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5. Il governo della Rivoluzione americana

5.3. Una «practicable sovereignty» per il Nord America

Nei primi anni ’70, la «linea di governo coloniale» appare a Pownall l’unica «linea di pacificazione» possibile per arginare e risolvere la crisi aperta dallo Stamp Act: «I vecchi confini sono noti, e sono quelli della pace; qualsiasi nuovo [confine] sarà stabilito nel sangue»363. Questo governo coloniale non è per

Pownall qualcosa su cui si possa disquisire astrattamente, ma al contrario un potere definibile soltanto in relazione alla sua efficacia pratica: «Quella sovranità […] non può più stare sospesa su un terreno metafisico», ma dev’essere «definita sulla base dei fatti, come essa si reggeva sugli atti e sui fatti prima della rivolta delle colonie, e come essa si regge adesso»364. Era infatti prioritario definire la prassi

dell’«amministrazione dalla quale [i coloni] dovevano essere governati, essendo essi ciò che erano in realtà, e non ciò che si immaginava che fossero, o ciò che li si voleva rendere»365. Ancora una volta, Pownall è

360 E. Burke, Discorso sulla mozione di conciliazione con le colonie americane, cit., pp. 87, 109. 361 Id., Speech on Declaratory Resolution, cit., pp. 46, 51.

362 Id., Discorso sulla mozione di conciliazione, cit., p. 95 (enfasi mia).

363 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. II, pp. 44, 87. 364 Id., Two Memorials, cit., pp. 51-55.

365 Id., Three Memorials Most Humbly Addressed to the Sovereigns of Europe, Great Britain, and North America, London, Printed for T. Cadell and J. Debrett, 1784, p. ix.

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interessato alla realtà, più che all’origine, del potere politico: la sovranità diventa in questo modo una questione di fattibilità, più che di legittimità. Pownall concettualizza così il governo coloniale come «una sovranità praticabile armonizzata con una libertà effettiva»366: la «libertà effettiva» delle società coloniali,

esercitata attraverso le assemblee locali, doveva infatti coesistere con la sovranità «praticabile», ovvero efficace, del Parlamento imperiale. Questa nozione di «sovranità praticabile» era una negazione e allo stesso tempo un’alternativa rispetto alla sovranità intesa in senso hobbesiano, come indivisibile e assoluta: coloro che descrivevano le colonie come «vuote» di poteri sovrani rinnegavano l’evidenza che derivava dall’osservazione empirica della realtà coloniale, e «non avevano né conoscenza né sistema né principio, ma soltanto una parola (non la chiamerò idea), che è la nostra sovranità, che è come una parola pronunciata a un pazzo che, non appena viene menzionata, lo getta nei suoi deliri e lo porta al

parossismo»367. Anche in questo caso, Pownall recuperava una concezione espressa da Edmund Burke

negli anni ’60. Nello Speech del 1766, Burke aveva infatti asserito la supremazia del Parlamento imperiale di diritto, ma aveva sottolineato la necessità di un esercizio contenuto e temperato di questa supremazia di fatto; egli aveva inoltre criticato la concezione assoluta della sovranità di stampo hobbesiano, contrapponendola a una nozione di potere coloniale modellata sulla realtà e sui fatti: «L’idea speculativa del diritto della Gran Bretagna di tassare le colonie, dedotto dalla natura illimitata della suprema autorità legislativa, è molto chiara e innegabile, ma […] l’idea pratica della Costituzione dell’Impero britannico deve essere dedotta dalla situazione generale e relativa delle sue parti»368. Ancora nel 1774 e nel 1775,

Burke continuava a criticare la concezione della sovranità come «summum jus» e «la natura illimitata e illimitabile della sovranità suprema», e valorizzava al contrario «lo spirito di fattibilità, di moderazione e di reciproca convenienza»369.

Il potere sovrano «praticabile» pensato da Pownall per le colonie avrebbe per lui risolto l’«impraticabilità», ovvero l’ingovernabilità, dei sudditi coloniali. Già nel 1769 egli aveva ammonito gli altri deputati ai Commons che, se avessero perseverato nelle loro imposizioni fiscali sulle colonie, «non sarebbero stati più in grado di governare [la popolazione coloniale], […] perché essa diverrà impraticabile»370. Nel 1774,

riferendosi alla popolazione del Massachusetts, Pownall aveva similmente affermato che le misure deliberate dal Parlamento per le colonie «sarebbero state resistite non con la forza o con le armi, […] ma con un sistema regolare e unito di resistenza. Ho già detto a questa Camera […] che la popolazione americana […] non opporrà potere a potere, ma diventerà impraticabile»371. All’altezza del 1774, egli non

vedeva ancora il pericolo di resistenza armata (le ostilità si sarebbero ufficialmente aperte soltanto

366 Id., Two Memorials, cit., pp. 51-55.

367 Id., Letter V (March 22, 1769), reprinted in F. Griffin, Junius Discovered, cit., pp. 218-221, p. 220. 368 E. Burke, Speech on Declaratory Resolution, cit., p. 47.

