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3. Dalla teoria alla storia

3.2. La Francia e la «disorganizzazione» rivoluzionaria

Nel Memorial Addressed to the Sovereigns of Europe and the Atlantic del 1803, Pownall recupera la riflessione su società e governo intrapresa negli anni ’50 a fronte della rinnovata centralità teorica della dottrina del contratto, tornata alla ribalta in corrispondenza dello scoppio della Rivoluzione francese222. In piena età

delle Rivoluzioni, Pownall aveva trovato conferma di quanto aveva annunciato mezzo secolo prima: il potenziale eversivo contenuto nella dottrina del contratto sociale, di cui si erano recentemente serviti i rivoluzionari per sovvertire il balance of property e il balance of power della società francese. Egli è infatti consapevole che il dispositivo teorico del contratto, delineato a fine Seicento in funzione anti- assolutistica, era diventato ancor più pericoloso a fronte della partecipazione politica dei ceti inferiori e

220 Ivi, pp. 107, 67, 54. Era la medesima «pursuit of happiness» che era stata rivendicata soltanto sette anni prima nella Dichiarazione

d’indipendenza (La Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, cit., p. 71). Si veda anche R. Laudani, Disobbedienza, cit.,

pp. 63 e ss; Id., Il movimento della politica, cit., pp. 43-48.

221 T. Pownall, A Memorial Addressed to the Sovereigns of America, 1783, cit., p. 56.

222 Per uno studio sull’impatto della Rivoluzione francese su scala transatlantica, si veda S. Desan, L. Hunt, and W.M. Nelson (eds.), The French Revolution in Global Perspective, Ithaca, Cornell University Press, 2013.

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del diffondersi delle rivolte popolari alla fine del Settecento, quando esso era stato volto verso l’obiettivo di una democratizzazione della politica e dei rapporti sociali che ne mutava radicalmente gli obiettivi originari223. Il Memorial si apre con un riferimento esplicito alla «condizione rivoluzionaria e rivoluzionata

dell’Europa», che Pownall considera nella sua dimensione atlantica. Egli osserva con preoccupazione

Tutta quella malvagità infetta che ultimamente è stata in opera tra gli uomini all’estero, e che, violando tutte le relazioni, annichilendo tutti i diritti, dissolvendo tutti i principi fissi, ha teso a disorganizzare tutti gli ordini della comunità europea. Circa quarantacinque anni fa queste cause si sono innalzate nell’orizzonte politico e hanno iniziato a dispiegare i loro effetti in America. Circa dodici o quattordici anni fa queste cause hanno iniziato a germogliare in Europa, in un suolo preparato a riceverle e a farle crescere. […] [Mi propongo] di descrivere il trauma subito dalle nazioni, la sovversione dei diritti delle nazioni, l’abrogazione della legge delle nazioni e la conseguente disorganizzazione dell’Europa224.

Se negli anni ’50 Pownall aveva descritto l’evoluzione della società in governo come un processo di «organizzazione», a fronte degli stravolgimenti rivoluzionari francesi vede invece compiersi un inverso fenomeno di «disorganizzazione» dei governi europei. Se l’«organizzazione» è la disposizione gerarchica degli «ordini e subordinazioni di ordini», la «disorganizzazione» consiste nel ribaltamento e nella confusione dei rapporti gerarchici della società. La «disorganizzazione» rivoluzionaria aveva infatti prodotto un «pervertimento dei principi della libertà politica, che ha preso piede in teoria e che, una volta applicato alla pratica, rende l’organizzazione della comunità negli ordini e nella subordinazione degli ordini, che è la sua essenza naturale, incompatibile con quella stessa libertà che viene rivendicata»225. La

