2 Il referendum costituzionale come fase eventuale e facoltativa d
3.1 La legge n.352 del 1970.
Dall’entrata in vigore della Carta Costituzionale, nel 1948, si è dovuto attendere un periodo lungo ventidue anni per poter vedere il Parlamento Italiano approvare una legge ordinaria che desse finalmente attuazione all’istituto del referendum popolare, e a quello dell’iniziativa del popolo nella formazione delle leggi rendendo così possibile una sia pur limitata partecipazione del popolo stesso all’ esercizio del potere legislativo. I cittadini, col referendum, sono messi nella condizione di esercitare una forma di potere legislativo negativo, nel senso che è loro consentito di convalidare o di abrogare una legge che il Parlamento abbia già approvato. Con l’iniziativa popolare nella formazione delle leggi, i cittadini,invece, vengono abilitati ad avanzare delle proposte di legge a uno dei due rami del Parlamento, restando a quest’ ultimo il potere di discuterle per approvarle o per respingerle.
La legge che ha dato attuazione a questi istituti reca la data del 25 maggio 1970, e il n. 352. Il suo titolo è: “Norme sui referendum previsti della Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo”. È stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 15 giugno 1970. Consta di 53 articoli, divisi in cinque titoli.
Il Titolo I ( artt 1-26) disciplina il referendum previsto dall’art 138 della Costituzione; il Titolo II (artt. 27-40) riguarda il referendum previsto dall’ art 75 della Costituzione; il Titolo III ( artt.
41-47) regola il referendum per la modificazione territoriale delle Regioni previsto dall’art, 132 della Costituzione; il Titolo IV (artt. 48-49) detta le norme circa l’iniziativa del popolo nella formazione delle leggi, ai sensi dell’art. 71 comma secondo, della Costituzione; il Titolo V detta alcune disposizioni finali.
Si è aspettato tanto una legge di attuazione in quanto l’istituto referendario, non è stato mai visto con particolare favore dalla maggior parte dei partiti politici.
All’inizio della vita repubblicana,nella prima legislatura,in verità, ci fu un ampio ed approfondito dibattito in merito, facendo pensare che vi fosse la reale volontà di giungere all’approvazione della legge (ciò trovando conforto anche nella circostanza che vi era in proposito un’iniziativa governativa recante, per di più,la stampigliatura “urgente”); successivamente la seconda legislatura si caratterizzò per una sostanziale completa inattività in merito79.
In nessuna delle due Camere si iniziò una discussione, pur se qualche progetto di legge non mancò di essere elaborato; il motivo di tutto ciò risiedeva nel fatto che cominciò a prevalere, tra le forze politiche, sempre più il timore che non si riuscissero a governare le conseguenze del referendum.
Successivamente, negli anni 1958-1959 il secondo governo Fanfani presentò un disegno di legge per dare attuazione al referendum;
79 A. PERTICI,, Della mancata attuazione dell’istituto alla legge n.352 del 1970 e la sua influenza sul controllo di ammissibilità, in “Il giudice delle
rispetto al passato, questa nuova proposta si caratterizzava per il fatto di contenere delle ulteriori limitazioni, a riprova di quello che si diceva poco prima riguardo i timori delle forze politiche riguardo gli sviluppi che poteva avere l’istituto del referendum. Per esempio, questo nuovo disegno di legge prevedeva che fosse esclusa la possibilità di un referendum nei successivi sei mesi alle elezioni; oppure c’era la fissazione di un numero massimo di tre
referendum da poter svolgere
contemporaneamente. Comunque, anche in questa occasione non si raggiunse lo scopo.
Infatti, dopo che vi fu una prima approvazione del testo alla Camera dei deputati si passò al Senato dove, però, lo stesso testo venne unificato con la proposta sulla promulgazione delle leggi, si dovette, quindi, ritornare alla Camera dei deputati per l’approvazione di tale testo unificato; tutto ciò avrebbe richiesto molto tempo mentre, oramai, ci si trovava a pochi mesi dalla conclusione della legislatura, risultato,quasi inevitabile fu che la Camera dei deputati non riusci a riapprovare il testo.
