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La plasticità cerebrale è attiva tutta la vita:

Oggi la maggior parte delle informazioni provenienti dai differenti campi della ricerca, dalla biologia molecolare alle tecniche di neuroimaging, hanno sostanzialmente cambiato la concezione di come il cervello si modifica nel corso della vita.

Precedentemente infatti, sviluppo e invecchiamento erano considerati due processi distinti: il primo, dalla nascita alla maturità, caratterizzato dall’acquisizione e dal consolidamento di abilità specifiche e associato ad un alto grado di flessibilità neuronale; il secondo invece considerato un declino irreversibile, sia delle nuove che delle vecchie conoscenze acquisite.

Ma è ormai ampiamente accettato che lo sviluppo e l’invecchiamento evolvono e si influenzano a vicenda durante tutto l’arco della vita, in modo non necessariamnete lineare: esiste quindi un continuo processo di plasticità funzionale, che procede a ritmi diversi ( Denes 2016 ). La genetica sì, stabilisce le connessioni cerebrali iniziali del soggetto appena formatosi, ma questa plasticità inizia a dare i suoi primi effetti circa a partire dal settimo mese di sviluppo del feto, quando i sensi che si stanno sviluppando cominciano a ricevere informazioni.

Causa la scarsa qualità delle informazioni, i limiti del soggetto ad interagire con l’ambiente dell’utero e gli organi di senso ancora poco sviluppati, il risultato è l’insorgere di una mappatura cerebrale molto “rozza” e “disorganizzata”. Tutta quella serie di dettagliate connessioni che caratterizzano ogni persona, sono lontane anche solo dall’essere abbozzate, ne consegue un meccanismo del cervello molto rumoroso ed impreciso. Questo può spiegare il fatto di non poter ricordare la maggior parte delle cose successe durante la prima infanzia, la causa è l’alto livello di “rumore” e “caos” in cui il cervello ancora in formazione è sottoposto.

Negli anni le ricerche hanno documentato tutta una serie di caratteristiche presenti nei cervelli più giovani, quasi tutte hanno limiti prestazionali, quasi ogni aspetto della loro neurologia non è raffinato. I processi cerebrali sono lenti e il cervello può solo ricostruire grossolanamente i dettagli di ciò che il bambino può vedere, sentire o annusare. Man mano che le connessioni tra sensi e sistema nervoso vengono modificate queste diventano più raffinate nelle loro operazioni, fornendo così informazioni di qualità migliore alle regioni cerebrali superiori che le alimentano. Questo permette quella che può essere definita come una “maturazione” del cervello ( Merzenich 2013 ), che richiede normalmente dai 15 ai 25 anni per raggiungere il suo picco. Questa maturazione si verifica nella corteccia cerebrale, che è la struttura responsabile della maggior parte dei processi di ricordo, ragionamento, previsione, pianificazione e pensiero. Interessante notare come questa maturità, sia estremamente lunga nelle specie umana. A differenza di molti altri animali, questo è da ricondurre probabilmente all’estrema complessità del nostro cervello e alla quantità di abilità sociali che negli anni si sono accumulate.

It is very easy to change the speed at which individuai brains grow up. In experiments, we have arrested brain development for the listening brain almost completely, for example, by never allowing a baby rat to hear any sounds without also hearing moderately loud hissing noises. The development of refined processes of the brain-those several thousand attributes that we associate with its “maturation”-are nipped in the bud by just never allowing that growing rat to hear clear (noiseless) sounds as they advance toward physical adulthood. Put another way, without normal hearing experiences, none of these neurological processes advance in the hearing brain in the normal way because progress is critically dependent upon and controlled by plastic changes driven by that animal’ s ( or human’ s) listening history. Such a rat, impoverished for meaningful sounds, has the physical body of an adult, but their auditory brain still looks very much like the ill-formed, chaotic brain of a baby!

Mike Merzenich. ( 2013 ) Soft-Wired p.41

In questo passo Merzenich attraverso esperimenti condotti sui topi, dimostra come sia possibile variariare lo sviluppo del cervello a seconda degli stimoli indotti: come la sua attivazione non è necessariamente riconducibile all’età, ma dipende da un insieme di condizioni.

Infatti oltre che rallentare la maturazione è anche possibile accelerarla in qualsiasi età della vita ( Merzenich 2013 ). Esistono condizioni di sviluppo favorevoli, in cui il cervello umano lavora con precisione, affidabilità ed efficacia, questo avviene in genere, in media, nella terza decade di vita come già accennato. Ma questa maturazione caratterizzata da un numero incalcolabile di processi cellulari, molecolari, chimici e strutturali sono in realtà un semplice risultato di una plasticità oltre che funzionale reversibile.

