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La rappresentazione della cittadinanza giovanile in Campania

Il retroterra culturale e normativo, da cui muove il welfare campano ed il framework delle politiche giovanili regionali, si contestualizza in alcune leggi dello Stato45 italiano. Queste assegnano agli Enti locali specifiche funzioni e competenze per realizzare le policy e sostanziare la cittadinanza, perseguendo i principi dell’autonomia amministrativa, della sussidiarietà e del decentramento politico.

La prospettiva del decentramento politico e dell’autonomia dei Settori pubblici, che impiega gli EE.LL. a gestire ed a organizzare i servizi e le offerte politiche territoriali nonché a sperimentare i raccordi e i modelli di governance condivisi con la società civile, lasciano presagire che gran parte delle amministrazioni locali italiane affidano ai singoli campi di policy ampi margini di sperimentazione politica e di trasversalità nella realizzazione dei diritti dei giovani.

Con l’approfondimento delle normative regionali inerenti la costituzione del Settore Politiche giovanili (L.R. 14/1989), l’area di coordinamento amministrativo in cui il Settore è incluso (L.R. 11/1991) e il relativo Sistema Informativo Regionale rivolto ai giovani del territorio (L.R. 14/2000), è possibile ricostruire il framework delle youth policy regionali quale rappresentazione della cittadinanza dei giovani. Quest’ultima, come discusso nelle precedenti pagine (cfr. Tab.6: 55), è rinvenibile nel welfare misto. In questo modello di Stato sociale, le istituzioni locali riconoscono i diritti a tutti gli individui presenti sul territorio prevedendo specifici interventi economici per i gruppi sociali più marginalizzati. Pertanto, l’orientamento assunto dalle policy è sia di tipo promozionale che preventivo, col fine di garantire la competizione economica tra le diverse classi sociali, l’equa diffusione delle risorse culturali, economiche e sociali ed il sostegno ai gruppi ritenuti privi di opportunità. Nello specifico delle youth policy, i giovani sono percepiti come una risorsa per lo sviluppo della società e delle comunità locali e sono identificati nella coorte d’età compresa tra i 13/15 e i 25 anni. La soddisfazione dei bisogni giovanili, caratterizzati principalmente dalla necessità di transitare alla vita adulta, vede le amministrazioni locali dotarsi di uno specifico Settore di riferimento che propone Piani d’intervento e attività territoriali. Le priorità dei Piani sono definite con l’ausilio di modelli di governance inter-istituzionale e di raccordo territoriale, i cui attori principali sono gli EE.LL. e le organizzazioni della società civile. Con queste ultime è auspicata la partecipazione diretta dei giovani, attraverso l’associazionismo, le consulte, i Parlamenti giovanili e i Forum della Gioventù, per innescare processi di responsabilizzazione, di professionalizzazione e di inclusione dei giovani alle fasi ideative ed implementative delle politiche a loro rivolte.

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Se tale è l’orientamento normativo ed organizzativo su cui è struttura la cittadinanza giovanile della Campania è necessario verificare quanto, alla luce degli indirizzi europei, le ricadute abbiano inciso sul framework regionale e provinciale.

Dalle variabili utilizzate per descrivere l’organizzazione complessiva delle youth policy, emerge che la Regione Campania ha avviato le attività in materia giovanile, attraverso il Settore di competenza, a partire dalla fine degli anni ’80. I dirigenti dei Settori provinciali intervistati, pur riconoscendo l’importanza dell’amministrazione regionale nel coordinare le attività territoriali, ritengono che il

campo delle politiche giovanili sia un ambito amministrativo relativamente nuovo se confrontato con

i settori d’intervento tradizionali. Infatti, inizialmente erano i comuni gli attori principali attraverso cui svolgere le attività rivolte ai giovani, anche se questi muovevano da una prospettiva strettamente preventiva, focalizzata alla riduzione del rischio e del disagio giovanile che veniva declinato con l’uso delle droghe, dell’alcol e del contenimento delle devianze (D.P.R. 309/1990, L. 216/1991). Tra l’altro, i progetti soffrivano della disarticolazione tra gli ambiti amministrativi e non era prevista la partecipazione dei giovani all’ideazione e alla realizzazione delle politiche territoriali.

Solo alla fine degli anni ‘90, con la legge 285/1997, che introduce una prassi innovativa per la pianificazione integrata tra i settori amministrativi e la partecipazione sociale ai progetti, le politiche giovanili assumono un connotato diverso per riferirsi ai giovani. L’affinamento dei metodi di intervento e di coinvolgimento sociale delle nuove generazioni, si concretizza, poi, nel campo affine delle politiche socio-assistenziali. Infatti, con la legge 328/2000 è sistematizzato il modello della pianificazione inter-istituzionale e del raccordo con la società civile, il quale ha delle evidenti ricadute sullo sviluppo successivo delle politiche giovanili della Campania.

