2 Il referendum costituzionale come fase eventuale e facoltativa d
2.4 I referendum previsti dalle leggi costituzionali 1/93 e 1/
SI è detto poc’anzi che fin dalla sua prima applicazione nel 2001 il referendum costituzionale è stato utilizzato dalle formazioni politiche come strumento per regolare i propri conflitti e nel contempo è emerso chiaramente l’evocazione di un ruolo risolutivo e taumaturgico del corpo elettorale per arrivare ad una riforma della Carta fondamentale; un ruolo di primo piano dato al popolo anche in un periodo precedente al 2001, in particolare negli anni novanta ma non solo, quando si era provato a seguire delle strade alternative per la revisione della Costituzione, senza peraltro riuscirci. In particolare ci si riferisce alle leggi costituzionali nn. 1/1993 e 1/1997 che, nell’istituire due Commissioni bicamerali per le riforme, e derogando alla procedura prevista dall’art. 138 Cost. previdero lo svolgimento di un referendum costituzionale che da esse avrebbero dovuto scaturire.56Ma ancora prima, negli anni ottanta,
l’idea di coinvolgere maggiormente i cittadini nel processo di revisione della Costituzione è già presente a cominciare dalla proposta del prof Gianfranco Miglio di costituire un “Comitato per lo sviluppo della Costituzione”, composto da un ristretto numero di tecnici, che avrebbe dovuto elaborare un progetto di riforma costituzionale,
Parlamento:qualora questo l’avesse respinto con una maggioranza inferiore ai due terzi, vi sarebbe stato un intervento “obbligatorio del corpo elettorale, che con referendum avrebbe deciso in via definitiva la sorte del progetto.57
Nello stesso decennio furono avanzate altre proposte, e comunque il dibattito avente oggetto le riforme costituzionali si fece più intenso; per esempio,sempre considerando quelle proposte che avevano come obiettivo un ricorso necessario alla consultazione popolare (e in deroga alle procedure dell’art. 138),da parte socialista venne l’idea di un referendum propositivo, quale strumento giuridico in grado di riconoscere ai cittadini la possibilità di pronunciarsi direttamente sulle nuove leggi ordinarie e sulle modifiche costituzionali che,però, non avrebbero mai avuto come oggetto la prima parte della Costituzione limitandosi soltanto ad incidere sulle questioni attinenti alla materia organizzativa.58
All’epoca ci fu un’altra proposta del prof Miglio che teorizzò il cosiddetto “sbrego” alla Costituzione. Il giurista comasco,convinto che l’art 138 fosse inadeguato per operare le necessarie riforme costituzionali, ne immaginò un vero e proprio scavalcamento. La procedura per la revisione non sarebbe più stata il mezzo per introdurre il nuovo tipo di referendum ma al contrario la consultazione popolare avrebbe introdotto una modifica alla procedura dell’art 138.
57 Ivi, pag 40-41 58 Ivi, pag 41
Egli immaginava, infatti, di affidare ad una Commissione bicamerale l’incarico di stendere un progetto di riforma dell’art. 138, che sarebbe stato subito sottoposto a referendum. Il parlamento avrebbe poi dovuto emanare una legge conforme al responso dei cittadini perché “se una chiara maggioranza approva la proposta popolare il Parlamento dovrebbe considerarsi tenuto a trasformarla in legge costituzionale”.59
Poi, nel 1990, l’idea di svolgere un referendum obbligatorio ricomparve in un progetto elaborato dall’ allora presidente della Camera Nilde Iotti. In esso si ipotizzava la costituzione di una “tavola rotonda fra tutti i partiti” incaricata di definire “un complesso di proposte di leggi costituzionali e ordinarie”, che sarebbe infine stato sottoposto a un “referendum approvativo obbligatorio”.60
Quindi, il tema della revisione costituzionale ed in particolar modo dell’art 138 (a cui i politici addebitavano molte responsabilità in ordine al mancato raggiungimento delle riforme auspicate,almeno a parole) era da tempo oggetto di dibattiti e di proposte di riforma ma alla fine nulla di concreto era stato fatto.