Rivoluzione francese, assumendo la forma della rivoluzione sociale (del Terzo Stato contro l’aristocrazia, che paventava lo spettro della rivolta dei ceti inferiori contro la proprietà privata borghese), aveva prodotto una confusione tra «licenza» e «libertà». Se è vero che è sulla difesa del naturale balance of property della società che si fonda la libertà, allora l’emergere della questione sociale in Europa non è per Pownall altro che una «lotta tra licenza e libertà», ovvero tra le «licenziose» rivendicazioni dei ceti popolari e la «libera» difesa della sicurezza dei proprietari. Lo spirito rivoluzionario francese è dunque assimilabile a «un veleno, […] che lavora con il suo potere distruttivo negli organi vitali della comunità» e che rischia di «infettare» tutte le altre nazioni europee226. Per fronteggiare l’avanzata dello spirito rivoluzionario, Pownall

cerca qui una strada teorica per dimostrare, ancora una volta, la fallacia della dottrina del contratto, alla luce di una condizione storica mutata che rende gli appelli a quella dottrina minacciosi più che mai. Mentre negli scritti degli anni ’50 la correlazione tra balance of property e balance of power era stata presentata come la mera conseguenza di leggi naturali immanenti alla società, in piena età delle Rivoluzioni e a fronte

223 Si rimanda a G. Duso (a c. di), Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 149-236. 224 T. Pownall, Memorial Addressed to the Sovereigns of Europe and the Atlantic, 1803, cit., p. 2.

225 Ivi, p. 3. 226 Ivi, pp. 102-105.

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dell’emergere della questione sociale in Europa questo nesso va difeso, contro le rivendicazioni sociali e politiche delle classi non proprietarie che miravano a sovvertirlo. Il governo, a questa altezza, non è più soltanto un’impalcatura istituzionale eretta a partire dalla proprietà, ma diventa il baluardo a difesa della proprietà di un gruppo contro gli attacchi e le contestazioni di un altro. Pur essendo infatti partito dalla critica della Rivoluzione francese, diventa subito chiaro che a preoccupare Pownall non sono tanto i borghesi del Terzo Stato, bensì i ceti inferiori, emersi tanto sotto forma di mob e di bande portuali durante la Rivoluzione americana, quanto nelle vesti dei sanculotti parigini durante la Rivoluzione francese e negli equipaggi ammutinati agli ancoraggi di Nore e Spithead nel 1797, quanto, infine, nella moltitudine di schiavi che a Santo Domingo avevano recentemente iniziato a massacrare i proprietari bianchi227. Pownall

nutre una concezione ampia dell’età delle Rivoluzioni, nella misura in cui vede una continuità tra lo «spirito rivoluzionario» diffuso su scala atlantica e la questione sociale che stava emergendo in modo dirompente nelle città europee. Egli teme infatti che gli eventi francesi possano essere interpretati dai ceti inferiori come la dimostrazione che «i membri più infimi e peggiori della comunità […] possono, sfidando qualsiasi diritto, sovvertire ogni proprietà legale e diventarne gli autentici possessori, e che possono, calpestando ogni libertà e uguaglianza, introdurre un nuovo sistema di ineguaglianza del tipo più oppressivo e dispotico»228. La degenerazione della Rivoluzione francese in Terrore (con le espropriazioni

delle proprietà aristocratiche) e la Rivoluzione di Haiti paventavano il pericolo di una «mobocracy», un regime fondato sul potere della mob:

Ciò dimostra quanto poco capiscano la natura del patto sociale o fino a che punto volessero pervertirne i principi coloro che miravano a un appello al popolo in una convenzione disorganizzata di individui uguali, senza far riferimento alla proprietà attiva, […] al potere naturale e di conseguenza ai diritti. […] Per mezzo di questo appello, essi dissolverebbero inevitabilmente tutta l’organizzazione naturale della comunità e la costituirebbero in una convenzione di individui sconnessi. […] Essi la trasformerebbero in una folla [mob] e, mettendola sotto la direzione dei capi della folla, creerebbero nient’altro che una mobocracy, fondata […] sul suggerimento arbitrario della volontà, o sulla violenza di un dispotismo anarchico229.

