nella prassi che consentano di pervenire a una stima sufficientemente fondata a partire da parametri osservabili sul mercato. Ancora, se nessuna delle due strade fosse percorribile, la valutazione dovrebbe avvenire per mezzo del criterio del costo storico.

introdurre un’informativa adeguata in nota integrativa e nella relazione sulla gestione, al fine di chiarire i criteri scelti per le valutazioni effettuate mediante il criterio del fair value e le conseguenze derivanti, approfondendone obiettivi, politiche amministrative e gestione del rischio. Invero, anche le società che non utilizzatrici del fair value pur essendone legittimate, erano ora chiamate a dare giustificazioni in merito alla scelta operata.45

2.3 Il Regolamento 1606/2002 e l’adozione dei principi contabili