• Non ci sono risultati.

La posizione del destinatario del provvedimento di archiviazione o di proscioglimento alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione e

della Corte costituzionale

103 Si vedrà a breve, tuttavia, come a seguito di due pronunce della Corte Costituzionale, l’una

del 2006, l’altra del 2017, l’obbligo di corroboration non sussista in relazione alle dichiarazioni rese dai destinatari di una sentenza definitiva di proscioglimento per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste.

48

Negli ultimi anni, alcune sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione hanno introdotto, in tema di incompatibilità con il regime di testimonianza ordinario, importanti modifiche e nuove prospettive ermeneutiche.

Dalle decisioni in commento emerge un orientamento incline ad attenuare la rigidità del regime che caratterizzava le deposizioni di alcuni soggetti coinvolti in vicende giudiziarie in qualche modo legate a quella trattata nella sede nella quale si procede.

Ciò, naturalmente, non può che generare dei riflessi anche sulla posizione dell’imputato nel reato presupposto che sia destinatario di uno dei provvedimenti presi in considerazione dalle succitate sentenze.

Nel 2006 la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 381, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 197-bis, commi 3 e 6 c.p.p., nella parte in cui si prevede, rispettivamente, la necessaria assistenza del difensore e l’obbligo, per il giudice, di valutare le dichiarazioni rilasciate corroborandole con ulteriori elementi di prova che ne attestino l’attendibilità, ai sensi dell’articolo 192, comma 3 c.p.p., in caso di deposizione testimoniale resa dalle persone indicate nel comma 1 della norma censurata nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento per non aver commesso il fatto. Nella decisione si evidenzia l’irragionevolezza della perpetuazione, anche a seguito di un giudicato di assoluzione con formula piena, di un regime normativo non più giustificabile alla luce della dichiarazione di estraneità del soggetto rispetto al fatto. Quanto al comma 6 dell’articolo 197-bis c.p.p., esso sarebbe lesivo del principio di uguaglianza nella misura in cui genera una «compromissione del valore probatorio» delle dichiarazioni di un soggetto che, definitivamente giudicato estraneo al fatto di reato, dovrebbe considerarsi di pari attendibilità rispetto a qualunque altro testimone. In relazione al comma 3 del medesimo articolo, la Corte reputa priva di giustificazione, e ancora una volta

49

lesiva del principio di uguaglianza, la necessaria assistenza del difensore per l’audizione di un soggetto non più esposto al rischio di se detegere. Con questa pronuncia, dunque, la Corte riavvicina l’attuale regime dell’incompatibilità a testimoniare a quello risalente alla prima versione del codice del 1988, che prevedeva che il sopraggiungere di una sentenza di proscioglimento passata in giudicato comportasse la possibilità dell’assoggettamento alla testimonianza. Sullo stesso solco si inserisce una sentenza recentissima (sent. n. 21 del 2017), ancora una volta della Corte Costituzionale. Si tratta di una pronuncia “gemella” rispetto a quella del 2006 (di cui non a caso si ripercorrono le argomentazioni) nella quale si dichiara l’incostituzionalità dell’articolo 197-bis, commi 3 e 6, nella parte in cui non se ne esclude l’applicazione ai soggetti prosciolti con sentenza definitiva perché il fatto non sussiste. Le motivazioni poste alla base della declaratoria di illegittimità sono essenzialmente le stesse della precedente pronuncia del 2006. Anche l’assoluzione perché il fatto non sussiste accerta «l’assoluta indifferenza [del soggetto] rispetto alla vicenda oggetto di giudizio». Si badi, comunque, che in nessuna delle due sentenze di cui si discorre l’illegittimità è stata estesa al comma 5 dell’articolo 197-bis, con la conseguenza che le dichiarazioni rese durante lo svolgimento della testimonianza non sono comunque utilizzabili nei confronti del loro autore in un eventuale giudizio civile o amministrativo relativo ai fatti oggetto delle sentenze che ne hanno sancito il proscioglimento.

La compatibilità dell’articolo 197-bis con il procedimento penale a carico dell’ente comporta che anche in tale sede le due sentenze costituzionali del 2006 e del 2017 riversino i loro effetti, con la fondamentale conseguenza che il giudice non sarà tenuto a valutare insieme con ulteriori elementi di prova le eventuali dichiarazioni del soggetto che, imputato nel reato presupposto, sia poi prosciolto per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste. Questa evenienza, comunque, non produce problemi di particolare rilievo. Si è detto, infatti, che la

50

sopravvenienza del giudicato attenua, o addirittura elide, quell’immanente conflitto di interessi che caratterizza la posizione dell’imputato nel reato presupposto rispetto a quella dell’ente.

Molto più penetranti, invece, le conseguenze della sentenza n. 12067 del 2010 con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che la limitazione della capacità di testimoniare, di cui agli articoli 197, 197-bis e 210 c.p.p., non si applica al soggetto destinatario di un provvedimento di archiviazione104.

