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Capitolo 2 La metodologia e i signifi cati dell’intervento

4.1 Il progetto

Nella progettazione dell’intervento si è ritenuto anzitutto rilevante evitare forme comunicative prodottesi negli interventi della prima fase della ricerca2 e osservate

come critiche, quali: 1) l’attenzione dell’operatore per il risultato, anziché per il pro- cesso dell’intervento; 2) interventi formativi piuttosto che promozionali con riferi- mento all’auto-espressione dei partecipanti; 3) la riproduzione di una forma etno- centrica della comunicazione all’interno dei gruppi, che afferma un’identità attra- verso la distinzione noi/loro.

Si è inoltre cercato di risolvere problemi metodologici osservati in questa prima fase legati: 1) alla motivazione dei bambini a partecipare; 2) alla presa di decisioni, anche in relazione al rispetto dell’autonomia personale; 3) alla promozione della partecipazione sociale del maggior numero possibile di partecipanti; 4) alla speri- mentazione di nuove forme comunicative adeguate alla gestione dei confl itti.

I risultati della prima fase evidenziavano che la combinazione tra (1) mancanza di competenza nell’azione dialogica, (2) etnocentrismo e (3) valore attribuito alla prestazione individuale, costituisce una struttura che complica ogni intervento teso a promuovere la gestione dialogica del confl itto. Da essi risultava confermato il fon- damento teorico per il quale una struttura educativa è problematica come premessa per la realizzazione di un intervento di tipo promozionale.

Poiché dall’analisi dei dati trovava conferma il fatto che le tecniche funzionali al dialogo sono quelle basate sulla promozione e che concretizzano la testimonianza, la metodologia di intervento è stata fi nalizzata, in primo luogo, alla sperimentazione di alcune tecniche dialogiche che sono state adottate in modo limitato durante la prima fase della ricerca, quali: 1) il sostegno degli aspetti positivi di ogni emissione

1 Alice Muller ha scritto i §§ 4.1, 4.2, 4.3, 4.4. Giulia Zoboli ha scritto il § 4.5. Si ringraziano Marco Giordani, An-

nie Noro e Marco Vincenzi per la collaborazione prestata nella stesura del § 4.1, che è basato sul loro progetto ori- ginale, e per la revisione che hanno svolto del capitolo per quel che riguarda l’accuratezza delle loro posizioni che sono state riportate.

comunicativa; 2) la verifi ca della comprensione e della percezione dei destinatari; 3) l’attenzione per le conseguenze delle proprie azioni e delle azioni dei destinatari. L’adozione di tali tecniche intendeva consentire ai partecipanti un cambiamento di prospettiva relativamente alla gestione del confl itto, favorendo: 1) l’autodetermina- zione, attraverso il riconoscimento e il rispetto delle proprie aspettative; 2) l’espli- citazione delle esigenze; 3) l’espressione personale.

A partire da queste considerazioni, ci si è orientati alla costruzione di un inter- vento promozionale, che utilizzasse la metodologia della progettazione partecipata, innovativo per quel che riguarda le tecniche adottate nella prima fase. L’intervento prevedeva l’interazione continua tra i partecipanti, al fi ne di rendere evidenti le dif- ferenze e maggiormente probabile l’emergere di confl itti, sulla base dei quali spe- rimentare la gestione dialogica.

L’intervento è stato impostato su tre incontri di due ore ciascuno per ogni classe nel corso dei quali dovevano essere proposte attività di laboratorio “su immagini e parole”. La produzione di una storia fantastica è stata pensata come un pretesto per (1) osservare (video-osservatore ed insegnante) e (2) intervenire (operatore), allo scopo di realizzare una gestione dialogica dei confl itti che prevedibilmente si sareb- bero prodotti durante le attività.

In fase di progettazione si è deciso di porre una particolare attenzione al pro- cesso comunicativo, piuttosto che al prodotto fi nale del lavoro: l’obiettivo dell’in- tervento era la sperimentazione della partecipazione sociale e della gestione dialo- gica del confl itto, non il completamento dei lavori proposti. Per perseguire tale obiettivo è stata prevista la costruzione di un contesto favorevole alla promozione della comunicazione interpersonale tra i partecipanti e della motivazione a parteci- pare. Per fare questo si è fatto ricorso: a) ad uno svolgimento delle attività che al- ternava l’attività in gruppo allargato (classe) all’attività in piccoli gruppi; b) alla co- struzione delle attività in una forma fantastica; c) ad un uso personalizzato degli strumenti di intervento, differenziati in base ai destinatari (età, tipo di scuola, gruppo) e in relazione all’andamento del lavoro.

