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Il percorso dell'armonizzazione contabile in Europa. La nuova Direttiva 2013/34/UE

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INDICE

INTRODUZIONE………...4

I. PROFILI STORICI DELL’ARMONIZZAZIONE CONTABILE IN EUROPA 1.1 Dall’istituzione della CEE alle prime direttive in materia di bilancio...10

1.2 Le difformità nel recepimento delle direttive tra gli Stati membri…….…14

1.3 Criticità nel recepimento delle direttive………...…19

1.4 L’attuazione della IV Direttiva in Italia………...……..….20

a) Prospetti……….…..23

b) Postulati del bilancio………26

c) Principi di redazione………28

1.5 Gli anni Novanta: una nuova strategia………31

II. OLTRE LA IV DIRETTIVA. GLI ANNI 2000 DELL’ARMONIZZAZIONE CONTABILE IN EUROPA 2.1 La strategia di armonizzazione degli anni 2000……….34

2.2 La Direttiva 65/2001/CE e l’introduzione del fair value………44

2.3 Il Regolamento 1606/2002 e l’adozione dei principi contabili internazionali nell’Unione Europea………...48

2.3.1 L’endorsement mechanism………..51

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III. LE PREVISIONI IN MATERIA CONTABILE DELLA NUOVA DIRETTIVA 2013/34/UE

3.1 La nuova strategia di armonizzazione di fine anni Duemila. L’iter di

emanazione della Direttiva 2013/34/UE………....61

3.2 La struttura della Direttiva 2013/34/UE……….66

3.3 Principi generali di redazione del bilancio nella Direttiva 2013/34/UE a confronto con la Quarta Direttiva………..68

3.3.1 Deroghe ai principi generali. Divieto di compensazione e prevalenza della sostanza sulla forma……….77

3.3.2 Segue: deroghe al criterio del costo. Il metodo della rideterminazione dei valori……….78

3.3.3 Segue: valutazioni al valore netto………...86

3.4 Modifiche agli schemi di bilancio. Novità previste per stato patrimoniale e conto economico………87

3.4.1 Disposizioni sulle voci di stato patrimoniale………..89

3.4.2 Schemi di conto economico………93

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IV. IL NUOVO ATTO LEGISLATIVO EUROPEO IN FASE DI RECEPIMENTO: ESITI DELLA CONSULTAZIONE PUBBLICA PER L’ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2013/34/UE IN ITALIA

4.1 La consultazione pubblica avviata dal Dipartimento del Tesoro……….98

4.2.1 I principi generali di bilancio. Il principio di rilevanza………...99

4.2.2 Segue: la prevalenza della sostanza sulla forma………102

4.3 Ammodernamento della disciplina contabile nazionale e avvicinamento ai principi IAS/IFRS.. ………..106

CONCLUSIONI………..119

BIBLIOGRAFIA……….…125

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INTRODUZIONE

L’obiettivo a fondamento dell’Unione Europea di conseguire la creazione di un mercato unico tra i Paesi aderenti al Trattato di Roma doveva necessariamente passare dall’armonizzazione della disciplina societaria, per mezzo di meccanismi contabili il più possibile uniformi al suo interno; invero, questa necessità fu sentita fin dalla nascita della Comunità Economica Europea. Infatti, a circa due decenni dalla sua istituzione si registrarono i primi impegni assunti a tale fine, tanto che il favorire l’internazionalizzazione delle imprese si dimostrò un intento fondamentale sin dagli inizi.

Lo strumento utilizzato da principio si risolse nell’emanazione da parte del legislatore europeo di direttive, atto normativo che i Paesi membri sono obbligati ad adottare nei rispettivi ordinamenti entro determinate scadenze. In particolare, il processo di coordinamento della materia contabile fu avviato nel 1978 attraverso la IV Direttiva CEE 78/660 per i conti annuali e la VII Direttiva CEE 83/349 relativa ai bilanci consolidati.

Con riferimento al caso italiano, il recepimento della normativa appena menzionata avvenne con sostanziale ritardo rispetto agli altri Stati membri, tant’è che le due direttive trovarono attuazione nel nostro Paese solo nei primi anni Novanta per mezzo del d.lgs. 271/1991 – a circa dieci anni, dunque, dalla loro emanazione.

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In realtà, quella dell’armonizzazione contabile è una questione tutt’oggi aperta; se è vero che da un lato furono codificati uniformi principi generali di redazione del bilancio (all’epoca perfino assenti in buona parte degli ordinamenti giuridici dei Paesi membri), è necessario evidenziare come questo non si è tradotto automaticamente nel raggiungimento dell’effettiva comparabilità dell’informativa economico-finanziaria.

Il problema maggiore si deduce dal fatto che questa mancanza non ha rimosso gli ostacoli presenti nel dialogo tra imprese e operatori del mercato dei capitali: gli attori economici hanno difficoltà a indirizzare i propri investimenti e decisioni se a loro disposizione trovano informazioni non comparabili; questo genera un freno agli investimenti a livello transfrontaliero, e le imprese europee, a loro volta, trovano impedimenti nella raccolta di capitali fuori dai rispettivi Paesi d’origine.

In generale, il sostanziale fallimento degli sforzi verso l’armonizzazione contabile è dovuto anche alla natura stessa dello strumento utilizzato, dato che le direttive lasciano ampio margine di scelta agli ordinamenti nazionali nella fase del recepimento.

L’avvio di una nuova fase di questo processo all’interno dell’Unione Europea, tuttavia, emerge già a metà anni Novanta: l’orientamento seguito dai successivi interventi porterà all’adozione di principi di redazione internazionalmente riconosciuti per i loro requisiti di elevata qualità, emanati dall’allora International Accounting Standard Committee (oggi International Accounting Standard Board), organismo tecnico impegnato proprio nella formulazione e diffusione in campo

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internazionale di regole contabili.

Quale tecnica legislativa, nella nuova strategia il posto della direttiva fu sostituito dal regolamento. Il vantaggio che risiedeva in questo strumento era rappresentato dalla sua natura: non solo si rendeva direttamente applicabile all’interno degli Stati membri (per cui non era necessario un intervento normativo diretto da parte di ciascun ordinamento), ma risultava anche obbligatorio in ogni sua parte per ciascuno dei suoi destinatari.

Di fatto, le istituzioni europee abbandonarono il ruolo di standard setter per alcuni tipi societari a favore delle disposizioni promulgate da un ente di natura privatistica, impegnandosi piuttosto a favorirne la diffusione negli Stati membri.

Gli standard internazionali furono presi obbligatoriamente a riferimento, in prima battuta, per la compilazione dell’informativa di gruppo delle società quotate, mentre rimaneva facoltativa la loro adozione da parte delle altre categorie di imprese e per la redazione dei bilancio d’esercizio: questo, in breve, lo scopo fondamentale del Regolamento 1606/2002. Recepimento e omologazione dei principi IAS richiesero numerosi ulteriori interventi volti all’armonizzazione diretta negli ordinamenti giuridici dei Paesi membri, attività ad oggi ancora in essere.

Nonostante l’utilizzo più diffuso dei regolamenti, si ebbero ancora esempi di armonizzazione “indiretta”; prodromica al regolamento sopra menzionato, ad esempio, fu la Direttiva CE 65/2001, che introdusse per la prima volta in ambito

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comunitario il concetto di fair value. Con la Direttiva CE 51/2003, invece, si estese il perimetro di applicazione dei principi IAS/IFRS soprattutto in merito all’obbligo o alla facoltà della loro adozione da parte delle imprese europee, aggiornando, inoltre, le vecchie disposizioni comunitarie sul bilancio per eliminare i conflitti esistenti tra contenuto delle direttive e principi internazionali. D’altro canto, si volevano assicurare condizioni di parità tra le società che adottavano i principi IAS e quelle che ancora utilizzavano i vecchi principi nazionali.

