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5. Il governo della Rivoluzione americana

5.1. La proposta di incorporazione (1766-1768): «a plan of union»

A fronte del radicalizzarsi della rivolta coloniale in seguito all’approvazione dello Stamp Act, Pownall inaugura una riflessione sui modi di riformare il rapporto imperiale, allo scopo di «mantenere la dipendenza di quei paesi senza distruggere l’utilità delle colonie»275. Pownall paventa infatti come un

274 T. Pownall, Memorial Addressed to the Sovereigns of Europe and the Atlantic, 1803, cit., pp. 116-118.

275 Id., The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, pp. 86-87. The Administration of the British Colonies passò attraverso sei successive edizioni, pubblicate tra il 1764 e il 1777 (a partire dalla quinta edizione del 1774, a un primo volume se ne aggiunse un secondo). La proposta di unione qui riportata, per quanto analizzata attraverso passaggi tratti dal primo volume dell’edizione del 1777, risale in realtà al biennio 1766-1768. Le varie edizioni conoscono scarti contenutistici anche significativi, che mostrano il modularsi del pensiero di Pownall sugli sviluppi della contesa coloniale. La prima edizione (1764) sottolinea la necessità di conservare le colonie come parti subordinate ma unite all’Impero, e supporta il sistema commerciale mercantilistico; la seconda edizione (1765), a fronte delle proteste seguite allo Stamp Act, suggerisce di tornare al sistema di governo tradizionale, fondato sulla coesistenza tra camere legislative coloniali (deputate alla tassazione «interna») e Parlamento britannico (che doveva limitarsi a imporre dazi «esterni»). Alla terza edizione, quella del 1766, è riconducibile una prima svolta nel pensiero di Pownall: di fronte all’esacerbarsi della protesta in America, l’autore propone un’unione rappresentativa tra madrepatria e colonie, per mezzo dell’elezione di rappresentanti coloniali nel Parlamento imperiale. La quarta edizione (1768), scritta dopo il ritiro dello Stamp Act e l’approvazione del Declaratory Act e dei dazi Townshend, ribadisce la proposta di unione rappresentativa avanzata nel 1766. La quinta edizione (1774), edita in due volumi l’anno successivo al Boston Tea Party, rappresenta una seconda svolta nel pensiero di Pownall: mentre il primo volume è sostanzialmente identico all’edizione del ’68, il secondo, scritto ex novo, segna invece un cambio di rotta nella sua riflessione. Qui l’autore torna per così dire al punto di partenza: a fronte dell’insostenibilità di un piano di unione rappresentativa, propone il ritorno al «vecchio sistema coloniale»,

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autentico «pericolo» l’eventualità che «le colonie si rivoltino», conquistando l’indipendenza e «stabilendo un impero in America»276. La relazione costituzionale tra madrepatria e tredici colonie doveva essere

ripensata in accordo con la legge di gravitazione universale della proprietà. La «condizione naturale» dell’Impero nordamericano coincideva d’altra parte per Pownall con una profonda interconnessione commerciale e una fitta reciprocità di scambi e bisogni economici. Mentre «lo spirito della policy», ovvero la prassi mercantilistica «tramite la quale le madrepatrie […] limitano il commercio delle loro rispettive colonie soltanto con sé stesse e le mantengono non comunicanti in tutti gli altri rapporti o commerci» coincide con una «condizione artificiale o politica […] che la policy si sforza di instaurare tramite un principio di repulsione», al contrario «la condizione naturale dei possedimenti europei nell’Atlantico e in America» si fonda «sulla base di un principio generale, comune e reciproco di attrazione […]. Questo […] è il fondamento del dominio commerciale che, a prescindere che noi vi ci dedichiamo o meno, necessariamente si formerà»277. Pownall applica dunque all’Impero in Nord America la contrapposizione

tra «natura» e «policy»: mentre la prima coincide con un commercio libero, lasciato al suo sviluppo naturale e spontaneo, la seconda indica tutto quell’insieme di misure monopolistiche miranti a instaurare asimmetrie e restrizioni; mentre la «natura» è reciprocità di interessi e «attrazione», la «policy» è contrapposizione tra «leggi e costumi particolari» e «repulsione»278. L’attrazione commerciale e l’unione

di interessi economici presupposte dalla «natura» caratterizzavano in modo particolare i rapporti tra Gran Bretagna e tredici colonie. Era infatti per Pownall evidente che

Per mezzo delle varie e reciproche interconnessioni delle diverse parti dei domini britannici, attraverso l’Atlantico e in America, per l’intercomunione e la reciprocità dei loro reciproci bisogni e rifornimenti, […] per la circolazione del loro commercio, che si muove attorno a un’orbita che ha la Gran Bretagna come proprio centro, esiste, nei fatti e in natura, una reale unione e incorporazione di tutte queste parti dei domini britannici, un reale sistema di dominio. Questo sistema di dominio, che esiste così in natura, deve soltanto essere adottato nel sistema della nostra politica279.

