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Il referendum costituzionale

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea in Giurisprudenza

IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Candidato

Dario Tarallo

Relatore

Prof. Gianluca Famiglietti

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IL REFERENDUM

COSTITUZIONALE

Introduzione p. 3

1. L’art 138 in Assemblea Costituente p. 5

2. Il referendum costituzionale come fase

eventuale e facoltativa di revisione

costituzionale p. 28

2.1 L’iniziativa referendaria p. 37

2.2 L’assenza di quorum p. 52

2.3 La natura oppositiva o confermativa del

referendum p. 58

2.4 I referendum previsti dalle leggi

costituzionali 1/93 e 1/97 p. 71

3.1 La legge n.352 del 1970 p. 88

3.2 L’ufficio centrale per il referendum presso la

Cassazione p. 102

3.3 I caratteri del quesito. L’omogeneità. Il

cosiddetto spacchettamento p. 107

4. Le prospettive di riforma p. 123

Conclusioni p. 136

Bibliografia p. 138

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Introduzione

L’interesse per questa ricerca nasce nei mesi che hanno preceduto un vivacissimo dibattito in ambito politico e accademico; mi riferisco al tentativo di riforma costituzionale proposto dal governo Renzi e sottoposto appunto al referendum costituzionale il 4 dicembre 2016, che ne ha sancito la definitiva bocciatura.

Oltre al chiaro interesse per l’aspetto contenutistico di quella riforma, l’occasione è stata utile per riflettere sul referendum costituzionale.

Infatti, taluni aspetti del dibattito riguardavano nodi caratteristici dell’istituto stesso: ad esempio, la legittimità politica e giuridica dell’impiego di tale referendum per una revisione organica della Costituzione; oppure la prospettiva che l’iniziativa referendaria assolvesse ad una funzione confermativa anziché oppositiva.

Un altro importante aspetto di riflessione ha riguardato la sua mancata applicazione per circa cinquanta anni, essendosi celebrato per la prima volta il 7 ottobre 2001 (avente per oggetto la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione) è, quindi, opportuno cercare di capire le ragioni della inattuazione, riferendo la storia sia di questo periodo sia di quello antecedente, in particolare ai lavori in Assemblea Costituente e al rilievo dato all’epoca a questo istituto.

La trattazione partirà proprio dalla fase costituente; successivamente si approfondiranno

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i temi della iniziativa referendaria, la mancata previsione di un quorum necessario al fine della validità della consultazione, le problematiche relative alla natura(oppositiva o confermativa) del referendum costituzionale, le leggi costituzionali nn. 1/93 e 1/97; inoltre saranno oggetto della riflessione la legge n.352/1970 che per la prima volta disciplinò l’istituto del referendum; poi caratteri del quesito, l’omogeneità e il cosiddetto “spacchettamento” e, infine, si concluderà con una panoramica sulle prospettive di riforma, dando conto altresì delle due ultime applicazioni dell’istituto, nel 2006 e, appunto nel 2016.

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1. L’art 138 in Assemblea Costituente

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

L’art 138, insieme all’art 134 che indica i compiti spettanti alla Corte Costituzionale, è quello dal quale si può desumere più chiaramente la volontà della Assemblea Costituente (l’organo legislativo elettivo preposto alla stesura di una costituzione per la neonata Repubblica italiana, i cui lavori si svolsero dal 25 giugno 1946 al 31 gennaio 1948) di adottare una costituzione rigida; una costituzione destinata ad assumere, in quanto tale, un ruolo

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che fosse sovraordinato a quello della legge ordinaria, e che la ponesse al vertice della piramide delle fonti di diritto dell’ordinamento italiano1.

Una Costituzione rigida, come la nostra, si distingue da quelle cosiddette flessibili; queste ultime possono essere modificate dagli ordinari strumenti legislativi espressamente o tacitamente, senza che sia richiesto un procedimento particolare, mentre nel caso della costituzione rigida le modifiche possono essere apportate solo attraverso un procedimento cosiddetto “aggravato” che si caratterizza nel richiedere maggioranze più ampie, come appunto quello previsto dall’articolo 1382.

Prima della nascita dello stato repubblicano italiano e, fin dal momento della formazione del Regno d’Italia nel 1861 è pacifico che l’ordinamento vigente fosse un regime a costituzione flessibile. Lo Statuto Albertino che costituiva la carta fondamentale di tale ordinamento, non prevedeva alcun procedimento speciale per la sua revisione; e non prevedeva neanche alcun tipo di controllo della costituzionalità delle leggi. È vero che nel preambolo dello Statuto si affermava il carattere di “legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile” ma questa formula era stata generalmente intesa come destinata ad impegnare soprattutto il monarca ed i suoi successori e non era da interpretare come una disposizione che attribuisse allo Statuto stesso

1 A. PIZZORUSSO, Art 138 in Commentario della Costituzione, pag 703. 2 A. PIZZORUSSO, Art 138, in Commentario della Costituzione, pag 708.

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una particolare efficacia giuridica, tanto da dargli un ruolo preminente rispetto a quello della legge nel sistema delle fonti3.

Lo Statuto Albertino è un tipico esempio di costituzione “ottriata”; con tale termine si indicano le costituzioni concesse con un atto di volontà unilaterale, almeno in apparenza, del sovrano il quale accetta di autolimitarsi e non prevede una forma di revisione, di mutamento. A dire il vero il discorso è un po' più complesso; infatti dietro quella che sembrava una volontà unilaterale vi era in realtà un patto fra il Re e altre forze, soprattutto quelle di estrazione borghese, le quali avevano “costretto” il sovrano ad elargire la costituzione. È, quindi, comprensibile che (come tutte le costituzioni ottocentesche “octroyées”) lo Statuto Albertino, pur se nato sprovvisto di una formula di revisione e quindi assolutamente immodificabile se non con un nuovo intervento regio, evolvesse quasi immediatamente nel senso della flessibilità, ovvero della possibilità di essere derogato con legge4. Lo Statuto, come si

accennava prima, si presentava come un atto di autolimitazione regia dietro il quale si nascondevano, di regola, dei patti e questo contribuisce a spiegare le modalità e le possibilità della sua modifica, attraverso la riproduzione di un accordo fra parti; il risultato di tale accordo assumeva, nello stato liberale, la forma di legge, da cui la modificabilità con legge

3 A, PIZZORUSSO, Art 138, in Commentario della Costituzione, pag 709. 4 T. GROPPI, art 138, in BIFULCO,CELOTTO,OLIVETTI, Commentario

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di questa carta in origine immodificabile5. Nel

corso dell’Ottocento assistiamo ad una evoluzione della monarchia costituzionale pura da dualista a monista: nel primo caso (parlamentarismo dualista) il potere esecutivo era ripartito fra il Capo dello Stato e il Governo (esecutivo bicefalo) ed il Governo doveva avere una doppia fiducia, quella del Re e quella del Parlamento, e a garanzia dell’equilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo al capo dello Stato era riconosciuto il potere di scioglimento anticipato del Parlamento, che fungeva da contrappeso alla responsabilità politica del Governo; nel secondo caso (parlamentarismo monista) il Governo aveva un rapporto di fiducia esclusivamente con il Parlamento e il Capo dello Stato era relegato in un ruolo di garanzia, e perciò assolutamente estraneo al circuito di decisione politica. Questa evoluzione nella direzione “monista” era stata la conseguenza di un crescente predominio della classe borghese e di una affermazione del regime parlamentare. Tutto ciò portò al cambiamento della natura della legge che, da compromesso che era, diventò espressione della volontà di una sola parte. La costituzione cedette il proprio primato alla legge, espressione delle forze egemoni e in questo modo si ribaltò l’equilibrio sottostante alla originaria concessione regia6. Molteplici sono state le norme dello