Tuttavia, negli ultimi anni è riemersa la necessità di discutere ancora una volta il quadro delle disposizioni europee che riguardano l’informativa economico-finanziaria. La questione della chiarezza e della comparabilità dei bilanci, in particolare, non è stata ancora sufficientemente risolta, nonostante gli importanti passi avanti fatti in tal senso nel corso del tempo. Contemporaneamente, le istituzioni europee hanno rilevato l’importanza di un nuovo obiettivo da perseguire attraverso l’introduzione di semplificazioni a beneficio delle imprese di minori dimensioni, allo scopo di ottenere una riduzione degli oneri amministrativi a loro carico.

A tal proposito, il 26 giugno 2013 è stata emanata la Direttiva 2013/34/UE, in corso di recepimento da parte dei Paesi membri, che abroga – sostituendole – le attuali direttive in materia di bilancio.

Obiettivo del presente lavoro è, dunque, analizzare il percorso seguito per il conseguimento dell’armonizzazione contabile all’interno dell’Unione Europea,

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studiandone le strategie intraprese sin dai primi periodi fino ad arrivare ai più recenti sviluppi della disciplina comunitaria. Motivo di tale ricerca risiede nella particolare attualità del tema ad oggetto, dato che – come si vedrà nel seguito della trattazione – il recepimento della Direttiva 2013/34/UE potrebbe rappresentare l’occasione per introdurre all’interno del nostro ordinamento innovazioni sostanziali, alcune delle quali fortemente sentite, adeguando la disciplina delle imprese nazionali alle necessità del mercato comunitario e transfrontaliero.

A tale scopo, sono state utilizzate sia le principali fonti legislative europee e nazionali che i contributi di esponenti di dottrina e prassi.

Nel dettaglio, il Capitolo I propone un sunto dei primi provvedimenti avanzati dalle istituzioni comunitarie in materia contabile, da un lato evidenziandone i motivi che hanno impedito un’efficace armonizzazione nonostante il recepimento delle norme comunitarie, dall’altro soffermandosi sui principali contenuti della Quarta Direttiva così come recepiti in Italia.

Il Capitolo II prosegue nell’esposizione dei profili storici più rilevanti ai fini del coordinamento tra i sistemi contabili dei Paesi dell’Unione Europea. Nel mostrare gli sviluppi avvenuti negli anni Duemila, è fatto riferimento anche al modello attuativo adoperato per l’introduzione dei principi contabili internazionali all’interno dei singoli ordinamenti, accennando ai principali organi che sono coinvolti nella loro implementazione.

Un approfondimento sulle più recenti disposizioni dettate dal legislatore europeo è offerto nel Capitolo III, nel quale sono delineate le principali novità e opzioni per i temi di natura contabile previste dalla nuova Direttiva 2013/34/UE.

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Infine, il Capitolo IV presenta una particolare fase del processo di policy making italiano, proponendo una disamina delle risposte pervenute a seguito della consultazione pubblica avviata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’attuazione della direttiva medesima.

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I. PROFILI STORICI DELL’ARMONIZZAZIONE CONTABILE IN EUROPA

SOMMARIO: 1.1 Dall’istituzione della CEE alle prime direttive in materia di bilancio - 1.2 Le difformità nel recepimento delle direttive tra gli Stati membri - 1.3 Criticità nel recepimento delle direttive - 1.4 L’attuazione della IV Direttiva in Italia. a) Prospetti. b) Postulati del bilancio. c) Principi di redazione. - 1.5 Gli anni Novanta: una nuova strategia.

1.1 Dall’istituzione della CEE alle prime direttive in materia di bilancio

Con l’espressione accounting harmonization ci si riferisce alla necessità di instaurare un processo che avvicini la prassi contabile di riferimento di determinati Paesi. In particolare, nel contesto europeo questa esigenza è emersa per la prima volta quando i confini dei mercati sono andati progressivamente ad ampliarsi e il l’ambito di riferimento per le imprese ha lasciato la dimensione del singolo Stato per estendersi a livello comunitario e, successivamente, globale – crescendo sempre più le relazioni tra gli attori economico sociali e le imprese stesse.

Guardando nel dettaglio il caso in esame, il Trattato di Roma del 1957 – istitutivo della Comunità Economica Europea - poneva come obiettivo generale la creazione di un mercato unico volto alla libera circolazione di merci, servizi e capitali. Per un suo conseguimento, sarebbe stato necessario l’abbattimento delle barriere (fisiche e giuridiche) esistenti tra i Paesi aderenti a questa entità sovranazionale. Ai fini di una sua piena attuazione, nello specifico, si sarebbe dovuto operare per il raggiungimento di una tendenziale omogeneità del linguaggio

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contabile, affinché una sempre più vasta platea di destinatari avesse migliori possibilità di accesso all’informativa economico-finanziaria.

Creare un punto fermo, condiviso, nelle norme che regolano il contesto imprenditoriale si rivelò strettamente necessario anche per un altro fondamentale aspetto, indice di un contesto economico evoluto e capace di rispondere alla sempre più grande mutevolezza e instabilità dell’ambiente di riferimento – ovverosia, la costituzione di un mercato dei capitali comune. Questo avrebbe dovuto tutelare in modo pieno ed effettivo gli interessi di tutti i soggetti che vi sarebbero intervenuti a vario titolo, per creare quel clima di fiducia necessario a realizzare l’efficienza nell’allocazione delle risorse.

Il coordinamento dei sistemi contabili, a dire il vero, appariva un obiettivo da conseguire proprio per espressa disposizione del Trattato di Roma, nel quale si prevedeva che le società con sede nei Paesi membri dell’area comunitaria fossero chiamate a predisporre adeguate garanzie a sostegno degli interessi di soci e terzi1.

Per questo era doveroso un intervento volto a rendere trasparenti le informazioni economiche, patrimoniali e finanziarie delle società, dirette al loro ambiente di riferimento, il quale oramai superava sempre più di frequente i confini strettamente nazionali.

1 Infatti, secondo l’art. 50 (ex articolo 44), 2°c, lett. g) del Trattato Istitutivo della Comunità Europea il

Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione esercitano le funzioni loro attribuite in virtù delle disposizioni che precedono, in particolare […] coordinando, nella necessaria misura e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'articolo 54, secondo comma per proteggere gli interessi tanto dei soci come dei terzi.

In particolare, l’art. 54 (ex articolo 48) appena richiamato specifica che per società si intendono le società di

diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro.

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Tra gli strumenti a disposizione del legislatore europeo, quello della direttiva si dimostrò come il più adatto per raggiungere l’obiettivo del coordinamento delle norme sull’informativa societaria, anche in virtù del principio di sussidiarietà.

Detto principio (pilastro del processo decisionale europeo, formalizzato nello stesso Trattato di Roma) suddivide le competenze tra l’Unione Europea e gli Stati membri: la sussidiarietà, infatti, si fonda sull’assunto che le decisioni debbano essere prese al livello il più possibile prossimo al cittadino; al contempo, però, si deve anche assicurare che l’intervento concreto sia reso in modo efficace. Così, nel caso in cui i singoli Paesi non riuscissero a realizzare in modo soddisfacente gli obiettivi riguardanti una particolare materia da regolamentare – non di competenza esclusiva del legislatore europeo – a causa della notevole portata delle misure da adottare, potrebbe questa essere delegata a livello comunitario2.

Andando, in conclusione, a soppesare le due esigenze, proprio la direttiva apparve come la scelta preferibile, giacché la sua applicazione all’interno delle singole realtà nazionali si risolve in un provvedimento meno rigido e vincolante3.

I primi, fondamentali interventi in materia contabile si hanno con l’adozione

2 Cfr. http://europa.eu/legislation_summaries/glossary/subsidiarity_it.htm .

3 Con riferimento alle possibilità in capo al legislatore europeo di emanare atti normativi e/o altri strumenti giuridici, si ricordano brevemente le vie cui può fare ricorso:

- la direttiva, appena citata, obbliga gli Stati membri al raggiungimento degli obiettivi in essa contenuti, ma lascia loro spazio nella scelta dei mezzi e delle modalità per il conseguimento degli stessi. Affinché sia effettivamente applicabile a livello di singolo Paese, è necessario che la direttiva sia stata precedentemente recepita all’interno dell’ordinamento giuridico;

- il regolamento è, di converso, un atto giuridico vincolante e obbligatorio in ogni sua parte, direttamente applicabile nella legislazione interna degli Stati membri senza necessità di un previo atto di recepimento per la sua attuazione e, anzi, senza la possibilità di essere modificato;

- la decisione è un atto che vincola integralmente i suoi destinatari, che possono essere definiti o meno dalla stessa (non per forza ha quindi carattere generale).

