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Capitolo 2 La metodologia e i signifi cati dell’intervento

3.2 La produzione e le strutture del confl itto

Il signifi cato del confl itto

Gli operatori considerano il confl itto come una forma di comunicazione in cui può emergere ed essere gestita una diversità di bisogni, di opinioni o di valori, che segnala l’esistenza di contraddizioni nella comunicazione e indica problemi rile- vanti. Solo per l’insegnante, confl itto signifi ca assenza di comunicazione. Nel lin- guaggio comunemente utilizzato dai bambini e dai preadolescenti, invece, confl itto signifi ca generalmente litigio problematico:

[FG A] RIC: “E secondo voi com’è che non avete mai litigato? Di solito liti- gate?”. CATERINA: “No, no però quando c’è qualcosa che non va, quella che sem- bra una discussione dopo parte invece come litigio. Se la discussione va un po’ a lungo si può prendere anche come un litigio”.

[FG D] EMANUELE: “Io non sono d’accordo perché innanzitutto non volevo che si litigasse perché non è una bella cosa (.) poi dopo secondo me ci sono stati più parolacce, pugni, offese”. RIC: “E secondo te che cosa vi ha fatto lavorare bene insieme?”. EMANUELE: “Le discussioni, le rifl essioni”. RIC: “Ah, quindi secondo te le discussioni e le rifl essioni vi hanno permesso di lavorare bene insieme?”. EMA- NUELE: “Sì perché se non ci fossero state tutte quelle discussioni e rifl essioni io sarei imbronciato con i miei compagni di gruppo e gli altri sarebbero un po’ tutti (..) come dire (..) non so (..) arrabbiati anche loro”.

Nella prospettiva dei bambini/preadolescenti, il confl itto varia per intensità e gravità della contrapposizione tra le parti (“quando c’è qualcosa che non va, quella che sembra una discussione dopo parte invece come litigio”) ed in relazione alla funzionalità per il proseguimento della comunicazione. Tuttavia, il “litigio non è una bella cosa” poiché tende a riprodursi in una spirale di prevaricazioni (“poi dopo secondo me ci sono stati più parolacce, pugni, offese”). Le “discussioni”, invece, sono valutate positivamente in quanto permettono l’espressione dei soggetti coin- volti e forniscono una possibilità di chiarimento che placa manifestazioni emotive come la rabbia o il risentimento (“se non ci fossero state tutte quelle discussioni e rifl essioni io sarei imbronciato con i miei compagni di gruppo e gli altri sarebbero un po’ […] arrabbiati anche loro”).

I rispondenti dichiarano di partecipare assai di frequente a discussioni e solo po- chi sembrano immuni da una comunicazione confl ittuale (tab. 4).

Tab. 4 - Esperienza di discussioni

Totale Elementari Medie Maschi Femmine

Sì 85,4 (175) 83,7 (134) 91,2 (41) 83,9 (83) 87,4 (83)

No 12,2 (25) 14,4 (23) 4,4 (2) 13,1 (13) 11,6 (11)

Non risponde 2,4 (5) 1,9 (3) 4,4 (2) 3,0 (3) 1,0 (1)

Totale 100 (205) 100 (160) 100 (45) 100 (99) 100 (95)

Queste discussioni coinvolgono frequentemente amici e compagni di classe, ma anche i genitori ne sono protagonisti in un quarto dei casi, mentre sono pratica- mente assenti le discussioni con insegnanti (tab. 5).

Tab. 5 - Con chi si discute prevalentemente

Totale Elementari Medie Maschi Femmine

Amici 26,8 (55) 23,7 (38) 37,8 (17) 23,2 (23) 30,5 (29) Genitori 26,3 (54) 26,3 (42) 26,7 (12) 22,2 (22) 28,5 (27) Compagni di classe 22,9 (47) 25,0 (40) 15,6 (7) 26,3 (26) 23,2 (22) Non risponde 14,2 (29) 16,3 (26) 6,6 (3) 16,2 (16) 11,6 (11) Parenti 6,3 (13) 5,6 (9) 8,9 (4) 8,1 (8) 4,2 (4) Insegnanti 1,9 (4) 1,2 (2) 4,4 (2) 3,0 (3) 1,0 (1) Altro 1,5 (3) 1,9 (3) – 1,0 (1) 1,0 (1) Totale 100 (205) 100 (134) 100 (42) 100 (83) 100 (84)

In questo quadro, anche la mancanza di rispetto è osservata in modo diffuso, cioè dai due quinti dei rispondenti (tab. 6).