Statuto Albertino modificate con atti del re o del Parlamento senza che ciò comportasse

5 Ibidem, pag 2703. 6 Ibidem, pag 2703.

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particolari conseguenze giuridiche, e nello stesso tempo riconoscendo allo statuto una natura flessibile, posta in relazione con la mancanza di una clausola apposita di revisione. È da aggiungere, a testimonianza che la strada era già stata indicata fin dall’inizio, che già pochi giorni dopo la entrata in vigore dello Statuto, Cavour in un articolo pubblicato sul “Il Risorgimento” il 10 marzo 1948 affermava (pur con lo statuto qualificato come irrevocabile) “Non vuol dire che le condizioni particolari del patto non siano suscettibili di progressivi miglioramenti operati di comune accordo tra le parti. Il Re, con il concorso della nazione, potrà sempre nell’avvenire introdurre in esso tutti i cambiamenti che saranno indicati dall’esperienza e dalla ragione dei tempi”.7 Questa evoluzione

parlamentarista dello Statuto del Regno cessò completamente con l’avvento della dittatura fascista. Durante questo periodo lo Statuto venne gradualmente messo da parte per mezzo di tutta una serie di leggi ordinarie contrarie allo spirito dello Statuto stesso, un esempio per tutti: le leggi razziali! Finita poi la dittatura, si era oramai fortemente radicata l’idea che lo Statuto Albertino fosse da considerarsi superato, qualunque forma istituzionale fosse stata adottata per l’Italia e si cominciò a pensare ad una nuova costituzione.

Dopo la caduta del regime fascista e già prima dell’inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente non fu un argomento oggetto di forti divisioni la previsione della natura rigida della nascente

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Costituzione; a tal proposito è importante menzionare le discussioni avvenute, sul piano tecnico-giuridico (molto più che all’interno della Consulta Nazionale dove erano prevalenti gli aspetti politici) in una commissione che fu istituita dal Ministero per la Costituente, creato nel luglio del 1945 al fine “di predisporre gli elementi di una nuova Costituzione, che dovrà determinare l’assetto politico dello Stato e le linee direttive della sua azione economica e sociale”8.Questa commissione era una delle tre

create dal Ministero incaricate di studiare problemi specifici; le altre due erano destinate ad occuparsi, una dei problemi economici e l’altra dei problemi del lavoro mentre questa, invece, era destinata ad occuparsi della riorganizzazione dello Stato. Essa fu affidata al prof Ugo Forti e si insediò il 21 novembre 1945,e si divise in una serie di Sottocommissioni, la prima delle quali presieduta da Boeri, si occupò delle problematiche relative alla rigidità o flessibilità della Costituzione. La questione venne rapidamente risolta; ben pochi componenti erano per la soluzione “flessibile”,come per esempio Terracini, in rappresentanza del Partito Comunista,i l quale aveva sostenuto che”la struttura rigida deve adeguarsi continuamente alla struttura sociale, la quale deve essere sottoposta necessariamente ad un processo saggio e metodico di modificazioni successive” e che era quindi necessario “dare allo Stato Italiano” una struttura costituzionale che eviti il

8 G. BUSIA , Il referendum costituzionale fino al suo debutto. Storia di un cammino carsico di oltre cinquanta anni., nota 58, “Art 2 del D.Lg Lgt 5 aprile,146, pag 15.

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più possibile gli urti e le trasformazioni, poichè nell’avvenire vi saranno molte modificazioni necessarie da fare in Italia”9; una posizione che

comunque rimase isolata ed, infatti, il Terracini si vide costretto ad accogliere le tesi sostenute dalla maggioranza dei commissari.

Da ricordare, inoltre, gli interventi di Vezio Crisafulli che sulla stampa di partito manifestava la necessità di “evitare un’eccessiva rigidità,che sarebbe antidemocratica: ricercando invece gli opportuni accorgimenti tecnici per conciliare la superiorità dell’atto costituzionale,con le superiori esigenze della vita,in modo che queste possano affermarsi pacificamente e senza troppe difficoltà, traducendosi nei emendamenti costituzionali”10.

Come si diceva in precedenza, ben presto l’opzione rigida fu quella che si impose; questa scelta in favore di un tal tipo di Costituzione apparve già compiuta in larga parte, dalla grande maggioranza delle forze politiche nel periodo precedente all’inizio dei lavori della Costituente11. È da dire, inoltre, che fu

importante, per indirizzare verso questo tipo di soluzione, l’esperienza storica dello Statuto Albertino e, in particolare, la sua incapacità di resistere alle modifiche di legge (tra l’altro,già all’inizio del novecento non aveva neanche uno degli articoli originari del 1848) che fu

9 G. BUSIA Il referendum costituzionale fino al suo debutto: storia di un cammino carsico di oltre cinquanta anni, pag 16.

10 CRISAFULLI, ”Dallo Statuto Albertino alla Costituente,”Rinascita” 1946, in G. BUSIA, Il referendum costituzionale fino al suo debutto: storia di un cammino carsico di oltre cinquantanni, pag 16.

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particolarmente evidente con l’avvento del fascismo tanto che il veloce succedersi di leggi derogatorie comportò l’affermarsi di un vera e propria nuova forma di Stato; e questo portò lo statuto ad essere ridotto a “un pezzo di carta,privo di ogni autorità”12.

Successivamente il problema non fu più se rendere rigida la costituzione ma come garantire la rigidità di quella che sarebbe diventata la legge fondamentale del Paese. Si sviluppò un dibattito nel quale furono affrontate tutte le questioni che dopo sarebbero state oggetto di analisi da parte dei costituenti in sede di discussione sul futuro art 138. Durante i lavori nella Commissione Forti furono considerati più “modelli” esteri: per esempio quello francese,che prevedeva il voto di un’unica Assemblea Nazionale, dopo che le due Camere avevano, in modo separato, riconosciuto la necessità di procedere alla revisione della costituzione o quello svizzero che dava grande spazio all’intervento del popolo contemplando sia il referendum approvativo che l’iniziativa dei cittadini; ma anche quello statunitense,il quale prevedeva il voto del Congresso o, in alternativa di una Convenzione eletta appositamente,e la successiva ratifica da parte degli Stati oppure quello belga,caratterizzato dallo scioglimento delle Camere dopo la prima approvazione a maggioranza qualificata. Alla fine nella commissione,che doveva assolvere ad un compito esclusivamente tecnico e non presentare progetti di legge costituzionale, si

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concordò sul fatto che erano da evitare sia metodi di revisione particolarmente macchinosi,si a quelli troppo semplici;di conseguenza, ci si orientò verso l’ipotesi dell’approvazione nell’arco di due legislature13.

Il 2 giugno 1946 si celebrarono libere elezioni,la prima volta dal 1924; e, per la prima volta in assoluto, furono chiamate a votare anche le donne;agli elettori furono date due schede, una per la scelta fra Monarchia e Repubblica (Referendum Istituzionale) e l’altra per l’elezione dei deputati della Assemblea Costituente,a cui sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale.

