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Le prospettive di riforma

Nel documento Il referendum costituzionale (pagine 123-139)

2 Il referendum costituzionale come fase eventuale e facoltativa d

4. Le prospettive di riforma

Per oltre cinquant’anni di vita repubblicana le forze politiche hanno fatto in modo che si arrivasse a revisionare la Costituzione, senza che questo comportasse un coinvolgimento del popolo e, quindi che si attivasse la procedura del referendum costituzionale prevista dall’art 138 Cost.; in più, a riprova di ciò, si è dovuto attendere fino al 1970 l’approvazione di una legge ordinaria che desse attuazione all’istituto del referendum, senza la quale, comunque, non sarebbe stato possibile un “appello al popolo” avente ad oggetto modifiche della Carta Costituzionale. Inoltre, come visto prima, questa legge (la n.352/1970) venne approvata soprattutto a causa della contingente necessità di svolgere un referendum nella speranza di abrogare la disciplina sul divorzio appena approvata; e successivamente, il referendum è stato spesso utilizzato come “prosecuzione” dello scontro partitico con altri mezzi, ovvero come strumento utilizzato dalle alcune forze politiche che in questo modo cercavano di trarre un supplemento di legittimazione114. Tutto ciò ha

fatto assumere a questo istituto un ruolo di crescente importanza; nella dinamica dell’art 138 si è di fatto realizzato un progressivo spostamento dei suoi equilibri interni verso l’intervento diretto dei cittadini, nel senso che tale elemento è stato visto sempre più come

preminente rispetto alla approvazione parlamentare, enfatizzando il ruolo della

consultazione popolare, facendola

percepire,nella maggior parte dei casi, come la unica via in grado di legittimare pienamente una revisione costituzionale, in particolar modo, ove questa assuma proporzioni rilevanti.115

In Italia specialmente a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, si è assistito ad una progressiva perdita di legittimazione da parte dei centri di potere politico-tradizionali ed in particolare dei partiti, che ben prima che esplodesse la questione morale con le varie inchieste giudiziarie per i reati legati al finanziamento illecito dei partiti, aveva fatto registrare un progressivo allontanamento della classe politica dalle istanze degli elettori;116è

questa perdita di credibilità dei partiti politici che ha spinto, poi, a ricercare direttamente presso il corpo elettorale un “conforto” sulle riforme costituzionali approvate nelle sedi parlamentari. Infatti, dai vari tentativi di riforma costituzionale recenti emerge un dato comune. Sia le riforme costituzionali organiche approvate in sede referendaria (referendum del 2001 di approvazione della legge cost. n.3 del 2001) sia i procedimenti in deroga all’art 138 Cost. attestano un inedito protagonismo del corpo elettorale il quale puntualmente viene evocato per sostenere e convalidare le scelte di riforma costituzionale assunte nell’ambito del circuito rappresentativo.117

115 Ivi, pag 80. 116 Ivi pag 82.

L’esaltazione del ruolo del corpo elettorale nell’ambito dei procedimenti di revisione

costituzionale viene normativamente

formalizzata ed assume connotati

particolarmente evidenti nei procedimenti in deroga all’art 138 Cost. posti in essere dalle leggi costituzionali n 1 del 1993 e n. 1 del 1997, dove il referendum costituzionale è obbligatorio e non soltanto eventuale. Questo coinvolgimento diretto del corpo elettorale previsto nelle procedure derogatorie di riforma della Costituzione ha rappresentato il tratto comune e distintivo del nuovo approccio alla riforma costituzionale che ha finito per “ammiccare” ad un ruolo costituente delle espressioni immediate del popolo sovrano anche oltre e contro le decisioni parlamentari.118