Tab. 6 - Mancanza di rispetto

Totale Elementari Medie Maschi Femmine

No 60,0 (123) 59,4 (95) 62,2 (28) 56,6 (56) 60,0 (57)

Sì 38,5 (79) 39,4 (63) 35,6 (16) 41,4 (41) 38,9 (37)

Non risponde 1,5 (3) 1,2 (2) 2,2 (1) 2,0 (2) 1,1 (1)

Il fenomeno è diffuso soprattutto nei confronti di amici (33,6%) e compagni di classe (25,2%), mentre è osservato molto raramente nei confronti dei genitori (5,6%) ed anche degli insegnanti (8,4%). È evidente dunque come la mancanza di rispetto sia legata alla comunicazione tra coetanei. L’osservazione degli interventi evidenzia in effetti che i confl itti sono stati molto frequenti e si sono verifi cati in tutti gli inter- venti. Tuttavia, si è trattato soprattutto di confl itti non rilevanti, nati cioè per motiva- zioni futili, come uno scherzo o una presa in giro, si potrebbe dire per gioco, per il piacere di stuzzicarsi e ridere delle prese in giro reciproche. Spesso, questi confl itti non rilevanti si sono auto-dissolti, come nella sequenza 1.

[S1]

[Un gruppo sta leggendo la sua storia]

Federico: [??] [dice qualcosa che non si capisce a cui tutti reagiscono] Alfredo: basta Federico hai rotto con questo [??]

Federico: io?!

Alfredo [gridando, aggressivamente]: sì! Marta: basta!

Federico [urlando, ma ridendo]: Marta! Alfredo [sempre più forte]: basta Federico!

[Federico non reagisce. Continuano a leggere la storia]

Marta [ridendo]: e questa me la paghi (?) [non si capisce riferito a cosa] Federico: [??]

Ilenia: Federico!

[Continuano a leggere la storia e Federico disturba, ma non si capisce che cosa dice]

Marta e Alfredo: basta Federico!

Federico: ma non ho detto niente![??] la Giada [??] e non hai detto niente!!! Marta: cioè ma è possibile?! Anche te [rivolta a Giada], veh!? Mica solo lui! Sono tre giorni che vai dietro! [Non si chiarisce per quale motivo si stanno prendendo in giro, presumibilmente perché Marta e Alfredo si piacciono]

Tutti: basta!

Federico: [??] [si sovrappongono varie voci e vari turni] Marta [ridendo]: ma non è vero!

Alfredo: [arrabbiato] non sono affari tuoi! Marta [ridendo]: a parte che non è mica vero!

Alfredo: ma comunque non sono affari tuoi se fosse anche vero! Federico: ma non è vero!

Alfredo [rosso in faccia]: allora non dirlo! Federico: adesso basta!

[Tutti ridono]

Marta [ridendo]: Alfredo, basta pensa alla Giada! [Alfredo fi nge di picchiarla ridendo]

In questa sequenza, i ragazzi non si arrabbiano realmente, nonostante i toni ini- ziali appaiono aggressivi (turni 2, 4, 5, 6, 7): nel corso del processo comunicativo, l’aggressività si trasforma in scherzo e presa in giro a vicendevole (turni 18, 20, 25, 26, 27, 28), sdrammatizzando i residui di ira (turni 19, 23, 24). I bambini gestiscono il confl itto da soli, sdrammatizzando e abbassando la tensione, scherzando: di con- seguenza, il confl itto si dissolve senza necessità di intervento.

Come si evidenzia nel caso precedente, i confl itti possono essere considerati non rilevanti quando non bloccano la forma culturale che orienta la comunicazione. Il nostro interesse è però focalizzato sui confl itti rilevanti, che bloccano tali forme cul- turali, creando quindi diffi coltà nel procedere nella comunicazione. I confl itti rile- vanti bloccano la comunicazione a causa del riprodursi di contraddizioni sistema- ticamente confermate nel processo comunicativo. È possibile osservare delle strut- ture ricorrenti nella produzione di questi confl itti.