La reciprocità dei bisogni e degli scambi originati dalla diversificazione delle attività produttive propria della società naturale viene da Pownall qui trasferita nell’Atlantico settentrionale, a dare forma

che però a quest’altezza viene concettualizzato in modo nuovo e originale, in termini federali. La sesta e ultima edizione (1777) è sostanzialmente una copia della quinta: il primo volume (analizzato in questo paragrafo) è una copia dell’edizione del ’68, mentre il secondo volume (analizzato nel prossimo paragrafo) è una copia del secondo tomo dell’edizione del ’74. Mentre le prime quattro edizioni (1764, 1765, 1766, 1768), in un solo volume, sono intitolate The Administration of the Colonies, la quinta e la sesta edizione (in due volumi) del 1774-1777 presenta il nuovo titolo The Administration of the British Colonies (G.H. Guttridge,

Thomas Pownall’s The Administration of the Colonies. The Six Editions, in «The William and Mary Quarterly», vol. 26, no. 1,

1969, pp. 31-46).

276 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, p. 98. 277 Ivi, vol. I, pp. 8-9.

278 Per uno studio della politica mercantilista e delle sue applicazioni imperiali nel “primo” Impero britannico, si veda P.J. Stern and C. Wennerlind (eds.), Mercantilism Reimagined. Political Economy in Early Modern Britain and its Empire, Oxford, Oxford University Press, 2014.

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all’«intercomunione» proprietaria e commerciale della comunità imperiale280. Se la società nordatlantica si

è già naturalmente autorganizzata in unione commerciale, allora si deve procedere alla formalizzazione dell’unione politica che l’evoluzione della società in governo presuppone.

Applicando dunque alla sfera politica l’unione commerciale tra madrepatria e colonie, tra il 1766 e il 1768 Pownall delinea un progetto di riforma della costituzione imperiale attraverso l’estensione ai sudditi coloniali del diritto di eleggere deputati propri nel Parlamento imperiale. Non si trattava di una mera speculazione teorica: Pownall intratteneva infatti una corrispondenza con l’ormai ex-primo ministro Grenville, che proprio nel 1768 gli scrisse che la questione della rappresentanza coloniale in Parlamento doveva essere sottoposta «alla più seria e favorevole considerazione»281. Per Pownall, questa misura

avrebbe «esteso le basi del corpo legislativo rappresentativo a tutte le parti a cui i diritti, gli interessi e il potere dei suoi domini si estendono». Prendendo sul serio le rivendicazioni coloniali, Pownall parte da lì per il suo piano di riforma: «Il popolo delle colonie dice che gli abitanti delle colonie hanno diritto a tutti i privilegi degli Englishmen, anche al diritto di partecipare a quella volontà della comunità» che si esprimeva in Parlamento282. L’istanza coloniale del «no representation, no tax» viene dunque assunta da Pownall in tutta

la sua portata: recuperando in modo pressoché letterale la Declaration of Rights and Grievances (1765) adottata dallo Stamp Act Congress, in cui stava scritto che «è inseparabilmente essenziale alla libertà di un popolo libero, […] che nessuna tassa venga imposta su di lui se non attraverso il suo stesso consenso, espresso personalmente o attraverso i propri rappresentanti»283, Pownall scrive che «è una verità primaria e auto-

evidente che un popolo libero non possa avere la propria proprietà, o qualsiasi parte di essa, data e portata via in aiuti e sussidi, tranne che con il suo consenso, espresso da lui stesso o dai suoi rappresentanti»284.

Ciò che egli propone è quindi di completare la Gloriosa Rivoluzione, portando alle estreme conseguenze i suoi presupposti. Anticipando la proposta di «unione costituzionale» avanzata da Adam Smith285,

Pownall vuole superare le incongruenze che ancora caratterizzavano la costituzione imperiale nel 1765 (dovute all’applicazione differenziale della logica della rappresentanza), attraverso l’incorporazione di uno spazio politico (quello coloniale) in un altro (quello metropolitano del Regno). Quando parla di «un’uguale estensione e comunicazione del governo a qualsiasi luogo in cui i popoli e i domini, titolari di questi diritti,

280 S. Breuninger, ‘Social Gravity’, cit., p. 70.

281 P.J. Marshall, The Making and Unmaking of Empires, cit., p. 173.

282 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, pp. 167, 71.