369 Id., Discorso sulla tassazione dell’America (1774), in Id., Scritti sull’Impero, cit., pp. 5-73, pp. 57-58. 370 T. Pownall, Speech of Governor Pownall on a Motion for the Repeal of the American Revenue Act, cit., p. 614. 371 Id., Further Debates on the Bill Regulating the Government of Massachuset’s Bay, cit., p. 1283.

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nell’aprile del 1775), ma era intimorito dalla prospettiva dell’ingovernabilità della popolazione coloniale e della sua recalcitranza all’amministrazione dei funzionari del re. La «sovranità praticabile» era l’unica via possibile contro questo pericolo; essa era d’altra parte il modus operandi per eccellenza del potere in ambito coloniale, e si contrapponeva direttamente alla guerra come metodo di risoluzione dei conflitti: «Se [gli inglesi] esamineranno i vari sistemi pianificati per l’allargamento dei domini e le varie lotte [che sono state condotte] sotto quei piani, […] vedranno che la negoziazione, e non la guerra, ha determinato i loro risultati»372. Già nel 1769, criticando in un intervento ai Commons l’arrivo delle truppe britanniche a

Boston, Pownall aveva condannato «l’applicazione del potere militare» al posto di «una qualche forma di prassi [policy]», e aveva messo in guardia i colleghi:

Quando l’intero spirito e inclinazione di un popolo che ha i poteri del governo in sé stesso è fisso e determinato contro una tassa, l’esperienza e il senso comune vi convinceranno che […] nessuna coercizione riuscirà mai a imporla e raccoglierla. Ciò è dimostrato anche dalla pratica, dai fatti, che nessuna forza militare può farlo: non c’è mai riuscita, fintantoché anche soltanto le forme del governo sono rimaste. […] Certo, può raccogliere un contributo per mezzo dell’esecuzione militare; ma questo non è governo, è guerra.

Onde evitare che il «potere esterno» della madrepatria calasse una «rete militare» sui sudditi coloniali, fino al totale annichilimento del loro autogoverno interno, Pownall sottolineava l’urgenza di adottare «una qualche forma di policy» al posto della forza, e una misura di «governo» (inteso come potere in grado di produrre efficientemente ordine e obbedienza) al posto della guerra. Dopotutto, lungi dall’essere una dimostrazione della solidità dello Stato britannico, l’invio delle truppe in Nord America ne aveva messo a nudo la debolezza, dal momento che «i governi sono sempre più disposti a usare la forza nel momento in cui perdono la propria autorità»373. L’uso della forza militare da parte della madrepatria era soltanto

servito a radicalizzare ulteriormente le posizioni dei coloni: avendo le colonie nordamericane, in virtù della fisionomia proprietaria e commerciale delle loro società, «i poteri del governo al proprio interno», l’esercizio del potere «esterno» della Gran Bretagna avrebbe prodotto non obbedienza, ma spinte indipendentiste; esse sarebbero, nelle parole di Pownall, «volate via per la tangente»374. Ispirato dalle

recenti scoperte sull’elettricità (che avevano visto, tra gli altri, nel suo amico Benjamin Franklin un contributo di primo piano), Pownall scrive: «Se riteniamo che questa attrazione [tra le colonie] americane

372 Id., A Memorial Most Humbly Addressed to the Sovereigns of Europe, 1780, cit., p. 7.

373 Id., Debate on an Address to the King upon the Disturbances in America (1770), in The Parliamentary History of England, cit., vol. XVI, pp. 980-990, p. 987; Id., Debate in the Commons on the Mutiny Bill (1770), in The Parliamentary History of England, cit., vol. XVI, pp. 1332-1335, p. 1335.

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sia elettrica, avendo saputo come essa viene aumentata dalla frizione, dovremmo sapere che l’applicazione della forza non farà che aumentare il suo potere»375.

