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2. Le legge di gravitazione universale della proprietà

2.4. Lo sviluppo stadiale delle società umane

Il riferimento al «sito [scite] e alle circostanze di ogni popolo e del suo paese» ritorna spesso negli scritti di Pownall, e implica l’esistenza di «siti» differenti sui quali posizionare i diversi gruppi di cui si compone il genere umano. Ciò emerge chiaramente laddove Pownall proietta il proprio discorso sulla società e sul governo in dimensione storica: è in questi passaggi che si coglie che la società produttiva e commerciale di cui si parla in Treatise on Government e in Principles of Polity è il risultato di un’evoluzione particolare, e non un conseguimento universale. In linea con la concezione stadiale elaborata dai pensatori scozzesi come Ferguson e Smith, Pownall concepisce infatti l’esistenza di «gradazioni di diversi stadi della comunità nella sua civilizzazione»167: divisione del lavoro, commercio e proprietà privata diventano in

questa prospettiva le unità di misura economiche e sociali che permettono di valutare il grado di civilizzazione di un popolo nel quadro complessivo di una successione in tappe. L’analisi storica e

166 S. Chignola, In the Shadow of the State, cit., pp. 133-134.

167 T. Pownall, A Treatise on the Study of Antiquities, cit., p. 45. Smith aveva delineato la storia congetturale delle società umane nelle Lezioni di Glasgow (A. Smith, Lezioni di Glasgow, cit., pp. 16-17, 130, 597-598), mentre Ferguson nel Saggio sulla storia della

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storiografica viene così declinata da Pownall come indagine economica e sociale: contro l’attitudine a considerare la storia come «un resoconto della parte brutale del sistema dell’uomo, dei suoi furti, saccheggi e guerre», Pownall propone una concezione della storia come «conoscenza sperimentale»; così facendo, egli condivide con gli scozzesi la precoce concezione della storia come scienza sociale, vale a dire come disciplina che fa della conoscenza della società attraverso la sua indagine empirica il presupposto della possibilità di governarla in modo efficace168:

Se io conosco lo stato della produzione di una comunità, che avvenga attraverso la raccolta, la coltivazione, la caccia, la pesca o l’attività mineraria; e lo stato delle sue manifatture che si costruisce a partire da questa produzione; la divisione degli individui della comunità in agricoltori e manifattori; la loro rispettiva proporzione; il surplus di lavoro impiegato, e la riserva di surplus di lavoro prodotta; se esso continua a circolare vivo, o se invece viene messo da parte come riserva morta; soltanto così sono in grado di fare una stima della capacità interne della comunità, della sua felicità, della sua ricchezza e del suo potere di azione esterno.

Tra queste attività produttive, è soprattutto il commercio a costituire quello «spirito di attrazione» che «fornisce una fonte permanente all’attività» della comunità, e l’analisi delle transazioni commerciali diventa dunque nel pensiero di Pownall una fonte di conoscenza storica di primaria importanza169. Non

esiste dunque, come per i contrattualisti, uno spartiacque tra il disordine dello stato di natura e l’ordine della società, bensì una scala di stadi successivi all’interno di un unico percorso di civilizzazione. Questa visione si unisce anche alla concezione del nesso, derivato da Montesquieu, tra le caratteristiche fisiche e topografiche di un luogo e la conformazione sociale e politica della popolazione che lo abita: «Sono il sito e le circostanze (intendo quelle immutabili) di un paese che conferiscono quella forma caratteristica alla condizione e alla natura delle persone che lo abitano», a partire dall’esistenza di una «connessione strettissima» tra il balance of property e «la natura del paese e del popolo che in esso si trova»170.

Nel Memorial del 1803, Pownall avrebbe affermato che la teoria del contratto sociale era servita a spiegare le origini della società «in tutti i casi e in tutti i tempi in cui la comunità è avanzata […] a un certo grado [degree] di organizzazione»171. In questo modo, riferendosi all’«avanzamento» a un determinato «grado di

organizzazione» (con il termine «organizzazione» a indicare, come si è detto, la divisione gerarchica del lavoro tra i membri della «comunità» in vista della riproduzione del tutto), Pownall dimostra

168 M. Ricciardi, La società come ordine, cit., p. 10.

169 T. Pownall, A Treatise on the Study of Antiquities, cit., pp. 82-85, 90.

170 Id., A Memorial: Stating the Nature of the Service in North America, and Proposing a General Plan of Operations, as Founded Thereon.