L’Assemblea Costituente, che iniziò i lavori il 25 giugno 1946, era un organismo troppo vasto per poter elaborare un progetto di costituzione. Si decise, quindi, la creazione di una Commissione per la Costituzione, il 15 luglio 1946,composta da 75 deputati i quali furono nominati in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. A questa Commissione fu dato l’incarico di redigere un articolato che poi avrebbe presentato all’Assemblea14.La sua

presidenza fu affidata a Ruini, affiancato da tre vicepresidenti: Tupini, Terracini, e Ghidini incaricati di guidare le tre Sottocommissioni in cui a sua volta si articolò la Commissione;una era dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini,u n’altra alla “Organizzazione dello Stato” e l’ultima ai “Lineamenti economico sociali”. Ciò che interessa maggiormente, in questa sede,so

13 G. BUSIA, Il referendum costituzionale fino al suo debutto. Storia di un cammino carsico di oltre cinquanta anni ,pag 17.

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no i lavori della Seconda Sottocommissione e in particolare di una delle due sezioni in cui era divisa, presieduta dal Terracini,l a quale si sarebbe occupata del potere esecutivo (nonché della revisione costituzionale ); altra sezione, presieduta dal Conti, si sarebbe dedicata alle norme sull’ordinamento giudiziario15.

Agli inizi dei lavori dell’Assemblea Costituente si confermò l’orientamento già presente da tempo riguardo la natura rigida della costituzione che si dava per presupposta; il dibattito si sviluppò sulla procedura da seguire per la sua modifica, dando per scontata la superiorità della Costituzione sulle altre fonti e da qui la necessità di un procedimento più complesso rispetto a quello previsto per la legislazione ordinaria16.

Per comprendere ancor meglio il fatto che fosse pacifica, all’epoca, l’idea della superiorità della Costituzione senz’altro aiutano le parole usate da Aldo Moro in un intervento in sede di discussione generale sul progetto, in cui si afferma che ”fare una Costituzione significa cristallizzare le idee dominanti di una civiltà,significa esprimere una formula di convivenza,significa fissare i principi orientatori di tutta la futura attività dello Stato”. Tali principi una volta posti nella Costituzione sono “superiori alla legge ordinaria e inattingibili da essa...ciò significa stabilire la superiorità della determinazione di fronte alle effimere maggioranze parlamentari”.17

15 Ivi, pag 19.

16 T. GROPPI, art 138, in BIFULCO,CELOTTO,OLIVETTI, Commentario alla Costituzione pag 2705.

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La nascente costituzione italiana, come tutte le costituzioni democratico-pluraliste del xx secolo, sarebbe stata il risultato di un accordo tra forze politiche e sociali allo scopo di dettare attraverso esso un disegno economico e sociale complessivo, accordo rispetto al quale ciascuna forza non rappresenta che un frammento. Questo tipo di costituzione ha una valenza di integrazione dei gruppi sociali attraverso la consacrazione di valori condivisi e vi sono presenti quei principi in cui ciascuna delle parti può riconoscersi in quanto sono il frutto di un processo nel quale ciascuna parte rinuncia a ciò che divide in favore di ciò che unisce; la costituzione di uno stato pluralista(come quella italiana) avendo questi caratteri, è sottratta ad ogni modifica unilaterale e presenta procedimenti di revisione che richiedono il consenso di maggioranze parlamentari molto ampie e, spesso, prevedono anche un intervento diretto del popolo; procedimenti di revisione, mutamenti che sono consegnati alla volontà dei protagonisti dell’accordo costituente 18.

Come si diceva in precedenza, dando per scontata la natura rigida della nuova costituzione italiana, come naturale conseguenza si diede altrettanto per scontata la previsione di

elaborare un procedimento più

complesso,cosiddetto aggravato;in vece per quanto riguarda la questione di un intervento diretto del popolo nella procedura di revisione, in particolare se e come darlo, non si può affermare lo stesso. Le posizioni iniziali delle

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principali forze politiche divergevano; una certa diffidenza nei confronti del referendum è riscontrabile in quelli di parte liberale in cui prevaleva una concezione dello Stato legata ai tradizionali modelli della rappresentanza come unico modo per mezzo del quale poteva esprimersi la sovranità popolare. Stessa diffidenza nei confronti del referendum e ,in generale, verso tutti gli istituti di democrazia diretta l’aveva il P.C.I. Che, siccome tendeva a considerare la sede parlamentare come la sola abilitata a prendere le scelte maggiormente importanti della vita della comunità, guardava con sospetto tutto ciò che appunto poteva sembrare concorrenziale al parlamento. Diversamente, il P.S.I. aveva puntato fin dall’inizio sulla esaltazione dello spontaneismo popolare e sulle forme di intervento dei cittadini nella gestione della cosa pubblica; su una linea simile anche la DC che, continuando in un atteggiamento già presente nel partito popolare (suo “progenitore”),mostrava di essere particolarmente favorevole nei confronti degli istituti di democrazia diretta. Un importante

rappresentante della Democrazia

Cristiana,Costantino Mortati componente della Commissione Forti prima e poi eletto nell’Assemblea Costituente, fu un forte fautore di un largo intervento dei cittadini nel complessivo sistema istituzionale;come relatore della Seconda Sottocommissione esaltò il ruolo del popolo come organo del potere legislativo ed evidenziò l’esigenza di passare dalla più limitata

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facoltà di scelta dei rappresentanti alla più ampia e attiva partecipazione politica,nella quale faceva rientrare anche il referendum19. La Costituzione

di Weimar del 11 agosto 1919 costituì un modello di una completa ed organica disciplina dei referendum per il giurista cattolico20; egli

propose un articolato sistema in cui si combinavano diversi istituti di democrazia diretta;per esempio vi era una proposta in cui il popolo avrebbe avuto l’iniziativa per referendum aventi come scopo l’abrogazione di leggi in vigore o che introducevano nuove leggi o ancora che erano dirette ad impedire l’entrata in vigore di norme approvate dal Parlamento ma non ancora efficaci. Le proposte del Mortati ebbero pochi consensi; c’era una scarsa propensione dei costituenti ad accogliere un così largo spazio all’intervento popolare, in una generale avversione di fondo verso gli istituti di democrazia diretta,c he avrebbero potuto minacciare il carattere “chiuso” e precisamente definito della forma di governo italiana21.

All’inizio dei lavori della prima Sezione della Seconda Sottocommissione (come detto in precedenza, quella incaricata a trattare la materia della revisione costituzionale) la prima proposta che prese piede fu quella del relatore Paolo Rossi il quale si pronunciò a favore di un sistema che prevedesse,dopo una votazione

19 G. BUSIA , Il referendum costituzionale fino al suo debutto:storia di un cammino carsico di oltre cinquantanni, Pag 18-20.

20 G. BUSIA, Il referendum costituzionale fino al suo debutto:storia di un cammino carsico di oltre cinquantanni, pag 9.

21 MEZZANOTTE,NANIA (Il referendum e la forma di governo in Italia, cit, p.52)-inG. BUSIA , Il referendum costituzionale fino al suo

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favorevole da parte delle Camere con la maggioranza assoluta, lo scioglimento del Parlamento,e la successiva approvazione,a maggioranza semplice e senza emendamenti,da parte delle nuove Camere,entro un mese dalla loro formazione. Quando si arrivò alla votazione sulla proposta del Rossi i commissari si pronunciarono contro l’iniziativa popolare e decisero che le revisioni costituzionali sarebbero state votate dalle Camere separatamente, e fu accolta la proposta di procedere allo scioglimento delle stesse dopo la prima deliberazione. Ma ci fu subito un ripensamento: infatti all’inizio della successiva seduta, fu fatto notare dal Presidente Terracini, la contraddittorietà esistente fra l’appello agli elettori dopo la prima lettura, ed il divieto di modificare dopo le elezioni la decisione presa in quella sede. Questa fu la principale obiezione che insieme ad altre portarono a cambiare rotta22.

