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La gestione del confl itto secondo gli operatori

Capitolo 2 La metodologia e i signifi cati dell’intervento

4.4 La gestione del confl itto secondo gli operatori

Gli operatori considerano il confl itto come necessario e talvolta anche positivo nel portare allo scoperto contraddizioni e problemi comunicativi. Ciò che risulta problematico è lo stallo che da esso deriva: se le parti non riescono a trovare il modo di gestire il confl itto, esso ha la tendenza ad acuirsi, auto-alimentandosi in una spi- rale di crescente emotività, conducendo spesso lontano dalle ragioni che lo hanno provocato. Per questo motivo, viene considerata rilevante un’azione preventiva, che si concentri su tre aspetti fondamentali: 1) la gestione delle emozioni, riconoscen- dole, avendo consapevolezza di come funzionano e come si manifestano, ed accet- tandole, per evitare che prendano il sopravvento; 2) il mantenimento o il recupero dell’attenzione sull’obiettivo, da raggiungere evitando un arroccamento sulle diverse posizioni; 3) la creazione di contenuti nuovi, che permettano di procedere senza per- venire forzatamente ad una condivisione tra i partecipanti, poiché la fi nalità prin- cipale del dialogo è garantire il mantenimento o al miglioramento delle relazioni.

Op 3: “Quando si ha un obiettivo specifi co, sul lavoro, la soluzione del confl itto dovrebbe permettere di andare avanti nella comunicazione (.) evitare che alla fi ne ci si dimentichi il motivo per cui è nato il confl itto e si inizi a riprodurre una comu- nicazione di tipo etnocentrico, noi, loro, ecco, evitare lo stallo in modo che si con- tinui a comunicare e interagire, in modo che emergano dei contenuti nuovi dei nuovi apporti alla comunicazione che permettano di andare avanti”.

Op 2: “Non è necessario che si arrivi a una conclusione con un accordo, perché secondo me poi di fatto accordo non c’è, c’è una fi nzione che c’è un accordo. Ri- solvere un confl itto è un qualcosa di più profondo” […]: “La relazione, ecco, que- sta è la fi nalità del dialogo, mettersi in relazione con gli altri”.

[Ins. 1]: “Che comunque vengano intanto capiti i termini del confl itto e in qual- che modo superati, ma anche proprio spostando i termini del confl itto e quindi tro- vando delle soluzioni diverse”. […]: “Anche a livello di relazioni, senza una fi na- lità diretta, cioè a livello proprio delle relazioni interpersonali”.

Per prevenire l’escalation o la degenerazione di un confl itto, gli operatori riten- gono che sia necessario ricorrere ad una forma dialogica, osservando come rilevanti: 1) il mantenimento e la promozione dell’attenzione per l’altro come persona ed il

riconoscimento della sua autonomia personale; 2) la messa in gioco di se stessi come persone, disponibili ad essere perturbate dal contesto confl ittuale; 3) un intervento di mediazione e facilitazione della comunicazione, che permetta di superarlo senza vincitori, né sconfi tti, nella soddisfazione di tutti i partecipanti.

Questa forma dialogica viene osservata come opposta a quella confl ittuale nel trattamento della diversità, che presuppone attenzione, riconoscimento e rispetto per la persona dell’altro, quindi ascolto attivo:

Op 1: “Il dialogo […] partendo dal presupposto del riconoscimento dell’altro permette di portare alla comunicazione le diverse posizioni e i diversi punti di vi- sta senza che questo in qualche modo sia offensivo, sia aggressivo”.

Op 2: “Io ascolto in modo importante, intenso, quello che dice l’altro e poi io quando vado a emettere, l’altro prende il mio posto cioè ascolta. […] Dialogo forse più che parlare è ascoltare”.

Op 3: “È legato alla comunicazione, è indiscutibile, il dialogo deve prevedere l’ascolto, ma inteso come interesse reale”.

