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LA DISCREZIONALITÀ CONTABILE: FATTISPECIE POSITIVA O NEGATIVA?

1.5 IL BILANCIO DI ESERCIZIO: STRUMENTO DI CONOSCENZA E COMPORTAMENTO

1.5.2 LA DISCREZIONALITÀ CONTABILE: FATTISPECIE POSITIVA O NEGATIVA?

Gli amministratori sono i soggetti ai quali la normativa e i principi contabili attribuiscono il potere discrezionale in sede di redazione del bilancio. Fino ad ora, come del resto si continuerà fine al termine di questo lavoro, la discrezionalità verrà considerata nella sua accezione negativa, quale strumento volto alla manipolazione del reddito. Questo però, non deve indurre a ritenere che la discrezionalità sia un male in senso assoluto, cioè che se essa fosse eliminata dal processo di redazione del bilancio si otterrebbe l’estinzione delle pratiche di DEM e del contestuale miglioramento della funzione informativa del bilancio.

Come osserva Pini (1991):

<<…la discrezionalità – di per sé intesa – è una categoria logica

necessaria per la composizione dei bilanci, ma non è per sua natura predisposta a essere un fatto positivo o negativo per la comprensione e per l’illustrazione della realtà aziendale: tale indole viene infatti a dipendere dai comportamenti e dagli intendimenti di chi la esercita>>.

Seguendo il filo logico dell’autore nell’analizzare la soggettività del bilancio di esercizio, la discrezionalità può essere suddivisa in tre dimensioni, ideale, ideologica e strumentale, le quali vengono ricomprese in un grafico esplicativo:

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Che gli amministratori, nell’osservazione della dinamica aziendale e nel discriminare tra le molteplici alternative rappresentazioni della stessa, assumano una posizione assolutamente imparziale, cioè considerando le variabili contabili con massima chiarezza e oggettività possibile, è fuor di dubbio l’approccio corretto che un qualsiasi redattore del bilancio dovrebbe perseguire; tuttavia, nella pratica questa è un’ipotesi che va oltre la reale fattibilità. Dunque, un approccio di tal genere è ben definito dall’aggettivo ideale. Ciò in ragione del fatto che dietro la maschera dell’amministratore vi è pur sempre un essere umano al quale viene richiesto di formulare valutazione orientate al futuro. Soggetto, che ha una propria cultura d’impresa, capacità ed ineliminabile soggettività.

Non è possibile tralasciare nemmeno la stretta relazione che sussiste tra l’azienda, nella quale l’amministratore opera, e l’ambiente socio – economico – giuridico che la circonda. Infatti, accettando il fatto che un approccio ideale non possa trovar luogo nella realtà, il redattore del bilancio potrebbe essere orientato, nonostante la sua insita soggettività, alla rappresentazione più fedele possibile del complesso aziendale. L’amministratore/persona non potendo essere imparziale, potrebbe desiderare (più o meno consapevolmente) che i terzi vedano l’azienda attraverso il bilancio così come lui la concepisce, nonostante la buona fede che accompagna il suo operato. In effetti sotto tali condizioni, non appare plausibile come tale grado di soggettività non possa manifestarsi34, consegnandoci una

accezione definita ideologica della discrezionalità35.

Terza dimensione, è quella della strumentalità. Infatti, gli amministratori potrebbero tenersi ben lontani dal perseguire un approccio non solo ideale, ma

34 Pini (1991) <<Infatti, gli amministratori compiono le scelte in discorso pur sempre

ancorandosi a un dato ordine intellettuale, il quale riguarda innanzitutto le diverse possibili concezioni che essi hanno maturato circa il ruolo dell’impresa, il suo “essere stata”, il di lei “dover essere” e modo di porsi nell’ambiente esterno; di conseguenza, avviene che le loro opinioni in merito alla determinazione e all’illustrazione dell’esercizio risentono delle valenze marcatamente aziendali desumibili da tali convinzioni di fondo>>.

35 Verona (2006) sulla dimensione ideologica: <<Ne deriva una politica di bilancio che risente

dei differenti modi di pensare, seppure in buona fede, degli amministratori: ciò che viene descritta non è detto che sia la realtà, ma è pur sempre ciò che gli amministratori credono sia la realtà>>.

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anche ideologico; cioè potrebbero sfruttare volontariamente quei margini di manovra che la normativa mette a loro disposizione, per direzionare con alterazioni e dissimulazioni l’informativa di bilancio a proprio piacimento. In aggiunta, a copertura della strumentalizzazione della realtà, gli amministratori potrebbero celare le loro manipolazioni dietro il velo della legittima e ineliminabile presenza della discrezionalità ideologica (sarebbe complesso infatti per un terzo contestare che gli amministratori abbiano adottato una rappresentazione strumentale della realtà quando egli può ben ribadire che tale rappresentazione è la realtà che lui percepisce sotto il profilo ideologico)36.

Pini (1991) sottolinea:

<<E’ dunque possibile intravedere una sorta di paradosso della

discrezionalità. Concepita – almeno nelle Dottrine aziendali – come reazione

all’indeterminatezza dei valori economici, con lo scopo di migliorarne la conoscenza, nei fatti essa non solo può dar luogo a fraintendimenti – sia pure volontari – di ascendenza ideologica, ma addirittura a travisamenti consapevoli della produzione economica d’impresa>>.

Paradosso della discrezionalità che può essere rintracciato anche nelle parole di Verona (2006):

<<La discrezionalità non è detto che sia un fattore negativo, anzi

potrebbe facilitare il compito degli amministratori nel redigere un bilancio più veritiero. Infatti, vincolare eccessivamente i redattori a schemi troppo rigidi, schematizzare le molteplici sfaccettature con cui può presentarsi la dinamica aziendale, significa voler standardizzare a tutti i costi una realtà che per sua natura non è prevedibile: si perderebbe qualcosa in significatività>>.

36 Verona (2006): <<Gli amministratori possono addurre di essere in buona fede, in quanto tale

uso strumentale della discrezionalità può sempre essere <<mascherato>>: quella che viene rappresentata è pur sempre ciò che gli amministratori dicono di credere sia la realtà effettiva, possono <<nascondersi>>, quindi, dietro questa sorta di discrezionalità ideologica>>.

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Il ragionamento presentato in questo paragrafo, è iniziato dalla sua conclusione; la discrezionalità di per sé non è un bene né un male. Positivo o negativo piuttosto, è l’approccio perseguito dal redattore del bilancio nel valutare ciò che è rimesso al suo soggettivo apprezzamento. Libertà giustificata dai diversi pesi di una bilancia che vede su un piatto, un bilancio rigidamente disciplinato ma scarsamente informativo e sull’altro, un bilancio potenzialmente informativo ma suscettibile di strumentalizzazione. E se il primo bilancio è sicuramente inutile alla sua funzione, il secondo potrebbe esserlo, per questo l’ago del legislatore e dei principi contabili pendono verso quest’ultima modalità.

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