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Occupazione e disoccupazione: origini

Capitolo 3 Crisi economica e insufficienza della domanda,

3.3 Occupazione e disoccupazione: origini

Il mercato del lavoro, nella RPC, ebbe inizio con l’avvio delle riforme alla fine degli anni Settanta. L’alto tasso di risparmio ha poi provveduto al potenziale necessario per la rapida creazione di nuovi impieghi nel settore non statale, ancor prima della privatizzazione delle SOE.

Dalla tabella 11, notiamo come, tra il 1978 e il 1994, l’occupazione nel settore privato sia aumentata del 318,9% (con un incremento pari al 171,4% nel settore privato urbano e al 426,4% nel settore privato rurale) mentre nel settore

statale è cresciuta solo del 50,5%158.

Nel 1980, mentre gli impiegati preesistenti mantenevano il loro status di occupazione permanente, i nuovi impiegati nel settore statale venivano assunti con misure contrattuali più flessibili, spesso con bassi salari e senza abitazioni fornite dallo Stato. Un contratto durava circa tre anni. L’occupazione sottostante al Piano è stata virtualmente stazionaria: è passata da 87,14 milioni nel 1983 a 83,61 milioni nel 1994 (vedi tabella 11).

156 Silvana Malle, “Profili macroeconomici della Cina”, op. cit., p. 204.

157 Ping Chen, “From an Efficient to a Viable International Market”, op. cit., pp. 47-52.

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Tabella 11: Il Dual-Track system nell’occupazione urbana del settore privato e statale (cifre espresse in milioni).

Fonte: Lawrence Lau Juen-yee, Yingyi Qian e Gérard Roland, “Reform Without Losers” op. cit., p. 32. Nel 1978 l’agricoltura occupava il 90% della forza-lavoro, eppure, la scarsità di terre arabili, l’abbondanza di manodopera, la scarsa meccanizzazione e la produzione su piccoli appezzamenti sono tutte caratteristiche dell’agricoltura cinese. Le uniche misure riportate nel Documento del 1978 furono l’aumento dei prezzi d’acquisto che derivava dalla vendita dei prodotti allocati allo stato e la possibilità per le comuni agricole di autogestirsi. Come risultato di tali decisioni, risultò necessario abbassare gli obiettivi di approvvigionamento agricolo, aumentare le importazioni e ridurre gli investimenti. Così molta della forza-lavoro libera venne impiegata in altri settori. Da qui, la nascita delle TVE. Tali società di proprietà collettiva si espansero con grande velocità coprendo tutte quelle produzioni che in precedenza non erano state guardate con attenzione dalla pianificazione statale.

Fu Deng Xiaoping ad avviare le riforme che hanno portato alla liberalizzazione del settore agricolo. Con la coltivazione dei prodotti labour

intensive, per i quali la Cina dispone di un vantaggio comparato, e il miglioramento

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produttiva agricola cinese. Dopo l’ingresso nella WTO, il commercio di beni agricoli è fortemente aumentato. La tendenza della Cina nel settore agricolo riflette quella caratteristica che la contrassegna nel commercio generale: essa importa molti beni intermedi ed esporta più prodotti finali, vista la scarsità di risorse naturali

e la manodopera relativamente economica159.

Dal 1978 al 1996 le TVE ebbero l’effetto di far decollare le campagne e diminuirne il gap con le città. In questo periodo, le imprese rurali, sviluppatesi subito dopo l’apertura alle riforme, rappresentarono la prima fonte di occupazione

passando da 28 milioni nel 1978 a 135 milioni nel 1996160.

Con il passare del tempo, le TVE divennero sempre più competitive nei confronti delle aziende statali: negli anni Ottanta svolsero il ruolo di catalizzatori, rispondendo all’esigenza di creare occupazione per assorbire l’eccesso di manodopera agricola. Dopo il 1993 – anno in cui la Cina si allaccia all’economia globale – le imprese rurali cominciarono a subire l’impatto con la concorrenza internazionale, risultandone offuscate. A metà anni Novanta, i governi locali procedettero a un’opera di ristrutturazione verso la proprietà privata. Una volta ridotta la dipendenza delle imprese rurali dai governi e dalle comunità locali, la struttura produttiva delle campagne ne è uscita profondamente trasformata: le TVE oggi sono piccole o medie imprese distribuite nel settore secondario (contano il

58% del totale dell’occupazione)161.