Perché ci sia dialogo, ci deve essere un interesse sincero per la persona e dispo- nibilità a mettere in gioco se stessi: quindi un’apertura, una propensione all’accet- tazione e alla comprensione di ciò che l’altro è e vuole comunicare. Il dialogo pri- vilegia l’auto-espressione dei partecipanti e la loro conferma come persone, seb- bene l’intensità dell’orientamento alla persona possa diversifi carsi in relazione al contesto comunicativo:

Op 2: “È una questione che viene agita parecchio sugli aspetti emotivi, affettivi, quando sei di fronte a una persona che c’è la stima, l’affetto, la vicinanza, il calore, e se c’è questo secondo me c’è dialogo, cioè (..) però voglio dire anche quando tu vai a comprare un biglietto del treno e ci sono delle diffi coltà nell’erogazione dei biglietti (..) parliamo di un dialogo tra due che poi non si vedranno magari mai più, il dialogo tra un genitore e un fi glio è qualcosa di ben diverso, tra due che si amano è diverso ancora, ma questo è secondo me il concetto”.

Op 3: “Allora quanto ci si mette in gioco secondo me dipende dal contesto, è indiscutibile che un dialogo in un contesto lavorativo prevede una mia messa in gioco di tipo diverso da quanto prevede un dialogo in un contesto personale. Però data per scontata questa distinzione in termini di contesto e quindi anche di inve- stimento personale, perché altrimenti implicherebbe la follia se io ci investo sem- pre ugualmente, se io devo dialogare devo essere realmente interessato a quello che l’altro dice”.

In questo tipo di contesto, insieme all’affettività, è necessario valorizzare anche la componente cognitiva, considerata essenziale per permettere l’acquisizione delle competenze necessarie al riconoscimento dell’altro, in un sistema primariamente incentrato sui ruoli e sulle prestazioni:

Op 1: “Il piano affettivo se la comunicazione è interpersonale può giocare un ruolo importante, perché dal momento che io ti riconosco come persona è chiaro che sposto l’attenzione sul piano affettivo anche se questo lo posso fare utilizzando un pensiero più di carattere cognitivo”.

Op 3: “Io credo che si costruisce la competenza, allora si costruisce attraverso la partecipazione e quindi l’auto-espressione, e quindi attraverso quello che è an- che il riconoscimento delle aspettative affettive, però io credo che comunque poi la competenza a dialogare non sia una cosa innata, è una cosa che si può appren- dere che si può migliorare”.

In sintesi, il dialogo è osservato come tecnica di promozione, che può facilitare la comunicazione, e quindi favorirne il successo, a condizione che si producano: 1. una forma personalizzata dei contributi, poiché una partecipazione centrata sul

ruolo è meno funzionale all’uso di tecniche dialogiche, soprattutto per la diffi - coltà di soddisfare aspettative affettive;

2. una quantità di partecipanti e dei tempi adeguati per l’intervento (Op 1: “i con- testi dove ci sono molte persone e dove quindi più diffi cile mantenere un rap- porto interpersonale, sono più diffi cili da gestire sul piano dialogico”; Op 2: “È chiaro che, all’interno di una classe scolastica, avere a che fare con una classe di 24 bambini, o una classe di 14 o di 8 c’è una bella differenza perché ci sono pro- prio anche dei tempi che sono necessari al dialogo”);

3. una considerazione per l’altro (Op 3: “per quanto mi riguarda il dialogo ha senso quando io ritengo che la persona di fronte a me merita che io sprechi dell’ener- gia per dialogare”).

4. una conoscenza delle forme dialogiche e un adeguato grado di competenza nel- l’azione dialogica (Op 3: “ci sono delle condizioni che lo ostacolano sì… quando uno non conosce la possibilità del dialogo, nel senso che conosce solo l’alterna- tiva del confl itto, e ritengo appunto che tutto si apprenda, anche le competenze del dialogare, se uno ha osservato nella sua esistenza solo la modalità del con- fl itto, secondo me può anche essere una mancanza di conoscenza dell’esistenza proprio del dialogo come modalità per affrontare il confl itto”; Op 2: “metti un bambino che è stato allevato in una famiglia dove appunto esiste un modello au- toritario, dove un bambino non ha diritto a esprimersi e famiglie in cui il bam- bino ha diritto ad esprimersi, è probabile che in una situazione di dialogo il primo parli e l’altro taccia”).