Tali impostazioni rinviano ad una idea di assolutezza del potere del popolo che si colloca al di fuori della cultura costituzionalista; a tal proposito è da ricordare l’ammonimento di Carlo Esposito secondo il quale “la disposizione che il popolo è sovrano nelle forme ed i limiti della Costituzione non significa che la Costituzione sopravvenga per porre limiti estrinseci all’esercizio di una preesistente volontà del popolo...ma proprio all’opposto che la sovranità del popolo esiste solo nelle forme e nei limiti in cui la Costituzione l’organizza, la riconosce e la rende possibile, e fin quando sia esercitata nelle forme e nei limiti del diritto. Fuori della Costituzione e del diritto non c’è sovranità, ma l’arbitrio popolare, non c’è il popolo sovrano, ma

la massa con le sue passioni e le sue debolezze”.119

Questa “deriva plebiscitaria” ha contraddistinto anche le recenti vicende dell’ultimo referendum costituzionale che si è tenuto il 4 dicembre 2016, la cosiddetta riforma Renzi-Boschi che poi è stata bocciata alle urne. Si è trattato di un tentativo di una revisione organica e di maggioranza (ma sarebbe, forse, più corretto, parlare di minoranza alla luce degli esiti iper- maggioritari prodotti dall’ultima applicazione della l. n.270 del 2005), la cui iniziativa legislativa è stata assunta con grande determinazione dal Presidente del Consiglio, Renzi, che non ha esitato ad investire,almeno apparentemente, le sorti del suo esecutivo e la sua personale carriera politica; vi è stata una sovrapposizione tra l’azione di governo e le scelte di riforma della costituzione nonché la confusione tra i ruoli politici e quelli istituzionali dello stesso governo; tutto ciò ha reso opaca la distinzione fra attività di comunicazione politica e quella di comunicazione istituzionale e, più in generale, ha alimentato conflitti politici sugli eventuali abusi delle prerogative istituzionali in vista della consultazione referendaria.120

L’evocazione plebiscitaria e populistica del ruolo risolutivo del corpo elettorale, peraltro, appare in modo evidente nelle vicende del referendum tenutosi il 4 dicembre del 2016, come dimostrano le dichiarazioni che ebbe modo di fare il Presidente Renzi che affermò che :”Dal

119 G. FONTANA, Il referendum costituzionale, pag 32, nota 52 ESPOSITO, “Commento all’art 1 della Costituzione”.- Roma Tre- Press.

primo giorno abbiamo detto che il voto finale delle riforme sarebbe arrivato dai cittadini, qualunque fosse stato il quorum. Non cambieremo certo idea per paura”. Questa ipotesi di modifica della Costituzione portata a colpi di maggioranza ha scaturito un clima divisivo e di aspra contrapposizione sulla scena politica e, in più, ha rischiato di distrarre l’opinione pubblica dai contenuti di merito della riforma costituzionale e sovraccaricarla di contenuti ed umori relativi alla contesa politica contingente.

Come detto, poc’anzi, l’insistenza sulla necessità di coinvolgere il corpo elettorale, quale insurrogabile fattore di legittimazione, nei processi di riforma costituzionale trova la sua spiegazione nella crisi di legittimazione dei soggetti della politica (considerati come principali responsabili della inefficienza e delle degenerazioni della vita politica) , trascurando il fatto che questi stessi soggetti traggono legittimazione proprio da quel corpo elettorale al quale demagogicamente si attribuiscono virtù salvifiche.121

Da più parti viene sottolineata la necessità che per le riforme costituzionali venga seguito un diverso metodo, tale da escludere l’uso politico della Costituzione, come terreno della lotta politica contingente e da impedire l’approvazione di “costituzioni di maggioranza”, coinvolgendo necessariamente anche le forze politiche di opposizione.122Il discorso ,poi, non si limita solo

121 Ivi, pag 34-35.

al metodo ma anche alla necessità di intervenire sul procedimento necessario per modificare la Costituzione e, in particolare ci si riferisce all’art. 138 Cost. .Tra l’altro ,in passato, come detto in precedenza, si è provato anche ad aggirare l’art 138 Cost. con la previsione di procedimenti in deroga (ci si riferisce alle Commissioni bicamerali del 1993 e del 1997), con esiti negativi.