Il governo cinese ha sempre considerato la promozione dell’occupazione come un’attività strategica per lo sviluppo socio-economico: controllare il tasso di disoccupazione e aumentare le opportunità di lavoro sono infatti i principali obiettivi di controllo macroeconomico. Le autorità guardano soprattutto allo sviluppo dell’industria e del terziario come a un indirizzo importante per

159 Valeria Zanier, Dal grande esperimento alla società armoniosa, op. cit., pp. 90-98. 160 Ivi, p. 99.

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l’espansione dell’occupazione e incoraggiano lo sviluppo dei servizi per la comunità al fine di creare maggiori opportunità di lavoro. Le amministrazioni cinesi hanno prestato grande attenzione a sfruttare i propri vantaggi riguardo alle risorse di lavoro sviluppando attivamente industrie ad alta intensità di manodopera e imprese, i cui prodotti godono delle richieste del mercato. Si tratta di imprese private, piccole e medie imprese (PMI) che offrono grande capacità

occupazionale162.

Solo a metà anni Novanta venne rimosso il problema del soft budget

constraint per le aziende di Stato: SOE perennemente in perdita vennero chiuse o

vendute. Il processo di ristrutturazione ebbe inizio nel 1993. Per non creare troppi turbamenti sociali, il governo elargì sconti a coloro che si impegnavano a mantenere le condizioni di welfare ai lavoratori che beneficiavano come dipendenti delle SOE. L’apertura delle Borse di Shenzhen (1990) e di Shanghai (1991) funzionò come stimolo per l’emissione di azioni sul mercato, ma i governi locali continuavano a preferirne la partecipazione dei dipendenti. In questa fase di ristrutturazione si denota la volontà da parte dello Stato nel cedere la maggior parte delle azioni agli impiegati, in modo da assegnare in maniera più equa responsabilità e diritti tra Stato e dipendenti. Tuttavia, il processo di ristrutturazione ha anche

determinato l’allontanamento dei lavoratori dal posto fisso nelle SOE163.

La massa di lavoratori in congedo e riallocati dalle SOE – mossa essenziale al fine di introdurre una piena liberalizzazione del mercato – è divenuto uno dei principali problemi a livello nazionale a partire dal 1994. Il direttore dell’Ufficio statale di Statistica cinese riportò che, nel 1997, almeno dieci milioni di operai nelle fabbriche aveva perso il lavoro l’anno prima, ma ricevettero un compenso.

Due sono i procedimenti riguardo alla protezione dei lavoratori mandati in

162 Yan Di, “China’s Employment Policies and Strategies”, OECD, articolo in linea. URL:

http://www.oecd.org/employment/emp/37865430.pdf (consultato il 30/06/2015).

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congedo: gli impiegati delle SOE, che hanno implementato il processo di

ristrutturazione, “scesi” dal proprio posto di lavoro (chiamati anche xiagang 下岗)

e i reimpiegati (zaijiuye 再就业)164.

I primi, si sono allontanati dalla propria occupazione originaria ma

continuano a ricevere un salario minimo e servizi di previdenza sociale165. Nel 1996

il numero di lavoratori xiagang si attestò a 8,91 milioni166 a seguito dei processi di

privatizzazione, di fallimento o di chiusura delle SOE. Le autorità cinesi hanno creato centri di rioccupazione dove far confluire e dotare di nuove competenze i lavoratori xiagang, il cui numero è sceso solo dopo il 2001. Anche le riforme, tra il 1993 e il 2003 hanno prodotto circa 50 milioni di disoccupati, si trattava di dipendenti delle SOE o di enti statali. Tra il 1993 e il 2006 gli occupati nel settore

statale sono decresciuti del 50%167.

La crescita del settore privato non è riuscita a compensare la perdita di tutti quei posti di lavoro prodotti dalla ristrutturazione statale. Inoltre, si riscontrano gravi difformità tra i dati empirici e quelli ufficiali, perché gli uffici statistici cinesi manipolano i dati al fine di minimizzare il tasso di disoccupazione per rassicurare l’opinione pubblica. Infatti, i conteggi per calcolare il tasso di disoccupazione vengono effettuati sui lavoratori tenendo conto che essi dispongano delle seguenti quattro condizioni: 1) possiedono una residenza permanente non agricola; 2) hanno un’età compresa tra i 16 anni e l’età della pensione; 3) possono e vogliono lavorare; 4) si sono registrati presso gli organi locali occupazionali per cercare un lavoro. Tale conteggio, ovviamente scarta i lavoratori migranti che hanno una residenza

agricola, i neo-laureati e l’intera categoria dei lavoratori xiagang168.