Fu formulato un nuovo testo, proposto da Tomaso Perassi, repubblicano, che tenne conto delle posizioni poi emerse nel dibattito. Un progetto di articolo,in cui era prevista la sostituzione dello scioglimento delle Camere con un referendum popolare che recitava:

“L’iniziativa delle revisioni costituzionali appartiene al Governo ed alle Camere.

Le revisioni costituzionali devono essere adottate da ciascuna delle Camere in due letture con un intervallo non minore di tre mesi. Per il voto finale in seconda

22 G. BUSIA,, Il referendum costituzionale fino al suo debutto:Storia di un cammino carsico di oltre cinquantanni, pag 22.

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lettura è richiesta la maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera.

Una legge di revisione costituzionale,salvo che sia adottata in seconda lettura da ciascuna delle due Camere,con una maggioranza dei due terzi dei suoi membri,è sottoposta al referendum popolare se ne è fatta domanda entro tre mesi da un quinto dei membri di una Camera o da 500mila cittadini aventi diritto di voto”.

IL testo fu approvato nella Sottocommissione ma poi subì una modifica ad opera del Comitato dei Diciotto, un organismo creato per compiere lavori di armonizzazione e sistemazione delle varie parti elaborate dalle separate “officine” delle delle Sottocommissioni23, che modificò

l’articolo prevedendo la possibilità di richiedere il referendum anche da parte di sette Consigli regionali.

Prima di proseguire nella narrazione del dibattito che poi vi fu in Assemblea Costituente sul tema della revisione costituzionale, può risultare di interesse un raffronto fra la prima proposta dell’on. Rossi e quella successiva anche se poi leggermente modificata dal Comitato dei Diciotto,dell’ on. Perassi, e in particolare porre la nostra attenzione sulla collocazione temporale dell’intervento popolare in rapporto a quello camerale e le modalità dell’intervento stesso24.

23 G. BUSIA , Il referendum costituzionale fino al suo debutto: storia di un cammino carsico di oltre cinquantanni”,pag 19,nota 79.

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Nella proposta Rossi (che aveva come modello principale la costituzione belga) era previsto l’intervento del popolo dopo una prima deliberazione parlamentare, che si manifestava attraverso l’elezione delle nuove Camere; in questo caso l’intervento del popolo era indiretto e si sostanziava solo in un contributo partecipativo alla formazione dell’atto. I difensori di questa proposta che contemplava lo

scioglimento intermedio sostenevano

che,attraverso le elezioni, i cittadini avevano la possibilità di pronunciarsi sulla legge approvata alle Camere,in quanto i partiti politici, durante la campagna elettorale avrebbero indicato la linea da seguire successivamente; c’è, invece, chi come il Mortati obiettava che, non essendoci il mandato imperativo, non vi era la certezza che i deputati avrebbero seguito quello che sarebbe stato un mandato implicito popolare e, comunque, avrebbero sempre avuto un margine di discrezionalità nell’interpretare la volontà elettorale. Quindi sarebbe stato preferibile far esprimere il popolo attraverso un referendum (come quello che era presente nella proposta Perassi, anche se solo alla fine del procedimento ed in via eventuale); in questa secondo caso, però, l’intervento popolare poteva solo limitarsi ad accettare o rifiutare una ipotesi ben definita, ma il suo esito sarebbe stato decisivo ed immediatamente influente sulla scelta da compiere(approvazione o bocciatura).

Insomma, il voto referendario appare più “pesante”, ma meno duttile mentre il voto

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elettorale concede la possibilità ai cittadini di esprimere un parere più articolato attraverso l’intermediazione di un rappresentante ma risulta essere meno decisivo25.

Come detto in precedenza,arrivò in Assemblea la proposta Perassi (poi modificata, anche se di poco, dal Comitato dei Diciotto) che contemplava l’inclusione di un referendum anche se la sua attuazione era prevista solo a certe condizioni. Il dibattito sull’articolo in esame, in Assemblea, si svolse tutto nella seduta pomeridiana del 3 dicembre 194726; diversamente dalla trattazione

di altri articoli, in questo caso non vi furono lunghe e accese discussioni. Il tema della revisione costituzionale era stato studiato a fondo durante i lavori della Commissione Forti e, successivamente all’interno della Commissione dei settantacinque;probabilmente fu per questo che in Assemblea “la discussione fu rapidissima e senza effetti contrastanti”27.

Alla fine si giunse all’approvazione dell’articolo (di quello che era ancora l’art 130) ma ancora con delle modifiche proposte dall’ on. Perassi;il nuovo articolo recitava:

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali devono essere adottate da ciascuna Camera in due letture con intervallo non minore di tre

25 G. BUSIA , Il referendum costituzionale fino al suo debutto:storia di un cammino carsico di oltre cinquanta anni, pag 24-25.

26 A. PIZZORUSSO, art 138, in Commentario della Costituzione, pag 711. 27 RUINI, Il referendum popolare,cit., pag 47 in G. BUSIA , Il referendum costituzionale fino al suo debutto. Storia di un cammino carsico di oltre

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mesi ed approvate a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera nel voto finale in seconda lettura. La legge di revisione costituzionale è sottoposta a referendum popolare quando entro tre mesi dalla sua pubblicazione,ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori, o cinque consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi.

Non si fa luogo a referendum se la legge di revisione costituzionale è stata approvata in seconda lettura da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi membri.

Quindi, pur se con con alcune innovazioni,in linea di massima, la struttura del precedente testo fu conservata; per quanto riguarda le novità si può verificare che l’emendamento Perassi eliminò il primo comma che limitava l’iniziativa della revisione costituzionale al Governo e alle Camere riconoscendo in tal modo questa possibilità anche al popolo. Inoltre, alle leggi di revisione della Costituzione,furono affiancate “le altre leggi costituzionali” per l’approvazione delle quali si sarebbe seguito lo stesso procedimento. Infine il numero dei Consigli regionali necessari per richiedere il referendum fu portato da sette a cinque perché “ data la distribuzione delle regioni d’Italia,esigere che la domanda di referendum sia fatta da almeno sette Consigli regionali potrebbe avere

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qualche inconveniente dal punto di vista politico”28.

Lo scopo dei componenti della Commissione, come affermato dal Rossi in sede di dibattito in Assemblea Costituente, fu quello di rendere la Costituzione modificabile tramite un procedimento che permettesse solo l’approvazione di modifiche ponderate in modo adeguato e levasse alle minoranze il potere di veto(sarebbe stato diverso nella eventualità di richiesta in ogni caso di una maggioranza dei due terzi). Quindi la previsione delle due letture aveva come fine quello di evitare gli impulsi demagogici e momentanei ,la maggioranza assoluta serviva per difendersi da colpi di mano minoritari mentre il referendum veniva considerato uno strumento a tutela delle minoranze per le quali restava sempre aperta la via dell’appello al popolo29; referendum che non

assolveva solo a questo ruolo di garanzia;a tal proposito è di nostro interesse la relazione ,che presentò l’on. Perassi per illustrare il suo emendamento di cui si accennava poc’anzi, e in particolare nel punto in cui fu evidenziato il fatto che l’intervento dei cittadini fosse disciplinato in modo che il concorso del voto del popolo,con la domanda del referendum regolarmente fatta,assumesse il valore giuridico di un elemento di formazione della legge costituzionale. Così, nel suo emendamento si prevedeva che la legge costituzionale votata

28 Atti Costituente, 3 dicembre 1947,pag 4323 in BUSIA, Il referendum costituzionale fino al suo debutto. Storia di un cammino carsico di oltre cinquanta anni.