Nel secondo volume di The Administration of the Colonies, dopo aver definito sul piano teorico la «linea di governo coloniale», Pownall fa un resoconto del suo funzionamento concreto, a partire dagli eventi che avevano scandito l’American controversy. Se era vero che il potere coloniale come «sovranità praticabile» consisteva nel tracciare la «linea» al punto giusto tra autonomia e subordinazione e tra diritto e prassi, Pownall prende in esame una serie di casi specifici su cui si era giocata la contesa per vedere da quale parte stesse la ragione. La pretesa degli abitanti delle colonie di stipendiare di tasca propria gli ufficiali pubblici coloniali, per esempio, era per Pownall frutto di «fanatismo», dal momento che funzionari e governatori non erano altro che «i servitori non della comunità in cui agiscono, ma della Corona»: «Se i magistrati, gli ufficiali pubblici e i giudici fossero staccati dalla loro dipendenza dalla Corona, e messi in una condizione di assoluta dipendenza dal popolo della colonia», si chiede infatti Pownall, «dove sarebbe quella subordinazione di governo che è anche l’essenza di una colonia?». La pretesa dei coloni di retribuire i governatori era quindi una violazione dei confini del governo coloniale come «sovranità praticabile»: essi «hanno passato la linea che sola può essere una linea di pace e di diritto tra la Gran Bretagna e le sue colonie», tentando di istituire un «governo nazionale o indipendente»376. Pownall era passato poi a considerare uno dei

provvedimenti più controversi di quegli anni, il Treason Act che, approvato durante il regno di Enrico VIII nel 1534, rendeva possibile trasportare in Inghilterra per ricevervi un processo i sudditi coloniali accusati di ribellione o tradimento. L’atto era tornato all’attenzione del Parlamento nel 1769, in seguito alle proteste bostoniane contro i dazi Townshend, e ancora nel 1772, quando la scialuppa della dogana Gaspee era stata presa d’assalto da un gruppo di coloni. Applicare il Treason Act in quel frangente sarebbe stato per Pownall anacronistico e problematico: esso era infatti stato redatto in un’epoca in cui non si erano ancora costituite «quelle complete giurisdizioni interne coloniali» che all’altezza del 1769 e del 1772 sarebbero invece state prevaricate dall’applicazione dell’atto cinquecentesco. Il provvedimento originale del Treason Act, redatto in linea con la costituzione tardo-medievale, risultava infatti obsoleto in un’epoca in cui la sovranità interna delle colonie, al pari della loro dinamica «organizzazione» sociale, era un fatto incontestabile. Il medesimo spirito di compromesso e fattibilità veniva applicato da Pownall anche alla questione dell’invocazione della legge marziale, sancita da quelli che i coloni avevano rinominato Intolerable Acts (1774). Come si è accennato, Pownall aveva criticato severamente ai Commons l’occupazione militare del Massachusetts da parte del generale Thomas Gage; sul piano teorico, però, quel potere

375 Id., The Administration of the British Colonies, cit., vol. II, p. 84. Nel 1769 Pownall aveva similmente affermato ai Commons che i coloni erano «di uno spirito tale che resisteranno a qualsiasi forza e che diventeranno più forti proprio se forzati, dimostrandosi superiori a qualsiasi forza» (Id., Proceedings in both Houses Respecting the Discontents in America, cit., pp. 496-497). 376 Id., The Administration of the British Colonies, cit., vol. II, pp. 53-54, 56.

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marziale apparteneva di diritto al Parlamento, e corrispondeva a quella prerogativa correttiva «esterna» che poteva entrare in azione in caso di necessità:

Il potere supremo e sovrano dello Stato, fintantoché le colonie rimangono e si comportano da subordinate, […] non può imporre la legge marziale o il comando militare. […] Questo stato di cose, tuttavia, […] non può invece impedire a quel potere sovrano sovrintendente di esercitare, in casi di estrema necessità, un potere dittatoriale, censorio e correttivo, […] grazie al quale l’unione, la vitalità e l’efficienza dell’Impero supremo può essere preservata e mantenuta.

Nella teoria del diritto, quindi, «l’Impero di Gran Bretagna è sovrano e supremo sulle colonie […] in tutti i casi»; tuttavia, nella prassi «praticabile» del «suo reale esercizio», esso si deve applicare soltanto, e con grande cautela, ai «casi che sono necessari»377.