Un momento di fondamentale snodo si registrò con il discorso che il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga indirizzò il 26 giugno 1991 alle Camere. In esso si sollecitarono le forze politico-parlamentari a prendere atto, sia della loro inadeguatezza rispetto alle domande provenienti dal Paese reale, sia della
indifferibilità di un vasto disegno di riforme costituzionali, nelle quali il corpo elettorale avrebbe dovuto avere un ruolo di diretto protagonista, sul presupposto che, affermò il Capo dello stato, soggetto della Storia, soggetto manzoniano della Storia e, quindi della vita istituzionale, sociale ed economica che caratterizzava uno stato democratico, era il popolo.61
Secondo Cossiga le strade “conformi alla Costituzione” per giungere ad una riforma costituzionale erano tre: quella prevista dall’art. 138, l’attribuzione alle Camere di “poteri costituenti”; ed infine quella di eleggere una “Assemblea Costituente, dotata di veri e propri poteri costituenti;al fine di istituire quest’ultima si sarebbe dovuto passare “non solo attraverso la procedura dell’art 138, ma anche attraverso una procedura rinforzata che, per dare legittimazione politica, e forse anche istituzionale, all’Assemblea stessa prevedeva comunque la conferma della legge costituzionale istitutiva dell’ Assemblea Costituente e ad essa conferente poteri costituenti, per mezzo del referendum confermativo popolare previsto dal già citato articolo 138 della Costituzione”. Anche per attribuire poteri costituenti alle Camere sarebbe stato necessario ricorrere alla “procedura prevista dall’art 138 integrato o convalidato da un voto popolare, nella forma di un referendum confermativo obbligatorio. Solo cosi infatti,a parere del Capo dello Stato,
61 G. FONTANA, Il referendum costituzionale tra processi di legittimazione politica e sistema delle fonti, in Federalismi,it, pag 17-18.
sarebbe stato possibile aprire “una vera e propria fase costituente, come processo popolare sovrano di riforma dei propri ordinamenti; e ciò perché l’ordinamento costituito si fonda anch’esso su una norma fondamentale ad esso preventiva e ad esso sovraordinata: il principio della sovranità popolare”.62
Un ruolo centrale e privilegiato attribuito al popolo è evidenziato da un estratto del messaggio del Presidente della Repubblica Cossiga secondo cui il passaggio dalla consultazione facoltativa alla previsione “obbligatoria e necessaria” del suo svolgimento avrebbe avuto la funzione di “compensare un affievolimento” delle procedure di revisione rispetto a quelle al momento vigenti, considerandosi queste inadeguate a portare a compimento le necessarie riforme;si auspicava un intervento del popolo (“sovrano reale”, in contrapposizione alle Assemblee, “sovrani legali” per mandato) e lo si privilegiava rispetto ad ogni altra forma di partecipazione democratica, e si affidava ad esso un potere legittimante capace anche di scavalcare i limiti imposti dalla legalità costituzionale.63 Conferma del filone dottrinale in
cui viene a collocarsi Cossiga, si ricava anche nel prosieguo del messaggio dove il Capo dello Stato si preoccupava di analizzare tutte le forme in cui sarebbe stato possibile fare intervenire il popolo nel processo di riforma istituzionale, arrivando
62 G. BUSIA, Il referendum costituzionale fino al suo debutto : storia di un cammino carsico di oltre cinquantanni, pag 44.
ad ipotizzare ben sei tipi di referendum: di indirizzo, di investitura, ordinario (ex art. 138), propositivo, confermativo e approvativo.64
Dopo il messaggio del Capo dello Stato ci fu un dibattito parlamentare in cui si esposero variegate posizioni, anche all’interno degli stessi partiti politici. In linea generale, c’è chi si mostrò più disponibile ad accogliere le argomentazioni presidenziali e si schierò a favore di trasformazioni anche radicali dell’assetto costituzionale, ed in particolare di una riforma delle procedure di revisione che esaltasse il ruolo dell’intervento dei cittadini;invece, ci fu chi espresse un giudizio critico nei confronti delle ipotesi prospettate nel messaggio e, questo ,poi, fu accompagnato da una sostanziale difesa della Costituzione,una propensione ad innovazioni parziali, ed al rifiuto di aprire un vero processo Costituente65; ma per vedere qualcosa di
concreto bisogna arrivare alla XI legislatura;la proposta di istituire una Commissione bicamerale per predisporre un articolato progetto di riforma costituzionale fu rilanciata dal neoeletto Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, nel suo discorso di insediamento. La proposta trovò un consenso un po' in tutte le forze politiche, ed i Presidenti delle Camere si offrirono per dare un contributo tecnico- istituzionale, elaborando un appunto in cui si prefiguravano due possibili soluzioni alternative, ed una terza, frutto della somma delle prime due: 1) si sarebbe potuto costituire una semplice