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della Quarta Direttiva 78/660/CEE del 25 luglio 1978, relativa ai conti annuali di taluni tipi di società e, successivamente, con la Settima Direttiva 83/349/CEE del 13 giugno 1983 per quanto concerne i conti consolidati.

Il coordinamento delle disposizioni nazionali degli Stati membri riguardo a struttura e contenuto dei conti annuali e della relazione sulla gestione, criteri di valutazione e pubblicità di tali documenti per le società di capitali, fu completato con l’emanazione di ulteriori direttive. Si ricordano, quindi, l’Ottava Direttiva 84/253/CEE del 10 aprile 1984 (relativa all’abilitazione delle persone incaricate del controllo di legge dei documenti contabili), la Direttiva 86/635/CEE dell’8 dicembre 1986 (in materia di conti annuali di banche e altri istituti finanziari) e la Direttiva 91/674/CEE del 19 dicembre 1991 (conti annuali e consolidati di imprese di assicurazione).

Quarta e Settima Direttiva rappresentarono, dunque, una fase cruciale nel contesto comunitario per la funzione dell’informativa economica, finanziaria e patrimoniale – sia a livello di bilancio di esercizio, che di consolidato – che le società di capitali con sede nel territorio europeo furono da quel momento chiamate a fornire per i rispettivi stakeholder e, più in generale, per la tematica dell’armonizzazione contabile in Europa.

In ogni caso, il primo degli atti normativi europei citati rimane il perno sul quale si innesta il sistema legislativo comunitario in materia contabile. Introducendo la Quarta Direttiva, il Consiglio, infatti, evinceva l’importanza e l’urgenza dell’intervento che andava ad affrontare, prendendo ispirazione diretta dal Trattato

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di Roma4.

Tra gli obiettivi che la Direttiva si impegnava a raggiungere, era esplicitata la volontà di perseguire un coordinamento tra le norme in materia di bilancio e, sul piano di forma e contenuti, la comparabilità e tendenziale equivalenza dei criteri di valutazione adottati in sede di redazione dei conti annuali delle società di capitali – il cui patrimonio, e solo quello, è offerto a garanzia delle pretese dei propri creditori. Fu cruciale, dunque, l’attenzione volta alla salvaguardia degli interessi di tutti coloro che entravano in contatto con le imprese, dal momento in cui l’ambiente in cui operavano rivelava confini sempre più vasti, raggiungendo interlocutori sempre più lontani. Questo si rendeva possibile solo offrendo un’informativa omogenea e trasparente, che garantisse altresì il corretto funzionamento dei mercati, non subendo in tal modo distorsioni.

Anche se impliciti nella stessa Direttiva, sono da ricordare quali obiettivi principali dell’intervento anche la certezza della determinazione del reddito fiscale e la questione della responsabilità degli amministratori sulla gestione del patrimonio sociale5.

1.2 Le difformità nel recepimento delle direttive tra gli Stati membri

Per quanto IV e VII Direttiva abbiano dato una svolta all’evoluzione contabile dell’area comunitaria, bisogna far presente che l’innovazione che è passata

4 Le motivazioni dietro la necessità dell’intervento del legislatore comunitario si deducono, come avverrà anche per i successivi atti normativi, leggendo quanto contenuto nei Considerando che introducono alla direttiva.

5 P. PETROLATI, L’armonizzazione contabile nell’Unione Europea. Scenari ed impatti, Clueb, Bologna, 2002, pag. 16.

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attraverso i singoli Paesi si innestava su di uno substrato consolidato di cultura contabile differente tra un territorio e l’altro, che trovava le sue radici in ragioni di diversità tra i valori socio-economici, giuridici e culturali di ciascuno di essi. Per questo motivo, nel recepimento della Direttiva i risultati raggiunti si rivelarono discordanti nei diversi ordinamenti, nascendo da una manifesta disomogeneità negli orientamenti contabili adottati.

Volendo approfondire la problematica appena esposta, si può fare riferimento agli studi proposti da Nobes ed Alexander e schematizzati nella seguente Figura 1.1, che individua come, quasi trattandosi di un circuito chiuso, i molteplici fattori esterni condizionano i fattori ambientali che, a loro volta, determinano i valori sociali e quindi, conseguentemente, i valori contabili. Questi stessi valori contabili derivano però da conseguenze istituzionali che influiscono sui sistemi contabili, per poi tornare, assieme a questi, a influenzare ancora una volta l’ambiente.

Fig. 1.1 – Influenze su valori e sistemi contabili6.

6 Figura tratta da Chanchani S., Willet R., An Empirical assessment of Gray’s accounting value constructs, in Nobes C., Alexander D., 2008, IFRS: context, analysis and comment, Routledge, London.

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Facendo un ulteriore accenno alle questioni culturali dell’evoluzione degli ordinamenti, si pensi alla distinzione tra i Paesi – come Regno Unito (esclusa la Scozia) e Irlanda – che adottano il sistema di Common Law, il quale tende a dare soluzioni sul caso specifico attraverso precedenti giurisprudenziali, anziché riferirsi a fattispecie generali e astratte, e nazioni i cui ordinamenti affondano le proprie radici nel sistema di diritto civile romano (Italia, Francia, Germania, Spagna, Olanda, Portogallo), codificato su ideali di giustizia ed etica, da cui si sviluppa poi il diritto commerciale – impegnato anche a disciplinare i vari aspetti dell’informativa di bilancio.

I due differenti approcci inevitabilmente portano non solo a incidere in maniera differente sui relativi principi contabili, ma si hanno conseguenze anche a livello di prassi nell’organizzazione aziendale e del governo societario.

Così, se in Germania, Francia e Italia, per la capitalizzazione delle piccole e medie imprese, si fa ampio ricorso all’indebitamento presso banche e altri intermediari finanziari, nei Paesi anglosassoni è più frequente che siano gli stessi azionisti a sopportare il quantum di finanziamento richiesto per il conseguimento dell’oggetto sociale.

Le principali conseguenze delle due diverse impostazioni si apprezzano guardando alla struttura societaria prevalente nelle rispettive categorie di ordinamenti giuridici: poche centinaia di società quotate nei mercati regolamentati di Italia7, Francia e Germania, contro le ben più numerose imprese presenti nei mercati azionari dei Paesi di Common Law (2426 le quotate nel mercato azionario

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del Regno Unito8).

Un’altra possibile classificazione distingue i Paesi secondo la qualità degli investitori delle imprese e, definite le caratteristiche, ne trae le conseguenze ai fini dell’applicazione dei principi contabili.

Da una parte, infatti, vi sono i Paesi cosiddetti credit insider, le cui società sono finanziate prevalentemente con capitale proveniente da istituti di credito; il bilancio civilistico finisce per essere il riferimento iniziale per ottenere il reddito imponibile, per cui le norme che regolano la tassazione dovrebbero procedere nella stessa direzione dei principi contabili. La realtà, o perlomeno il caso italiano, dimostra come questo sia raggiunto per mezzo di numerose rettifiche in aumento e diminuzione al risultato d’esercizio.

D’altra parte, nei Paesi equity insider le imprese sono finanziate cospicuamente attraverso il capitale raccolto direttamente presso i risparmiatori. In questo caso, i principi contabili sono finalizzati alla redazione di un’informativa rivolta principalmente al mercato dei capitali, per cui sono richieste regole comuni per le società quotate: è questo il caso di IAS/IFRS in Europa e US GAAP negli Stati Uniti9.