Nella successiva legislatura, nel 1964, il secondo Governo Moro si fece di nuovo promotore di una proposta di legge per l’attuazione del referendum,anche in questo caso, circondandolo di crescenti limiti che riguardavano, in particolare, il periodo nel quale il referendm non poteva essere tenuto; rispetto alla precedente proposta del Secondo Governo Fanfani, si cambiò prevedendo l’esclusione del referendum
non più nei sei mesi successivi alle elezioni ma nell’anno successivo e, in più, si aggiunse il divieto anche nell’anno antecedente alle elezioni, con la conseguente limitazione a tre anni per ogni legislatura del periodo in cui si poteva richiedere un referendum. D’altronde, a testimonianza del tipo di approccio che si era avuto, nella relazione introduttiva al disegno di legge si sottolineava che la democrazia diretta, ed in particolare il referendum, dovesse essere “di più parco uso” rispetto “al generale sistema di democrazia rappresentativa”. Tuttavia, anche nella quarta legislatura, nonostante l’enfasi con cui il Governo aveva presentato questo disegno di legge, non si arrivò all’obiettivo prefissato; infatti, non si era creato in Parlamento un clima favorevole alla sua veloce approvazione. Il disegno di legge rimase fermo per venti mesi nella prima Commissione della Camera dei deputati, senza subire particolari modifiche, e, poi non concluse il proprio iter prima della fine della legislatura.80
La situazione si sbloccò soltanto nella successiva legislatura, la quinta. Ma questo cambiamento vi fu per motivi del tutto contingenti. Infatti erano state presentate proposte di legge per lo scioglimento del matrimonio alla cui introduzione erano favorevoli tutti i partiti presenti in Parlamento, con l’eccezione della Democrazia Cristiana, del Movimento Sociale, e del piccolo Partito democratico di unità monarchica, oltre alle minoranze linguistiche.
Questo determinò che, per la prima volta nella storia repubblicana, la Democrazia Cristiana si trovasse in minoranza in Parlamento, pur essendo il più grande partito della maggioranza di Governo. La conseguenza di tutto ciò fu una grave crisi politica, che determinò dapprima la crisi del primo Governo Rumor, appoggiata da una coalizione di partiti formata da DC,PSI,PSDI,e PRI. Dopo si arrivò prima ad un nuovo governo monocolore formato dalla sola DC e,successivamente (era nel 1970) si ricostituì un’ alleanza di centro-sinistra (sempre con DC,PSI,PSDI e PRI). Gli accordi che stavano alla base di questo nuovo governo (era il terzo Governo Rumor) prevedevano di procedere all’approvazione della legge sul divorzio in rapida successione a quella sul referendum per poter sottoporre la prima al voto popolare che ne avrebbe potuto determinare l’abrogazione.81
Quindi,dopo decenni dall’inizio della vita della repubblicana italiana, e per motivi diciamo “accidentali”, finalmente nacque la legge che dava attuazione all’istituto del referendum.
Come detto, poco prima, la legge è la n. 352 del 25 maggio 1970 la quale disciplina tutte le tipologie di referendum nazionali previste dalla Costituzione, oltre all’iniziativa legislativa popolare.
Il titolo primo, relativo al referendum previsto dall’art. 138 della Costituzione (che consta di 26 articoli), in virtù di un rinvio contenuto all’art 40 della stessa legge si applica anche, per quanto
possibile e non espressamente previsto nel titolo secondo al referendum abrogativo.
Quindi, una procedura prevista per il referendum costituzionale che si applica anche per il referendum abrogativo con qualche differenza; sicuramente una di rilievo è quella prevista per il referendum abrogativo nell’art. 31, che dispone “Non può essere depositata richiesta di referendum nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere medesime.
