3.3 Le ipotesi problematiche: la posizione del rappresentante legale nel procedimento a carico della persona fisica
3.3.3 La posizione del rappresentante legale cessato dall’incarico
Il decreto non individua alcuna causa di incompatibilità in capo al rappresentante che fosse tale al tempus commissi delicti, ma che non abbia mantenuto tale qualifica anche nel procedimento a carico dell’ente.
Visto il tenore letterale della disposizione, pare che questi sia suscettibile di ricoprire l’ufficio di testimone: conclusione, questa, imposta tanto dalla littera legis, quanto dall’impossibilità di percorrere la via di un’interpretazione sistematica tesa a valorizzare profili di sostanziale sovrapponibilità del rappresentante cessato dall’incarico a quello attuale: per il primo, infatti, non soccorre l’attualità dell’immedesimazione organica con l’ente141.
Ad ogni modo, egli sarà tutelato dallo statuto del secondo comma dell’articolo 198 c.p.p., che appresta anche per il testimone una embrionale tutela del diritto al silenzio, stabilendo che egli non può essere obbligato a deporre sui fatti dai quali può emergere la sua responsabilità penale142.
Pur stando così le cose per la maggior parte degli interpreti, si deve dare atto di una minoranza che si colloca su una posizione opposta. Si è sostenuto, ad esempio, che una più attenta lettura della ratio legis impone la diversa conclusione della incompatibilità a testimoniare o comunque della necessità di
l’ente e si voglia sentire come testimone il rappresentante legale attuale e dell’epoca di uno solo fra i vari reati presupposto.
141 Sul punto, BASSI, Il giudizio ordinario, in AA. VV., Enti e responsabilità da reato, a cura di
BASSI e EPIDENDIO, Giuffrè, 2006, p. 659. Si specifica che l’incompatibilità sussisterà, comunque, in tutte le ipotesi in cui il vecchio rappresentante sia indagato o imputato del reato presupposto.
Medesima conclusione anche per FIDELBO, Testimonianza: casi di incompatibilità, in AA. VV., Reati e responsabilità degli enti, a cura di LATTANZI, Giuffrè, 2010, p. 497. Sembra aderire alla tesi anche VARRASO, Il procedimento per gli illeciti amministrativi dipendenti
da reato, Giuffrè, 2012, p. 383. L’Autore richiama, sul punto, le considerazioni di P. IELO, Sub art. 44, in AA. VV., Codice di procedura penale, a cura di TRANCHINA, Giuffrè, 2012,
p. 6122.
142 S.CHIMICHI, Le prove dichiarative nel procedimento penale contro gli enti, in Dir. pen. e
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utilizzare uno statuto più garantistico rispetto a quello previsto per la testimonianza in generale. Tale posizione prende le mosse dalla costatazione che per il rappresentante legale del tempus commissi delicti sussiste sempre un pericolo di autoincriminazione derivante dalla posizione che egli rivestiva quando il reato fu commesso. Di fronte ad un’effettiva carenza organizzativa dell’ente, il soggetto, sottoposto all’obbligo di verità, avrebbe due possibilità: mentire oppure riconoscere un deficit organizzativo che egli stesso avrebbe dovuto eliminare143.
Ancora più criticamente, potrebbe profilarsi la possibilità di un’autoincriminazione con riferimento all’eventuale concorso del rappresentante cessato nel reato presupposto laddove il suo coinvolgimento non sia ancora emerso.
Si prospetta, pertanto, una soluzione correttiva, volta all’estensione dell’articolo 44 del decreto anche al cessato, o comunque all’utilizzo del più garantistico statuto della testimonianza assistita ex art. 197-bis c.p.p.144
La soluzione delineata incontra tuttavia un limite probabilmente invalicabile nel carattere di eccezionalità che connota le norme di esclusione dell’obbligo testimoniale. In assenza di una opzione legislativa di diverso avviso sul punto e nell’impossibilità di assimilare tale situazione a quelle previste dall’articolo 197 c.p.p., che sarebbe applicabile ex art. 34 del decreto, sembra preferibile l’accoglimento della tesi che vede il rappresentante cessato come un mero testimone, comunque garantito dalla disciplina dell’articolo 198 comma 2 c.p.p.
143 Così, SANTORIELLO, La prova testimoniale nel processo alle società, in Resp. Amm. Soc.,
f2, 2006, p. 91, il quale lamenta una lesione del principio del nemo tenetur se detegere.
144 Ancora, SANTORIELLO, La prova testimoniale nel processo alle società, in Resp. Amm.
Soc., f2, 2006. Rileva una possibile lesione del diritto a non autoincriminarsi e prospetta un’interpretazione estensiva dell’art. 44 anche DIDDI, Il regime dell’incompatibilità a
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Pur non dubitando della correttezza di questa conclusione, non si può fare a meno di chiedersi se la norma appena richiamata sia sufficiente ad apprestare una tutela effettiva contro il rischio di autoincriminazione del dichiarante. La deposizione testimoniale si svolge, secondo le regole generali, senza l’assistenza di un difensore. Il motivo è intuibile: il testimone è un soggetto tendenzialmente estraneo ai fatti. L’evenienza di un suo coinvolgimento nella vicenda penale, e, quindi, il rischio di una sua autoincriminazione, sono alquanto improbabili. Improbabili ma non impossibili; pertanto l’articolo 198 comma 2 c.p.p. individua un’ipotesi di diritto al silenzio a tutela del testimone e ciò è sufficiente ad onorare il principio, immanente nel nostro ordinamento processuale penale, per cui nemo tenetur se detegere.
Almeno da un punto di vista fattuale, la posizione del rappresentante legale cessato dall’incarico non è perfettamente sovrapponibile a quella di un qualunque testimone. La circostanza del suo inserimento (fra l’altro a livello apicale) nell’organizzazione aziendale al momento della commissione del reato è spia di una sua tutt’altro che improbabile implicazione nella “faccenda” illecita. Senza l’ausilio del difensore, il precedente rappresentante legale che non riesca, da solo, a comprendere la pertinenza di una domanda a lui rivolta a un possibile fatto proprio o la potenziale capacità autoaccusatoria di una sua risposta e non si avvalga, quindi, della tutela fornita dall’articolo 198 comma 2 c.p.p., rischia di autoincriminarsi molto più di quanto non rischi un normale testimone. La situazione si fa ancor più problematica se si tiene conto del fatto che la probabilità che si richieda la sua audizione nel corso del dibattimento è molto elevata, dal momento che trattasi di un soggetto che, come sottolineato, ricopriva nell’impresa una posizione di vertice al tempus commissi delicti. È plausibile, quindi, che nel procedimento non si rinunci al suo contributo.
Queste perplessità, che non vanno sottaciute, non sono, tuttavia, sufficienti a vincere il tenore normativo dell’attuale disciplina, pena, come si è detto,
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l’applicazione analogica delle norme eccezionali in materia di incapacità a testimoniare. Ci si potrebbe, semmai, attendere un intervento legislativo sul punto.
3.4 Le modalità di acquisizione del contributo del rappresentante