283 E.H. Gould, The Persistence of Empire, cit., p. 129. Lo Stamp Act Congress era il congresso di delegati coloniali riunitosi a New York nell’ottobre del 1765 allo scopo di redigere una petizione da presentare al Parlamento.

284 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, p. 150.

285 Nella Ricchezza delle nazioni, ma soprattutto nel Memorandum del 1778 (Smith’s Thoughts on the State of the Contest with America), Smith avrebbe avanzato la proposta di un’«unione costituzionale» tra madrepatria e colonie, per mezzo dell’elezione di rappresentanti coloniali al Parlamento imperiale; ciò avrebbe messo le colonie nella condizione di contribuire alle spese dell’Impero, previo consenso elettorale. Si veda A. Smith, La ricchezza delle nazioni, cit., pp. 776, 1126; Id., Memorandum (1778), in Id., The Correspondence of Adam Smith, ed. by E. Campbell Mossner and I. Simpson Ross, Oxford, Clarendon Press, 1977, pp. 380-381. Che Smith conoscesse il trattato di Pownall è dimostrato dalla presenza della quinta edizione di The Administration of

the British Colonies nella sua biblioteca (H. Mizuta, Kaleidoscope of the Colonial Discussion, in «Cahiers d’économie politique», Le libéralisme à l’épreuve: de l’empire aux nations (Adam Smith et l’économie coloniale), vol. 27/28, 1996, pp. 57-72, p. 64).

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si estendono»286, Pownall intende precisamente l’estensione della logica statuale e sovrana inaugurata dalla

Gloriosa Rivoluzione sullo spazio imperiale nordamericano. Si tratta, ancora una volta, di un dilemma spaziale: «Fino a che punto essi [i coloni] devono essere governati dalla forza di principi esterni […], [e] fino a che punto, [invece], dalla forza di principi interni al loro peculiare corpo politico?». Mentre i «principi esterni» operano per mezzo della logica della differenza e della non conformità tra ordine sociale e impalcatura istituzionale (essendo i territori esterni al Regno governati in modo qualitativamente diverso rispetto alla madrepatria, a cui pure sono uniti da un’«intercomunione» commerciale), i «principi interni» indicano invece l’opposto: adeguamento del governo alla società e identità di logiche di funzionamento, omogeneità di impalcature istituzionali e caduta della contrapposizione tra governo del Regno e governo delle colonie.

Pownall rigetta come obsoleto il sistema coloniale di ancien régime: «Io metto in evidenza la cattiva policy che deriva come conseguenza necessaria dal definire le colonie come suddite esclusivamente del re, nel suo potere signorile». L’abbandono della logica di stampo feudale deve passare per un ribaltamento della contrapposizione tra «dentro» e «fuori»:

Dimostro come le colonie debbano essere considerate come parte del Regno; e [voglio] mostrare […] le conseguenze pericolose […] che derivano dal considerare le colonie come fuori, come non parte del Regno […]. [Voglio] dimostrare che le colonie, per quanto fuori dai confini del Regno, sono tuttavia di fatto, del Regno, […] e pertanto devono essere unite al Regno, in una piena e assoluta comunicazione e comunione di tutti i diritti, franchigie e libertà che ogni altra parte del Regno possiede287.

Mentre considerare le colonie come «province esterne» è «una condizione innaturale e artificiale», perché incongruente rispetto alla loro unione commerciale con la madrepatria, un sistema di governo imperiale «esteso alla totalità» appare invece in linea con la natura e con il principio di attrazione operativo nell’Atlantico settentrionale. L’«unione di tutti gli insediamenti in America in un unico Imperium con il Regno di Gran Bretagna» produrrebbe un’«unione britannica», l’unico possibile antidoto al pericolo dell’ascesa di un’«unione americana» separata dalla madrepatria. L’«unione britannica» coinciderebbe di fatto con un allargamento dei confini della Gran Bretagna sullo spazio atlantico, per mezzo di un’estensione della logica politica della Gloriosa Rivoluzione: «Deve sorgere un dovere del governo [britannico] a dare, e un diritto delle colonie a rivendicare, una parte nel potere legislativo della Gran Bretagna, per mezzo di lords e burgesses di loro propria elezione che li rappresentino in Parlamento»288. Pur

rigettando la narrazione contrattualistica, Pownall mette insieme elementi hobbesiani e lockeani: da un lato, egli recupera Hobbes e contraddice Locke attraverso l’applicazione di una medesima logica sovrana

286 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, p. vii. 287 Ivi, vol. I, pp. ix-x.