Le dispute

Ricorrente è l’espressione della contraddizione in forma di “disputa”3. La di-

sputa è una forma di comunicazione confl ittuale caratterizzata, come si evidenzia nella sequenza 2, da una connotazione negativa ed aggressiva dell’interlocutore (turni 5, 6, 7, 11) e da azioni valutative (turno 10), che vengono considerate inevi- tabili (turno 13).

[S2]

Mustafa: ha preso il mio astuccio! dopo come faccio!

Op [arrivando sul luogo del confl itto]: va bene, vi mettete qua seduti? Mustafa: e te, perché sei andata a prendere il mio astuccio?

Clara: e tu i nostri colori?

Mustafa: è stato Emanuele, veh, faccia da maiale sta zitta! Clara: che sei tu!

Mustafa: che sei tu!

Alessandro [a Op:]: ’scolta: i colori non sono mica solo loro! Clara: però ce li chiedete, non li strappate dal tavolo

Alessandro: mica si strappano, veh (.) Come strappare un tavolo, che è di legno, mica lo strappi! Un po’ di intelligenza, oh?

[risate di Mustafa, che “batte un cinque” ad Alessandro, indicando in tono deriso- rio Clara]

Op: io avrei bisogno di parlare in modo civile e a me non sta bene poi che tu alzi la voce in quel modo! È possibile arrivare ad una soluzione in un modo tranquillo e pacato?

Alessandro: evidentemente no!

Nella sequenza 3, si può osservare una disputa particolarmente violenta, con ri- correnti azioni aggressive e valutazioni negative reciproche.

[S3. Mario sta piangendo dopo aver subito un’aggressione violenta di Kevin; l’operatore si avvicina e gli si fa incontro Kevin, che cerca di giustifi care la sua azione]

Kevin: ma: (.) mi prende sempre in giro!

Op: io, da quello che ho visto, gli hai dato uno scapaccione Kevin: è da stamattina che mi prende in giro

Op: eh, ma adesso lui piange - Kevin: fa sempre così

Op: scusa (.) ma se uno ti tira uno scapaccione – (..) eh, quando i miei genitori mi davano degli scapaccioni, da piccolo, io piangevo, eh?

Kevin: sì, va beh, però lui mi prendeva in giro senza motivo Op (a Mario): scusa, stavi cercando di dire qualcosa? Mario: gli ho detto solo una volta ciccione

Kevin: eh:

Op: ah, beh, però -

Mario: a mensa me le ha date anche le botte, a mensa Kevin: sì, adìo, a mensa te le ha date (??)

Mario: no, anche te!

Kevin: ma solo quando sei passato (.), ti ho dato - [imita uno scapaccione dato “al volo”]

Op: perché gli dai le botte?

Miki: eh (.) ma lui lo chiama “Kevinone - patatone - ciccione” Op: eh beh (..) Miki, scusa, per te è giusto questo?

Miki: no, ma lui lo chiama sempre (.) allora: (2) secondo me lui sbaglia a dargli le botte, ma se uno a me mi chiama Kevinone - patatone - ciccione io gli do uno schiaffo

Mario: io non l’ho chiamato oggi ciccione, a mensa Kevin: ed io a mensa non ti ho fatto niente

Mario: sì

Licia: hai fatto (.) la testa (.) con la bottiglia [mima con le mani uno scontro] Op: ah, allora (.) io credo che se andate in cerca di chi ha iniziato non andate da nessuna parte (.) è possibile che troviamo una soluzione a questo problema, defi ni- tiva (.) possiamo trovare una soluzione defi nitiva?

Mario: ma adesso non ho problemi Op: ma tu lo prendi in giro - Mario: sì

Op: e lui ogni tanto passa e ti tira gli schiaffi Mario: certe volte per niente

Kevin: no

Kevin: ma tu lui lo tocchi e: [imita il pianto]

Op: va beh, ognuno è fatto a suo modo, eh? Non vuoi trovare una soluzione? Kevin: mi dispiace [che..

Op: [eh, gli chiedi scusa? Kevin: (??)

