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La liberalizzazione dei conti capitali e l’avvio del

Capitolo 5 Prospettive per la crescita: tra sostenibilità e

5.2 La crescita della Cina e il mercato immaturo

5.2.1 La liberalizzazione dei conti capitali e l’avvio del

La Cina è ancora un Paese in via di sviluppo, perciò sarebbe ingenuo pretendere che la valuta cinese ascenda allo status di valuta di riserva, perché questo porterebbe alla liberalizzazione del conto capitale (ziben zhanghu kaifang 资本账户开放) ancora prematura. La liberalizzazione potrebbe portare benefici per il riequilibrio economico globale e la transizione verso un nuovo modello di crescita, lontano dalle esportazioni come fonti principali della domanda. Le esportazioni della Cina, infatti, apparivano convenienti agli occhi dei paesi tradizionalmente importatori mentre le importazioni in Cina erano svantaggiate così da contenere all’interno del Paese la ricchezza generata in Cina. Oggi però, il paradosso che gli Stati Uniti consumano facendo debito e la Cina acquista il debito con i proventi delle esportazioni, sta mutando; tanto che la paura di un possibile rallentamento dell’economia cinese si sta alleggerendo per gli Stati Uniti. La

produzione industriale statunitense è lievitata221e il dollaro si è rafforzato,

confermando che la crescita americana continuerà, anche se dall’estero non

220 Ivi, p. 85.

221 Marco Valsania, “Buoni segnali dall’economia USA, Wall Street tiene”, il Sole 24 ORE (articolo in

linea). URL: http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-08-15/buoni-segnali-dall-economia-usa- wall-street-tiene-081111.shtml?uuid=AC8kBAi&fromSearch (consultato il 25/08/2015).

135 mancano i rischi.

L’accento posto sul consumo come fonte di domanda richiede un’agenda densa di riforme strutturali, tra queste, la liberalizzazione del conto capitale giocherà un ruolo cruciale. L’abbattimento dei controlli sui capitali consentirebbe alle famiglie e alle imprese cinesi di diversificare i loro vasti risparmi, investendo in attività estere: questo aiuterebbe a spalmare il rischio su diversi settori e, disincentivando la necessità del risparmio precauzionale, potrebbe anche sollevare il reddito delle famiglie se i rendimenti maturati da attività estere fossero più alti di quelli nazionali. Inoltre, consentire più canali per l’afflusso di capitali risulterebbe anche utile per approfondire e diversificare il sistema finanziario cinese nel fornire

fonti alternative di capitale da dare in prestito222. A tale proposito, sarebbe

opportuno che venisse rispettato adeguatamente l’ordine della sequenza qui di seguito, attraverso la quale il renminbi potrebbe oscillare liberamente

abbandonando il legame con il dollaro e ascendere allo status di valuta di riserva223:

1. Costruire solide istituzioni finanziarie nazionali;

2. Gestire adeguatamente il tasso di cambio, in modo che il tasso di cambio effettivo non oscilli eccessivamente;

3. Liberalizzare gradualmente le transazione dei conti capitale, partendo dalle transazioni finanziarie a lungo termine;

4. Quando i mercati nazionali saranno forti e robusti, si potranno liberalizzare le transazioni dei conti capitali. Con un renminbi che oscillerà più liberamente sui mercati, gli eventuali interventi della

Banca centrale si dovranno limitare solo a contenere l’inflazione224.

La Cina necessita ancora dei controlli sui conti capitali per rafforzare

222 John Hooley, “Bringing Down the Great Wall? Global Implications of Capital Account Liberalization

in China”, Bank of England Quarterly Bulletin 53: 4, 2013, p. 313.

223 Takatoshi Ito, “A Robust Monetary Framework for China”, 经济发展论坛工作论文FED Working

Papers Series FE20060110, ago. 2015, p. 15.

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l’indipendenza della politica monetaria, fino a quando non sarà pronta ad adottare

un regime di tassi cambio fluttuante225 . In seguito, se la sequenza fosse

adeguatamente implementata, il Paese potrebbe compiere in maniera più agevole il passaggio dall’aggancio con il dollaro a un regime di tassi di cambio più flessibile, prevenendo così l’alto rischio di incorrere in infauste crisi finanziarie.