La «linea di governo coloniale» intesa come «sovranità praticabile» viene illustrata anche nel Postscriptum al secondo volume di The Administration of the Colonies, dove Pownall analizza le proposte di pacificazione avanzate dai deputati provinciali della Pennsylvania, che erano state esposte da John Dickinson in An Essay on the Constitutional Power of Great Britain over the Colonies in America (1774)378. Partendo dal presupposto

conciliante che qualsiasi proposta delle assemblee coloniali «merita attenzione da chiunque voglia la pace dell’Impero britannico», Pownall intende qui però smontare le affermazioni contenute nell’Essay. Ancora una volta, si trattava di un’errata interpretazione delle «linee» e dei confini: l’Essay era infatti lungi dal proporre «una LINEA DI PACIFICAZIONE, perché [la sua proposta] è tracciata non su una base costituzionale, né stabilita su un vero confine» ma, al contrario, era «spinta oltre quel confine, […] eretta come un avamposto fortificato contro la vera sovranità costituzionale della madrepatria»379. L’errore di

Dickinson e dei deputati della Pennsylvania poggiava soprattutto sulla loro idea di «un contratto originario» tra madrepatria e colonie, da «formare nuovamente per mezzo di un patto reciproco su basi completamente nuove». Ciò che l’Essay esigeva dalla madrepatria erano «molteplici rinunce di potere» come, tra le altre, la rinuncia a qualsiasi «legislazione interna» sulle colonie e, addirittura, alla tassazione esterna per mezzo di dazi e imposte commerciali (inaccettabile, per Pownall, perché con essa le colonie «spingono i loro diritti addirittura all’interno della nostra giurisdizione», rendendosi colpevoli di usurpazione)380. I deputati avevano inoltre preteso che il Parlamento abdicasse al proprio potere di alterare

o dissolvere le charters coloniali; se Pownall ammette che, nell’«ordinario corso del governo», questa alterazione «sarebbe una tirannia», è d’altra parte «incompatibile con la stessa idea di governo coloniale» che non possa esistere «nello Stato sovrano […] un potere censorio e correttivo supremo» da esercitare

377 Ivi, vol. II, pp. 75-76.

378 J. Dickinson, An Essay on the Constitutional Power of Great Britain over the Colonies in America; with the Resolves of the Committee for

the Province of Pennsylvania, and Their Instructions to their Representatives in Assembly, Philadelphia, Printed and Sold by W. and T.

Bradford, 1774.

379 T. Pownall, The Administration of the British Colonies, cit., vol. II, pp. 89-91. 380 Ivi, vol. II, pp. 93-96.

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in casi di «assoluta necessità»381. Le pretese usurpatrici dell’assemblea della Pennsylvania dipendevano d’altra

parte dalla dottrina del contratto, che i coloni applicavano erroneamente alle proprie relazioni con la madrepatria:

Essi si considerano da un lato, e considerano la Gran Bretagna dall’altro, come due parti che contrattano, e considerano sé stessi come costretti da un patto diseguale. […] L’idea di un tale accordo pattizio [foederal compact] potrebbe andare bene a quelli che si sono abituati a concepire le colonie come Stati, aventi una giurisdizione sia esterna sia interna […]. Ma per coloro nella mente dei quali l’idea delle colonie emerge come non di Stati, ma come comunità all’interno dello Stato di Gran Bretagna, tutti questi ragionamenti, così come la base su cui poggiano, svaniscono insieme a una visione infondata382.

Le colonie non godono di un’autonoma giurisdizione esterna, e non possono quindi stringere accordi e patti con altri Stati – inclusa la loro madrepatria – come se fossero indipendenti. Ciò che Pownall critica della posizione dei deputati della Pennsylvania è precisamente la loro pretesa di considerare madrepatria e colonie come poste (giuridicamente e politicamente) sullo stesso piano, quando invece le seconde erano gerarchicamente subordinate alla prima.

Dire che madrepatria e colonie non potevano stringere una stipulazione contrattuale non significa per Pownall che la controversia coloniale non potesse risolversi in un accomodamento. Mentre un «foederal compact» tra eguali era impossibile, egli era al contrario favorevole al raggiungimento di un accordo tra diseguali, stretto sotto la supervisione del Parlamento imperiale. In un intervento ai Commons del 1775, egli sostenne infatti la necessità di delineare una nuova costituzione imperiale «by compact», di modo che «le relazioni tra i due paesi debbano, in futuro, essere poste su questo patto»383. Il riferimento che Pownall

fa a un accordo di natura pattizia tra madrepatria e colonie, al fine di redigere una nuova costituzione imperiale, conferma d’altra parte che la sua proposta di federazione non era semplicemente un ritorno al «vecchio terreno» del governo coloniale, ma implicava un’innovazione significativa rispetto al passato:

Anche le costituzioni [delle colonie] devono in futuro essere stabilite by compact; le loro charters […] non sono e non possono essere considerate tale patto. […] Il Parlamento […] dovrebbe interferire al fine di esaminare, stabilire e dare a tutte le diverse colonie, una volta per tutte, una tale costituzione che sia adatta a delle comunità indipendenti all’interno dell’Impero; stabilendo con loro e per loro quegli articoli, termini e condizioni che possano essere confermati da un atto del Parlamento in una maniera simile a quella che è stata utilizzata per l’unione delle parti del Regno attuale384.