Op: eh, ma (.) guardalo, guardalo negli occhi! Mario: smettila di darmi le botte!

Licia: e tu smettila di cercartele!

(Kevin, insofferente, si divincola da Op, che lo invita a sedersi)

Miki: lui ti smette di picchiarti se tu lo smetti di prenderlo in giro (.) perché se mi chiami ciccione ti darei una botta, ma se tu lo smetti di dirlo (.) Kevin smette di darti le botte

Licia: veramente è Kevin che reagisce in modo strano, con delle botte, come a rugby (..) anche peggio!

Op: si può ragionare in altri termini? ma si può arrivare ad un accordo, cioè am- messo che lui non ti prenda più in giro, e che tu non lo prendi più in giro

Mario: ma io non lo prendo in giro! (.) prima ho fatto la foto a Op e lui mi è venuto a dare le botte

Kevin: Io:? ma te hai le traveggole! eh no! Op: è possibile che tra di voi non si riesca a - Kevin: dipende da lui

Op: e da te?

Kevin: se mi smette di prendere in giro -

Op: quindi (.) se lui smette di prenderti in giro tu smetti di dargli le botte (..) (a Mi- chele) hai capito?

Mario: se smette di darmi le botte -

Op: eh, siamo d’accordo? ne parliamo la prossima volta? Kevin [annoiato]: no:

Op: [ok (.) Miki sei testimone -

Mario [prendendo la macchina fotografi ca che è sul tavolo, rivolgendosi a Kevin]: posso vedere, posso vedere veloce? [tocca un pulsante]

Kevin: no: ma cosa hai fatto!

Op: insegnali con calma (...) ricordati - Kevin: dai che te la faccio io!

[Mario continua a toccare pulsanti sulla macchina fotografi ca] Kevin: no!:

Mario: no, una posso [farla], come gli altri!

Kevin: eh: (..) Miki vieni con me, dai! [si mettono in posa plastica ridendo, anche Mario ride]

Si può osservare come, dal turno 55, il confl itto si dissolva, senza un intervento diretto dell’operatore, bensì attraverso una forma di riconciliazione basata su di uno spostamento dell’attenzione, comunque orientata dall’operatore.

Il confl itto competitivo

La disputa afferma spesso un “paradigma competitivo”4, che produce la distin-

zione tra affermazioni “vincenti” ed affermazioni “perdenti”. Il confl itto competi- tivo si verifi ca quando due parti sono coinvolte in una competizione volta a modi- fi care a proprio favore le forme della loro relazione. La forma di comunicazione è fondata su quello che Leo F. Smyth5 ha defi nito organizational enactment. Un or-

ganizational enactment è una forma di osservazione per cui un sistema determina il proprio ambiente come estensione della propria identità. Nel caso dei confl itti competitivi la parte che rivendica un differenziale positivo (ad esempio, in virtù di una maggiore forza fi sica) osserva la riproduzione di questo differenziale positivo come componente essenziale della propria identità, a scapito dell’altra parte.

La competizione per imporre la propria prospettiva si esprime in azioni aggres- sive, in primo luogo nell’espressione di valutazioni negative dei propri interlocutori. In tal senso, il paradigma competitivo si sviluppa in una forma che Kenneth Gergen ha defi nito come “tanatopica”6: la competizione si manifesta attraverso azioni strate-

giche che sfruttano i contributi degli altri come armi dialettiche, osservandovi con- traddizioni, paradossi, debolezze logiche, con l’obiettivo di distruggerne (in questo senso “tanatopica”) le costruzioni di signifi cato. I confl itti competitivi possono essere sia di tipo individualista, cioè riguardanti contraddizioni tra singoli individui basate sul valore della prestazione, sia di tipo etnocentrico, cioè basati su contraddizioni di valore tra gruppi predefi niti (ad esempio, tra maschi e femmine).

Nella sequenza 4 si può osservare un confl itto competitivo inerente alla presta- zione (turni 2, 3, 5, 9) ed abbinato alla differenza di valore tra maschi e femmine (turno 24, 26), nel quale si osserva una comunicazione distruttiva (turni: 17-19; 21- 22) che sfocia in proposte di esclusione (turni 21-22).