La natura «disorganizzata» di un tale regime dipende precisamente dalla recisione del legame tra «proprietà attiva» e «potere naturale», ovvero dal sovvertimento del nesso tra balance of property e balane of power da cui

227 Gli ammutinamenti degli equipaggi della Royal Navy a Nore e Spithead nel 1797 furono due eventi cruciali nella storia del radicalismo atlantico settecentesco, e Pownall non poteva non esserne a conoscenza. L’Ammiraglio della Navy Sir Edward Campbell Rich Owen, servendosi significativamente del medesimo apparato lessicale di Pownall, nel suo manoscritto Reflections

on the Mutiny at Spithead attribuì ai marinai ammutinati la responsabilità del dilagante «spirito di disorganizzazione» nella società

del suo tempo (E.C.R. Owen, Reflections on the Mutiny at Spithead, 52 pp. [Caird Library & Archive, National Maritime Museum of Great Britain, Manuscript Collection, COO/2/A]). Sugli ammutinamenti nell’età delle Rivoluzioni, si rimanda a C. Anderson, N. Frykman, L. Heerma van Voss, and M. Rediker (eds.), Mutiny and Maritime Radicalism in the Age of Revolution: A

Global Survey, in «International Review of Social History», vol. 59, special issue no. 21, 2013, pp. 1-14.

228 T. Pownall, Memorial Addressed to the Sovereigns of Europe and the Atlantic, 1803, cit., p. 104. 229 Ivi, pp. 130-131.

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solo può discendere la legittima «organizzazione» della società in governo, e senza il quale non può prodursi alcuna unione, ma soltanto una moltitudine di «individui sconnessi».

Se è vero che il «social compact», ovvero il processo di «compattamento» e unione della società, è una «verità reale», tuttavia questo processo, come si è detto, è naturale, e non può fondarsi per Pownall su una dinamica contrattuale. La dottrina del contratto è invece ciò che ha mostrato ai non proprietari la possibilità di «un qualche nuovo sistema artificiale e ordine delle cose, per mezzo del quale ciascuno possa andare oltre e fuori da quella classe e da quell’ordine in cui il processo naturale della comunità […] lo ha posto». L’artificio pattizio è infatti servito a giustificare e realizzare «la dissoluzione di tutta la società civile in esperimenti di riforma, su nuovi sistemi di libertà illusoria da un lato, e di impraticabile uguaglianza dall’altro». I ceti inferiori avevano visto nella dottrina del contratto lo strumento per rompere con la natura e creare per mezzo di un artificio un nuovo regime ex nihilo che ribaltasse il nesso naturale tra balance of property e balance of power; essi avevano così iniziato a rivendicare «diritti oltre gli ordini e la subordinazione degli ordini, che sola può diventare la base del governo fondato sull’organizzazione politica naturale della comunità»230. Le parole d’ordine dei diritti naturali e della libertà originaria celavano

la vera aspirazione delle classi inferiori, la sovversione dei rapporti proprietari:

Il lavoratore, il manifattore e l’operaio presentano rivendicazioni al loro datore di lavoro […] con uno spirito e una condotta cospirante e rivoltosa, […] e talvolta lo fanno davvero per mezzo del fuoco e delle armi. […] Il negoziante, il commerciante e il contadino non [sono] più soddisfatti e forse non più capaci, con queste nuove abitudini, di vivere sull’interesse dovuto del loro capitale né sul giusto profitto del loro prodotto e del loro traffico.

Esaltati dalla crescente partecipazione politica popolare del periodo rivoluzionario, i ceti inferiori avevano iniziato a considerare il loro lavoro come «un’operazione subordinata della vita economica, come la parte inferiore degli affari di un individuo» – quando invece era proprio sull’ottemperamento da parte dei vari «ordini» dei propri doveri produttivi che si costituiva e si riproduceva la società naturale – e a ritenere «il loro scopo primario e principale l’attuare, come dovere indispensabile, i diritti di cittadinanza»231.

Indottrinati con le nozioni contrattualiste, essi avevano pensato che fosse possibile fare e disfare l’ordine sociale e politico, nell’illusione che «soltanto il consensus volentium, e non il consensus obedientium, fosse vera libertà». Il «consensus volentium» era d’altra parte il fondamento stesso del contratto sociale, la libera volontà dei costituenti hobbesiani e lockeani. Tuttavia, «la mera volontà, […] indipendente da questo processo naturale dell’organizzazione della comunità che forma il governo, va a danno di tutto il governo e verso la disorganizzazione della comunità stessa»232.