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dalle due Camere non fosse promulgata ma soltanto pubblicata allo scopo di essere portata a conoscenza del popolo, pertanto i cittadini avrebbero potuto esercitare la facoltà di richiedere il referendum. Soltanto quando, essendo stato richiesto il referendum, la votazione popolare avesse avuto luogo e la maggioranza richiesta si fosse pronunciata a favore della legge, questa sarebbe stata promulgata e pubblicata ai fini della sua entrata in vigore30.

Si potevano, quindi, individuare più valenze del referendum costituzionale a seconda dei diversi punti di vista da cui veniva analizzato.

Il referendum costituzionale, come detto prima,non era previsto come un passaggio a cui arrivare obbligatoriamente dato che la sua celebrazione sarebbe stata solo eventuale, in presenza di condizioni predeterminate. Infatti l’ultimo comma dell’articolo approvato in Assemblea escludeva il ricorso al referendum nel caso in cui ciascuna delle Camere avesse approvato la legge costituzionale in seconda lettura con la maggioranza dei due terzi. Furono diverse le motivazioni che portarono a prendere questa scelta. Una ce la fornisce il Perassi, il quale, illustrando l’articolo all’Assemblea, dichiarò che si voleva porre un limite ragionevole alla facoltà di chiedere il referendum ritenendo che quando una modifica costituzionale sia stata votata da due terzi dei membri di ciascuna

30 G. BUSIA, Il referendum costituzionale fino al suo debutto. Storia di un cammino carsico di oltre cinquantanni, pag28-29.

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Camere si poteva fondatamente presumere che si era di fronte ad una legge costituzionale che rispondesse a esigenze sentite dalla maggioranza del Paese; è da dire che questo ragionamento, come fatto notare dall’on. Rossi, aveva una sua validità in presenza di una condizione implicita che era data dall’adozione in Italia di un sistema elettorale proporzionale; in questo modo si sarebbe rispecchiato nel modo più fedele possibile la maggioranza reale del Paese. Lo stesso Rossi, inoltre, affermò che “in un paese deve vigesse il sistema del collegio uninominale, o dove correnti politiche si polarizzassero intorno a due soli partiti, una maggioranza qualificata di due terzi potrebbe eventualmente non rispondere alla maggioranza reale del Paese...Ma in Italia dove i partiti

purtroppo,me ne rammarico, sono

soverchiamente frammentati, una maggioranza che raccolga in Parlamento i due terzi, raccoglierà certamente una proporzione anche maggiore dei consensi”31; considerazioni, quelle

del Rossi, sul tipo di sistema elettorale, che sono sicuramente di interesse alla luce dei cambiamenti che ci saranno decenni dopo, più precisamente agli inizi degli anni novanta con l’introduzione del sistema uninominale per quanto riguarda le legge elettorale.

Altro motivo che portò alla previsione dell’esclusione del ricorso al referendum nel caso di approvazione in seconda lettura di entrambe le Camere con la maggioranza dei due terzi fu

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quello di evitare di sottoporre a referendum la Costituzione appena approvata. I lavori della Assemblea Costituente si erano protratti molto più del previsto, ci erano stati continuamente dei compromessi faticosamente raggiunti,e si considerava sconsigliabile aggiungere ulteriore ritardo con un referendum da fare in ogni caso, oltre, poi, la preoccupazione di un esito negativo le cui conseguenze potevano essere difficilmente immaginabili.32

In conclusione, si può affermare che l’approccio complessivo dei nostri padri costituenti nei confronti dell’istituto referendario, in generale e, in relazione al suo inserimento nella procedura di revisione costituzionale dell’art. 138, non fu di una netta ostilità, anzi fu visto sia come un mezzo per riaffermare la piena e completa sovranità popolare, in reazione al regime totalitario appena passato, sia come un modo per rendere effettivo il principio democratico posto alla base della nascente Costituzione. Nello stesso tempo, però, si voleva evitare che tale istituto finisse per produrre degli squilibri o creasse disarmonie nell’unità dell’indirizzo politico; il nostro impianto istituzionale non era come quello realizzato in Germania nel 1919 dalle Costituzione di Weimar dove la forma di governo(intesa nella sua accezione tradizionale di rapporto tra organi di indirizzo)era in sostanza”aperta” affidando al popolo, per mezzo di una larga varietà di referendum, il compito di definirla nel suo sviluppo storico. Diversamente,

32 G. BUSIA, Il referendum costituzionale fino al suo debutto:storia di un cammino carsico di oltre cinquanta anni, pag 32.

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in Italia i costituenti avevano già definito i rapporti fra i diversi organi costituzionali, e l’intervento diretto dei cittadini non avrebbe dovuto turbare tale equilibrio, basato sulla relazione fiduciaria fra governo e parlamento e sul primato politico di quest’ultimo.

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2 Il referendum costituzionale come

fase eventuale e facoltativa di

revisione costituzionale.

Come si accennava poc’anzi i padri costituenti ebbero, quindi, un atteggiamento complessivo nei confronti degli istituti di democrazia diretta non avverso ma, nella nuova architettura istituzionale della neonata repubblica italiana, lo spazio riservato da loro a tali istituti era circoscritto e limitato e, in ogni caso, dato in modo che non minacciassero il carattere “chiuso” e precisamente definito della forma di governo italiana; uno spazio ben definito anche per il referendum costituzionale nell’ambito della procedura di revisione costituzionale dell’art 138. Questa disciplina del procedimento di formazione delle leggi costituzionali è sostanzialmente la stessa che si applica in relazione alla legge ordinaria tranne che per alcune differenze le quali realizzano una forma di “aggravamento ordinario” a carattere necessario ed una forma di “aggravamento integrato” che si presenta invece come meramente eventuale. La prima differenziazione si risolve nel raddoppio dell’iter procedimentale per il compimento del quale occorrono, anziché due approvazioni del progetto, una da parte della Camera ed una da parte del Senato, quattro di tali approvazioni, due da ciascun ramo del Parlamento 33.La prima

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deliberazione configura un “ciclo legislativo completo”, nel quale le due Camere debbono giungere alla formulazione di un testo comune:può accadere che esse si passino varie volte il progetto secondo il normale sistema e le regole delle navette finché non si giunga alla “doppia conforme”. Solo allora può dirsi avvenuta la prima deliberazione34.

Per poi poter procedere al passaggio successivo è necessario che fra le due deliberazioni di ciascuna Camera intercorra un intervallo di tre mesi, il quale decorre dalla prima votazione nella quale sia stato approvato un testo identico a quello approvato anche dall’altra Camera in prima deliberazione35. La seconda deliberazione,

in base all’art 138, è configurata come un’approvazione, nella quale è richiesta almeno la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Qualora nella seconda deliberazione il progetto non raggiunga, anche in una sola delle due Camere, la maggioranza assoluta, si intende respinto. Il progetto è invece approvato se ottiene il favore della maggioranza assoluta dei componenti. Se la maggioranza raggiunta è dei due terzi, il Presidente della prima Camera ne fa espressa menzione nel messaggio rivolto al Presidente dell’altro ramo del Parlamento (la seconda Camera). Infatti se anche all’ altro ramo del Parlamento si otterrà analoga maggioranza il progetto potrà essere promulgato, pubblicato ed entrerà in vigore secondo gli artt. 73 e 74 Cost. Nella formula di

34 T, GROPPI, art 138, in BIFULCO,CELOTTO,OLIVETTI, Commentario alla Costituzione, pag 2711.

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promulgazione si darà espressamente conto del raggiungimento della maggioranza dei due terzi(cosi art 2 l.352/1970). Qualora invece, anche in un solo ramo del Parlamento non si consegua la maggioranza dei due terzi ma solo quella assoluta si aprirà lo spazio per la fase referendaria. La promulgazione farà seguito in tale ipotesi o alla scadenza del termine di tre mesi entro il quale può chiedersi referendum popolare o, qualora questo venga richiesto, al suo esito positivo36.