Un altro riferimento che spiega il motivo di questa condizione disorganica nell’attuazione delle Direttive è, inoltre, da ricercare negli ostacoli di carattere politico che si incontrarono nella stesura dell’atto normativo stesso; in particolar

8 Dato aggiornato al 31 marzo 2015. Fonte: www.londonstockexchange.com

9 M. SAITA, P. SARACINO, R. PROVASI, S. MESSAGGI, Evoluzione dei principi contabili nel contesto

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modo, non di facile soluzione fu il raggiungimento di un accordo sul modello legislativo che potesse fare da riferimento per tutti10.

Paesi con proprie tradizioni contabili furono obbligati a convergere verso un’unica direzione sui principi generali, anche se poi, nel dettaglio, era lasciata la possibilità di propendere verso un’opzione piuttosto che un’altra in fase di recepimento di ciascuno di essi.

Alla luce di queste considerazioni, per le numerose possibilità di delega offerte dalla natura stessa della direttiva, si deduce che non vi fu seguito all’applicazione di un vero e proprio quadro di riferimento comune che superasse le divergenze contabili esistenti tra gli Stati membri - divergenze che, come si è visto, nascevano per motivi soprattutto di carattere storico-culturale. Inoltre, queste disomogeneità emersero come conseguenza delle differenti traduzioni offerte dalle versioni ufficiali in inglese, cosa che andò ad incrementare ulteriormente le difformità interpretative.

Lo stesso discorso potrebbe valere con riferimento alla VII Direttiva, che nasceva su una base, ancora una volta, di compromesso politico. In questo caso, però, si sostenne aver raggiunto il proprio fine principale di concorrere a un miglioramento e completamento dell’informativa contabile dei gruppi, particolarmente in difetto rispetto alle esigenze dettate dall’apertura ai mercati finanziari su scala internazionale11.

10 Basti pensare che la prima versione della Direttiva, datata 1971, traeva ispirazione dal modello tedesco, mentre nella successiva revisione del 1974, invece, si passò allo schema pragmatico di matrice anglosassone che fu poi confermato anche per la stesura definitiva dell’atto, quattro anni più tardi. Cfr. P. PETROLATI, op. cit., pagg. 17-18.

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1.3 Criticità nel recepimento delle direttive

Per sintetizzare quanto sin ora detto, si può comprendere che per quanto incontestabile l’importanza della IV Direttiva nel cammino dell’integrazione contabile europea, che è stata favorita quindi da un sensibile miglioramento della qualità dell’informativa economico finanziaria offerta dalle imprese agli operatori economici, i suoi obiettivi non sono stati pienamente raggiunti.

In Italia, per esempio, si sono create discrasie dettate dalla tradizionale forte connessione tra normativa tributaria e regole di redazione dei bilanci, per cui sono nate situazioni in cui la forza del dettato fiscale è andata a imporsi sulla prassi contabile. Questo si ravvisa anche nel caso di altri ordinamenti con caratteristiche similari, come anche in quei Paesi presso i quali il ricorso ai mercati finanziari per il reperimento del capitale di rischio delle imprese aveva storicamente sempre avuto poco rilievo nelle proprie politiche gestionali12.

Pur restando questi profili di criticità, è indubbio il fondamentale ruolo che la Direttiva 78/660/CEE ha rivestito nello sforzo di avvicinamento della prassi contabile europea verso un dettato omogeneo, affinando la qualità generale del contenuto del bilancio d’esercizio e addirittura introducendo per la prima volta, in alcuni Paesi, una vera e propria regolamentazione della materia contabile.

Tenuto conto dei problemi che rimanevano irrisolti, soprattutto con riguardo alla disomogeneità dei dettami contabili e della conseguente scarsa comparabilità dell’informativa, fu promossa dalla Commissione Europea la volontà di adottare una

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nuova strategia in materia di armonizzazione contabile. Pur restando – in sede di recepimento delle due principali direttive citate – le difficoltà sul piano politico, certamente fu d’aiuto l’intervento del legislatore sovranazionale almeno in campo tecnico, attraverso la divulgazione di comunicazioni ad hoc che chiarissero l’orientamento che la Commissione aveva tenuto in sede di stesura del testo normativo, dando così un’occasione per gli organi incaricati dei rispettivi Paesi membri di possedere più riferimenti illustrativi13.

Se è vero che i mercati e l’ambiente in cui sono inserite le imprese sono in continua evoluzione, non si può che ritenere fondata la necessità di definire delle regole in modo che siano capaci di adattarsi ai continui mutamenti che avvengono all’esterno. Questo è possibile attribuendo alle direttive confini tali da poter risolvere il più ampio novero di difficoltà ancora in essere; ciò deve avvenire senza incorrere in un eccessivo ricorso all’opzione, che andrebbe solo a frammentare ulteriormente i dettati normativi a discapito della comparabilità tra gli ordinamenti giuridici dei Paesi membri.

1.4 L’attuazione della IV Direttiva in Italia

Come ricordato in precedenza, i primi impegni assunti dal legislatore comunitario in attuazione del Trattato di Roma in tema di armonizzazione contabile

13 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione interpretativa in merito ad alcuni articoli della Quarta

e della Settima Direttiva del Consiglio sui conti delle società, 98/C 16/04, 1998; OFFICE FOR

OFFICIAL PUBLICATIONS OF THE EUROPEAN COMMUNITIES, The accounting harmonization in

the European Communities. Problems of applying the fourth directive on the annual accounts of limited companies, Luxembourg, 1990.

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si hanno nel 1969 e si sostanziano, due anni più tardi, nella pubblicazione della prima proposta di direttiva. I soggetti che parteciparono attivamente alla stesura dell’emendamento furono inizialmente Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Olanda, ai quali si aggiunsero organi di consulenza governativi, ordini professionali e l’Ecosoc14.

A seguito dell’ingresso nella Comunità di Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda, avvenuto nel 1973, fu sentita la necessità di apporre modifiche aggiuntive al testo della Direttiva, così che i tempi per l’emanazione del testo definitivo si dilungarono ulteriormente15.

Come si è potuto vedere, date le differenze giuridiche e socio-culturali (anche contabili) che si riscontravano tra gli Stati membri, la versione definitiva dell’atto normativo fu ripensata tramite un ampio ricorso a opzioni alternative e derogatorie che, di contro, tendevano ad affievolire l’effetto di ottenere norme nazionali tra loro equivalenti. Invero, la consultazione pubblica per l’attuazione della direttiva, almeno in Italia, aveva fatto emergere tale criticità, tanto che si prevedeva che il tentativo di armonizzazione sarebbe stato così facilmente vanificato.

Tutti i Paesi membri avrebbero dovuto attuare il testo definitivo del 25 luglio 1978 nei i due anni a venire, con efficacia a partire dai bilanci presentati nel 1982.

Si consideri che gli unici Stati “ritardatari”, a metà anni Ottanta, erano Grecia, Spagna, Portogallo e Italia; ma, mentre la prima aveva ottenuto un termine più

14 Economic and Social Council, organo delle Nazioni Unite con il compito di presiedere il coordinamento dell’attività economica e sociale delle Nazioni Unite.

15 C. MOSSO, G. NEGRETTI, E. KUNZ, M. RONDELLI, C.SALMASO (a cura di), La IV Direttiva CEE.

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lungo dalla Commissione, e le seconde erano di fatto Stati comunitari solo dal 1986, si comprende perché il nostro Paese fu richiamato più volte della Corte di Giustizia affinché provvedesse il prima possibile all’effettivo recepimento di un tanto importante documento.

Il lungo percorso dell’attuazione della Quarta Direttiva in materia di bilancio nel nostro Paese fu portato a termine con l’adozione del D. Lgs. 9 aprile 1991, n. 12716, che modificava gli articoli 2423-2428 e 2435 del codice civile17 – a più di un decennio dell’emanazione della stessa direttiva da parte del legislatore europeo.

I valori comunicati dall’atto ora recepito non erano nuovi all’esperienza italiana; il binomio chiarezza-precisione, correttezza, aderenza alla verità erano principi già conosciuti nel nostro ordinamento. In ogni caso, questa si rivelò come un’occasione per ripensare il ruolo del bilancio come mezzo di comunicazione volto all’esterno dell’ambiente societario – non solo, quindi, nella sua funzione di rendiconto volto a illustrare l’operato degli amministratori o come adempimento strumentale agli atti di gestione.