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a madrepatria e colonie, superando e negando la differenza tra lo spazio politico dello Stato e quello dell’Impero; dall’altro, questa logica unitaria è essa stessa di derivazione lockeana, essendo il portato teorico della Gloriosa Rivoluzione che Locke aveva giustificato nel Secondo trattato289. Innestando il

discorso sulla rappresentanza di stampo lockeano sulla propria concezione dell’organizzarsi della società in governo, e proiettandolo sullo spazio atlantico, Pownall scrive:

Ho cercato […] di proporre […] un sistema tale che possa tendere a formare e stabilire un’unione britannica di tutte le parti dei domini britannici in un unico tutto, un corpo organizzato, animato da una volontà libera che si estende al tutto. ‘È nel loro corpo legislativo (dice il signor Locke) che i membri di un commonwealth sono uniti e combinati insieme in un solo e coerente corpo vivente’290.

Cogliendo il significato profondo della logica della rappresentanza moderna (che consiste non solo e non tanto nel fare ciò che ordina il rappresentante-attore, ma, in quanto suoi autori, nel volerlo)291, Pownall la

trasporta su scala imperiale:

Se consideriamo il Regno, il governo della Gran Bretagna, come sovrano, e le colonie come suddite, senza piena partecipazione alla costituzione e senza partecipazione alla legislazione, costrette implicitamente a obbedire agli ordini del governo, e implicitamente a mettere in atto o registrare come un atto proprio quelle concessioni che noi attraverso nostri propri atti abbiamo richiesto loro di fare […], esse dicono che la loro obbedienza in questo caso […] è ridotta alla più difficile soggezione: perché a loro non viene soltanto richiesto di agire, ma anche di volere, ciò che viene loro ordinato292.

Che i coloni non volessero come voleva il Parlamento britannico era stato chiaro fin dalla resistenza che avevano opposto allo Stamp Act; non per questo, però, i politici britannici li avevano considerati meno rappresentabili a Westminster. La rappresentanza con «volontà» che si esprimeva in Gran Bretagna attraverso il diritto di voto assumeva pertanto le forme, nelle colonie, di una rappresentanza senza «volontà»; il principio della «rappresentanza virtuale» serviva in questo senso per Pownall a mascherare una realtà di sottomissione coloniale: «Dal momento che il popolo non ha alcuna parte nella volontà o nell’autorità, esso deve sottomettersi al potere dell’Atto, e non ha alcun dovere che gli rimane, a parte la sottomissione e l’implicita obbedienza»293. Al contrario, tramite l’estensione della vera logica della

rappresentanza moderna a tutta la regione nordatlantica, si sarebbero realizzati su scala imperiale il «consensus obedientium» e «un’unione comune di subordinazione sotto l’unico potere legislativo dello Stato». Se quindi l’American controversy nasceva dal considerare le colonie come «interne», applicandovi lo Stamp Act senza però conferire loro quel diritto di voto del Parlamento che questa internità a rigor di logica

289 R. Laudani, Mare e Terra, cit., pp. 517-524.

290 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. II, p. 8.

291 Si tratta della nozione di rappresentanza consacrata da Hobbes; si veda B. Accarino, Rappresentanza, cit., pp. 47-59. 292 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, pp. 175-176.

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presupponeva, il conflitto sarebbe stato risolto dalla loro unione e incorporazione costituzionale, che le avrebbe rese autenticamente interne al Regno. Questo processo aveva un precedente nell’incorporazione della contea palatina di Durham che, dopo un primo momento, aveva avuto in concessione il diritto di eleggere deputati propri a Westminster:

Qualora queste colonie vengano considerate in Parlamento come oggetti di tassazione interna e siano sottoposte a tariffe, pagamenti e sussidi, […] esse dovranno essere prese in considerazione, ugualmente agli altri abitanti di questo Regno, per avere lords e burgesses in Parlamento, di loro propria elezione, per rappresentare la condizione del loro paese. […] Così come è successo che la contea palatina di Durham, dopo molti tentativi e una lunga lotta, venne ammessa al privilegio di mandare in Parlamento lords e burgesses propri294.

Ma era soprattutto la Celtic fringe, la «periferia celtica», a offrire un precedente per il piano di unione: il Galles era infatti stato «incorporato, unito e annesso a questo Regno d’Inghilterra» attraverso propri deputati a Westminster, e «il caso delle colonie erette in province [era] una circostanza esattamente simile, fin nei dettagli, […] a questi domini acquisiti e annessi»295.