La fase delle due deliberazioni delle due Camere costituisce l’aggravamento ordinario necessario mentre la fase referendaria l’aggravamento integrato eventuale.

Il referendum costituzionale assume, quindi, come risulta chiaro dal combinato disposto dell’art. 138 e della legge di attuazione n. 352/1970, un carattere meramente eventuale, come ha puntualizzato, in modo abbastanza chiaro, la Corte Costituzionale nella sentenza n.496 del 2000.

Secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale nella cit. sentenza, la decisione politica di revisione è opzione rimessa in primo luogo alla rappresentanza politico-parlamentare. Il corpo elettorale non è il propulsore della innovazione costituzionale e non è nemmeno chiamato a compartecipare alla adozione delle leggi costituzionali per quanto riguarda il loro contenuto, ma soltanto a confermare o a respingere tout court la manifestazione di

36 T, GROPPI, art 138, in BIFULCO, CELOTTO, OLIVETTI, Commentario alla Costituzione, pag 2711-2712.

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volontà dei suoi rappresentanti,sulla base del presupposto che tale volontà, in quanto espressa dalla sola maggioranza assoluta e non qualificata dei componenti di ciascuna Camera, può emarginare consistenti minoranze contrarie alla legge costituzionale presenti nelle stesse Camere e dunque nel Paese, che sono così poste in grado di sconfessare la volontà della maggioranza che ha bypassato il loro consenso.37

I costituenti avevano previsto la consultazione referendaria come oppositiva alla riforma voluta dal Parlamento: doveva servire alle minoranze (un quinto dei componenti di una Camera, 500mila elettori, cinque consigli regionali) a bloccare la legge voluta dalla maggioranza dei componenti dei due rami del Parlamento. Si sarebbe richiamata su di essa l’attenzione di tutti i cittadini, nella speranza che questi, “sapendo ciò che lasciavano e non conoscendo quello che trovavano”, preferissero mantenere intatta la propria Costituzione.

Quindi un referendum costituzionale che si può svolgere soltanto in via eventuale; con tale termine si intende fare riferimento, in generale, al fatto che il suo svolgimento è condizionato al verificarsi di determinati even ti(come approvazione con una maggioranza inferiore ai due terzi); mentre si parla di facoltatività quando si vuole evidenziare la circostanza che la sua richiesta è lasciata all’autonomia dei soggetti a cui è attribuito tale potere.

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La facoltatività del referendum costituzionale costituisce un presupposto della suo carattere oppositivo; qualora così non fosse, invece, in presenza di un passaggio necessario dell’approvazione, si perderebbe ogni carattere oppositivo in quanto si svolgerebbe a prescindere dalle opinioni dei consociati riguardo la riforma votata in sede parlamentare38; inoltre

questo suo carattere ha anche come scopo quello di evitare approdi plebiscitari, avendo come proprio il compito di assolvere a una funzione di garanzia delle forze di minoranza. È da dire che (come vedremo, in seguito, in modo più approfondito) in virtù di una multifunzionalità dell’istituto referendario è stata lasciata aperta la via ad una sua utilizzazione da parte della maggioranza che, per esempio, in occasione della revisione del Titolo V,ha domandato, attraverso i suoi parlamentari,lo svolgimento del referendum.

Tuttavia, finché il referendum rimane facoltativo conserva almeno in potenza la logica oppositiva con la quale è stato pensato, lasciando al popolo il ruolo di arbitro potenziale fra la maggioranza e l’opposizione parlamentare. Quando invece perde la facoltatività, il suo carattere oppositivo viene meno, modificando quella “mirabile sintesi” fra democrazia diretta e rappresentativa che i costituenti avevano realizzato attraverso l’art 138.

In più, secondo la logica dei costituenti posta alla base stessa del procedimento di revisione,

38 G. BUSIA, Il referendum costituzionale fino al suo debutto: storia di un cammino carsico di oltre cinquanta anni, pag 64.

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tutto è orientato verso il fine di far sì che le norme costituzionali siano il frutto della convergenza del maggior numero possibile di forze: la Costituzione non può essere ridotta a disposizione di parte, è nata e deve restare la regola in cui tutti i cittadini possano riconoscersi: da qui la necessità delle maggioranze qualificate e anche da qui l’incentivo a raggiungere addirittura il voto convergente dei due terzi dei parlamentari. Se invece il referendum diviene obbligatorio automaticamente cade questo incentivo, che invece è parte essenziale del procedimento che stiamo analizzando.

In tal modo viene meno ogni interesse a raggiungere un’intesa più vasta, le forze dominanti in Parlamento possono essere spinte a puntare esclusivamente al raggiungimento della maggioranza assoluta dei voti in ciascuna Assemblea, per poi trasferire il confronto nella consultazione popolare, dominata di per sé dalla logica maggioritaria per cui a chi raggiunge il 51% spetta l’intera posta in palio.

Il referendum, da strumento di garanzia in difesa delle minoranze, si trasforma così in un temibile mezzo attraverso il quale la maggioranza impone la sue riforme, la sua Costituzione.39 A tal proposito c’è chi ritiene che

le riforme costituzionali non debbano essere più “riforme di maggioranza” e che quindi sia da considerarsi più che opportuno una modifica dell’art 138 Cost. Allo scopo di “mettere in sicurezza” la Costituzione rafforzandone la

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rigidità, contro la possibilità di riforme a colpi di maggioranza; in particolare la proposta avanzata è generalmente quella di elevare le maggioranze attualmente richieste, anche in considerazione del mutato sistema elettorale, non più a carattere proporzionale quale quello tenuto dal Costituente a base delle prescritte maggioranze; l’innalzamento della maggioranza richiesta esigendo il voto favorevole di un numero di parlamentari superiore, porta inevitabilmente ad un necessario coinvolgimento nelle scelte anche di forze politiche dell’opposizione ed allontana il rischio di un conflitto, evidente invece, specie nella presente situazione politica italiana, nel momento in cui le riforme possono essere approvate a maggioranza.40

Comunque, a prescindere dal fine per cui può essere utilizzato, il referendum costituzionale, come si diceva prima, può essere promosso soltanto in presenza di una approvazione di una legge costituzionale che non abbia avuto la maggioranza qualificata dei due terzi da una parte e, dall’altra ci sia un’attività di impulso da parte dei soggetti (500mila elettori,un quindo dei componenti di una Camera, cinque Consigli Regionali) indicati dall’art 138; vi è un breve periodo in cui la legge costituzionale si trova in una sorta di limbo; si provvede sempre(come indicato dall’art 3 della legge n. 352) alla immediata pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale ad opera del Ministro della giustizia. Questa pubblicazione però è diversa da

40 R. ROMBOLI, Il referendum costituzionale nell’esperienza repubblicana e nelle prospettive di riforma dell’art 138 Cost, in www.associazione dei costituzionalisti.it, pag 23, 25 e 26.