A completare gli orientamenti della pianificazione istituzionale e sociale delle politiche territoriali, introdotte con le suddette leggi nazionali (285/1997 e 328/2000), l’architettura delle youth policy della Campania risente degli indirizzi vagliati, in tema di partecipazione giovanile e di pianificazione territoriale delle politiche, dal Consiglio d’Europa, con la Carta di partecipazione (1991 e riveduta nel 2003), e dalla Commissione Europea, con il Libro Bianco della Gioventù (2001). In entrambi i documenti si invitano i comuni e le Autonomie locali a provvedere alla costruzione di politiche giovanili fondate sulla trasversalità tematica e la cooperazione dei settori amministrativi e, nello specifico del Libro Bianco, ad aprire, col dialogo strutturato, alla società civile, includendo nei processi di definizione delle policy i giovani e le loro rappresentanze territoriali (le associazioni, formali e informali, e le consulte giovanili).

A partire dal confronto empirico delle variabili che descrivono l’organizzazione complessiva delle politiche giovanili campane, ed applicate al Settore Politiche giovanili della Regione Campania e dei

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corrispettivi provinciali di Avellino, Benevento e Salerno, si evince che l’architettura regionale assume a pieno titolo gli indirizzi sovranazionali e nazionali per organizzare le politiche giovanili. Infatti, il programma regionale chiarisce l’importanza della cooperazione e della trasversalità tra gli ambiti amministrativi regionali, prevedendo, attraverso un Coordinamento permanente, il dialogo con i corrispettivi Settori provinciali, al fine di individuare le tematiche su cui strutturare le iniziative territoriali. Del resto, l’esperienza maturata con i Piani Sociali di Zona, costituiti in successione alla legge 328/2000, ha offerto al Settore regionale Politiche giovanili lo spunto per adeguare l’organizzazione delle youth policy alle nuove prassi di governance territoriale: i Piani Territoriali

Giovanili (PTG), assieme alle strutture Informative provinciali, distrettuali e comunali, rappresentano

dal 2009 il modello campano per implementare le politiche giovanili.

L’individuazione delle tematiche di cui è composto il programma regionale è avvenuta attraverso alcune consultazioni iniziali che hanno coinvolto i Settori Politiche giovanili delle cinque (5) province campane, il Forum regionale della Gioventù e numerose amministrazioni comunali, giungendo poi alla costituzione del Coordinamento permanente. Quest’ultimo, oltre ad avere la funzione decisionale sulle tematiche da includere nel programma, varato con l’APQ del 2008, svolge le seguenti funzioni: da un lato, monitora e controlla le attività realizzate attraverso i PTG sui territori provinciali, distrettuali e comunali; dall’altro lato, pianifica le strategie informative dell’Agenzia regionale

Informagiovani e dei suoi corrispettivi provinciali, distrettuali e comunali, col fine di garantire la

corrispondenza tra le informazioni date e i feedback ricevuti.

Con i PTG, le Province Campane, in raccordo con i Coordinamenti giovanili e la società civile, hanno potuto sperimentare la progettazione partecipata nel framework giovanile, da cui hanno appreso le prassi del modello partecipativo ed invogliato gli altri settori di policy a rappresentare una vision ampia delle azioni rivolte ai giovani.

Tra le aree d’intervento contemplate dal programma regionale, che ricordiamo sono la formazione, l’informazione, la partecipazione e gli scambi culturali, vi è il campo specifico della ricerca. A quest’ultima è assegnata la funzione di approfondire la condizione giovanile locale, studiare i modelli di intervento e di coordinamento territoriale, e valutare l’efficacia degli interventi a partire dagli obiettivi prefissati. A livello regionale è stato istituto l’Osservatorio sulla condizione giovanile, afferente alle strutture universitarie degli atenei campani di Napoli e Salerno. Le province ed i Forum giovanili, dal canto loro, collaborano con l’Osservatorio e, in particolari occasioni, organizzano seminari e workshop, per discutere, confrontare e incentivare la qualità degli interventi realizzati. La rappresentazione istituzionale delle politiche giovanili, offerta complessivamente dai Settori campani e dai Forum, è declinata come l’insieme delle azioni di governance amministrativa e territoriale fondate sulla trasversalità delle tematiche e la cooperazione tra i diversi ambiti di policy,