230 Ivi, pp. 106-109. 231 Ivi, pp. 109-111. 232 Ivi, pp. 112, 120.

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L’uguaglianza tra gli uomini non viene da Pownall negata; semplicemente, non è su di essa che si fonda il governo, che segue la magnetica «forza attrattiva» emanata dalla proprietà: «Non è da una supposta universale uguaglianza degli uomini […] che deriva il governo civile […], ma dall’organizzazione di questi ordini e di questa subordinazione di ordini […]. Questo è, di fatto e di diritto, il vero COMPATTAMENTO SOCIALE [SOCIAL COMPACT], formato non da un contratto artificiale, […] ma da un processo naturale»233. Pownall interviene così sulla semantica di «patto sociale», così come era

già intervenuto su quella di natura: esso non è più un artificio contrattuale, bensì un processo di compattamento e unificazione naturale della società. Mentre il «vero compattamento sociale» funziona dunque per aggregazione, tramite una forza centripeta, il pensiero rivoluzionario francese disgrega e frammenta, coincidendo con uno «spirito parziale che lavora verso l’esterno» e agisce per repulsione. Il giudizio negativo di Pownall sulla Rivoluzione francese dipende soprattutto dal fatto che «lo spostamento nell’equilibrio della proprietà», prodotto dal Terzo Stato a forza di ghigliottinamenti e confische, non è stato la causa della Rivoluzione, bensì la sua conseguenza: nel caso francese, gli equilibri proprietari naturali non si sono evoluti naturalmente, dando origine a conseguenti slittamenti nel potere, ma sono stati al contrario forzati dai rivoluzionari, cha hanno così istituito un nuovo balance artificiale234. I francesi

hanno pensato che il potere politico potesse riorganizzare le relazioni sociali e proprietarie, mentre la legge di gravitazione sociale insegna che è la proprietà il criterio di organizzazione del potere.

L’errore capitale dei rivoluzionari francesi e dei portavoce della dottrina contrattualistica stava quindi, in definitiva, nell’aver ignorato e tentato di sovvertire la legge di gravitazione universale della proprietà, ovvero il nesso tra proprietà e potere. Significativamente, all’altezza del 1803, in pieno periodo rivoluzionario, Pownall recupera Newton e ribadisce con decisione il postulato sociale della «legge di attrazione del sistema umano»: tra due gruppi di individui in società, si crea necessariamente «un punto comune o centro di connessione tra loro», posizionato a seconda degli «interessi, diritti, poteri e attività applicate» di ciascuno, ovvero a seconda della proprietà; è in questo centro che si coagula il potere del governo, la cui ubicazione è stabilita dai principi della gravità e della massa: «Se [i due gruppi] diventano diseguali, allora, in proporzione alla materia di ciascuno, il centro comune viene portato più vicino al più grande»; ancor più esplicitamente: «Se […] la quantità di materia di pochi di loro presi insieme come classe è più grande di quella di tutti gli altri presi insieme, il centro comune si troverà entro i confini dello spazio occupato da questa classe, o vicino a essa. […] Questa è la natura, e queste sono le leggi di natura nel mondo materiale»235. Questo centro, che fuor di metafora è il governo, si sposta seguendo le

concentrazioni della «materia», vale a dire, viene trainato dalla classe sociale che detiene la proprietà. Interessante è sottolineare come quello appena citato sia uno dei rari passaggi nell’intera opera di Pownall

233 Ivi, pp. 128-130. 234 Ivi, pp. 141-142. 235 Ivi, pp. 121-126.

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in cui compare il termine «spazio», «space», significativamente in relazione alla legge di gravitazione universale della proprietà: «spazio» è dunque per Pownall un’«arena di contatto» e di interazione tra diversi soggetti e poteri236 e, nel linguaggio della fisica, un campo di concentrazione della proprietà e del potere

politico. Questa concezione dello spazio come campo gravitazionale sarà rilevante, come vedremo nei prossimi paragrafi, nell’analisi del pensiero di Pownall sul Nord America rivoluzionario e sull’Atlantico.