64 Ibidem pag 44 nota 199.
65 G. BUSIA, Il referendum costituzionale fino al suo debutto: storia di un cammino carsico di oltre cinquantanni. pag 45
commissione di studio; 2) oppure un organismo dotato di poteri referenti o redigenti nei confronti delle Assemblee, da insediare con una legge costituzionale; 3) o, infine, si sarebbe costituita immediatamente una commissione di studio a cui nel frattempo sarebbero stati conferiti poteri referenti o redigenti.66
Alla fine di decise per la terza soluzione.
Il 23 luglio 1992 la Camera ed il il Senato approvarono due atti monocamerali di contenuto quasi identico, con cui fu decisa l’istituzione di una Commissione con il compito di esaminare le proposte di revisione costituzionale concernenti la seconda parte della Costituzione e le proposte di legge in materia elettorale, e di elaborare un progetto organico di revisione da sottoporre al vaglio delle Assemblee. Il nuovo organismo avrebbe cominciato ad operare nell’ambito dei poteri e dei mezzi conoscitivi previsti dai regolamenti parlamentari; mentre una legge costituzionale, da approvarsi entro sei mesi dalla sua costituzione, avrebbe conferito alla Commissione poteri referenti nei confronti delle Camere per la formulazione delle proposte definitive di revisione, fissando anche un termine per la presentazione dei progetti in Assemblea. La Commissione, subito costituita, poté in tal modo cominciare i suoi lavori (la prima riunione si tenne il 9 settembre) nell’austera cornice della Sala della Lupa, dominando per lungo tempo il dibattito politico.67
Si cominciò con l’esame del provvedimento dal Senato, nella cui Commissione Affari Costituzionali, dopo l’esposizione delle proposte presentate del relatore Mazzola, si raggiunse l’accordo su un testo unificato che poi sarebbe stato approvato dai commissari. La Commissione avrebbe avuto sei mesi di tempo per presentare le proposte alle Camere, corredandole con relazioni illustrative: nei trenta giorni successivi ogni deputato o senatore avrebbe potuto presentare alla Presidenza della propria Camera gli eventuali emendamenti, sui quali la Commissione stessa si sarebbe dovuta pronunciare entro trenta giorni. Durante la fase assembleare per la quale non erano stati previsti termini particolari, lasciando ai rispettivi presidenti il compito di adottare le decisioni opportune, non sarebbero state ammesse questioni pregiudiziali, sospensive,p er il passaggio agli articoli, o per il rinvio in Commissione. Le Assemblee si sarebbero potute pronunciare solamente sugli emendamenti esaminati e respinti dalla Commissione, se riproposti e su quelli presentati dalla stessa Commissione o da essa fatti propri. Le Camere avrebbero, quindi, dovuto approvare con un’unica deliberazione, a maggioranza assoluta dei propri componenti, il progetto che sarebbe stato poi sottoposto a referendum entro tre mesi dalla sua pubblicazione. La consultazione popolare necessaria era, quindi, stata pensata per controbilanciare l’affievolimento determinato
dall’eliminazione della seconda lettura prevista dall’art. 138.
L'Assemblea introdusse un’importante
innovazione rispetto al testo della Commissione: in seguito ad un emendamento del PDS, venne infatti ripristinata la seconda lettura da parte di ciascuna Camera sulle proposte di revisione,
mantenendo ferma la previsione
dell’obbligatorietà della consultazione popolare. Restava dunque uno degli elementi del precedente (presunto) bilanciamento (il referendum da tenersi comunque), mentre veniva meno il principale degli affievolimenti (la seconda deliberazione camerale) che pure il relatore Mazzola, per difendersi dall’accusa di aver compromesso il principio di rigidità, aveva definito come passaggio di carattere puramente formale.68
Il testo così approvato in prima lettura viene trasmesso il 15 ottobre alla Camera che subito ne comincia l’esame. Furono introdotte dai deputati delle novità ma più che altro di carattere lessicale senza modificare,in linea di massima, la sostanza. Il progetto di legge fu approvato e, successivamente seguì il complesso iter previsto dall’art. 138, per essere infine pubblicato (a meri fini di conoscibilità, non essendo stato raggiunto il quorum dei due terzi) sulla Gazzetta Ufficiale del 6 maggio 1993.69
Tra le proposte più significative, nel progetto di riforma elaborato dalla Bicamerale, vi erano: il
rafforzamento del Presidente del
Consiglio,introducendo la figura del Primo Ministro con poteri simili a quelli del Cancelliere tedesco,la riduzione del numero dei ministri, la limitazione a quattro anni (da cinque) della durata delle legislature e la divisione della legislazione statale da quella regionale individuando le materie di competenza del Parlamento e lasciando il resto ai Consigli Regionali.70
Lo scioglimento anticipato del Parlamento bloccò questo progetto.