All’inizio degli incontri è stato anche concordato il ruolo dell’insegnante, di os- servazione esterna della comunicazione attivata tra i partecipanti diretti, cioè i bam- bini/preadolescenti e l’operatore. Poiché era prevedibile un certo grado di “confu- sione” in classe, si è considerato auspicabile che l’insegnante-osservatore mante- nesse in modo rigoroso il suo ruolo, fatto salvo il caso in cui la situazione non ri- chiedesse effettivamente un suo intervento.

Nella fase di progettazione, sono state formulate, come traccia di lavoro, alcune ipotesi sugli sviluppi possibili dell’intervento.

Il primo incontro prevedeva: 1) di disporre i partecipanti nello spazio, ad esem- pio in cerchio, in modo da favorire la comunicazione, l’ascolto; 2) la trascrizione su un cartellone delle aspettative degli alunni; 3) la loro successiva riformulazione in concomitanza di una breve presentazione dell’intervento; 4) l’inizio delle attività. Divisi in piccoli gruppi, i bambini/preadolescenti dovevano ricevere dall’operatore delle immagini fotografi che da cui partire per la costruzione delle storie. Essi avreb- bero potuto operare sulle fotografi e e condividere diverse modalità di costruzione

della storia: potevano decidere se intervenire sulle foto con matita e colori, fare dei collage o altro, prima individualmente poi in gruppo, oppure direttamente in gruppo, in piena autonomia. Per aggiungere elementi nuovi alla comunicazione era previ- sto che, mentre i bambini erano coinvolti nella costruzione della storia, l’operatore proponesse di fare delle fotografi e agli alunni, da utilizzare nella seconda giornata di lavoro per arricchire la storia con nuovi personaggi. L’operatore doveva proporre questi nuovi stimoli attraverso formulazioni del tipo: “Cosa ne pensate se entras- simo anche noi nella storia, scattandoci delle foto o disegnandoci dei ritratti con le matite e i colori (…) avete altre idee?”.

Si è deciso che l’operatore alternasse la propria presenza nei gruppi (circa cin- que minuti per gruppo), cercando di capire a quale punto fosse il lavoro, se c’erano delle diffi coltà e, soprattutto, se si creavano situazioni confl ittuali. Il suo compito doveva essere quello di promuovere una gestione dialogica dei confl itti, anche en- trando personalmente nella storia.

Per il secondo incontro, è stata prevista la prosecuzione della costruzione della storia, ricorrendo anche all’ausilio delle fotografi e dei partecipanti, che dovevano introdurre un elemento di novità e permettere anche di gestire eventuali situazioni di stallo sorte nel caso in cui alcuni gruppi lavorassero più velocemente di altri. Al termine della costruzione della storia, all’interno di ogni gruppo si doveva discu- tere su come si sarebbe presentata la storia ai compagni nel corso del terzo ed ul- timo incontro. Durante la seconda giornata, era previsto che l’intervento dell’ope- ratore nei singoli gruppi seguisse le stesse modalità della prima.

Nel terzo incontro ogni gruppo doveva presentare la propria storia, offrendo agli altri gruppi il pretesto per agganciare la propria, in modo interconnesso, affi n- ché nascessero una dialettica tra le diverse storie ed un percorso complessivo. A dif- ferenza dei due precedenti, il terzo incontro prevedeva un aumento di complessità, con due diverse modalità di partecipazione dei destinatari: 1) nei piccoli gruppi, per prendere decisioni sulla forma della presentazione e su chi avrebbe dovuto nar- rare la singola storia; 2) collettivamente, ossia nella classe, per decidere quale gruppo avrebbe dovuto iniziare a raccontare la propria storia (a cui, poi, gli altri gruppi avrebbero dovuto agganciare la propria per costruirne una unica). Infi ne, nel terzo incontro era prevista anche la possibilità di realizzare un lavoro fi nale collettivo che rappresentasse tutta l’attività svolta.