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quella adottata per le leggi ordinarie, avendo lo scopo di rendere noto il provvedimento ai soggetti interessati e di far decorrere il termine dei tre mesi utili ad avanzare le richieste di referendum, e tale anomalia risulta da diverse peculiarità formali, quali: omessa inserzione nella Raccolta; collocazione separata dalle altre leggi e del numero d’ordine; intitolazione dalla quale si possa desumere che si tratta di legge costituzionale approvata dalla sola maggioranza assoluta e avvertimento della possibilità di referendum costituzionale.

La pubblicazione che avviene nel procedimento referendario non è dunque la pubblicazione normale cui segue l’entrata in vigore delle leggi, ma una mera pubblicazione di tipo notiziale, che fa decorrere il termine per la richiesta del referendum costituzionale.

Tuttavia può accadere che nessuno dei potenziali titolari della iniziativa referendaria ne faccia domanda. Un esempio è quello costituito dalla legge costituzionale n1/2002, abrogativa dei primi due commi della XIII Disposizione transitoria e finale della costituzione che ponevano alcune limitazioni a carico degli ex re, dei membri di casa Savoia; delle loro consorti e dei loro discendenti maschi. Sebbene tale legge non avesse ottenuto nella seconda votazione la maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera, nessuna domanda referendaria fu avanzata, cosicché, trascorsi i tre mesi dalla pubblicazione, si procedette senz’altro alla pubblicazione.

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Potrebbe anche accadere che la domanda di referendum venga proposta con modalità non conformi a quelle previste dalla legge implementativa che disciplina il procedimento referendario o invece che i soggetti abilitati inoltrino la loro domanda dopo lo spiraglio del termine perentorio dei tre mesi decorrente dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del progetto approvato dalle Camere. In questi casi di richiesta dichiarata illegittima o anche quando non vi sia stata alcuna richiesta, il referendum costituzionale non ha luogo e la legge costituzionale e senz’altro promulgata e pubblicata ai sensi degli artt. 5 e 14, della legge n. 352 del 1970.

Una opinione che raccoglie consensi nella dottrina è quella secondo la quale, limitatamente a questa ipotesi, il mancato svolgimento del referendum fa cadere la condizione sospensiva esterna che impediva il perfezionarsi dell’efficacia della legge costituzionale.41

41 A. REPOSO, Sulla natura giuridica del referendum costituzionale, in www.associazione dei costituzionalisti.it, pag 4 e 5.

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2.1 L’iniziativa

referendaria

Per arrivare alla consultazione referendaria, quindi, si rende necessaria una attività di impulso che è possibile esercitare solo se si presentano le condizioni previste dalla legge e ,nello specifico dall’art 138 cost.; in particolare ci si riferisce alla mancata approvazione della legge di revisione costituzionale avvenuta non con la maggioranza qualificata dei due terzi ma semplicemente con la maggioranza assoluta in almeno una delle due Camere, in seconda deliberazione.

Nella Costituzione sono indicati una serie di soggetti che sono abilitati ad assumere l’iniziativa per poter far richiesta di indire un referendum costituzionale; qui si può notare una differenziazione operata a suo tempo dai padri costituenti tra referendum abrogativo e referendum costituzionale. Solo per quest’ultimo, infatti, è stata prevista la possibilità che il referendum venga richiesto anche da un quinto dei componenti di una delle due Camere.

Questa altra ipotesi, rispetto a quelle comuni di richiesta da parte di cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali, può essere letta sia come volontà di consentire a quanti più soggetti possibili la richiesta di consultazione, considerando il particolare rilievo da essa rivestito nel complessivo configurarsi dell’ordinamento,sia come una dimostrazione del fatto che il referendum, nelle intenzioni dei padri

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costituenti,non doveva manifestarsi come una istanza popolare in contrapposizione al voto parlamentare; invece doveva configurarsi come un ulteriore controllo sulla effettiva volontà del popolo di voler apportare dei cambiamenti alla Carta Costituzionale in cui essa si riconosceva. Ora andiamo ad analizzare in modo più dettagliato i possibili richiedenti seguendo l’ordine di elencazione.

I primi ad essere investiti del potere di chiedere lo svolgimento del referendum sono i rappresentanti del popolo, ovvero i parlamentari e, di preciso, i parlamentari corrispondenti ad almeno la quinta parte di una Camera. Di fronte alla maggioranza assoluta dei rappresentanti che (come minimo) devono votare il progetto di legge costituzionale, essi rappresentano una minoranza, che potrebbe legittimamente pensare di essere maggioritaria fra gli elettori, magari a causa del possibile effetto distorsivo causato dal sistema elettorale oppure per il fatto che rispetto alle ultime elezioni eventualmente anche molto risalenti nel tempo,sono cambiati i rapporti di forza tra le formazioni politiche presenti in Italia.

I Costituenti ritennero giusto, quindi, dare la possibilità a queste minoranze di potersi appellare al popolo allo scopo di scongiurare un mutamento della Carta o l’approvazione di una altra legge costituzionale da essi avversata. La particolare peculiarità di questa ipotesi consiste nel fatto che la provenienza della richiesta parta dall’interno degli stessi organi che hanno

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approvato la riforma; in particolare per questo tipo di fattispecie si nega ogni possibilità di leggere in modo schematico il referendum ex art. 138 come una istanza di democrazia diretta da contrapporre a quella rappresentativa. È da dire, inoltre, che la previsione di questo ulteriore soggetto (rispetto alla fattispecie del referendum abrogativo) che possa domandare lo svolgimento della consultazione ha reso la struttura del referendum costituzionale ancora più “aperta” ai possibili sviluppi della storia costituzionale facilitando una multifunzionalità dell’istituto; una multifunzionalità che non era nelle intenzioni del costituente il quale invece prevedeva che il referendum avrebbe dovuto assumere una carattere oppositivo.

Infatti,come si è dimostrato anche in eventi non molto lontani,in particolare ci si riferisce agli eventi legati alla revisione del Titolo V nel 2001, è ben possibile che i parlamentari che promuovono la richiesta di referendum appartengano non già ai gruppi messi in minoranza nella votazione della legge ma invece proprio a quelli che l’hanno votata.

Lo scopo di una simile operazione potrebbe essere quello di cercare nel voto referendario una maggiore legittimazione per la maggioranza e la sua politica, anche al di là della legge particolare sottoposta a referendum; insomma una operazione che può avere anche una forte valenza di natura strettamente politica, al di fuori delle conseguenze propriamente giuridiche; infine, il più delle volte, come è capitato per la

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storia della riforma del titolo V a cui prima si accennava, la via dell’iniziativa parlamentare è quella di più facile attuazione per la maggioranza, rispetto alle più lunghe ed aleatorie forme di richiesta legate alla raccolta di firme o alle deliberazioni dei consigli regionali. Un altro elemento su cui puntare la nostra attenzione è stato, dagli anni novanta in poi, l’esordio di una nuova legge elettorale; per decenni, dal dopoguerra in poi, questa è stata interamente proporzionale ma poi nell’ultimo decennio del secolo scorso fu introdotta, a seguito di un referendum abrogativo, una legge elettorale prevalentemente maggioritaria e uninominale che ha inciso sul valore da attribuire all’iniziativa referendaria attivata dai parlamentari. In particolare, ci si riferisce al possibile effetto distorsivo introdotto nella rappresentanza dalla nuova legge elettorale. Detto in parole semplici si può dire che i sistemi maggioritari siano fondati sulla logica in base alla quale anche chi ottiene solo il 50 % più uno dei consensi conquista la totalità della posta in palio mentre alla restante percentuale non spetta niente. Questo fa sì che, in linea teorica, quasi la metà dei votanti possano non trovare rappresentanza in Parlamento, il quale, quindi, potrebbe definirsi come “specchio” del Paese molto più difficilmente che sotto la vigenza di un sistema proporzionale. Ai fini che qui ci interessano, questo potrebbe ripercuotersi sul potere di richiesta del referendum attribuito ad un quinto dei componenti della Camera; infatti

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potrebbe capitare che questi rappresentino le istanze e la volontà di una parte dell’elettorato percentualmente maggiore di quella da essi ottenuta in Parlamento.