Queste scoperte sono state possibili grazie alla messa a confronto delle strutture cerebrali di diverse fasi della vita, in particolare quelle tra gli animali vicini alla conclusione del loro ciclo vitale quelli nelle condizioni più favorevoli. Il risultato di questo confronto, tra il degrado di un cervello prossimo alla morte e quello di uno appena sviluppatosi, ha mostrato molte similitudini. Il pessimo stato strutturarale, chimico è pressoche lo stesso; e come descritto negli studi di Merzenich, questo processo è influenzabile meccanicamente, con il controllo dei fattori di apprendimento esterni. Si può dire che il cervello passa da una condizione “rumorosa”, imprecisa e caotica, a una raffinata , raggiungendo il suo picco nelle seguenti 5-6 decadi di vita, per poi tornare più o meno rapidamente alla condizione di caos iniziale. Lungo questo percorso che Merzenich chiama The Human Roller Coaster sono presenti molti picchi e cali di abilità, causati dai processi di plasticità reversibile, che potenziano o degradano le capacità del soggetto di giorno in giorno.

BODYBRAIN_Cognitive Based Fitness Station / Target di Riferimento

Nonostante presenza della plasticità cerebrale nell’arco di tutta la vita del soggetto, ci sono fasi che sono comunque più o meno predisposte a favorire il cambiamento del sistema nervoso e l’accumolo delle informazioni. È comune l’idea che esista un “perido critico”, limitato in genere nei primi anni di vita, nel quale il sistema nervoso possiede un elevato grado di acquisizione di nuove informazioni e di sviluppo di specifiche funzioni.

Tale periodo è considerato “critico” poiché è durante tale intervallo temporale, che la presenza o l’assenza di stimoli può portare a modifiche irreversibili del comportamento o supplire agli effetti di un danno cerebrale.

In seguito al contatto con l’ambiente si determina una modificazione dell’organizzazione anatomo- funzionale del sistema nervoso che comprende due aspetti: un primo, condiviso da tutti i membri di una singola specie e presente solo nell’immediato periodo postnatale e che riguarda l’incorporazione e l’elaborazione di informazioni presenti in ogni ambiente, quali ad esempio gli elementi di base relativi alla percezione (Greenough, Black e Wallace 1987).

Tale processo determina una modificazione delle connessioni sinaptiche presenti alla nascita, attraverso un processo di “potatura” o riduzione delle connessioni interemisferiche, sovrabbondanti alla nascita, così da ottenere una maggiore precisione nella connettività. Il secondo aspetto della plasticità, attivo in tutto l’arco vita riguarda l’analisi e l’elaborazione di informazioni che richiedono un apprendimento specifico e che, a livello neuronale, comporta la formazione di nuove connessioni sinaptiche, in risposta agli eventi legati allo specifico tipo di informazione (sinaptogenesi).

Alcuni ricercatori interpretano il periodo critico come l’ apertura di una finestra, per cui l’esperienza incide sullo svi luppo solo quando la finestra è aperta (Bateson 1979); considerazioni simili anche da parte di Merzenich con il concetto dello switch on/off.

L’influenza del periodo critico è attivo soprattutto quando avviene l’elaborazione di stimoli provenienti da differenti modalità sensoriali, dalla vista all’udito, al tatto, all’olfatto. Apertura e chiusura del periodo critico dipendono da fattori diversi, quali le caratteristiche dello stimolo, il tipo di esperienza, la presenza di fattori attenzionali e motivazionali (Levelt, Hiibener, 2012).

Analogamente, la lunghezza del periodo critico varia secondo le specie e i sistemi, così come la sua con clusione, rapida o graduale. Tra le fonti da cui si sono ricavati i dati utili alla comprensione dei processi sottostanti il periodo critico: gli effetti della deprivazione sensoriale e la specifica capacità del cervello di compensare, durante lo sviluppo, gli effetti delle lesioni.

La deprivazione monoculare su un gatto durante il periodo critico porta a una perdita permanente di risposta a stimoli inviati all’occhio; oppure allevare gli animali al buio nei primi mesi di vita sposta il periodo in cui la dominanza oculare si stabilizza. Nell’adulto, invece, la soppressione temporanea della visione in un occhio non produce alcun effetto a livello corticale, a prova che l’organizzazione del sistema visivo è stata programmata nei primi mesi di vita. Un quadro analogo è presente anche nella specie umana: i neonati, in contatto visivo con altre persone, sviluppano rapidamente un sistema di riconoscimento facciale, basato probabilmente sulle proprietà di un sistema più generale di elaborazione visivo-percettiva.