Anche nella successiva legislatura si coltivarono intenti di promuovere progetti di riforma costituzionali. Fu costituito, infatti, un “Comitato di studio sulle riforme istituzionali, elettorali e costituzionali”, presieduto dal ministro delle riforme Speroni e composto di sedici esperti, che aveva esclusivamente il mandato di studiare e proporre le riforme ritenute necessarie, che avrebbero dovuto essere recepite dal governo in un disegno di legge, il quale sarebbe stato poi approvato secondo le procedure dell’art. 138. La scelta di servirsi di queste procedure era dettata soprattutto dalla necessità di dare immediatamente inizio al processo di riforma, senza attendere l’approvazione di una legge costituzionale per derogare a tale articolo; ed anche in questa occasione vi era l’idea di prevedere un intervento dei cittadini in termini di obbligatorietà. Tutto questo rimase sulla carta in
70 L. TENTONI, “Le tre bicamerali per le riforme istituzionali” in “LA STAMPA I TUOI DIRITTI”, 23/10/2009.
quanto questo disegno di legge finì per arenarsi prima di giungere alla sua approvazione.71
Altro tentativo di riforma costituzionale di particolare rilevanza ci fu qualche anno dopo. Fu istituita durante la XIII legislatura con la legge n.1/1997 un’altra Commissione Bicamerale. All’inizio la maggioranza di governo aveva proposto di istituire, attraverso due atti monocamerali di identico contenuto, una Commissione dotata esclusivamente dei “poteri” e “mezzi conoscitivi e di indagine” previsti dai regolamenti parlamentari, con il compito di esaminare, oltre i disegni di legge di revisione concernenti la seconda parte della Costituzione, anche “i disegni di legge ordinari ad essi strettamente collegati”. Tale organismo avrebbe poi dovuto inoltrare le proposte alle Assemblee, che avrebbero successivamente seguito la procedura di cui all’art. 138.72
Tuttavia subito dopo si abbandonò tale prospettiva, per indirizzarsi verso la già ricordata via della legge costituzionale.
Alla fine ,le forze politiche raggiunsero un accordo sul fatto che, per giungere ad un’organica riforma della Costituzione, si sarebbe dovuta sostanzialmente ripercorrere la via preconizzata dalla legge costituzionale n. 1/1993, attraverso l’approvazione di una legge costituzionale; e proprio grazie al fatto che vi era il consenso di quasi tutte le forze politiche, l’iter parlamentare di quella che sarebbe diventata la
71 G. BUSIA, Il referendum costituzionale fino al suo debutto : storia di un cammino carsico di oltre cinquant’anni, pag 51.
legge costituzionale n.1. del 24 gennaio 1997 fu particolarmente rapido. Fu costituita la Commissione,presieduta dall’on. D’Alema, la quale era composta da 35 deputati e 35 senatori, nominati rispettivamente dal Presidente della Camera e da quello del Senato, su designazione dei gruppi parlamentari e rispettando la proporzione esistente tra i gruppi medesimi. Il compito della Commissione era quello di dedicarsi alla elaborazione di progetti di revisione della parte seconda della Costituzione,in particolare di forma dello Stato, forma di bicameralismo, sistema delle garanzie.73
Entro il 30 giugno 1997 la Commissione doveva presentare alle Camere un progetto di legge di riforma della seconda parte della Costituzione, con relazione illustrativa ed eventuali relazioni di minoranza. Una volta depositato il testo del progetto della Commissione, i parlamentari di ciascuna Camera potevano presentare emendamenti. Dopo l’esame di tali emendamenti, la Commissione presentava alle Camere uno o più progetti di revisione costituzionale. I testi venivano esaminati dalle Assemblee dei due rami del Parlamento. Il progetto o i progetti dovevano essere adottati da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sarebbero stati approvati articolo per articolo dalle Camere senza voto finale su ciascun progetto, ma con voto unico sul complesso degli articoli di tutti i progetti. Nella seconda deliberazione per il voto unico finale era
richiesta la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Infine la legge costituzionale così approvata sarebbe stata sottoposta ad unico referendum popolare entro tre mesi dalla pubblicazione e poi promulgata avesse partecipato la maggioranza degli aventi diritto e fosse stata approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Tra le innovazioni di maggior rilievo nel progetto della Bicamerale c’erano la previsione di una forma di governo presidenziale accompagnata da una differenziazione del bicameralismo (con riduzione del numero di deputati e senatori), l’assegnazione alle regioni di una potestà legislativa per le materie nelle quali non è stata espressamente riservata allo Stato, un rafforzamento dell’esecutivo rispetto al Parlamento.