381 Ivi, vol. II, pp. 103-106. 382 Ivi, vol. II, p. 100.

383 Id., Debate on Lord North’s Propositions for Conciliating the Differences with America (1775), in The Parliamentary History of England, cit., vol. XVIII: A.D., 1774-1777, pp. 322-328, p. 326.

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Il processo di «state formation», con l’annessione del Galles e della Scozia, poteva dunque per Pownall fornire le linee guida per una nuova costituzione imperiale, un «grande sistema generale del tutto» che conferisse un fondamento stabile e duraturo all’Impero britannico, «su cui le libertà dell’America possano essere fissate e la sovranità dell’Impero stabilita»385. Nel 1776, per quanto la situazione fosse ormai del

tutto compromessa a fronte della pubblicazione della Dichiarazione d’indipendenza, Pownall continuava a opporre all’uso della forza la negoziazione e il compromesso raggiunti per via pattizia. Analizzando a posteriori il precipitare degli eventi, egli affermava infatti che «prima di andare verso una guerra aperta», «la rendita» (il grande oggetto del contendere tra madrepatria e colonie) «avrebbe potuto essere ottenuta per mezzo di un accordo [compact], su termini che stabilissero la sovranità costituzionale di questo paese […] e che allo stesso tempo assicurassero i diritti di quelle colonie come concessi dal governo della madrepatria»386.

Compact non come contratto tra pari, quindi, ma come accordo asimmetrico tra diseguali. Se è proprio attraverso l’immagine di un contratto che si vuole pensare la relazione imperiale, esso per Pownall non è quindi il patto del contrattualismo, ma piuttosto il contratto di matrimonio settecentesco. Non un patto tra eguali fondato sul consenso libero e ritirabile dei contraenti, bensì un accordo impari, un negoziato che stabiliva una relazione di subordinazione naturale di una parte rispetto all’altra e (salvo casi eccezionali) inscindibile:

Il governo delle colonie è stato sempre – per quelli che si sono riferiti alla situazione reale su cui si reggono le costituzioni, e non alle teorie legali che esistono solo nel ricordo della legge – condotto per mezzo di una sorta di discorso e sotto quella reciproca condiscendenza tramite cui va avanti il matrimonio; dove, mentre uno sembra governare, l’altro lo fa per davvero; e che, anche se qualche volta è disturbato da temporanee incomprensioni, è nel complesso una condizione oltremodo felice387.

L’esercizio del governo coloniale, così come il matrimonio, è fatto di accomodamenti e compromessi, ma anche di subordinazione gerarchica e di obbedienza. È significativo che, in quegli stessi anni, la relazione familiare cui si faceva solitamente riferimento per descrivere il rapporto tra madrepatria e colonie era quella genitoriale, non maritale: i coloni erano stati descritti come figli alternativamente disobbedienti o emancipati, e il re come padre padrone o premuroso388. La metafora del matrimonio usata

385 T. Pownall, Debate in the Commons on Mr. Burke’s Bill for Composing the Present Troubles in America (1775), in The Parliamentary

History of England, cit., vol. XVIII, pp. 988-989, p. 989. Come si è detto, il Galles era stato incorporato al Regno nel 1536,

mentre la Scozia (dopo l’unione delle Corone con Giacomo VI di Scozia e I d’Inghilterra nel 1603) venne unita legislativamente all’Inghilterra con l’Unione del 1707 (D. Armitage, The Ideological Origins of the British Empire, cit., p. 15; K. Macmillan, Sovereignty

and Possession in the English New World. The Legal Foundations of Empire, 1576-1640, Cambridge, Cambridge University Press, 2006,

p. 17).

386 T. Pownall, A Letter to Adam Smith, cit., pp. 38-39. 387 Id., Two Memorials, cit., p. 53.

388 La Dichiarazione d’indipendenza era pressoché interamente costruita sull’analogia implicita tra re Giorgio III e un padre che aveva abdicato ai propri doveri genitoriali, dichiarando i coloni «fuori dalla sua protezione» (La Dichiarazione di indipendenza degli

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da Pownall non sta a indicare il suo rifiuto dello squilibrio di posizione e autorità implicito nella coppia padre/figlio. Tutt’altro: in linea con Locke, Pownall era infatti convinto che la famiglia e il rapporto tra genitori e figli istituissero soltanto «una società temporanea» da cui era possibile emanciparsi una volta