Le disposizioni del D. Lgs. 127/91 innovavano sensibilmente i criteri di composizione del bilancio annuale, sia sul piano dei principi generali di redazione e valutazione, sia su quello della rappresentazione del risultato d’esercizio.

16 Il medesimo decreto portò all’attuazione anche della Settima Direttiva.

Vale la pena ricordare, inoltre, che il disposto del D. Lgs. 127/91 è stato successivamente integrato con le modifiche operate dalla riforma societaria avvenuta con il D. Lgs 17 gennaio 2003, n°6, in attuazione della legge delega n° 336 del 3 ottobre 2001.

17 Per completezza, giova ricordare che, per quanto le società di capitali costituiscano in prevalenza oggetto di studio del presente lavoro, lo stesso decreto modifica, inoltre, gli artt. 2214-2217, riferibili alle società di persone e alle imprese individuali.

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In particolare, le norme introdotte dal decreto in esame si potrebbero concettualmente considerare suddivise in:

- disposizioni che disciplinano i postulati generali che presiedono alla formazione del bilancio, ovverosia i criteri fondamentali cui gli amministratori devono ispirarsi nella redazione dei conti annuali (artt. 2423, bis e 2423-ter c.c.);

- norme che si riferiscono alle modalità, formali e logiche, di attuazione del processo stesso di redazione del bilancio, e nel dettaglio: la rappresentazione dei valori nel conto economico e nello stato patrimoniale; i criteri di valutazione; il contenuto della nota integrativa; la relazione sulla gestione; la relazione dei sindaci; il bilancio in forma abbreviata (artt. 2424–2435-bis c.c.). In particolare, i primi tre articoli costituiscono i principi cardine su cui si innestano le successive disposizioni di rilievo pratico per la composizione dei conti annuali18.

Nel seguito si propone una disamina per sommi capi dei principali aspetti introdotti con il recepimento della disciplina europea.

a) Prospetti

La prima novità introdotta dal legislatore italiano è inserita nel novellato art. 2423 c.c., il quale dispone che il bilancio d’esercizio, redatto dagli amministratori, si

18 Cfr. M. PINI, I principi del nuovo bilancio d’esercizio. Le logiche di redazione secondo il D. Lgs. 127/91

in attuazione della IV Direttiva CEE, Etaslibri, Milano, 1993, pagg. 97-99; A. QUAGLI, Bilancio di esercizio e principi contabili, Giappichelli, Torino, 2010, pagg. 28 ss.

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compone di stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa.

Per quanto di scarsa rilevanza pratica la modifica della terminologia che individua i documenti societari (come la tradizionale espressione “conto profitti e perdite” sostituita da “conto economico”), la vera novità per l’ordinamento nazionale si ebbe con la previsione obbligatoria della nota integrativa. Questa è volta a fornire un approfondimento descrittivo dei dati quantitativi illustrati negli altri due prospetti obbligatori che fanno parte del bilancio; il suo contenuto minimo è disposto, invece, nell’art. 2427 c.c..

Lo scopo perseguito dal prospetto in esame si sostanzia nel raggiungimento di una maggiore completezza di quelle informazioni che non sarebbero desumibili dalla lettura esclusiva dei valori di sintesi racchiusi nei soli conto economico e stato patrimoniale. Le scelte degli amministratori sono, così, chiarite in merito alla valutazione di determinate poste contabili, entrando nel dettaglio della composizione delle singole voci e giustificando le scelte operate dalla direzione aziendale.

E’ doveroso ricordare che già da tempo auspicavano al ricorso di un’efficace informativa di bilancio organismi quali lo IASC, così come i Principi Contabili dei Dottori Commercialisti raccomandavano la redazione di “note esplicative” di accompagnamento19.

Non solo in dottrina fu discussa la scelta operata dal legislatore europeo quanto da quello nazionale di non includere nel bilancio – tutt’uno inscindibile nelle sue tre parti fondamentali - un quarto prospetto: il rendiconto finanziario.

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Il documento appena citato è destinato a fornire il dettaglio della formazione dei flussi di cassa nell’arco di un esercizio, al fine di ricavare giudizi in ordine alla liquidità e alla solvibilità dell’impresa nel breve periodo. Obiettivo che, evidentemente, un destinatario del bilancio esterno alla società non sarebbe in grado di desumere dal reddito così come rappresentato nel conto economico.

L’assenza di un’esplicita previsione nel codice civile che rendesse obbligatoria la redazione del rendiconto fu da subito vista negativamente anche nell’ottica di internazionalizzazione e modernizzazione delle imprese italiane, che – si sottolineava – difficilmente sarebbero state in grado di assolvere le esigenze informativa esterna20.

Tuttavia, questa mancanza è stata in parte colmata, recentemente, con l’intervento dell’Organismo Italiano di Contabilità, che ha dedicato un documento al tema in esame; ad oggi, l’OIC n° 10 nella sua nuova formulazione raccomanda a tutti i tipi societari che redigono il bilancio ai sensi del codice civile la presentazione del rendiconto finanziario proprio nella nota integrativa, a soddisfare i requisiti di chiarezza e di rappresentazione veritiera e corretta della situazione aziendale in bilancio.

Un ulteriore adempimento richiesto agli amministratori dal D. Lgs. 271/91 concerne l’introduzione della relazione sulla gestione. A differenza della nota integrativa, complemento che, come detto sopra, indaga gli aspetti quantitativo-metodologici dei valori di sintesi del bilancio, questo documento è volto ad

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approfondire in chiave narrativa e statistica lo stato della realtà aziendale e i possibili scenari futuri della gestione, considerando anche i rischi attesi. Si noti, tuttavia, che nonostante l’obbligatorietà della relazione ai fini di una completa informativa contabile, non risulta essere parte integrante del bilancio considerato come documento unitario.

L’art. 2423-ter c.c. invece affronta, assieme ai richiamati artt. 2424 e 2425, la struttura di stato patrimoniale e conto economico, fissando rigidamente le regole che ordinano l’articolazione dei due prospetti, salvo le deroghe concesse ai commi successivi.

E’ di interesse ricordare che la direttiva europea, anche in questo caso, prevedeva la possibilità per i singoli ordinamenti di poter scegliere fra diverse opzioni: i legislatori nazionali avrebbero dovuto optare per schemi a sezioni contrapposte o in forma scalare, mentre – per il solo conto economico – avrebbero dovuto scegliere tra schemi con costi aggregati per natura o per destinazione.

b) Postulati del bilancio

La previsione dei nuovi prospetti sopra citati non avrebbe avuto l’auspicato impatto sul piano pratico se le norme non fossero state integrate dalle istruzioni dettate dalla “clausola generale” del bilancio. Questa è specificata dai tre principi inseriti nel 2° comma dell’art. 2423 c.c.; essi ricoprono una veste di superiorità assiologica rispetto alle altre indicazioni tale da influenzare la forma mentis dei

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soggetti preposti alla redazione dell’informativa societaria nello svolgimento del loro obbligo. Sono, per meglio dire, un insieme di regole sovraordinate rispetto alle norme di dettaglio, volte a ispirare la loro applicazione.

Entrando nel merito di quanto appena affermato, il primo requisito che il bilancio deve possedere è quello della chiarezza. Si intende, cioè, individuare quel criterio di redazione che consiste nella rappresentazione formale dei conti secondo gli schemi di bilancio imposti dallo stesso legislatore, al fine di rendere comprensibile il contenuto dei documenti societari ai fruitori del bilancio e consentire, contemporaneamente, la comparabilità nello spazio e nel tempo dei valori esposti.

Nel medesimo comma sono menzionati anche gli altri due postulati facenti parte della clausola generale. Si parla, infatti, di rappresentazione veritiera e corretta21 della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società.

Ricercando la rappresentazione veritiera non si deve pensare che il legislatore pretenda una verità assoluta, l’esattezza oggettivamente verificabile dei valori riportati. Questa sarebbe, invero, impraticabile, stanti i processi valutativi cui sono sottoposte le voci rappresentate in bilancio e la relativa discrezionalità degli amministratori nell’esposizione dei dati aziendali.