Drawn up by Order of, and Presented to, his Royal Highness the Duke of Cumberland (1756), in Id., The Administration of the British Colonies,

cit., vol. II, pp. 174-233, pp. 177-178; Id., A Treatise on Government, cit., p. 58. Su Montesquieu e il rapporto delle leggi con la natura e il clima, si veda Montesquieu (C. de Secondat), Lo spirito delle leggi (1748), a c. di S. Cotta, 2 voll., Torino, UTET, 1996, vol. I, pp. 381-400; R. Minuti, Ambiente naturale, società, governi e T. Casadei e D. Felice, Modi di sussistenza, leggi, costumi, in D. Felice (a c. di), Leggere Lo spirito delle leggi di Montesquieu, Milano-Udine, Mimesis, 2010, vol. I, pp. 287-312 e 313-352. 171 T. Pownall, Memorial Addressed to the Sovereigns of Europe and the Atlantic, 1803, cit., p. 116.

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implicitamente di concepire il progresso delle società umane come articolato in «degrees», in stadi. L’idea del progresso per stadi ritorna anche laddove Pownall fa riferimento allo spontaneo senso di autorità esistente tra le popolazioni nomadi dell’Asia centrale e del Nord America:

L’autorità può acquisire un potere di consiglio che guida e che influenza all’interno di una comunità non ancora avanzata all’organizzazione civile, come quello degli hetman tra i tartari o dei sachem tra gli indiani del Nord America; tuttavia, dal momento che queste popolazioni non hanno mai avuto un’unione civile, non hanno mai avuto alcun governo civile172.

Queste popolazioni nomadi sono sì «comunità», per Pownall, ovvero gruppi di individui connessi da un interesse comune e da una forma di obbligazione reciproca; tuttavia, non sono giunte a quello stadio di «unione» istituzionale prodotto dall’«organizzazione» della comunità in governo. D’altra parte, questa questione era già stata spiegata da Pownall negli anni ’60, in The Administration of the Colonies, dove si era soffermato sui sistemi produttivi per spiegare la natura delle relazioni politiche di un popolo: «La diversa maniera in cui il globo della terra è posseduto e occupato dalle differenti specie della razza umana che lo abitano, deve costituire la specifica differenza nei loro interessi e nella loro politica». I bianchi europei, per esempio, si caratterizzavano per le occupazioni agricole: «La famiglia bianca [è] la razza di quegli uomini che sono stati COLTIVATORI fin dall’inizio; che, in qualunque luogo si siano diffusi sulla faccia del globo, hanno portato con sé l’arte di coltivare vigneti e alberi da frutta, e la coltivazione del grano; e che, ovunque si siano espansi, sono diventati colonizzatori stabili». Se gli europei sono agricoltori sedentari, i nativi americani rappresentano, dal punto di vista abitativo e produttivo, il polo opposto: «La famiglia rossa è stata fin dalle origini […] vagabonda. […]. Gli abitanti dell’America […] appartengono alla stessa razza di uomini da una sponda all’altra del continente, e sono della stessa famiglia o razza dei tartari». Mentre Smith, nella Ricchezza delle nazioni, aveva esplicitamente distinto i nativi americani, dediti alla caccia, dai tartari allevatori e pastori, Pownall invece assimila le due popolazioni. Tuttavia, in linea con la lezione degli scozzesi, mette in relazione il sistema produttivo di un popolo con la sua forma di organizzazione politica:

L’America, nella sua condizione naturale, è una grande foresta di boschi e laghi […], non con animali da lavoro, e tali che possano essere addomesticati, ma con bestie selvagge […]. Gli abitanti saranno naturalmente di conseguenza, come in effetti sono, non coltivatori, ma cacciatori; non stanziali, ma nomadi. Non avranno mai dunque, di conseguenza, come in effetti non ebbero mai, alcuna idea di proprietà della terra, di quella proprietà che nasce dal fatto che un uomo mischia il proprio lavoro con essa. Non avranno mai di conseguenza, come in effetti non ebbero mai, alcuna comunione di

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diritti e azioni estesa alla società; non ebbero mai alcuna unione civile; e di conseguenza non poterono mai avere, e non ebbero mai, alcun governo173.