Questa disposizione persegue più finalità: prima di tutto, quella di evitare la sovrapposizione di singole questioni oggetto della consultazione referendaria con le più generali scelte politiche in gioco nelle elezioni politiche, in secondo luogo, quella di concedere al nuovo Parlamento un tempo sufficiente per intervenire sulle stesse questioni evitando il diretto intervento popolare (che, nell’idea del legislatore, come risulta dai lavori parlamentari, dovrebbe porsi come eccezionale); infine quella di evitare (a almeno rendere meno probabili) vuoti normativi.82
È da dire, al riguardo, che ragionevolmente la normativa vigente può suscitare dubbi anche in ragione del fatto che talvolta vi è stato lo scioglimento anticipato delle Camere semplicemente per procrastinare lo svolgimento di un referendum, tanto da poter indurre a riflettere sulla opportunità di giungere alla eliminazione della stessa; come si diceva poco
prima, la disposizione di cui all’art. 31 costituisce una differenza tra la procedura prevista per il referendum costituzionale e quella prevista per il referendum abrogativo; i limiti temporali in questione si applicano soltanto al referendum abrogativo. La conseguenza di tutto ciò è che la campagna elettorale può viceversa (in tutto o in parte) sovrapporsi a quella del referendum costituzionale, come in effetti è avvenuto,e, non solo per una volta.83
Il referendum costituzionale si è tenuto per tre volte: nel 2001, nel 2006 e l’ultimo nel 2016 (il primo con esito positivo , i successivi con esito negativo). A parte l’ultimo che si è avuto il 4 dicembre 2016, in effetti, nelle altre due occasioni in cui è stato indetto un referendum costituzionale (nel 2001 e nel 2006), ciò è avvenuto a ridosso delle elezioni politiche, tanto da determinare, se non una sovrapposizione delle campagne elettorali, almeno un potenziale riflesso dell’una sull’altra.
Andando più nel dettaglio, nel 2001 le elezioni per la rinnovazione delle Camere si sono svolte il 13 maggio, mentre il referendum costituzionale avente ad oggetto le modifiche del Titolo V della Parte seconda della Costituzione si è tenuto il 7 ottobre, ad una distanza che in realtà non può far ritenere che vi sia stata una vera e propria coincidenza tra le campagne elettorali; ma, dato che durante la campagna elettorale per elezioni parlamentari già si sapeva che vi sarebbe stato il referendum costituzionale, questo tema fu indubbiamente speso anche in quella sede. Nel
2006, invece, le elezioni del Parlamento si sono svolte il 9 e il 10 aprile, mentre il referendum costituzionale sulla revisione dell’intera parte seconda della Costituzione ha avuto il 25 e il 26 giugno 2006, quindi maggiormente a ridosso delle elezioni, con una effettiva maggiore sovrapposizione tra le due consultazioni.
In entrambe le occasioni gli esiti non sono stati perfettamente in linea con quello delle elezioni politiche. Nel 2001 le elezioni per il Parlamento furono vinte dalla coalizione di centrodestra che aveva osteggiato la riforma costituzionale (che era stata, invece, voluta dal centrosinistra) sottoposta al corpo elettorale nel successivo mese di ottobre. Nel 2006, invece, alla vittoria del centrosinistra nelle elezioni politiche seguì un esito del referendum costituzionale che potrebbe essere definito coerente con il risultato elettorale nella misura in cui prevalsero i contrari alla riforma costituzionale avversata anche dalle forze politiche che avevano vinto le elezioni, sebbene debba sottolinearsi come la percentuale dei No al referendum sia stata ben superiore a quella dei votanti per il centrosinistra nelle elezioni; il No al referendum ebbe il 61,3% dei voti, mentre alle elezioni politiche del 2006, il centrosinistra ebbe una vittoria sul filo, ottenendo una percentuale di consensi di pochissimo superiore al 50% dei voti espressi.84
Come è stato scritto poc’anzi, la legge n. 352/1970 è composta da 5 Titoli, ma quello che a noi interessa in particolare è il Titolo I
(“Referendum previsto dall’articolo 138 della Costituzione).