[S4]

Op: allora, in questo gruppo ci siamo un po’ arrabbiati, mi sembra di avere capito, può succedere, no, quando si lavora insieme, può capitare

Cristina: io e la Valeria sì che abbiamo lavorato

Valeria: questa qua [una femmina del gruppo] è qui che ci guarda, lui è lì che la- vora, almeno lui fa qualcosa, e lui sta giocando col cellulare

Op: voi vi siete arrabbiati perché qualcuno lavora e qualcuno no Valeria: sì

Op: come mai solo voi lavorate? Allora, spiegatemi un po’ a che punto siete. Ro- berto, mi aiutate a capire la storia. Proprio non è possibile? Vediamo se riusciamo ad andare avanti? Allora, venite qua, invece di continuare a lavorare. Voi lo sapete che non è che dovete fare la storia, voi dovete lavorare insieme; se fate la storia e

4 D. Bohm, On dialogue, Routledge, London 1989.

5 L.F. Smyth, Identity-based confl icts, a sistemic approach, Negotiation journal, 4, 2004, pp. 147-161.

6 K. Gergen, Toward a vocabulary of transformative dialogue, International journal of public administration, 24,

non lavorate insieme, non ha molto senso quello che stiamo facendo. Vi ricordate di questa cosa? Che l’abbiamo decisa la volta scorsa?

Valeria: adesso abbiamo deciso Op: cosa avete deciso?

Valeria: abbiamo deciso che chi lavora, lavora con gli altri, chi non lavora... Op: chi l’ha deciso questo? Chi è che ha deciso questa cosa?

Valeria: tutti noi Op: ma tutti quanti? Gruppo: no

Op: se posso dire la mia mi sembra che non avete deciso mica tutti insieme Valeria: abbiamo deciso tre su due

Op: quindi avete fatto la maggioranza? Allora hanno ragione loro di essere arrab- biati. Siete arrabbiati?

Valeria: sì, perché si comportano come dei bambini di prima! Roberto: e te come dell’asilo nido

Valeria: simpatico, taci!

Op: insomma, questo gruppo, mi sembrava che avesse iniziato a fare delle cose bel- lissime, e ad un certo punto (..) Vi posso aiutare in qualche modo?

Roberto: togliendo quella [Valeria] Valeria: perché non te ne vai te?!

Op: Roberto, tu cosa vorresti fare? Vorresti inventare qualche personaggio? [??] E tu [ad un maschio del gruppo] cosa vorresti metterci dentro? [??] Voi tre [fem- mine] allora lavorate da sole e loro due non partecipano?

Femmine: sì

Op: ma non c’è niente che possiamo fare per convincerli -? Valeria: no!

Nella sequenza 4, si può anche osservare che i contributi dell’operatore fi niscono con l’alimentare il confl itto, incitando a lavorare insieme (turno 6) e creando una distinzione tra ragione e torto (turno 16). Torneremo sull’intervento di gestione del confl itto nel capitolo 6.

Nella sequenza 5, si osserva un confl itto etnocentrico. Ai turni 8-11, si osservano affermazioni aggressive che si concatenano, esprimendo valutazioni negative del gruppo contrapposto. Il confl itto riproduce una contrapposizione di genere espressa nella comunicazione attraverso categorizzazioni stereotipate della diversità.

[S5. L’operatore introduce la fase dell’intervento che prevede la costruzione, a partire dalle storie prodotte dai gruppi di lavoro ristretti, di una “storia della classe”, ma questo passaggio viene rifi utato dalla classe, all’interno della quale è attivo un confl itto etnocentrico di genere]

Op: adesso ci tocca fare una cosa nuova (.) il gioco prevede che dalle storie dei gruppi, per questo non importa se sono fi nite o meno, costruiamo la storia della classe (..) non importa se la fi niamo -

Classe: no:! È brutto!

Op: è brutto? Va bene, allora andiamo avanti -

Francesco: [le donne ne fanno una e i maschi ne fanno un’altra! Classe: [sì! sì!

Classe: [no! no!

Michela: ognuno racconta la propria storia! Francesco: i maschi hanno più cervello Femmine: eh:?

Francesca: i maschi hanno il cervello nel c**o! Francesco: le femmine non ce l’hanno proprio!