Come è noto, la previsione nelle Costituzioni scritte di una specifica procedura di revisione, radicalmente diversa o variamente “ aggravata” rispetto alla procedura di approvazione delle leggi ordinarie, costituisce una fondamentale garanzia della rigidità delle medesime; la disciplina dello speciale procedimento di revisione della Costituzioni ha la funzione, da un lato, di evitare la “fragilità politica” che caratterizzerebbe le Costituzioni scritte ove queste si ponessero come assolutamente immodificabili, così esponendosi più facilmente all’”invecchiamento” e soprattutto, in assenza di alternative meno traumatiche, al proprio radicale superamento in forme extra-legali; dall’altro lato, la funzione di evitare quella che, potrebbe definirsi la “fragilità giuridica” delle Costituzioni, che potrebbe derivare o dall’espressa attribuzione del potere di revisione al legislatore ordinario, o dall’assenza di qualsivoglia disciplina della revisione che implicherebbe la flessibilità della Costituzione, e dunque la possibilità di sua

modifica o deroga da parte del legislatore ordinario.123

Queste funzioni, nel loro complesso, sono comuni a tutte le discipline della revisione proprie delle Costituzioni rigide (non di quelle flessibili, non di quelle “rigidissime”, immodificabili), ciò che cambia nelle varie esperienze, è il bilanciamento, il “ punto d’equilibrio” tra le diverse (tendenzialmente opposte) esigenze. Da una parte, tanto più sarà aggravato il procedimento di revisione, tanto più la Costituzione sarà rigida e potrà “resistere” giuridicamente ai tentativi di modifica anche se ,nel contempo, si esporrà più facilmente ai tentativi di delegittimazione e al rischio di sovvertimento da parte di forze tanto consistenti ma non abbastanza per poter procedere a modifiche in conseguenza degli aggravamenti procedurali; dall’altra parte ,al contrario, tanto meno sarà aggravato il procedimento, tanto più facile sarà per le maggioranze di turno modificare la Costituzione adeguandola alle nuove esigenze e, nel contempo, si ridurrà il rischio, in questo modo, che il popolo si trovi a dover sottostare a norme costituzionali nelle quali non si riconosce.124

Riguardo l’articolo 138 Cost., quale è stato e quale sarebbe ora quel “punto d’equilibrio” a cui si faceva cenno poco prima?

Per cominciare a rispondere a tale quesito bisogna tornare indietro,di preciso ai lavori

123 V. SCIARABBA, “Riflessioni de ire condito e de iure condendo a proposito dell’ art 138 della Costitutuzione”, pag 4 in

dell’Assemblea Costituente; dando per scontata l’opzione di una Costituzione rigida, nella consapevolezza che la dittatura fascista era stata favorita anche dalla natura (ritenuta flessibile dello Statuto Albertino), uno dei problemi che si posero fu quello di trovare il modo migliore per conciliare “le istanze opposte di certezza e costanza della legge costituzionale e di adattabilità al tempo che preme con le sue continue mutevoli esigenze” (on. Paolo Rossi, seduta del 14 novembre 1947).125

Il dato da porre in evidenza ai fini del nostro discorso risiede nel fatto che l’adozione di una disciplina quale quella racchiusa nell’art 138, aveva quale suo diretto (e sostanzialmente indispensabile) presupposto, secondo quanto era stato espressamente indicato in aula, la presenza di un sistema elettorale proporzionale e di un sistema politico alquanto frammentato.126

Nella seduta del 14 novembre fu lo stesso relatore on. Paolo Rossi ad affermare (anche in considerazione della esclusione del referendum in caso di approvazione con la maggioranza dei due terzi) :”In un paese dove vigesse il sistema del collegio uninominale , o dove le correnti politiche si polarizzassero intorno a due soli partiti, una maggioranza qualificata dei due terzi potrebbe eventualmente non rispondere alla maggioranza reale del Paese”. Poi continua affermando :”Ma in Italia, dove abbiamo il sistema della proporzionale e dove i partiti purtroppo,me ne rammarico, sono anche