Sulla base di quanto stabilito dal dettato costituzionale dell’art. 138, la legge di cui sopra, sotto il Titolo I, ha definito le modalità di attuazione, distinguendo i tre soggetti cui è concessa la facoltà di richiedere il referendum (entro tre mesi dal giorno della pubblicazione della legge avente valore costituzionale che si vorrebbe in tutto o in parte abrogare):- cinquecentomila elettori;- cinque Consigli regionali; -un quinto dei membri di ciascuna Camera.
Quando la richiesta proviene da cinquecentomila elettori le formalità essenziali che devono essere compiute sono le seguenti : un gruppo di almeno dieci cittadini, che si qualificano come “promotori della raccolta” delle firme, devono presentarsi, muniti di certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali di un comune della Repubblica o nell’elenco dei cittadini italiani residenti all’estero di cui alla legge in materia di esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero, alla cancelleria della Corte di Cassazione che ne dà atto nel verbale, copia del quale viene rilasciata ai promotori (art 7, 1° comma).
Di tale iniziativa viene dato annuncio alla Gazzetta Ufficiale del giorno successivo (art 7, 2° comma).
Le firme dei richiedenti devono essere raccolte su fogli aventi la stessa dimensione della carta bollata, ciascuno dei quali deve contenere,
all’inizio di ogni facciata, a stampa o con lo stampino i termini del quesito che si intende sottoporre alla votazione popolare, e la legge o l’atto avente forza di legge dei quali si propone l’abrogazione ( art 7, 3° comma).
Prima di procedere alla raccolta delle firme, detti fogli devono essere presentati a cura dei “promotori”, o di qualsiasi elettore, alle segreterie comunali o alle cancellerie degli uffici giudiziari, affinché il funzionario provveda alla vidimazione, apponendo il bollo dell’ufficio, la data e la propria firma e li restituisca ai presentatori entro due giorni dalla presentazione (art 7, 4° comma).
I cittadini che vogliono aderire alla richiesta di referendum devono apporre la propria firma sui predetti fogli. Accanto alla firma devono essere indicati per esteso il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita del sottoscrittore e il comune nelle cui liste elettorali questi è iscritto ovvero, per i cittadini italiani residenti all’estero, la loro iscrizione nelle liste elettorali dell’anagrafe unica dei cittadini italiani all’estero.
Le firme devono essere autenticate da un notaio o da un giudice di pace o da un cancelliere del tribunale o della Corte D’Appello nella cui circoscrizione è compreso il comune dove è iscritto, nelle liste elettorali, l’elettore la cui firma è autenticata dal segretario di detto comune. Per i cittadini elettori residenti all’estero l’autenticazione è fatta dal console d’Italia competente. L’autenticazione deve recare la indicazione della data in cui avviene e può
essere anche collettiva, foglio per foglio; in questo caso, oltre alla data, deve indicare il numero di firme contenute nel foglio.
Chi fosse impedito di apporre la firma potrà limitarsi ad esprimere la sua volontà davanti al pubblico ufficiale il quale ne darà atto sul foglio; cosa analoga farà il pubblico ufficiale per l’elettore analfabeta (art. 8).
Alla richiesta di referendum debbono essere allegati i certificati, anche collettivi, dei sindaci dei singoli comuni, ai quali appartengono i sottoscrittori, che ne attestano la iscrizione nelle liste elettorali dei comini medesimi ovvero, per i cittadini italiani residenti all’estero, la loro iscrizione nell’elenco dei cittadini italiani residenti all’ estero di cui alla legge in materia di esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero, I sindaci debbono rilasciare tali certificati entro 48 ore dalla relativa richiesta (art 8).