Tuttavia se, per vizi di rifrazione o strabismo, i soggetti non possono elaborare correttamente gli stimoli visivi durante l’infanzia, ne deriva, nell’età adulta, un deficit visivo, anche se esso è stato corretto (Ganguly, Poo, 2013).

Risultati analoghi sono stati riscontrati all’esame di altri sistemi, ad esempio di quello motorio: le mappe motorie già presenti alla nascita si “raffinano” durante il periodo critico, permettendo una sempre mag gior precisione del movimento, in maniera analoga a quanto avviene per il sistema visivo (Anderson 2010). L’esempio più rilevante dell’importanza del periodo critico nella spe cie umana si osserva nella modalità uditiva: i neonati, alla nascita citta dini del mondo, sviluppano nei successivi mesi la capacità di elaborare solo i contrasti fonemici tipici della lingua materna (Wer- ker, Tees, 1984). L’esposizione a una seconda lingua in un’età più adulta rende difficile o talora

Il Periodo Critico:

Grafico che mostra le due opzioni ( a e b ) di variazioni morfofunzionali del cervello e funzioni cognitive durante l’arco della vita. Fonte: Gianfranco Denes, Plasticità Cerebrale, pag.62.

impossibile la percezione dei contrasti fonemi ci presenti in quest’ultima: la percezione del contrasto fonemico /r/, “naturale” per i nativi italiani o anglofoni, è in pratica impossibile per soggetti giapponesi, nella cui lingua tale contrasto non assume valore linguistico. nei soggetti sordi preverbali sottoposti a impianto cocleare le capacità di discriminazione fonetica sono inversamente proporzionali all’età dell’impianto. In una prospettiva più ampia, si può concludere che il periodo critico può portare a effetti diversi, sia positivi sia negativi, legati all’influenza di fattori genetici di esperienza. Se da un lato, la crescita in un ambien te povero di stimoli determina un ritardo dello sviluppo intellettivo e linguistico (bambini senza danni cerebrali, ma istituzionalizzati), il pas saggio a un ambiente culturalmente ricco, prima dell’età di 2 anni, può invertire la tendenza verso un normale sviluppo.

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Sviluppo Invecchiame nto Sviluppoed

evoluzioneduran

tel’arcodella vita

Età ( in anni )

BODYBRAIN_Cognitive Based Fitness Station / Target di Riferimento

Oggi non esiste una definizione unanime per definire l’ invecchiamen to: anche se è esperienza comune etichettare una persona come gio vane o vecchia poichè, è difficile definire una distinzione netta. Prima secondo le Nazioni Unite, si raggiungeva la vecchiaia a 60 anni, un’ età che, almeno fino a pochi anni fa, coincideva con il pensionamento. Ma ora la scienza geriadrica ha alzato l’asticella a 75 anni. Ovviamente tale criterio può essere applicato solo agli abitanti del mondo occidentale; in Africa, ad esempio, vec chie sono considerate le persone oltre i 50 anni, con ulteriori variazioni secondo la regione.

D’altra parte, nelle società industrializzate l’innalza mento della vita media ha spostato l’età del pensionamento oltre i 60 anni, rendendo ancora più difficile definire il limite della vecchiaia. In una prospettiva strettamente cronologica, le persone anziane pos sono essere divise in tre classi: anziani “giovani” (60-74 anni), anziani (75-90), grandi anziani (>90). Un’ulteriore suddivisione, quella della “mezza età’’, che comprende la fascia di popolazione fra i 45 e i 60 anni, ha contribuito ancora di più a tracciare un confine indefinito fra le varie età della vita. In mancanza quindi di un criterio uniformemente condi viso, la definizione d’invecchiamento coincide in molti casi con il grado di funzionalità lavorativa. Oltre a ciò, può essere visto come espressione di diversi fat- tori (genetici, biologici e ambientali) che colpiscono, seppure con grandi differenze, tutti i sistemi biologici, compreso quello cognitivo. Nono stante il crescente numero di studi rivolti a comprendere i diversi aspetti dell’invecchiamento “normale” e i suoi rapporti con quello patologico, i risultati fin qui ottenuti per definirne la natura e le dimensioni sono tuttavia lontani dall’ offrire una risposta chiara. Il primo problema consiste nel distinguere i fattori che caratterizzano il normale processo d’invecchiamento da quello patologico, legato all’insorgenza di una patologia cerebrale, in primis le