Un’ulteriore sfida importante che la Cina sta affrontando è quella che riguarda l’avvio del processo di valuta asiatica e alla cooperazione finanziaria. In generale, possiamo affermare che la globalizzazione economica è stata guidata da due processi: la liberalizzazione del commercio internazionale e l’apertura dei mercati dei capitali nazionali per realizzare un sistema finanziario integrato globale. La crescita della globalizzazione ha reso la valuta degli Stati Uniti quella più importante nell’architettura economica internazionale, essendo, il dollaro, la valuta più usata per denominare le transazioni di beni, servizi e attività finanziarie. Paesi con economie più avanzate, come ad esempio l’Europa, hanno approfondito la loro integrazione economica oltre le norme standard fissate dal WTO e dal FMI nella liberalizzazione degli scambi commerciali e dei conti capitali. Eppure, attualmente, il mercato è dominato da una diffusa insoddisfazione riguardo al commercio e alle componenti finanziarie della struttura economica internazionale

che avevano creato in precedenza molta prosperità in così tanti Paesi226.

Innanzitutto, le debolezze economiche e il danneggiato sistema finanziario statunitense hanno portato a forti preoccupazioni riguardo alla stabilità del sistema finanziario internazionale, che opera largamente attraverso la valuta statunitense. Così, già nel 2009, Zhou Xiaochuan, il governatore della Banca Popolare Cinese, seguendo i suggerimenti dell’economista Robert Triffin, avanzò l’ipotesi che i Diritti Speciali di Prelievo (un tipo particolare di valuta: l’unità di conto del FMI)

225 Yongding Yu, “L’allettante conto capitale della Cina”, il Sole 24 ORE (articolo in linea). URL:

http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2013-03-29/lallettante-conto-capitale-cina- 124909.shtml?uuid=AbIUkfiH (consultato il 28/08/2015).

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potessero essere aumentati in modo da rimpiazzare il dollaro statunitense come mezzo di scambio nelle transazioni internazionali. Infatti, un metodo per rimuovere il dollaro dal ruolo centrale che occupa nelle operazioni internazionali come moneta di riserva sarebbe anche quello di realizzare un mezzo alternativo da parte

dell’Asia orientale: una valuta asiatica comune227.

Un’ulteriore area di scontento è costituita dal crescente rifiuto verso il “Washington Consensus”, l’insieme delle politiche economiche in comune tra il FMI e la Banca Mondiale, oggi sinonimo di laissez-faire, che espose la propria inadeguatezza già dopo la crisi delle Tigri asiatiche nell’aver sminuito l’esistenza delle bolle speculative e l’importanza degli investimenti scientifici per sostenere una crescita elevata. L’Asia orientale ha imparato due lezioni dalla crisi finanziaria asiatica che ebbe origine nel 1997: la prima è che la dottrina del “Washington Consensus” non ha saputo riconoscere l’incapacità del mercato finanziario di stabilire i prezzi delle attività finanziarie su larga scala in maniera corretta; l’altra, invece, dimostra che l’unica forma di sostegno affidabile durante un’emergenza economica è l’auto-aiuto: non ci si può aspettare che gli Stati Uniti siano sempre pronti a intervenire qualora un Paese si trovi in gravi ristrettezze. Queste due lezioni hanno spinto l’Asia orientale all’accumulo di riserve, in modo da allontanare futuri attacchi speculativi ed essere indipendente dal FMI; inoltre, hanno anche condotto l’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, nata nel 1961) all’avvio del processo di valuta e alla cooperazione finanziaria fra gli Stati membri per accelerare il progresso economico e aumentare la stabilità delle aree che ne

fanno parte228.

Per quanto riguarda la Cina, il Paese ha sofferto, ma ha anche beneficiato dalla politica estera americana. Durante la crisi finanziaria dell’Asia orientale sopraggiunta tra il 1997-98, la RPC seguì le raccomandazioni degli USA di non

227 Ivi. p. 16 228 Ivi, pp. 19- 20.

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svalutare la propria moneta; inoltre, i buoni del Tesoro venivano considerati come un investimento privo di rischi, confrontato ad azioni rischiose e obbligazioni societarie. Perciò, il governo cinese decise di fissare il tasso di cambio cinese con il dollaro e di acquistare i buoni del Tesoro statunitensi. Questo percorso venne intrapreso al fine di preservare il valore dei risparmi cinesi, o perlomeno appariva come una scelta migliore rispetto a quella di investire nelle imprese cinesi nazionali.

Tuttavia, i buoni del Tesoro si rivelarono essere una trappola. Infatti, quando il dollaro scende, il Giappone e l’Europa possono comprare le attività americane, ma la Cina non può farlo per via della politica commerciale asimmetrica statunitense. Nel frattempo, le banche e le imprese americane venivano invitate a diventare partner strategici con le imprese statali cinesi al fine di migliorarne la competitività. Dopo la crisi finanziaria, i Paesi dell’Asia orientale capirono che la Cina – non avendo svalutato la propria moneta nonostante la crisi – si presentava come un partner molto affidabile nel commercio internazionale. Se anche i politici americani si rendessero conto che si potrebbe costruire una base per la

cooperazione economica, allora il futuro sarà luminoso229.