• Non ci sono risultati.

La natura oppositiva o confermativa del referendum

Nel documento Il referendum costituzionale (pagine 58-71)

2 Il referendum costituzionale come fase eventuale e facoltativa d

2.3 La natura oppositiva o confermativa del referendum

La originaria previsione dell’utilizzazione del referendum come strumento a disposizione delle minoranze esclusivamente per opporsi al progetto di legge costituzionale approvato con la sola maggioranza assoluta di almeno una delle due Camere non ha poi trovato riscontro nelle sue concrete applicazioni ad iniziare dalla prima,avutasi dopo oltre trenta anni dal momento in cui l’istituto è divenuto concretamente azionabile, il 7 ottobre 2001 in occasione della riforma del Titolo V realizzata dal governo di centro sinistra allora in carica.

Quindi, già dalla sua prima applicazione si sono manifestate delle anomalie rispetto al modello costituzionale, la prima delle quali è rappresentata dal fatto che il ricorso alla votazione popolare viene fatto anche dalla stessa maggioranza di centrosinistra che aveva votato in parlamento la riforma, contraddicendo con ciò la natura “oppositiva” e di strumento di minoranza propria, come abbiamo visto, del referendum costituzionale dell’art 138 Cost. Ad essa se ne aggiunge una seconda derivante dal comportamento stavolta delle forze politiche di centrodestra che avevano votato contro la riforma, le quali pure hanno richiesto il referendum, ma con il dichiarato scopo, non tanto, di voler conservare il contenuto della Costituzione vigente, quanto di voler andare

oltre nella modifica della stessa. Inoltre la minoranza di centrodestra, divenuta nel frattempo maggioranza, non si è impegnata affatto nello scontro referendario, pensando appunto già alla riforma della riforma ed ha tentato addirittura di evitarne in vario modo che la consultazione, da essa stessa richiesta, effettivamente si tenesse. Per esempio, per il raggiungimento di questo scopo si parlò di una “via amministrativa” sostenendo il fatto che il passato governo non avesse fissato una data per la consultazione avrebbe impedito la possibilità di farlo adesso per il nuovo governo o di una “via legislativa”, ossia l’approvazione di una legge ordinaria di modifica della L. 352/70 sui referendum per estendere anche a quello dell’art 138 Cost. la previsione relativa a quello abrogativo di cui all’art 75 Cost, nel senso della impossibilità di tenere la consultazione popolare nell’anno in cui sono indette le elezioni politiche, in modo da far slittare di un anno la data del referendum e di averne il tempo di approvare una diversa legge costituzionale.

Pertanto, di fatto, già dalla prima consultazione popolare del 2001, il referendum costituzionale non viene usato nella sua funzione oppositiva; infatti, viene chiesto e voluto non per contrastare un progetto di legge ma domandato per ricevere una sanzione popolare positiva sulle riforme proposte.

L’intervento del corpo elettorale viene dunque inevitabilmente ad assumere il significato di confermare e legittimare una determinata scelta

politica, per il quale però parrebbe allora giustificata la previsione di un quorum minimo di partecipazione per la validità della consultazione. Diversamente in caso di alta astensione (come è stato con il referendum del 2001 in cui vi è stata una presenza di votanti pari al 34% degli aventi diritto), la suddetta finalità, ed i conseguenti effetti nei confronti del testo approvato, rischiano di essere frustati o comunque ampiamente ridotti di significato. Sul ruolo che il referendum costituzionale è venuto ad assumere nelle sue prime applicazioni ha senza dubbio esercitato un’ influenza decisiva l’uso politico che in quegli anni è stato fatto della Costituzione e delle modifiche della stessa, spesso usate quale merce di scambio o per siglare patti politici, con poca attenzione alla sostanza delle modifiche stesse e alla coerenza dell’ordinamento costituzionale.48

La qualità redazionale spesso scadente delle riforme progettate (e di quelle realizzate), il fatto che queste, anziché rinnovare il patto costituzionale sembravano più che altro ispirate da quelle logica (a cui prima si faceva riferimento) di scambio tra attori politici e dalla contingenza politica del momento hanno indotto autorevole dottrina a sostenere : “la spinta verso le riforme sia costituzionali sia istituzionali è nata nella nostra storia repubblicana più da problemi di funzionalità del sistema politico che