Se è vero che la proprietà privata costituisce il principio all’origine dell’autorganizzazione della società e dell’organizzazione del governo, laddove non esiste proprietà non possono esistere nemmeno società e governo. Quel processo naturale di interdipendenza, scambi commerciali e nascita evolutiva del governo che negli scritti degli anni ’50 sembrava un fenomeno universale, una volta preso in considerazione il contesto coloniale si dimostra invece particolare ed eccezionale, circoscritto com’è alla «famiglia bianca» europea. La teoria stadiale serve pertanto a introdurre una dimensione diacronica nel discorso sulla società di Pownall, presentando l’Europa e il suo sistema produttivo e politico come l’apice della storia evolutiva del genere umano. Mentre, a partire dalle Lezioni di Glasgow, Smith aveva esposto una dottrina stadiale dello sviluppo delle società umane organizzata secondo quattro livelli produttivi, dalla caccia all’allevamento e dalla coltivazione al commercio174, quella che Pownall elabora è di fatto una riedizione

semplificata di quella stessa teoria, in cui caccia e allevamento costituiscono un unico sistema produttivo, proprio delle popolazioni indigene coloniali, mentre coltivazione e commercio ne rappresentano un altro, specifico degli europei. Coltura della terra e commercio sono d’altra parte per Pownall intimamente legate: è soltanto a partire da una stabile proprietà fondiaria e dell’attività agricola, infatti, che si produce la divisione tra proprietari terrieri e lavoratori che sta alla base del balance of power, e che si origina quella divisione produttiva che dà luogo agli scambi commerciali.

La società commerciale che si organizza in governo degli scritti degli anni ’50 emerge a questo punto come il livello cronologicamente più evoluto nella storia delle società umane, come per Smith e per Ferguson175. Il discrimine esistente tra lo stadio meno avanzato e quello più progredito sta precisamente

nell’esistenza della proprietà privata, nella sua duplice versione di proprietà immobile (la terra) e mobile (il commercio). La società produttiva europea è infatti, come si è detto, una società necessariamente commerciale: l’insistenza di Pownall sull’interdipendenza delle attività produttive tratteggia una società innervata dagli scambi e dalle transazioni economiche. Il ruolo cruciale giocato dal commercio nello sviluppo delle società umane è confermato dal resoconto che Pownall delinea dell’evoluzione storica del continente europeo, secondo un avvicendarsi di conquista, religione e commercio; questo resoconto è interessante, come vedremo, soprattutto se proiettato su scala imperiale. Scrive Pownall che

Nelle prime, incolte età dell’Europa, quando gli uomini non cercavano altro che di possedere e di assicurare i propri possessi, il potere della SPADA era il predominante spirito del mondo: fu questo

173 Id., The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, pp. 222-225; A. Smith, La ricchezza delle nazioni, cit., pp. 319, 711 e ss. 174 A. Smith, Lezioni di Glasgow, cit., pp. 16-17, 130, 597-598.

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che formò l’Impero romano; e fu il medesimo che, nel declino di quell’Impero, divise nuovamente le nazioni in molteplici governi, formatisi sulle sue rovine176.

L’Impero romano non è quindi per Pownall, in linea con i pensatori rinascimentali, il culmine della civilizzazione del mondo antico, ma è al contrario caratterizzato dal barbaro potere della spada177. Anche

in questo caso, Pownall appare tutto concentrato sulla storia: le «prime incolte età» non coincidono con una condizione originaria, ma con la Roma imperiale, e sono «incolte» per la brutalità che caratterizzava all’epoca le relazioni politiche. La filosofia della storia di Pownall prende forma a partire dagli sviluppi proprietari e produttivi. Difatti, dopo un’antichità contraddistinta dalle conquiste militari, si avvia per Pownall un Medioevo caratterizzato dalla religione; questo sviluppo dipende però, ancora una volta, da ragioni socio-economiche: è soltanto, infatti, quando gli abitanti dell’Europa hanno avuto «tempo libero» a disposizione che hanno potuto dedicarsi alle attività spirituali. Nel Medioevo, il potere opera attraverso una giustificazione teologica: «Il potere della RELIGIONE avrebbe da questo momento naturalmente predominato e governato; e divenne in effetti lo spirito di governo della pratica politica dell’Europa». Dal potere della conquista, dunque, si passa al potere teologicamente fondato: pur trattandosi di un processo di razionalizzazione e raffinamento rispetto alla brutalità della «spada», esso non può però consistere in una logica di funzionamento del potere universalmente valida, essendo circoscritta soltanto all’Europa178.