Quando il progetto della Bicamerale giunse in Aula, però, le differenze di vedute fra le forze politiche aumentarono limitando le prospettive di riuscita del processo riformatore. Il 9 giugno l’esame del testo fu cancellato dal calendario dei lavori della Camera dei deputati. L’iter si interruppe a metà, definitivamente, ancor prima del voto del Parlamento e del referendum popolare.74
Quindi, i tentati rappresentati dalle Commissioni Bicamerali del 1993 e del 1997 di trovare delle strade alternative alla procedura di revisione prevista all’art. 138 Cost. fallirono, ma il tema dei limiti alla formula della stessa revisione è
sempre rimasto vivo nella dottrina italiana; c’è chi ritiene che la modifica dell’art. 138 attraverso la procedura in esso prevista è ammissibile, purché venga rispettato il principio di rigidità. Con la conseguenza che un aggravamento delle procedure di revisione sarebbe sempre lecito. Altri sostengono che non solo il principio di rigidità ma le regole che lo definiscono in concreto siano parte del patto costituzionale e non possano essere toccate senza incidere sul patto stesso. In questa prospettiva, ad esempio, dovrebbero essere considerati elementi non rivedibili dell’art. 138 il carattere parlamentare della procedura,come è stato evidenziato dalla già citata sentenza 496/2000 della Corte Costituzionale.75 Quest’ultima,c ome detto
precedentemente, ha affermato che “il popolo in sede referendaria non è disegnato dalla Costituzione come il propulsore della innovazione istituzionale”.In vece le leggi costituzionali e in particolare l’art. 3 della n. 1 del 1993 e l’art 4 della n. 1 del 1997 seguirono una strada diversa in quanto prevedevano che il percorso delle riforme dovesse necessariamente concludersi con un referendum.
La previsione del carattere obbligatorio del referendum costituzionale si giustificava sia per compensare le semplificazioni procedurali conseguenti alla natura bicamerale del procedimento referente sia per legittimare un’ampia ed organica riforma costituzionale, sul presupposto implicito che l’ordinario
75 T. GROPPI, art 138, in BIFULCO,CELOTTO,OLIVETTI, Commentario alla Costituzione, pag 2721.
procedimento di revisione previsto dall’art. 138 Cost. fosse stato immaginato solo per apportare singole e puntuali modifiche al testo costituzionale. Ma al di là di queste motivazioni di natura tecnica, resta sullo sfondo una ragione politica fondamentale capace di spiegare la natura obbligatoria del referendum costituzionale: l’aggravarsi della sfiducia nei partiti politici ha spinto gli stessi a ricercare direttamente presso il corpo elettorale un conforto sulle riforme costituzionali approvate nelle sedi parlamentari.
Tali procedimenti derogatori hanno finito per alterare la fisionomia e la logica di funzionamento del referendum nell’ambito della complessiva procedura di revisione costituzionale, atteso che il carattere facoltativo ed eventuale, l’iniziativa riconosciuta a minoranze (parlamentari, sociali e territoriali) nonché la mancanza di quorum di partecipazione erano stati, per lo più, interpretati dalla dottrina come elementi a sostegno della natura oppositiva (non già confermativa) dello stesso.76
Si trattava di modifiche che provvedevano a trasfigurare non solo la funzione politica- normativa del referendum costituzionale ma anche a modificarne la natura giuridica ed il significato nell’ambito della procedura di revisione costituzionale. Il meccanismo prefigurato dall’ art 138 Cost., infatti, fa perno sulle assemblee rappresentative, solo in via eventuale (qualora non venga raggiunta la