125 Ivi, pag 7. 126 Ivi, pag 8.

soverchiamente frammentati, una maggioranza che raccolga in Parlamento i due terzi raccoglierà certamente nel Paese una proporzione anche maggiore di consensi”. Da qui una semplice ma dirompente constatazione, per nulla nuova in dottrina, che assume un ruolo centrale ai fini del nostro discorso: il fatto è che i presupposti extra-costituzionali su cui espressamente si basava la disciplina della revisione costituzionale contenuta nell’art 130 del progetto, divenuto art 138 della Costituzione, e che soli garantivano la rispondenza di tale disciplina al complesso di funzioni ad essa altrettanto espressamente attribuito, sono venuti meno.127

Quindi si era posto già ,ai tempi della lavori della Assemblea Costituente, l’accento sul fatto che il raggiungimento della maggioranza dei due terzi solo a certe condizioni supponesse una convergenza di intenti tra maggioranza di governo e opposizione, una convergenza (almeno parziale) in assenza della quale,avrebbe potuto spianare la strada alla prassi di revisioni a maggioranza; e per far in modo che ciò accadesse presupposto fondamentale, come detto prima era un sistema proporzionale, nel 1993 il sistema elettorale ha perso il suo carattere proporzionale, per giungere ad assumere con la riforma del 2005 caratteristiche tali per cui,complici gli effetti dell’astensione, ma anche a prescindere da essi, la maggioranza (più che) assoluta dei seggi potrebbe essere attribuita facilmente alla Camera, ma potenzialmente anche al Senato ad una

coalizione appoggiata da una frazione davvero molto bassa degli elettori.128

In più, si può dire che vicende dell’ultimo ventennio hanno tristemente mostrato come l’allontanamento rispetto alla situazione del 1948 si sia avuto anche sotto un altro profilo: all’epoca il sistema partitico era caratterizzato e accomunato da un afflato civile che, senza alcuna “mitizzazione”, appare oggi come un patrimonio prezioso e tale da rappresentare esso stesso una garanzia di “ correttezza” anche con riguardo alla delicata questione della revisione costituzionale. Il venir meno di questo afflato al pari, o comunque a fianco, degli altri mutamenti messi in luce, induce a ritenere la specifica disciplina dell’art 138 non più coerente con la funzione di (molteplice ed equilibrata) garanzia originariamente attribuita a tale norma; da qui una riforma possibile e necessaria di tale articolo.129

Una riforma che si realizzi avendo come scopo, prima di tutto, quello di ristabilire in un diverso contesto (diverso sistema elettorale; diverso sistema partitico; diverso atteggiarsi delle forze

politico-istituzionali in una logica

tendenzialmente bipolare; diversa

consapevolezza e diverso rispetto, da parte della gran parte del ceto politico, dei valori e dei principi di fondo della Costituzione se non, in generale, dello stato di diritto), quello stesso punto di equilibrio, quello stesso grado effettivo di rigidità che nel frattempo è stato

128 Ivi, pag 9. 129 Ivi, pag 10.

sostanzialmente modificato, in linea di fatto, proprio dal venir meno di quei presupposti originari (ricordati dall’on.Rossi: in estrema sintesi, sistema elettorale proporzionale e frammentazione politica), la cui presenza era necessaria affinché la disciplina dell’art 138 potesse “funzionare” in modo conforme alle sue finalità di garanzia (della stabilità costituzionale, delle minoranze, della democrazia). Semplificando si potrebbe dire che occorre aggravare (moderatamente il procedimento per mantenere, o meglio ristabilire, lo stesso grado di rigidità effettiva voluta dai costituenti;130già in

passato vi è stata, nella “ottica di mero adeguamento della formulazione dell’art 138 a causa del mutamento della legge elettorale” la “proposta (di Romboli) di sostituire la attuale maggioranza assoluta con quella dei tre quinti dei componenti e la maggioranza dei due terzi con quella dei quattro punti”.131