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il cui scopo è costruire le opportunità per i giovani. In Campania, queste sono perseguite attraverso la formazione giovanile (formale e informale), l’informazione, la mobilità, la partecipazione dei giovani all’ideazione e all’implementazione delle policy, e la conoscenza, attraverso lo strumento della ricerca scientifica. Tali mezzi d’opportunità sostanziano la cittadinanza giovanile regionale, la cui rappresentazione varia a seconda dei contesti provinciali e distrettuali. A questo proposito, il programma regionale e le specifiche declinazioni provinciali, pur contribuendo alla raffigurazione complessiva delle policy campane, giungono a rappresentare la gioventù e la sua condizione a partire dall’esigibilità dei diritti giovanili e dalle offerte politiche programmate.

Il modello organizzativo delle politiche giovanili promosso dal Settore regionale si fonda sulla cooperazione dei Settori provinciali con l’istituzione di un Coordinamento amministrativo regionale. Quest’ultimo, pur dimostrandosi importante per individuare le tematiche del programma regionale, ha poi perso la sua funzione originaria e, ad oggi, risulta essere del tutto inattivo. Infatti, anche in occasione del nuovo Accordo tra il Settore regionale e il Dipartimento della Gioventù, stipulato nel novembre 2011 per rifunzionalizzare le attività programmatiche per l’anno 2012, è mancato il coinvolgimento del Coordinamento composto dai Settori provinciali. Di conseguenza, questi ambiti amministrativi di competenza, insieme al Forum regionale, sono stati esclusi dalla valutazione annuale del programma sessennale, mancando la possibilità di indicare quali aspetti la Regione avrebbe potuto rafforzare e/o tralasciare.

Del resto, il mancato coinvolgimento del Forum giovanile, da parte della Regione, si è ripetuto anche in occasione della costruzione della proposta di Legge regionale, che ha funzioni regolative dell’intera organizzazione del Settore Politiche giovanili. Infatti, il Forum, escluso da questa fase decisionale, ha presentato, nel 2010, una propria iniziativa normativa al Consiglio regionale. Al momento, le due proposte non sono state ancora ratificate e attendono l’approvazione del Consiglio regionale.

Riteniamo che quanto osservato ricada sull’attuazione del modello della democrazia partecipata promosso dall’UE, attraverso il Metodo Aperto del Coordinamento ed il dialogo strutturato, acuendo: da un lato, la discrepanza tra le tematiche offerte dal Settore regionale e gli interventi richiesti dai giovani dei territori provinciali; dall’altro lato, la disaffezione e l’allontanamento dei giovani dalla attività politiche e istituzionali.

La Regione Campania, attraverso il PTG e il programma regionale, ha definito i modelli di coordinamento territoriale che le Province ed i Distretti avrebbero dovuto far propri per costruire i relativi Piani locali d’intervento. In realtà, se la sperimentazione dei PTG è stata fortemente caratterizzata dall’autonomia delle Province e dei Distretti, che in alcuni casi hanno ampliato il programma giovanile integrandolo con le azioni di altri ambiti amministrativi di policy, il Settore regionale della Campania non ha stabilito reti di governo interne alla Regione, necessarie per la

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cooperazione istituzionale e la trasversalità delle tematiche con a oggetto i giovani. Per tale motivo, il campo delle politiche giovanili rimane un settore specifico, secondario e sottostimato.

Oltre a ciò, tra i limiti segnalati dai Settori provinciali e dai Coordinamenti giovanili per l’attuazione dei PTG, vi è la ripartizione economica sostenuta dal Settore regionale. Emerge che i criteri utilizzati per valutare ed assegnare le risorse ai PTG provinciali e distrettuali sono stati utilizzati i seguenti: il primo è di tipo numerico, cioè legato alla presenza giovanile sui territori; il secondo, invece, è un criterio di coerenza, cioè riscontra quanto le attività teorizzate nei Piani sono adeguate agli obiettivi prefissati dal programma regionale. Da questo punto di vista, i dirigenti dei Settori provinciali consultati ritengono necessario ampliare gli indicatori regionali per la valutazione dei PTG, così da premiare le eccellenze e fornire le risorse adeguate per dare continuità e consolidamento alle buone prassi amministrative.

71 Conclusioni

La Parte Prima della dissertazione ha descritto il policy-making in materia di politiche giovanili, a partire dal raccordo tra le istituzioni europee, i loro indirizzi normativi e le ricadute dei modelli teorizzati negli ambienti amministrativi dei contesti nazionali e locali.