In secondo luogo, il governo ha anche stabilito molti progetti al fine di

164 Lawrence Lau Juen-yee, Yingyi Qian e Gérard Roland, “Reform Without Losers”, op. cit., p. 33. 165 Valeria Zanier, Dal grande esperimento alla società armoniosa, op. cit., p. 128.

166 Lawrence Lau Juen-yee, Yingyi Qian e Gérard Roland, “Reform Without Losers”, op. cit., p. 33. 167 Valeria Zanier, Dal grande esperimento alla società armoniosa, op. cit., p. 129.

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tutelare i zaijiuye, aiutandoli a trovare nuovi impieghi nel settore non statale. Un totale di circa 115.000 lavoratori congedati raggiunse i centri di reimpiego, i quali

trovarono occupazione per 58.000 lavoratori alla fine del 1996169.

L’origine di questi due sistemi può essere rintracciata negli anni Ottanta, attraverso gli esperimenti su piccola scala condotti sulla riallocazione dei lavoratori. Durante quel periodo, un piccolo numero di impiegati statali lasciò le SOE per le Zone economiche speciali scortati da diverse disposizioni, tra le quali, quella di “fermare il salario e mantenere il posto” (tingxin liuzhi 停薪留职). Tale sistema permetteva agli impiegati di continuare a godere dei parziali benefici derivati dal settore statale vagliando, allo stesso tempo, l’opzione di ritornarvi in seguito. Tale procedimento, che li permetteva di ridurre i costi di partecipazione al più rischioso settore privato, aumentava l’efficienza della riallocazione del lavoro nel periodo in cui la compensazione del settore statale era più alta rispetto a quella

del libero mercato170.

Pertanto, il rafforzamento del settore privato è considerato come il fattore chiave per risolvere il problema della disoccupazione. Tuttavia, le aziende private sono ancora discriminate dalle formali istituzioni finanziarie e incontrano difficoltà nell’ottenere prestiti, al contrario del settore statale che gode di un facile accesso a essi. Nel 2008, la percentuale totale dei finanziamenti erogati alle imprese private a breve termite è stata del solo 3,37%. Per spingere le banche statali cinesi a espandere il loro portafoglio per includere anche aziende private, nel marzo 2009 il Ministero delle Finanze istituì un fondo da 1 miliardo di renminbi destinato alle

PMI171.

Un punto di osservazione emblematico per cogliere un’ulteriore trasformazione è rappresentato dalla tutela del lavoro. In tale settore, le pressioni

169 Lawrence Lau Juen-yee, Yingyi Qian e Gérard Roland, “Reform Without Losers”, op. cit., p. 33. 170 Ivi, p. 34.

171 Margot Schüller e Yun Schüller-Zhou, “China’s Economic Policy in the Time of the Global Financial

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esercitate dalla comunità internazionale sono state forti e hanno inciso sul profilo legislativo e costituzionale. Sotto tali profili sarebbe assicurato un forte sostegno ai lavoratori. La costituzione economica (1982) dedica l’art. 16 alla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, così come gli artt. 42 e seguenti, in cui vengono stabiliti il diritto e il dovere al lavoro; l’incarico dello Stato di tutelare e migliorare le condizioni del lavoro, di creare occupazione, di sollevare il trattamento assistenziale e le retribuzioni.

Diversi interventi, tra cui la Legge sul diritto sindacale (1992), la Legge sul lavoro (1994), e la Legge sui contratti di lavoro (2007) hanno contribuito a rendere più frammentato il panorama normativo cinese. Siccome norme di diritto e norme sociali abitano in piani separati in Cina, risulta normale fare i conti con una prassi che recepisce e applica tali norme in maniera difforme rispetto a quanto avviene nei sistemi giuridici occidentali. Inoltre, la mancanza di democrazia ha condotto a

pesanti costi sociali determinando forti incertezze e contraddizioni172.

Flussi migratori, urbanizzazione incontrollata, ineguaglianza sociale e disparità economica sono ancora una triste realtà della RPC. Così come la mancanza del riconoscimento del diritto di sciopero, la sicurezza sul lavoro inesistente, i bassissimi salari, i duri orari di lavoro e il ricorso al lavoro minorile. Il diritto al lavoro sembra essere il risultato di un vero e proprio marketing politico effettuato dalla RPC, solamente per adeguarsi alle richieste di investitori stranieri e Paesi occidentali. La Cina quindi ratifica il Patto internazionale sui diritti

economici, ma non il Patto internazionale sui diritti civili e politici173.

172 Angelo Rinella, Valentina Cardinale, “La costituzione economica”, op. cit., p. 134. 173 Ivi, p. 132.

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