Roberto Romboli, nel 2007, ribadì come fosse “al momento assolutamente necessario, e non rinviabile, un innalzamento delle maggioranze previste dall’art 138”, dando voce a una idea che già da molti anni si era andata diffondendo e affermando in dottrina.132

Tra le più autorevoli prese di posizione è da ricordare quella di Valerio Onida, anche lui favorevole ad un innalzamento delle maggioranze previste dall’art 138; di preciso, è da dire che, a giudizio del giurista, sono da evitare procedimenti speciali in deroga all’art

130 Ivi, pag 13. 131 Ivi pag 13.

138 che rischierebbero di innescare dei processi che potrebbero travolgere l’insieme della Costituzione; invece ,opportunatamente si dovrebbe cambiarla solo in punti specifici, senza seguire progetti di grandi riforme, di revisioni “totali” da votare in blocco. Si dovrebbero invece approvare con il procedimento di cui all’art. 138 distinte leggi costituzionali per ognuno dei problemi affrontati, in modo da consentire che su ciascuna di esse si esprimano le Camere e poi gli elettori con il referendum. Una modifica dell’art 138, afferma sempre Onida, ma a regime, non come deroga una tantum, sarebbe opportuna per stabilire che le leggi di revisione e le altre leggi costituzionali debbano essere approvate sempre a maggioranza di due terzi nella seconda deliberazione delle Camere, e che possa in ogni caso chiedersi il referendum confermativo.133

Alla fine, qualunque sia la strada che si seguirà, è auspicabile che si interrompa il pericoloso percorso intrapreso dai nostri organi di indirizzo politico e che, invece, si voglia continuare a ragionare e ad agire nel solco della Costituzione vigente; per fare ciò, occorre procedere ad una revisione dell’art 138 Cost. (auspicabilmente con Camere elette in base ad una nuova legge elettorale immune da vizi o pesanti dubbi di incostituzionalità);134riforma che non può non

tenere conto di quei cosiddetti “requisiti minimi” della rigidità costituzionale che non possono essere intaccati e che ruotano intorno a due

133 Ivi, pag 19. 134 Ivi, pag 26.

elementi fondamentali. Il primo è il carattere “parlamentare” del procedimento che concorre a garantire la necessaria forte e libera ponderazione delle scelte nella procedura di revisione; il secondo elemento essenziale è la tutela delle minoranze.135

Successivamente sarà possibile procedere alla eventuale adozione , nel pieno rispetto dell’art 138, così come previamente revisionato allo scopo precipuo di ristabilirne l’originaria funzionalità, delle altre leggi di revisione costituzionale ritenute opportune; e consistenti in interventi puntuali (non “organici”, bensì “omogenei”,e, semmai, sistematicamente coerenti, ben ponderati e largamente condivisi.

Conclusioni

L’indagine sul referendum costituzionale che si è tentata con questa tesi di laurea ha evidenziato alcuni interessanti aspetti relativi all’utilizzazione del referendum costituzionale.

In primo luogo, si conferma l’opportunità, e a parere di taluni, l’illegittimità di un uso dell’art 138. per revisioni che riguardino più parti della Costituzione e di conseguenza dell’uso del referendum costituzionale.

Non essendo inoltre percorribile, come si è visto, la soluzione del cd.

spacchettamento, la revisione costituzionale deve essere usate per modifiche, se non puntuali, almeno riguardanti oggetti “omogenei”. In secondo luogo, non è da condividere l’impostazione che ha contribuito a dare del referendum costituzionale una funzione confermativa.

Si tratta di una torsione inaccettabile, poiché, come si è visto, l’istituto, che opera in via meramente eventuale, ha invece una funzione oppositiva o comunque di garanzia, non compatibile con la proposizione del quesito da parte della maggioranza parlamentare che sostiene la riforma costituzionale.

Infine, sulle prospettive de iure condendo si esprime una forte perplessità anche perché i diversi risultati di partecipazione (nel referendum del 2016) addirittura aumentata

rispetto alle due altre precedenti consultazioni) e di esito del voto che si sono finora avuti confermano il funzionamento dell’istituto.

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