48 R. ROMBOLI, Il referendum costituzionale nell’esperienza repubblicana e nelle prospettive di riforma dell’art 138 Cost, in associazione dei costituzionalisti.it, pag 11.

da problemi di funzionalità del modello di costituzionalità”.49

In Italia, negli anni novanta, si ha uno sfaldamento del tradizionale assetto partitico, ma questo è solo l’inevitabile sbocco di una crisi che parte da lontano; una involuzione dei partiti politici che tanta parte ebbero nella fondazione della Repubblica. Non va, infatti, dimenticato che i partiti politici che diedero vita al cosiddetto arco costituzionale, pur contrassegnati da vistose distanze ideologiche, svolsero un ruolo di primo piano, atteggiandosi in senso proprio a costruttori di una nuova statualità. La centralità costituzionale dei partiti politici, dunque, si svolse in una duplice direzione. In primo luogo nell’avere fondato il nuovo ordinamento repubblicano su basi pattizie, dopo aver contribuito in maniera rilevante alla guerra di liberazione; in secondo luogo nell’aver avuto un assoluto predominio nel dispiegamento delle successive dinamiche politico-istituzionali. Nella prima fase della storia repubblicana il contributo offerto dai partiti politici (tanto di maggioranza quanto di opposizione) al consolidamento democratico, alla fattiva integrazione politica nonché ad un rilevante sviluppo economico è stato prezioso ed insostituibile.

È sul finire degli anni settanta che la carica progressiva della Costituzione appare inceppata dalle degenerazioni della democrazia bloccata, indotte ed alimentate dalla sovraesposizione dei partiti politici i quali, abbandonata la propria

49 G. FONTANA, Il referendum costituzionale tra processi di legittimazione politica e sistema delle fonti, -pag 6-7- nota 9 CHELI, Nato per unire. La

funzione di civilizzazione, di sintesi e di disciplinamento del pluralismo sociale, rinunceranno progressivamente a svolgere il ruolo di costruzione di senso negli ambiti della vita associata, per limitarsi solo a quello di raccolta del consenso.50

Sempre di più una discesa verso il basso!

L’occupazione partitica dello Stato, delle sue articolazioni centrali e periferiche, la mancanza di ricambio politico alla guida del Paese, schiuderanno la strada fatalmente alla diffusione di fenomeni di malcostume e di corruzione i quali non tarderanno a riversare i propri effetti dissolutori sul sistema dei partiti.

La crisi irrimediabile si consumerà con le inchieste giudiziarie dei primi anni novanta le quali decapitarono un’ intera classe politica e di governo, dando vita alla impetuosa ed incessante trasformazione dei soggetti politici,

assecondando forme estreme di

personalizzazione della politica.51 Ed è in questo

scorcio temporale che prende avvio la strategia referendaria per la modifica del sistema proporzionale il quale aveva accompagnato il sistema dei partiti sin dalla fondazione della Repubblica;p roprio la modifica in direzione maggioritaria del sistema elettorale nazionale, avvenuta a seguito dei referendum elettorali del 1991 e del 1993, ha innescato l’avvio del processo di destabilizzazione del quadro costituzionale.

50 G. FONTANA, Il referendum costituzionale tra processi di legittimazione politica e sistema delle fonti, in Federalismi.it, pag 14.

Siffatta innovazione se, da un lato, ha consentito, lo sblocco del sistema politico e l’approdo agli schemi della democrazia competitiva e dell’alternanza, dall’altro (non essendo stata accompagnata dai necessari adeguamenti delle garanzie costituzionali e tra queste, soprattutto di quelle relative alla conservazione della rigidità costituzionale) ha agevolato la persistenza tendenza a revisioni di maggioranza della Costituzione; tendenza che risulta confermata anche dal tentativo di ultima riforma costituzionale del 2016 che è poi è stata respinta dal voto popolare. Tentativi di modifica organica è unilaterale,tra l’altro,che hanno recato con sé inevitabili lacerazioni e profonde divisioni all’interno non solo del quadro politico ma della stessa società civile52.

Il tema della Costituzione diventato un tema molto divisivo, una cosa poco immaginabile dai nostri padri costituenti!