Nel Capitolo Primo, l’analisi si confronta con la letteratura esistente sui giovani e sulle politiche a loro rivolte, al fine di contribuire, nell’ambito dello studio delle politiche pubbliche, all’affinamento dei metodi d’analisi delle youth policy in ambito sovranazionale, nazionale e locale.

Infatti, con i contributi di Lowi (1964, cit. Donà, 2010) e Mesa (2006) è stata confermata l’inclusione del campo giovanile nell’ambito di studio delle politiche pubbliche.

Prima di giungere alla definizione del concetto di politiche giovanili sono stati descritti i modelli di cittadinanza presenti in Europa e, legati a questi ultimi, i sistemi di welfare nazionali da cui muovono le numerose iniziative giovanili. A partire dal concetto di cittadinanza espresso da T.H. Marshall (1950), che chiarisce il significato dei diritti civili, politici e sociali e che, nel contempo, auspica la loro traslazione dal piano formale a quello della praticabilità sostanziale, è stato possibile scorgere l’attuale condizione dei giovani, relegati all’incertezza economica, alla formazione permanente e alla privazione della protezione sociale, garantita, fino a qualche decennio fa, dai sistemi di welfare degli Stati nazionali. I giovani, e in particolar modo quelli svantaggiati, non avendo a disposizione le opportunità economiche, culturali e sociali necessarie per inserirsi stabilmente nel mercato del lavoro e contribuire, con il pagamento delle tasse, al mantenimento dei sistemi di welfare, sono considerati

cittadini in divenire, talvolta frustrati dall’incapacità di realizzare le aspettative sociali, autonomi dal

punto di vista intellettuale ma dipendenti dalle proprie famiglie di origine. Tali problematiche strutturali impongono di riconsiderare il concetto di cittadinanza in una nuova veste teorica, non più vincolato alla dimensione del lavoro offerto dal mercato interno, ma proiettato verso la flessibilità, la formazione permanente e la mobilità internazionale. Da questo punto di vista, è stato opportuno introdurre il concetto di cittadinanza giovanile e di empowerment per sottolineare che: da un lato, è necessario ridefinire il concetto di cittadinanza alla luce dei mutamenti introdotti dalla globalizzazione tout court; dall’altra, è importante considerare le politiche giovanili quali arene di dialogo e di dibattito, di riconoscimento dei diritti esistenti e di rivendicazione delle nuove esigenze giovanili, di occasione per riformulare i diritti, estenderli ad altre categorie sociali e promuovere la riflessione dei singoli individui sui propri percorsi esistenziali, al fine di accrescere la loro appartenenza identitaria alle comunità in cui vivono.

In questa prima parte, lo studio dei modelli di cittadinanza e di empowerment, da cui discendono i sistemi di welfare dei Paesi europei, si è limitato a sintetizzare in quattro (4) categorie rappresentative gli ambienti di policy con a oggetto i giovani, qualificandole a partire dall’intervento dello Stato e/o

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del Mercato e descrivendo le diverse configurazioni per il bilanciamento dei diritti formali e quelli sostanziali.

In ultimo, le politiche giovanili sono state definite quali processi socialmente e storicamente determinati, che risentono delle variazioni economiche, culturali, politiche e sociali e che coinvolgono diversi attori pubblici e della società civile in ambienti amministrativi sovranazionali, nazionali e locali. Le strategie decisionali e applicative delle politiche giovanili possono variare a seconda dei contesti e dei livelli amministrativi, in cui la ricerca scientifica dovrebbe contribuire a segnalare i campi tematici d’intervento ed i modelli di coinvolgimento sociale da adottare e sperimentare. Nel Capitolo Secondo, il modello teorico che analizza le proposte di welfare presenti in Europa è stato ulteriormente sostanziato confrontando la letteratura esistente in materia di politiche giovanili. L’analisi delle youth policy è stata elaborata a partire dalle seguenti variabili: le filosofie sociali sui giovani (giovani come problema o risorsa) (Williamson, 2002); l’ampiezza delle azioni (politiche specifiche e/o generali) (Mesa, 2006); le coorti d’età dei giovani target degli interventi (azioni preventive e/o promozionali) (Baraldi, 2009; Bazzanella et al. 2010; Regogliosi, 1998).

Dall’incrocio tra le caratteristiche riguardanti i sistemi di welfare e le rappresentazioni nazionali delle politiche giovanili, si è ottenuto uno strumento d’analisi che riconosce la cittadinanza giovanile quale campo complesso di welfare, sottoposto, altresì, a variazioni storiche e geografiche.