Quindi, la loro richiesta, in origine minoritaria, potrebbe aprire la via ad una consultazione su cui la proposta votata dalla maggioranza delle Camere potrebbe venir respinta; sotto la vigenza di un sistema elettorale maggioritario le minoranze parlamentari sono più di quanto accada con il proporzionale, potenziali maggioranze elettorali: questo significa che la loro possibilità di provocare l’intervento dei cittadini sulle questioni inserite nell’agenda politica può assumere una valenza ed una rilevanza molto maggiore di quella rivestita in passato. A tal proposito, sulla problematica relativa alle conseguenze del voto e ,in particolare sull’opportunità di uno scioglimento del Parlamento da parte del Presidente della Repubblica è da dire che ovviamente spetta al capo dello Stato ogni valutazione in proposito. Con riguardo a tale questione, si può ricordare che alcuni autori individuano un possibile presupposto dello scioglimento proprio nel venir meno della presunzione di corrispondenza fra le Camere elettive e l’opinione pubblica. Ciò con una interpretazione legata ad una visione del ruolo presidenziale abbastanza ampia, che vede attribuirgli la capacità di interpretare le istanze egli umori dei cittadini. A questo proposito, vengono fatti gli esempi di scioglimenti seguiti a particolari risultati di elezioni amministrative,

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alla approvazione di un referendum su una legge di notevole importanza politica.

Una situazione del genere potrebbe infatti concretarsi proprio all’indomani dello svolgimento di un referendum costituzionale che bocciasse una legge approvata dalla maggioranza assoluta delle due Camere; più che in altre circostanze sarebbe qui infatti possibile trovare nel responso popolare un’ indicazione sul venir meno di una consonanza di posizioni fra rappresentanti e rappresentati. È chiaro però che anche questa ipotesi andrebbe vagliata nel caso di specie, ben potendo la legge bocciata essere ad esempio del tutto marginale ai fini della politica di governo, o essersi addirittura la maggioranza che aveva approvato il procedimento ricreduta sulla sua bontà.

Tutte ciò,come detto in precedenza sarà oggetto delle valutazioni del Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato, a tal riguardo, dovrà in particolare valutare due aspetti relativi allo svolgimento del referendum costituzionale,la quantità degli elettori che hanno partecipato a tale decisione e l’omogeneità del quesito.

Per il primo, sicuramente la bocciatura di una esigua percentuale di elettori a causa di circostanze contingenti, potrebbe giustificare uno scioglimento delle Camere molto meno di una consultazione a cui abbia partecipato una larga fascia del corpo elettorale; la quantità dei cittadini che si sono recati al voto è quindi più che rilevante e da valutarsi attentamente.

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Per il secondo, cioè riguardo l’omogeneità del quesito,una consultazione su una legge che comporta una modifica puntuale e marginale si presta molto meno ad assumere caratteri plebiscitari tali da trasformare il referendum in una consultazione a favore o contro la maggioranza di quanto non possa invece fare un referendum chiesto su una legge che racchiuda numerose disposizioni, le quali potrebbero indurre i cittadini a concentrarsi non sul quesito, troppo eterogeneo per sollecitare la formazione di un giudizio univoco,quanto sul suo proponente.

Seguendo sempre l’ordine di elencazione dell’art 138 altro soggetto a cui spetta azionare il potere di richiedere il referendum costituzionale è costituito dai cittadini e, di preciso, per poter esserci tale richiesta è necessario che lo facciano almeno cinquecentomila elettori. Con questa istanza può manifestarsi più tipicamente un’”istanza” di democrazia diretta da parte del popolo in contrapposizione a quella dei rappresentanti, i quali, in un dato momento, potrebbero non trovarsi in sintonia con i propri elettori.

Questo è un tipo di dialettica sicuramente possibile, soprattutto nei momenti di particolare delegittimazione degli organi rappresentativi, come è capitato più volte anche in tempi recenti;sicuramente non si può però ridurre la concezione del referendum costituzionale tutto a questa dialettica popolo-rappresentanti e, in più, è da affermare che la richiesta da parte di

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cinquecentomila cittadini non sempre manifesta questo tipo di contrapposizione, potendo ad esempio la maggioranza che ha votato la legge, e che ritiene sia giusto sottoporla al vaglio dei cittadini, scegliere a questo scopo, per i più svariati motivi ma normalmente con una valenza di natura politica, la via della raccolta delle firme invece che quella della richiesta da parte di almeno un quinto dei parlamentari.

L’ipotesi della richiesta di referendum da parte dei cittadini è stata più volte oggetto di proposte di revisione formulate dai parlamentari tendenti ad aumentare il numero dei cinquecentomila richiedenti rendendo in tal modo più complicato il ricorso alla consultazione referendaria. Queste proposte,molte delle quali inquadrabili in generale nel tentativo manifestato dalle forze politiche tradizionali di continuare a mantenere sotto il proprio controllo il referendum, sono state formulate per lo più guardando alle consultazioni abrogative (quella che si è ritenuto essere maggiormente in grado di “disturbare il manovratore”) ma per coerenza o,forse, per nascondere il vero intento di limitare l’uso di questa non sempre gradita forma di manifestazione della sovranità popolare,quasi tutte sono state estese anche all’art. 138.

La debolezza delle argomentazioni poste a sostegno di tal tipo di proposte che intendevano aumentare il numero degli elettori e ,in particolare quella secondo cui un aumento sarebbe necessario per ristabilire una giusta proporzione con il numero degli elettori in

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seguito alla crescita della popolazione rispetto al 1948 può essere constatata. Infatti, contro un simile ragionamento si deve ricordare che il Costituente operò la scelta,con piena consapevolezza, di affidare il potere in questione ad un numero fisso di sottoscrittori, anziché ad una percentuale del corpo elettorale (come è dimostrato dal fatto che fu respinta l’idea originaria di Mortati, la quale prevedeva appunto che la richiesta dovesse provenire da un ventesimo degli elettori).

Si decise, dunque (e questo ne dimostra ulteriormente l’avvenuta ponderazione) di adottare un criterio diverso da quello invece utilizzato per l’elezione delle Camere, il numero dei cui componenti era in origine (fino alla riforma del 1963) proporzionale rispetto a quello degli elettori. Questa scelta mostra la sua razionalità ove si consideri che con la determinazione del numero dei richiedenti non si voleva stabilire una rappresentanza dell’elettorato, ma solo garantire la serietà della richiesta, nel senso che questa doveva corrispondere ad una reale esigenza presente nella società;il compito di contare la percentuale dei favorevoli e dei contrari alla legge era invece riservato al solo referendum.

Vi è un'altra motivazione frequentemente addotta a giustificazione delle proposte di elevazione del numero dei sottoscrittori. È quella secondo la quale l’aumento in discorso si giustificherebbe con il fatto che oggi la raccolta delle firme è resa più facile dalla maggiore

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