La possibilità di una logica politica universalistica si apre con l’età moderna, con le scoperte geografiche e con il passaggio dal potere come religione al potere come commercio. Pownall si inserisce in quella corrente di pensiero settecentesca che, a partire soprattutto da Montesquieu, ridefinì la «civilizzazione» in termini commerciali179. Egli insiste infatti sulla natura sociale e politica del commercio: esso, lungi

dall’essere pensato come mera attività economica, veicola al contrario uno «spirito del mondo» che può improntare gli scambi di merci così come le relazioni tra uomini e Stati. Il commercio viene qui apertamente ripensato come vero e proprio «principio di governo»180:

Ma da quando i popoli dell’Europa hanno costituito la loro comunicazione commerciale con l’Asia e, a partire da qualche secolo fa, hanno iniziato a stabilirsi su tutte le sponde dell’Oceano Atlantico e in America, e hanno iniziato a possedere ogni sede e canale di commercio […], lo spirito del

176 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, p. 3.

177 Un’interpretazione dell’Impero romano simile a quella di Pownall sarebbe stata popolarizzata, pochi anni dopo, in The

History of the Decline and Fall of the Roman Empire (1776-1788) di Edward Gibbon, che avrebbe interpretato il collasso della Roma

imperiale a fronte delle invasioni barbariche come il risultato dell’oppressione della libertà del popolo a opera delle corrotte legioni di mercenari.

178 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, p. 4.

179 A. Lilti and C. Spector (eds.), Penser l’Europe au XVIIIe siècle. Commerce, civilisation, empire, Oxford, Oxford University Studies in the Enlightenment, vol. 10, 2014; E. Pii, Esprit de conquête ed esprit de commerce, in D. Felice (a c. di), Leggere Lo spirito delle leggi di Montesquieu, cit., pp. 409-440.

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COMMERCIO diventerà quel potere predominante che formerà la pratica politica generale e governerà i poteri dell’Europa181.

L’attività commerciale ha infatti per Pownall un’intrinseca potenzialità universalistica, la stessa che le avrebbe assegnato Adam Smith nella Ricchezza delle nazioni182. Questo «spirito del commercio», nato in

Europa, aveva infatti iniziato a estendersi al resto del mondo a partire dagli scambi con i popoli asiatici e soprattutto dai traffici commerciali che avevano interconnesso la regione atlantica all’inizio dell’età moderna:

[Il rifornimento di schiavi] connette il commercio dell’Africa con le Indie occidentali; le pellicce e il traffico indiano e le merci europee, che adesso diventano necessarie agli indiani, sono ciò che produce la connessione con gli indiani. […] Sono tutti intrecciati in un inevitabile rapporto di rifornimenti, e tutti indissolubilmente legati in un’unione e comunione di un solo generale e composito interesse183.

La vocazione globale che Pownall realizza essere intrinseca al capitalismo commerciale non può dunque che essere, come emerge da questo passaggio, una vocazione imperiale.

Da un lato, infatti, Pownall recupera il linguaggio montesquieuiano, diffuso in Gran Bretagna soprattutto dallo storico scozzese William Robertson, che assegnava al commercio attributi di «douceur», di ingentilimento dei costumi e di aggregazione pacifica tra i popoli: commercio, in breve, come «antonimo di violenza»184. Tuttavia, è subito evidente come si tratti di una mera scelta lessicale: quello che Pownall

descrive come il movimento fluido e pacifico dello «spirito del commercio» coincide in realtà con un’espansione e una conquista di tipo coloniale. Il commercio è d’altra parte lo stadio di sviluppo più avanzato a cui è giunta la società europea e diventa lo strumento per eccellenza, come vedremo meglio nei prossimi paragrafi, del potere imperiale britannico: lo «spirito del commercio», il culmine del progresso evolutivo, costituisce per Pownall anche il fondamento del vincolo tra madrepatria e colonie185.