Il principio di correttezza, d’altro canto, limita questa stessa discrezionalità, richiedendo che le stime siano operate con onestà e neutralità, affinché «non sia

21 True and fair view, art. 2, comma 3° della IV Direttiva, nella quale l’espressione inizialmente tradotta con “quadro fedele” rappresenta il principio ispiratore cui tende il dettato normativo europeo nel suo insieme.

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privilegiato per forma e contenuto qualche particolare centro di interessi22».

Alla luce di quanto detto, verità e correttezza si sostanziano nel rispetto dell’attendibilità delle informazioni contenute nel bilancio.

Le previsioni del 3° e 4° comma dell’art. 2423 c.c. sono a loro volta tese a rafforzare la clausola generale.

Il primo comma menzionato, di carattere “integrativo”, richiama il concetto di completezza informativa: nella misura in cui la rappresentazione veritiera e corretta non sia raggiungibile mediante l’applicazione dei dettami del legislatore, gli amministratori sono tenuti a fornire le informazioni complementari necessarie.

Specularmente, il comma successivo prevede la possibilità di derogare alle previsioni del legislatore in quelle situazioni – pur sempre eccezionali – che non permetterebbero la rappresentazione attendibile di quanto riportato, motivando tale operazione nella nota integrativa.

c) Principi di redazione

Dopo aver esposto i postulati che devono assistere la forma mentis di chi è chiamato a redigere l’informativa societaria, il legislatore europeo affronta, come corollario ai principi stessi, le regole di valutazione che ne derivano. Sono così delineati i criteri generali che riguardano, in particolar modo, l’aspetto logico delle valutazioni di bilancio23.

22 A. QUAGLI, op. cit., pag. 29. 23 Art. 31 della Quarta Direttiva.

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Il contenuto della direttiva è quindi ripreso dall’art. 2423-bis del codice civile. Innanzitutto, si rilevano i principi di continuità aziendale e di prudenza.

Il primo, posto come premessa iniziale, denota la necessità di valutare le voci applicando criteri di funzionamento, avendo quindi a riferimento il perdurare della gestione nel tempo.

In ordine alla prudenza, invece, questa si concretizza da una parte nel divieto di imputare a conto economico gli utili sperati, dall’altra – simmetricamente e in senso opposto – l’obbligo di collocarvi anche rischi e perdite non sostenuti ma solo presunti.

In senso lato, si può interpretare anche come il precetto da tenere in considerazione nella formulazione di stime: a parità di attendibilità, è richiesto agli amministratori di scegliere sempre la valutazione più prudente da inserire in bilancio. Questo al fine di non danneggiare i creditori presenti e futuri, tutelando l’integrità del capitale sociale posta a garanzia dei loro interessi. In altre parole, si potrebbe dire che il rispetto del principio di prudenza rivesta la principale forma di tutela rivolta ai terzi.

E’ allora piuttosto evidente come il postulato della prudenza sia legato ai successivi principi enunciati nel medesimo articolo.

Si prescrive, infatti, che gli utili indicati in bilancio siano solo quelli effettivamente realizzati nell’esercizio, evitando la definizione di risultati riferibili a esercizi successivi. Così, secondo la competenza, costi e ricavi sono da imputare nell’esercizio quando vi trovano giustificazione economica prescindendo dalla loro

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manifestazione monetaria.

Potrebbe ricondursi al principio della chiarezza il disposto – di per sé meno indicativo – che ordina di “valutare separatamente gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci” (n. 5 dell’art. 2423-bis c.c.), poiché non è consentita la compensazione tra partite diverse.

I criteri di valutazione, si aggiunge, devono essere costanti nel tempo; non possono essere variati da un esercizio all’altro per non invalidare la comparabilità delle informazioni in ogni periodo. La possibilità di confrontare i risultati è, infatti, di fondamentale importanza per i destinatari del bilancio, che possono così apprezzare l’evoluzione della gestione e dedurne possibili scenari futuri. Allo stesso tempo, si riduce la possibilità per gli amministratori di sottoporre i risultati esposti alle stime più favorevoli rispetto ad un particolare momento.

In casi meramente eccezionali è possibile, tuttavia, derogare al principio di costanza dei criteri di valutazione, ammesso che una sua rigida applicazione comporterebbe la violazione dei sovraordinati principi di rappresentazione veritiera e corretta – mettendo in discussione, quindi, il “quadro fedele” della situazione aziendale. In tal caso, è fatto obbligo di giustificare la scelta in nota integrativa, considerandone le conseguenze.

Le linee guida di riferimento per la stima delle singole poste dello stato patrimoniale sono invece rappresentate nell’art. 2426 c.c., rubricato “criteri di

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valutazione”. Le indicazioni contenute assumono, dunque, la veste di regole applicative funzionali al raggiungimento del “quadro fedele” richiesto dalla stessa direttiva.

Per quanto analitiche, le regole contenute nella IV Direttiva – e, di conseguenza, recepite nell’ordinamento nazionale – non potevano essere comunque in grado di coprire tutti gli aspetti tecnici che sarebbero potuti emergere nelle fattispecie concrete. Diventava, allora, compito dei documenti professionali fornire indicazioni più dettagliate per interpretare correttamente e integrare la normativa, per mezzo di raccomandazioni sui principi contabili.

E’ stata anche questa, negli anni a venire, una delle principali questioni da affrontare, una volta poste le fondamenta dettate dai primi atti normativi europei in materia di bilancio.

1.5 Gli anni Novanta: una nuova strategia

A metà anni Novanta l’Unione Europea prese atto della necessità di adottare una nuova direzione sul dibattuto tema dell’armonizzazione contabile, formalizzando la sua nuova presa di posizione in una Comunicazione della Commissione Europea del 199524.

Alla luce degli ininterrotti cambiamenti intervenuti nel mercato dei capitali a livello internazionale, infatti, era evidente che la IV e la VII Direttiva non fossero più adeguate a rispondere alle esigenze degli interlocutori economici delle imprese

24 COMMISSIONE EUROPEA, Armonizzazione contabile: una strategia nei confronti del processo di

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europee operanti al di fuori della stessa Unione, al punto da essere costrette a redigere due ordini di conti annuali – seguendo, in prima battuta, i dettami delle direttive contabili e, successivamente, i principi adottati da quei mercati cui si rivolgevano. Evidentemente, ciò incideva negativamente sia sul profilo degli oneri amministrativi che le imprese erano chiamate necessariamente a sopportare per adempiere a questi incombenti, sia sulla possibilità – piuttosto concreta, a dire il vero – di infondere nei destinatari del bilancio un certo grado di confusione in sede di lettura dei documenti societari, che avrebbe condotto inevitabilmente a un conseguente malfunzionamento dei mercati finanziari.

Un altro profilo di criticità che la Commissione intese sopperire riguardava la possibilità che le imprese, nella ricerca di una soluzione a questi problemi, protendevano verso l’utilizzo di principi contabili extraeuropei – in particolare, dei GAAP statunitensi25. In altre parole, era messo in secondo piano il ruolo di standard setter che l’Unione Europea aveva invece a sé avocato.

L’Unione intendeva aprirsi a una strategia di coordinamento e cooperazione sia sul piano interno, con i singoli Paesi facenti parte dei suoi confini, sia su quello esterno con lo IASC (International Accounting Standards Committee) – organo deputato all’emanazione degli IAS (International Accounting Standars)26.

Gli sforzi principali che si intendevano sostenere, a questo punto, erano tesi al raggiungimento di una più agevole internazionalizzazione delle imprese europee che

25 Gli US GAAP (United States Generally Accepted Accounting Principles) sono una raccolta di regole di natura contabile i cui contenuti affrontano sia argomentazioni di portata generale, sia procedure pratiche che entrano maggiormente nel dettaglio. Il loro ruolo assume particolare rilievo soprattutto ai fini del rapporto con il mercato azionario americano.