Pertanto, è dai primi anni nocìvanta che c’è stato l’avvio di quella transizione istituzionale che, tra alterne vicende perdura sino al momento attuale e la cui cifra essenziale appare essere, oltre allo smarrimento delle certezze identitarie dei partiti, la personalizzazione estrema della competizione politica, imperniata attorno a singole personalità che daranno vita a movimenti e formazioni politiche di impronta leaderistica, gestite con modalità privatistiche (se non padronali) ed incapaci di strutturare su solide basi il nuovo sistema politico; esempi tra i più significativi di questa lunga stagione ancora in corso di questa

iper personalizzazione della politica, sono dati da formazioni come Forza Italia e Movimento 5 stelle.

La crisi di rappresentatività, la perdita di militanza e di insediamento territoriale dei partiti ha fatalmente comportato la loro chiusura oligarchica e con essa la prevalenza di interessi sezionali, frazionali e non di rado personali dei singoli leader. Le forze politiche invece di impegnarsi a superare le loro crisi e provare a riaccreditarsi presso la società civile hanno investito risorse rilevanti della competizione politica sul terreno spesso inconcludente dell’ingegneria istituzionale e della riforma costituzionale. Il brillantissimo risultato conseguito è stato che da una parte vi è stata la delegittimazione della Costituzione vigente e dall’altra la ulteriore perdita di seguito e credibilità degli stessi attori politici presso l’opinione pubblica, per l’incapacità di realizzare soluzioni adeguate rispetto ai vecchi e nuovi problemi del Paese.

La destrutturazione delle tradizionali forze di rappresentanza politica, quindi, ha creato un terreno fertile per la nascita di pulsioni populistiche, demagogiche ed antipolitiche che connotano la cosiddetta transizione istituzionale italiana.53

In questo contesto la tendenza che ha caratterizzato la vita politica degli ultimi venticinque anni è stata da una parte la dequotazione

dei partiti politici e dall’altra un mutamento del ruolo attribuito al corpo elettorale sia nell’ambito dell’indirizzo politico di maggioranza sia sul terreno delle riforme costituzionali.

S’inserisce in tale quadro un inedito protagonismo del corpo elettorale, sempre più di frequente evocato, sulla scorta di indici esplicitamente populistici, per sostenere e convalidare le scelte di riforma istituzionale assunte nell’ambito del circuito rappresentativo . È sempre più presente un “appello al popolo” nelle strategie di riforma istituzionale e costituzionale; come se ci fosse una evocazione di un ruolo “costituente” dello stesso popolo,come minimo impropria; a tal proposito ricordiamo la già citata sentenza della Corte Costituzionale (n.496 del 2000) che ha chiarito in modo inequivocabile che “il popolo in sede referendaria non è disegnato dalla Costituzione come il propulsore della innovazione istituzionale”.

Questo il contesto politico-istituzionale degli ultimi venticinque anni che ci fornisce una spiegazione delle torsioni in senso plebiscitario che non hanno risparmiato l’ordinaria applicazione del referendum costituzionale previsto dall’art. 138 Cost. fin dalla sua prima attuazione, nel 7 ottobre del 2001; quindi un uso del referendum non, come originariamente pensato, per assolvere ad una funzione oppositiva(a disposizione di minoranze dissenzienti) ma piuttosto per avere una sorta di “conferma popolare” da parte della maggioranza

parlamentare. In questi casi, quella che era stata pensata come una garanzia ulteriore dopo la ponderazione ed il largo consenso realizzati rispettivamente attraverso l’intervallo di tre mesi fra le due deliberazioni e le maggioranze qualificate, rischia di trasformarsi in un pericoloso affievolimento della rigidità costituzionale. La maggioranza potrebbe infatti trovare nel referendum costituzionale un mezzo per garantirsi l’approvazione delle leggi costituzionali ad essa gradite, senza neanche doversi sobbarcare l’onere di provocare nell’opinione pubblica un dibattito ed un interesse tale da portare alle urne almeno la maggioranza degli elettori. È possibile l’ipotesi di un’opposizione che, magari per la mancanza di un appoggio da parte dei mezzi di informazione, sia incapace di suscitare un adeguato dibattito sulle riforme costituzionali “di parte” che la maggioranza parlamentare stia eventualmente votando. E, quindi, quella di una maggioranza che riesca, nel disinteresse generale, a far sanzionare le sue leggi costituzionali dai gruppi organizzati a lei vicini, appositamente invitati a recarsi alle urne.