I fogli contenenti le firme autenticate, insieme con i certificati elettorali (singoli o collettivi) dei sottoscrittori, devono essere depositati presso la cancelleria della Corte di Cassazione. Il deposito deve essere effettuato da almeno tre membri del comitato dei promotori, i quali dichiarano al cancelliere il numero delle firme che appoggiano la richiesta (art 9). Tale deposito deve avvenire entro tre mesi dalla data del timbro apposto sui fogli medesimi dal pubblico ufficiale che li aveva vidimati (art 28).
Quando la richiesta proviene da cinque consigli regionali, il consiglio regionale che intende
assumere l’iniziativa deve adottare apposita deliberazione (art 10, 1° comma).
La deliberazione di richiedere referendum deve essere approvata dal consiglio regionale con il voto della maggioranza dei consiglieri assegnati alla regione, e deve contenere l’indicazione della legge costituzionale nei confronti della quale si vuole promuovere il referendum indicando la legge di revisione della Costituzione o della legge costituzionale che si intende sottoporre alla votazione popolare, e deve altresì citare la data della sua approvazione finale da parte delle Camere, la data e il numero della Gazzetta Ufficiale nella quale è stata pubblicata (art. 10,1° comma e art 4.).
Quando abbia approvato tale deliberazione, il consiglio stesso procede alla designazione tra i suoi membri di un delegato effettivo e di uno supplente (art. 10, 3° comma).
Tali deliberazioni sono comunicate, a cura della segreteria del consiglio che per primo le ha approvate, ai consigli regionali di tutte le altre regioni della Repubblica, con l’invito, ove adottino uguale deliberazione, a darne notizia al consiglio che ha preso l’iniziativa, perché vi dia seguito(art10, 4° comma).
Le segreterie dei consigli regionali che abbiano adottato tale deliberazione e abbiano nominato i propri delegati ne danno comunicazione alla segreteria del consiglio che ha preso l’iniziativa perché vi sia dato seguito (art 10, 5°comma). I delegati di non meno di cinque consigli regionali, che abbiano approvato identica
deliberazione, redigono o sottoscrivono l’atto di richiesta, e lo presentano personalmente, entro tre mesi dalla pubblicazione della legge costituzionale approvata in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, alla cancelleria della Corte di cassazione, unitamente alle copie autentiche delle deliberazioni di richiesta di referendum e di nomina di delegati approvate da ciascun consiglio regionale (art 11, 1° comma e art 3). Del deposito si dà atto in un processo verbale che viene redatto in sei o più originali, in modo che un originale possa essere consegnato al delegato di ciascun consiglio regionale (art 11, 2° comma).
Infine, quando la richiesta proviene da un numero non inferiore ad un quinto dei membri di una Camera, la legge stabilisce che le sottoscrizioni dei richiedenti siano autenticate dalla segreteria della camera cui appartengono, la quale attesta al tempo stesso che essi sono parlamentari in carica. Non è necessaria alcuna altra documentazione (art 6, 1°comma). Alla richiesta deve accompagnarsi la designazione di tre delegati, scelti tra i richiedenti, a cura dei quali la richiesta è depositata presso la cancelleria della Corte di Cassazione (art. 6, 2°comma),
Del deposito, a cura del cancelliere, si dà atto mediante processo verbale, facente fede del giorno e dell’ora in cui il deposito è avvenuto e contenente dichiarazione o elezione di domicilio in Roma da parte dei presentatori (art. 6,
3°comma); il verbale è redatto in duplice originale, con la sottoscrizione dei presentatori e del cancelliere, un originale è allegato alla richiesta, l’altro viene consegnato ai presentatori a prova dell’avvenuto deposito (art 6, 4° comma).
La richiesta di referendum che provenga da almeno cinquecentomila elettori o da cinque consigli regionali o da un quinto dei membri di una Camera dovrà,quindi,essere depositata presso un Ufficio apposito presso la Corte di Cassazione che avrà il compito di verificare che la richiesta sia conforme alle norme dell’art 138 della Costituzione e della legge n. 352/1970.