26 In ogni caso, data la loro particolare rilevanza, le tematiche connesse ai principi contabili internazionali e agli organi che li emanano verranno affrontate nel dettaglio più avanti.

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operavano al di fuori dei confini nazionali e comunitari, per consentire la redazione dei loro conti annuali e consolidati in conformità con le prescrizioni dettate dagli IAS e, non meno importante, il mantenimento della tipicità raggiunta in campo europeo degli standard contabili contro il predominio dei principi statunitensi.

Si nota come questo diverso atteggiamento nei confronti della questione dell’armonizzazione contabile ha portato la stessa Unione Europea ad ammettere la rilevanza del ruolo ricoperto dai principi internazionali, permettendo di aprirsi gradualmente alla convergenza verso regole di redazione a carattere internazionale e, alle imprese, di accedere anche a mercati finanziari non comunitari.

Non si deve dimenticare che, allo stesso tempo, l’Unione Europea aveva sempre avuto un occhio di riguardo alle conseguenze derivanti dall’applicazione dei suoi atti normativi, in particolar modo, confrontandosi con le esigenze di tutela delle piccole e medie imprese europee - come noto, substrato fondamentale della struttura economica di tutti gli Stati membri. Se gli IAS sono, infatti, rivolti alle grandi imprese a vocazione internazionale, così come sono loro riferibili le problematiche legate ai bilanci consolidati e all’informativa finanziaria destinata ai mercati, le società di minori dimensioni non devono vedersi ostacolate su campo giuridico, fiscale e amministrativo nella loro crescita, ma anzi, se ne deve favorire l’evoluzione anche abbattendo queste stesse barriere che possono frapporsi tra il loro sviluppo e l’applicazione degli IAS27.

27 Concetti che videro la luce nella comunicazione COM (93) 700, 1993 della Commissione Europea, intitolata White paper on growth, competitiveness and employement: the challenges and the ways forward

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II. OLTRE LA IV DIRETTIVA. GLI ANNI DUEMILA DELL’ARMONIZZAZIONE CONTABILE IN EUROPA

SOMMARIO: 2.1 La strategia di armonizzazione degli anni Duemila – 2.2 La Direttiva 65/2001/CE e l’introduzione del fair value – 2.3 Il Regolamento 1606/2002 e l’adozione dei principi contabili internazionali nell’Unione Europea – 2.3.1 L’endorsement mechanism – 2.4 La Direttiva 51/2003, “direttiva di ammodernamento”.

2.1 La strategia di armonizzazione degli anni Duemila

Come accennato nel precedente capitolo, il nuovo percorso intrapreso dalla Commissione nel 1995 mirava a dare un nuovo impulso alla problematica dell’armonizzazione contabile nel contesto europeo, posto che i traguardi raggiunti fino a quel momento non avevano del tutto soddisfatto le aspettative che il legislatore comunitario si era inizialmente preposto.

E' in questo scenario che emerge il nuovo rilievo dato agli IAS28 nel quadro di armonizzazione contabile internazionale, dal momento che per la prima volta si consentivo ufficialmente l'ingresso negli ordinamenti degli Stati membri di principi emanati da un ente di natura privatistica, pur mediato dall’influenza delle istituzioni europee.

into 21st Century e ripresi più volte successivamente, a sottolineare l’impegno verso un progetto ad hoc

per il progresso delle piccole e medie imprese europee.

28 Si precisa che dal 2001, a seguito della riorganizzazione dello IASC e la sua trasformazione in fondazione privata, è lo IASB (International Accounting Standards Board, interno alla fondazione stessa) l’organo competente all’emanazione dei principi contabili internazionali, denominati ora International Financial

Reporting Standards. A tal proposito, ad oggi ci si riferisce ai principi con la denominazione IAS/IFRS

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La sempre crescente attenzione volta al processo di convergenza contabile è giustificata dal riconoscimento del ruolo cruciale da essa rivestito al fine della completa realizzazione della trasparenza nei mercati finanziari, necessaria al raggiungimento di uno dei principi cardine dell’Unione Europea: solo intervenendo sulla materia contabile sarebbe stato possibile perseguire l’obiettivo della libera circolazione dei capitali, garantendo allo stesso tempo eguale tutela agli attori economici operanti nei mercati stessi.

Nonostante il recepimento delle direttive in materia di bilancio pubblicate negli anni Settanta e Ottanta, risultavano ancora irrisolte le discrasie incontrate a livello di informativa societaria. Questo, di conseguenza, rappresentava un ostacolo alla formazione di un mercato europeo efficiente e concorrenziale, in grado di offrire alle imprese europee di qualsiasi dimensione il capitale adeguato alle esigenze di ciascuna.

Il limite maggiore era originato proprio dal linguaggio non uniforme con cui i documenti societari erano predisposti e rivolti agli operatori economici. La IV Direttiva, in particolare, per quanto fosse riuscita a fissare per la prima volta principi di redazione uniformi che valessero per tutti i Paesi membri, d’altra aveva offerto un’eccessiva presenza di opzioni per la rappresentazione dei valori e dei criteri di valutazione. Questo, assieme alle differenti interpretazioni dei legislatori nazionali nel recepimento di alcuni principi, non aveva concesso il pieno raggiungimento dei suoi obiettivi.

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sul piano della facilità di accesso al capitale, che si sarebbe tradotta altresì in una riduzione nei costi di approvvigionamento del capitale stesso; benefici ulteriori si sarebbero potuti apprezzare intendendo questa evoluzione come un impulso per la crescita economica di lungo periodo, con effetti favorevoli sul piano del tasso di occupazione e della competitività.

Entrando nel merito di quanto sancito in occasione dell’intervento del 199529, è eloquente l’inversione di tendenza della Commissione Europea nel momento in cui ritenne di procedere verso la riconsiderazione e l’eliminazione dalle direttive esistenti di opzioni ritenute inadatte e superflue quando, invece, proprio poco tempo prima la stessa Commissione aveva manifestato la volontà di mantenerle ancorate ai loro contenuti originari, da modificare solo in via residuale.

La più grande innovazione sarebbe stata rappresentata dall’introduzione della possibilità, per le società quotate, di redigere i rispettivi conti annuali in conformità con i principi IAS30. Le grandi imprese a vocazione internazionale, infatti, soffrivano particolarmente delle carenze del quadro legislativo di riferimento, tanto da essere talvolta costrette a redigere due serie di conti annuali – uno in linea con quanto richiesto dalle direttive comunitarie, l’altro per rispondere alle necessità dei mercati dei capitali operanti fuori dai rispettivi confini nazionali. Tutto ciò

29 COMMISSIONE EUROPEA, Armonizzazione contabile: una strategia nei confronti del processo di

armonizzazione internazionale, COM 95 (508), 1995,

30 Un’altra considerazione posta in evidenza dalla Commissione Europea riguardava l’introduzione della moneta unica europea, che sarebbe avvenuta entro breve, e delle sue attese ripercussioni positive in ambito di armonizzazione. Si riteneva, infatti, che con l’euro si sarebbe sicuramente agevolato il processo di avvicinamento delle prassi contabili, grazie all'utilizzo di un linguaggio unitario per l’esposizione dell’informativa societaria. Avrebbe facilitato non solo i rapporti all’interno dell’area europea, ma anche le relazioni al di fuori dei suoi confini.

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comportava sia un evidente incremento dei costi amministrativi per le imprese stesse, sia il rischio di creare situazioni di confusione nei destinatari dell’informativa societaria31.

Quale fosse il motivo di questo radicale cambiamento nel pensiero delle istituzioni europee è di facile comprensione. Da una parte, la Commissione si preoccupava di mantenere l’individualità dei dettami comunitari e frenare la tendenza delle imprese europee che, in assenza di altre indicazioni, talvolta si rivolgevano ai principi statunitensi per la predisposizione dei bilanci, quasi rendendo marginale il compito delle istituzioni europee e il loro ruolo di standard setter.

D'altra canto, la stessa dottrina contabile era ormai concorde nel riconoscere l’elevato grado di qualità dei principi emanati dallo IASB, ritenuti idonei a dotare dei necessari requisiti di chiarezza e attendibilità i bilanci delle imprese che li adottavano.