Anche sotto questo aspetto, come per altri aspetti della procedura di revisione, insomma, la struttura aperta ad una molteplicità di funzioni, ha finito per scavalcare la volontà del Costituente, aprendo la via a sviluppi non previsti, se non addirittura contrari alle previsioni iniziali.

Ma la mancata previsione di un quorum minimo di votanti potrebbe provocare effetti distorsivi sulla percezione della reale volontà popolare, anche al di là dell’ipotesi del referendum chiesto dalla maggioranza, Abbiamo infatti già visto che, nonostante quella che può essere stata la previsione dei costituenti, un referendum che pure conservi il suo originario carattere oppositivo potrebbe non limitarsi a bloccare il progetto di legge votato in Parlamento. Ma, in virtù di uno o più quesiti che implicitamente si leghino a quello stampato sulla scheda elettorale, anche avere conseguenze ulteriori sulla legittimazione del Parlamento che ha votato la legge, e su altre proposte di revisione che durante la campagna referendaria sono state come alternative a quella sottoposta al vaglio dei cittadini.

Insomma, a causa del complessivo intrecciarsi fra istituti di democrazia e rappresentativa che rendono tutti i referendum in una certa misura strumenti ulteriori attraverso cui le élites politiche regolano i propri conflitti, il fatto di non aver previsto una soglia minima di partecipazione per valutare l’attendibilità del responso referendario potrebbe consentire a un gruppo anche piccolo, ma ben organizzato e compatto, di determinare scelte costituzionali che ovviamente si ripercuotono sull’intera collettività. Dunque sia che le richieste di referendum provengano dalla maggioranza, sia che invecevengano promosse dalle minoranze, quello che i costituenti avevano pensato come

elemento ulteriore per garantire il principio di rigidità costituzionale, in alcuni casi rischia di rivelarsi come la via attraverso cui tale principio può essere attenuato.

Per scongiurare questi pericoli, nel corso della XI legislatura; agli inizi degli anni novanta, nel contesto di un progetto di riforma costituzionale più ampio che contemplava anche una modifica dell’art. 138, venne approvata una disposizione che prescriveva un quorum minimo di partecipazione anche per la validità del referendum costituzionale, stabilendo altresì che la legge sarebbe stata promulgata qualora avesse raccolto il voto favorevole della maggioranza degli elettori votanti; il testo del secondo comma dell’art 138 approvato dalla Camera e poi trasmesso al Senato era il seguente: “Le leggi sono sottoposte a referendum quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un decimo dei membri di una Camera, o cinquecentomila elettori, o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum è promulgata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è approvata dalla maggioranza degli elettori votanti.

Queste modifiche, introdotte in seguito ad un emendamento presentato dalla Commissione Affari Costituzionali, rispondevano all’esigenza da un lato, di fissare una soglia minima di partecipazione, al pari di quanto stabilito dall’art 75. E, dall’altro, di accontentarsi, ai fini dell’approvazione, del voto della maggioranza

degli elettori votanti, invece che del più oneroso requisito previsto per il referendum della maggioranza dei voti validamente espressi. Ciò, perché non si trattava “dell’abrogazione di un testo normativo, ma di approvare ulteriormente un testo già passato positivamente al vaglio notevolmente rigoroso delle Camere.

Questo progetto di revisione, dopo l’approvazione della Camera, si è arenato in Senato a causa dello scioglimento anticipato del Parlamento.54.

Quindi, non avendo operato alcun cambiamento, negli anni successivi fino ad oggi il referendum è stato spesso utilizzato come “prosecuzione” dello scontro politico con altri mezzi, ovvero come strumento da cui alcune forze politiche hanno cercato di trarre un supplemento di legittimazione. Il fatto stesso di trasferire lo scontro politico sul referendum e di richiedere la legittimazione che da esso poteva venire ha però fatto assumere a questo istituto un ruolo di crescente importanza. Per questo, nella dinamica interna all’art 138 si è di fatto realizzato un progressivo spostamento dei suoi equilibri interni verso l’intervento diretto dei cittadini, nel senso che tale elemento è stato visto sempre più preminente rispetto alla approvazione parlamentare,andando ad enfatizzare il ruolo della consultazione popolare, facendola vieppiù percepire come l’unica via in grado di legittimare pienamente una revisione costituzionale,

specialmente ove questa assuma proporzioni rilevanti.55

2.4 I referendum previsti dalle leggi

Nel documento Il referendum costituzionale (pagine 58-71)