Il nesso tra commercio e Impero sarebbe stato esplicitato da Pownall anche nella sua opera storica Treatise on the Study of Antiquities (1782). Raccontando dell’Impero di Alessandro Magno, l’autore sottolinea il ruolo giocato dai fattori sociali e commerciali nella produzione del legame imperiale: Alessandro viene infatti

181 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, pp. 4-5.

182 «Il buon governo non si può mai istituire universalmente se non in conseguenza della libera e universale concorrenza» (A. Smith, La ricchezza delle nazioni, cit., p. 253).

183 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, p. 7.

184 Così come Montesquieu aveva affermato nello Spirito delle leggi che «l’effetto naturale del commercio è di portare alla pace», similmente Robertson avrebbe scritto che «il commercio tende a rimuovere quei pregiudizi che conservano distinzioni e ostilità tra le nazioni. Esso addolcisce e raffina le maniere degli uomini» (Montesquieu (C. de Secondat), Lo spirito delle leggi, cit., vol. I, p. 528; W. Robertson, A View of the Progress of Society in Europe, from the Subversion of the Roman Empire to the Beginning of the Sixteenth

Century, in Id., The Works of William Robertson, D.D., With a Sketch of His Life and Writings. In Eleven Volumes, Chiswich, Printed

by C. Whittingham, 1824, vol. IV, p. 84). Si veda anche C. Larrère, Montesquieu et le «doux commerce»: un paradigme du libéralisme, in «Cahiers d’histoire. Revue d’histoire critique», Les libéralismes en question (XVIIIe-XXIe siècles), vol. 123, 2014, pp. 21-38; A. Hirschman, Le passioni e gli interessi, cit., pp. 49-50. Sulla ricezione di Montesquieu e dello Spirito delle leggi in Scozia, si veda S. Sebastiani, The Scottish Enlightenment. Race, Gender, and the Limits of Progress, New York, Palgrave Macmillan, 2013, pp. 23-44. 185 S. Breuninger, ‘Social Gravity’, cit., p. 71.

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interpretato come «il primo principe-statista che combinò in un sistema l’interesse e i poteri del commercio con le operazioni della politica», avendo realizzato come il commercio fosse la fonte non soltanto della «ricchezza», ma anche del «potere» della comunità politica, il trampolino di lancio per la «fondazione di un impero mondiale universale». Pownall menziona qui l’Impero ellenistico per parlare di quello britannico: nell’immenso regno di Alessandro, «la circolazione del commercio (come la circolazione del sangue nell’uomo) era la vita del tutto», e il grande generale macedone «formò un tale sistema di communion come fondamento, e vi costruì sopra la propria sovrastruttura [superstructure] di governo»186; una «sovrastruttura» istituzionale per quella forma di unione politica della società

commerciale che, come si è detto, è per Pownall il communion. Il nesso tra unione commerciale e unione politica sarebbe diventato un nodo centrale della riflessione di Pownall sulle tredici colonie. Nello spazio atlantico, infatti, il commercio si configura per lui come un «sistema che posa sulla natura, e che per mezzi naturali soltanto (se non pervertiti) deve portare a un dominio generale, fondato sull’interesse generale e sulla prosperità del mondo commerciale»187. La «prosperità del mondo commerciale» tradisce l’obiettivo

imperialistico della «libera» espansione dei traffici europei nel resto del mondo: le società «organizzate» dell’Europa, quasi naturalmente, sono infatti destinate a espandere i propri traffici fino alla formazione di imperi commerciali e politici di dimensioni globali. Come vedremo nei prossimi paragrafi, infatti, quelle popolazioni rimaste ai gradini inferiori dello sviluppo stadiale della società e ancora giacenti nella fase della spada (come i nativi americani) o della religione (come gli abitanti del subcontinente indiano) sono pensate da Pownall come un bacino di ricezione «naturalmente» aperto al doux commerce, e di conseguenza alla conquista, degli europei.