L’incorporazione delle colonie nordamericane al Regno di Gran Bretagna si sarebbe risolta in una piena appartenenza dei sudditi coloniali allo Stato metropolitano, producendo di fatto una condizione di totale parità e reciprocità che avrebbe di fatto annullato il normale rapporto gerarchico alla base della relazione imperiale. Sarebbe infatti sorto un unico Regno, un’unica madrepatria di dimensioni atlantiche:

Che la Gran Bretagna possa non essere più considerata come il Regno di questa isola soltanto, con molte appendici di province, colonie, insediamenti e altre parti estranee; ma come UN GRANDE DOMINIO MARINO, CONSISTENTE NEI NOSTRI POSSEDIMENTI NELL’ATLANTICO, UNITI IN UN UNICO IMPERO; IN UN UNICO CENTRO, DOVE SI TROVA LA SEDE DELL’IMPERO296.

Questo nuovo, unitario e omogeneo corpo politico sarebbe stato «marino» perché l’Atlantico avrebbe cessato di rappresentare una parentesi liquida tra due spazi terrestri governati da logiche politiche differenti, diventando una sorta di mare interno; su questo spazio marino, d’altra parte, si giocava la stessa unione «naturale» esistente tra le due sponde dell’Oceano, fondata sui loro intensi scambi commerciali:

Le isole britanniche, all’interno dei nostri possedimenti nell’Atlantico e in America, sono DI FATTO UNITE IN UNA STESSA GRANDE COMUNITÀ POLITICA MARINA, e devono pertanto, nella pratica politica, essere unite in UN UNICO IMPERIUM, in un unico centro, dove si trova il

294 Id., The Administration of the British Colonies, cit., vol. I, pp. 168, 143-146.

295 Ivi, vol. I, pp. 149-150. L’unione legislativa tra Inghilterra e Galles era avvenuta con lo Statute of Wales del 1536, risultato di un’imposizione inglese; si veda P. Levine, The British Empire. Sunrise to Sunset, Edinburgh, Pearson, 2007, pp. 1-2; D. Armitage,

The Ideological Origins of the British Empire, cit., pp. 14-15.

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seggio del governo: e devono essere governate da lì, tramite un’amministrazione fondata sulla base del tutto, e adeguata ed efficiente per il tutto […]. Né il potere del governo, sopra queste varie parti, può continuare a lungo sotto il modo presente di amministrare, né può il generale interesse del commercio, esteso attraverso il tutto, sussistere a lungo sotto il presente sistema di leggi del commercio297.

La riforma delle relazioni politiche, passante anche per una dichiarazione dei diritti compiutamente imperiale, avrebbe dunque dovuto portarsi dietro anche la ristrutturazione del sistema commerciale: «Un solo sistema di governo e di leggi commerciali costituirebbe la Gran Bretagna e le sue colonie in un solo, unito dominio commerciale. Se questa misura venisse adottata, verrebbero realizzati un generale bill of rights e un atto per l’istituzione del governo e del commercio, sulla base di un grande piano di unione»298.

La ristrutturazione delle relazioni commerciali qui proposta da Pownall, per quanto non venga delineata nel dettaglio, non deve essere pensata come un abbandono completo delle restrizioni mercantilistiche, o quantomeno del controllo metropolitano sul commercio coloniale che il sistema mercantilistico presupponeva. Difatti, in virtù della legge di gravitazione universale della proprietà applicata alle relazioni imperiali, Pownall sa che la «forza» delle colonie (che è in primo luogo una forza proprietaria e sociale) può arrivare a produrre un trasferimento del centro del potere e del governo dall’Inghilterra alle colonie. Se è infatti vero che la proprietà è per Pownall il luogo del potere, e che il punto di concentrazione della proprietà coincide con il centro del governo, allora quando la contesa avviene tra bianchi proprietari (britannici da un lato, coloni di origine inglese dall’altro), il centro del potere si sposta naturalmente verso l’interesse più forte che, a fronte dello slittamento dell’«attività civilizzatrice» dalla sponda europea a quella americana dell’Atlantico, rischia sempre più di coincidere con l’interesse americano:

Il centro del potere, invece che rimanere fisso come è adesso in Gran Bretagna, verrà spinto, nella misura in cui aumenta la grandezza del potere e dell’interesse delle colonie, fuori dall’isola [britannica]; questo effetto verrà fuori dall’operare delle stesse leggi di natura, analoghe in tutti i casi, grazie alle quali il centro di gravità del sistema solare, adesso vicino alla superficie del sole, verrebbe, tramite un aumento della quantità di materia nei pianeti, sospinto oltre quella superficie299.