La pronuncia perviene a questo risultato sulla base di argomenti tanto letterali quanto sostanziali. Anzitutto, la Suprema Corte evidenzia che l’articolo 197 c.p.p. si rivolge al solo imputato, e tale non è mai stato il destinatario di un provvedimento di archiviazione. Non può neppure richiamarsi l’articolo 61 c.p.p., che estende all’indagato le disposizioni previste per l’imputato, poiché la stessa qualifica di indagato viene a perdersi laddove vi sia un’archiviazione. A livello sostanziale, poi, «l’adozione e l’approvazione di iniziative esattamente antitetiche all’esercizio dell’azione penale», e dunque la cessazione «di ogni “immanenza” procedimentale» nei confronti del soggetto, comporta il venir meno delle esigenze difensive dello stesso. Quanto al problema della caducità del provvedimento di archiviazione, suscettibile di “cadere” ogni qual volta il pubblico ministero prospetti al giudice l’esigenza di nuove investigazioni ai sensi dell’articolo 414 c.p.p., nella sentenza si osserva che l’eventualità della riapertura delle indagini è probabilisticamente equiparabile, se non inferiore, all’evenienza di un’indagine condotta ex novo a carico di un soggetto qualunque.

104 Stando al testo della sentenza, qualunque fosse il grado di connessione che collegava il suo

procedimento a quello nel quale deve effettuarsi la deposizione e non soltanto con riferimento alle ipotesi di connessione ai sensi dell’art. 12 lett. c) c.p.p. e di collegamento ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p., come pure si è sostenuto. Vedi, ad esempio, CAPITTA, La qualifica processuale del dichiarante dopo il provvedimento di archiviazione: itinerari giurisprudenziali, in Dir. pen. cont., 2011.

51

Alla luce di queste osservazioni, il destinatario di un provvedimento di archiviazione non rientrerebbe nelle categorie indicate dall’articolo 197 c.p.p.: il suo contributo conoscitivo, pertanto, dovrebbe assumersi secondo le ordinarie regole in materia di testimonianza, fra le quali centrale importanza rivestirebbe, a questo punto, quella sancita dall’articolo 198, comma 2 c.p.p. Tale norma tutela la persona sottoposta all’audizione in ogni caso in cui l’osservanza dell’obbligo di dire la verità possa far emergere la sua responsabilità penale ed è quindi uno “strumento” prezioso per il soggetto che sia ascoltato su fatti nei quali egli potrebbe essere coinvolto. Il provvedimento di archiviazione, infatti, non contiene alcun accertamento in termini negativi sulla responsabilità del soggetto e potrebbe essere motivato105 da una mera insufficienza degli elementi raccolti dal pubblico ministero a sostenere l’accusa in giudizio, ai sensi dell’articolo 25 d.lgs. n. 271 del 1989.

L’applicazione dei principi contenuti nella sentenza di cui si discute, pertanto, potrebbe generare qualche criticità, in quanto rischia di far emergere, dall’audizione del soggetto nei cui confronti il procedimento si è “chiuso” proprio quegli elementi che il pubblico ministero non era stato in grado di rinvenire quando costui era tutelato dal diritto di tacere. Da qui il rilievo particolare dell’articolo 198, comma 2 c.p.p.

Proiettata nel procedimento de societate, la disciplina risultante dall’arresto delle Sezioni Unite genera perplessità ulteriori dal momento che essa escluderebbe l’applicazione della peculiare disciplina valutativa di cui all’articolo 192, comma 3 c.p.p. Prima della sentenza del 2009, cioè, le dichiarazioni rese nel procedimento a carico dell’ente dall’indagato nel reato presupposto che fosse

105 Si procede con l’archiviazione anche nei casi in cui: manca una condizione di procedibilità,

il reato è estinto, il fatto non è previsto dalla legge come reato, l’autore del reato è rimasto ignoto, il fatto è di particolare tenuità offensiva (art. 411 c.p.p.).

52

stato destinatario di un provvedimento di archiviazione avrebbero dovuto essere valutate insieme ad altri elementi di prova che ne confermassero l’attendibilità. Un’eventuale adesione, da parte dei giudici di merito, ai principi enucleati dalla Corte di Cassazione rispetto al venir meno dell’obbligo di corroboration susciterebbe forti perplessità. Si è visto che l’autore del reato presupposto si trova in una posizione di conflitto d’interessi con l’ente e che, pertanto, potrebbe essere indotto a rilasciare dichiarazioni volte a far emergere la sua responsabilità. La possibilità di una riapertura delle indagini, insieme con l’assenza delle garanzie di inutilizzabilità delle dichiarazioni autoaccusatorie sancite dal comma 5 dell’articolo 197-bis c.p.p., rende ancora più elevato il rischio che le dichiarazioni del soggetto si sostanzino in una ricostruzione dei fatti artatamente accentuativa dei profili di responsabilità dell’ente, soprattutto laddove il soggetto collettivo abbia a sua volta fondato la sua difesa sull’affermazione della responsabilità della persona fisica (argomentando sul mancato interesse o vantaggio dell’ente all’operazione o sull’aggiramento fraudolento del modello organizzativo). L’utilizzo del modello valutativo di cui all’articolo 192, comma 3 c.p.p. obbligherebbe il giudice, quanto meno, a rinvenire elementi ulteriori su cui fondare un’eventuale affermazione di colpevolezza rispetto alla mera dichiarazione di un soggetto che, evidentemente, potrebbe non essere terzo rispetto all’esito del procedimento nel quale si pretende la sua collaborazione.

2.6 Le modalità di audizione del soggetto incompatibile e il problema dei

Outline

Documenti correlati