Quanto appena esposto ben si concilia considerando la funzione di questi conti – annuali e consolidati – destinati ai mercati finanziari, i quali richiedevano di poter fondare le proprie decisioni e riporre le proprie aspettative in un'informativa caratterizzata da requisiti di fedeltà, tempestività, attendibilità e comparabilità per consentirne il corretto funzionamento.

In sintesi, il legislatore europeo avrebbe operato nell’ottica di colmare il divario tra le esigenze informative dei mercati dei capitali e le disposizioni comunitarie,

31 FONDAZIONE LUCA PACIOLI, Gli IFRS nell’economia e nei bilanci delle imprese. L’armonizzazione

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tenendosi in linea con quanto previsto dalla prassi internazionale e partecipando attivamente al dibattito sull’armonizzazione contabile.

La nuova strategia mirava, inoltre, a proseguire nell’attività tesa a migliorare la comparabilità dei documenti societari nel tempo e nello spazio, considerando anche per questa circostanza l’utilizzo di strumenti di redazione già esistenti nella pratica internazionale. In ogni caso, sarebbe stata funzionale alla strategia fin ora esposta l’istituzione di un organo interno alla struttura comunitaria, responsabile di verificare la compatibilità dei principi internazionali alle disposizioni comunitarie prima di poter acquisire validità all’interno dei Paesi membri.

In quanto alla modalità di intervento, sarebbero state modificate le due direttive principali in materia di bilancio, mantenendo come fine ispiratore la tutela degli interessi dei terzi nel patrimonio sociale delle imprese. Era chiaro che Quarta e Settima Direttiva, con gli ampi margini lasciati alle istituzioni nazionali nel loro recepimento, pur restando pietre miliari nel cammino dell’armonizzazione contabile, non erano riuscite ad evitare il confermarsi dei rispettivi orientamenti territoriali in materia di redazione di bilancio.

Quello che serviva, piuttosto, era un corpus organico di regole che si adeguasse alla dinamicità dei mercati e dell’ambiente in generale, in modo tale da rendere le imprese europee in grado di mantenere un adeguato livello di competitività nel contesto economico globale.

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Emerge, dunque, come l’esigenza di raggiungere questi obiettivi fosse sempre più stringente, secondo la rinnovata attenzione che l’Unione Europea aveva concentrato sull’argomento. La presenza di un mercato dei capitali completo ed efficiente, cui potessero affidarsi tutte le imprese comunitarie, anche quelle di piccole e medie dimensioni, rivestiva una tale importanza che nei piani della Commissione vi era in programma non solo di emanare atti specifici sul tema della contabilità, ma di introdurre la questione in una visione generale di politica europea, e in tempi più brevi.

Quanto sin ora illustrato era stato anticipato dalla stessa Commissione Europea nel 1999 nel Piano d’azione per i servizi finanziari32 e ribadito nella Comunicazione 359/200033, documenti che indicarono i due provvedimenti essenziali che sarebbero stati adottati nel periodo seguente.

E’ doveroso precisare che per quanto il frutto di queste nuove osservazioni traesse origine da un’attenta riflessione critica sulle regole vigenti all’epoca, avvenuta all’interno delle istituzioni europee, furono nondimeno rilevanti sia l’evoluzione della dottrina contabile sul piano internazionale, sia i cambiamenti intervenuti nell’ambiente di riferimento delle imprese europee, che ampliavano sempre più i loro confini.

Tornando all’analisi degli interventi di cui sopra, si parla, anzitutto, di cambiare

32 La Comunicazione 232/99/CEE fece emergere l’assoluta rilevanza del settore dei servizi finanziari come volano per la crescita economica all’interno dell’Unione, fino a quel momento limitata per la scarsa capacità di attrarre investimenti – a sua volta influenzata da una normativa non omogenea sull’informativa societaria.

33 COMMISSIONE EUROPEA, La strategie dell’UE in materia di comunicazione finanziaria: la via da

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lo strumento principale per la diffusione della normativa, prediligendo il mezzo del regolamento piuttosto che la direttiva. Questa non venne, comunque, abbandonata del tutto: con la Direttiva 2001/65/CE, infatti, si sarebbero andate a modificare direttamente le direttive in materia contabile già esistenti, introducendo per la prima volta il concetto di fair value34 nella valutazione di determinate poste dell’attivo e del passivo, che andava ad affiancare il criterio del costo storico utilizzato prevalentemente fino a quel momento.

Il successivo Regolamento 1606/2002, invece, avrebbe determinato la possibilità per le società quotate di redigere i propri bilanci consolidati in linea con i principi internazionali IAS.

Con riferimento all’introduzione del sistema dei principi contabili internazionali, si osservi che la Commissione Europea fu più propensa a prevedere l’adozione di standard emanati da un organismo privato e indipendente, piuttosto che uniformarsi ai dettami statunitensi.

Per quanto si ritenesse che entrambi i complessi di regole fossero idonei, una volta applicati, a garantire agli attori del mercato un’informativa affidabile su cui fondare le proprie decisioni e a favorire al contempo il loro sviluppo, si considerò tuttavia che gli US GAAP fossero talmente radicati al proprio originario contesto che i limiti posti dalle differenze culturali, economiche e politiche da cui discendevano mal si coniugavano con le esigenze della realtà europea. Non solo: difficoltà aggiuntive sarebbero emerse anche in sede applicativa per gli stessi

34 Generalmente tradotto come “valore equo” nelle direttive comunitarie o anche “valore attuale di mercato”. Per un approfondimento sull’argomento in questione, si rinvia al prosieguo del capitolo.

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soggetti preposti alla redazione dei documenti societari, data la complessa struttura dei principi statunitensi, che prevedevano molte e numerose fattispecie concrete nel novero dei singoli principi.

Fig. 2.1 – La situazione attuale in merito all’adozione dei principi contabili internazionali IAS/IFRS nel mondo.

Fonte: adattato da www.iasplus.com e P. DANJOU, L’extension du domaine…des IFRS, Finance and Gestion, pp. 39-40, Marzo 2015.

Nell’adottare un sistema frutto dell’attività di un organismo, quale lo IASC, dall’anima privatistica e indipendente (pur restando incontestabile la sua competenza) la Commissione Europea era comunque consapevole che non poteva essere perseguita un’ammissione – per così dire – passiva dei nuovi standard nell’ordinamento comunitario.

In altre parole, non era plausibile che un ente esterno alle istituzioni comunitarie avesse un potere libero, illimitato e, contemporaneamente, non soggetto ad alcun

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controllo da parte delle istituzioni stesse. Si rendeva, allora, necessario un impianto organizzativo di rango tecnico e politico in grado di vigilare sull’attività dello IASC e sul contenuto dei suoi provvedimenti, affinché fossero concordi con i piani d’azione strategici e politici della Commissione Europea. Questo, evidentemente, sempre al fine ultimo di tutelare l’affidamento dei terzi nella comunicazione d’impresa.

D’altra parte, la necessità di introdurre un nuovo criterio come quello del fair value era particolarmente sentita proprio in ragione dei mutamenti avvenuti all’interno dei mercati regolamentati35. Si sarebbe rivelato obsoleto rimanere ancorati alle originarie formulazioni della Quarta e Settima Direttiva, con le conseguenti limitazioni e rigidità che avrebbero continuato ad ostacolare la libera circolazione dei capitali e, più in generale, lo sviluppo economico dell’Unione, tenuto conto dell’evoluzione del contesto economico globale.

Con l’introduzione del fair value quale criterio di valutazione di alcune poste contabili, infatti, il bilancio avrebbe sensibilmente perso i caratteri della prudente valutazione economica della situazione aziendale, come richiesto dalla sua principale funzione di garanzia per soci e creditori che affidavano i propri interessi all’integrità del capitale.

Questo derivava da un elemento di fondamentale differenziazione offerto dall’applicazione dei principi IAS, relativo al diverso fine perseguito dal bilancio:

35 Basti pensare ai nuovi strumenti finanziari introdotti per la raccolta di capitali, quali swap, option, future,

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