Del resto, le cittadinanze giovanili presenti nei Paesi europei, sebbene siano state teorizzate e realizzate autonomamente nei contesti nazionali, evolvono verso una prospettiva unica di welfare misto, in cui lo Stato e il Mercato regolano la distribuzione delle opportunità per incentivare lo sviluppo individuale e collettivo. Il regime di welfare giovanile così inteso, oltre a prevedere l’intervento economico per i gruppi svantaggiati, indipendentemente dalla loro età, propone politiche giovanili con finalità formative, educative e professionalizzanti. Tali obiettivi sono attuati riducendo al minimo i sussidi diretti e l’assistenza economica dei singoli o dei gruppi svantaggiati, perseguendo politiche promozionali in cui si adottano strategie quali la programmazione integrata e il coinvolgimento della società civile (governance), l’autonomia amministrativa degli Enti pubblici in raccordo con quelli privati, la ricerca e la valutazione scientifica per raccogliere le esigenze giovanili e sintetizzarle in un’azione efficace di governo.

Il modello di cittadinanza giovanile in un regime di welfare misto è proposto dalle istituzioni sovranazionali europee, in particolare dal Consiglio d’Europa, dall’Unione Europea e dalla loro

Partnership. Il framework europeo sostiene la realizzazione delle politiche giovanili nei contesti

nazionali e locali, articolando i programmi e gli indirizzi normativi a partire dai seguenti obiettivi: il dialogo interculturale, lo scambio generazionale, la formazione, l’informazione e la diffusione delle nuove tecnologie, la mobilità geografica, il rispetto dei diritti umani e della pace, l’educazione

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formale e informale, la partecipazione e il coinvolgimento dei giovani nelle fasi ideative e implementative delle politiche a loro rivolte, la ricerca, i workshop e i contest tematici di discussione giovanile.

Dal livello amministrativo delle youth policy europee si è giunti alla descrizione delle politiche giovanili italiane, in cui è stata approfondita l’organizzazione complessiva del Settore ed il numero di attori nazionali interessati al campo giovanile. In particolare, si è dimostrato che, nel suo insieme, la cittadinanza giovanile italiana evolva verso il regime del welfare misto, allineandosi al trend degli altri Paesi comunitari.

Il Terzo Capitolo ha esaminato le politiche giovanili campane attraverso l’euristica della cittadinanza

giovanile precedentemente elaborata.

Oltre a collocare il welfare campano nel modello misto a sostegno dei diritti formali e sostanziali, sono state verificate le ricadute delle normative europee per realizzare le policy regionali e provinciali. Infatti, il Capitolo ha descritto la rappresentazione delle politiche giovanili offerte dai livelli amministrativi oggetto dell’indagine e, solo successivamente, ha verificato il suo mutamento temporale. L’analisi è stata poi completata comparando le azioni amministrative promosse dalle realtà esaminate e chiarendo le similitudini e le differenze tra loro esistenti.

Nello specifico, l’approfondimento delle politiche giovanili locali, promosse, in particolare, dai

Settori campani, riguarda le seguenti variabili descrittive: l’organizzazione dei Settori Politiche

giovanili e i loro riferimenti normativi, i modelli decisionali e implementativi adottati nell’ambito delle youth policy, il ruolo della ricerca scientifica nel duplice campo della valutazione e dell’indirizzo delle tematiche con a oggetto i giovani, le definizioni di politiche giovanili offerte dai dirigenti amministrativi dei Settori interessati.

In ultimo, interrogandosi sulla praticabilità dei diritti giovanili promossi dalle istituzioni locali attraverso le youth policy, il Capitolo è giunto a definire, su base geografica e territoriale, la rappresentazione della cittadinanza giovanile in Campania.

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PARTE SECONDA

L’analisi delle Politiche giovanili europee e nazionali

CAPITOLO QUARTO

L’analisi delle politiche giovanili sovranazionali

Nella Parte Prima della dissertazione abbiamo descritto l’insieme delle strutture interessate al campo giovanile, soffermandoci sulle competenze, sulle funzioni e sui modelli di orientamento promossi dalle istituzioni europee, quali il Consiglio d’Europa, l’UE e la loro Partnership, e da quelle nazionali. Scopo del seguente capitolo, invece, è proporre una rappresentazione d’analisi che reinterpreti il fenomeno delle politiche giovanili con l’ausilio delle seguenti categorie sociologiche: l’organizzazione dei Settori europei interessati all’arena di policy e ai modelli decisionali applicati; i contenuti programmatici offerti dai Settori; i modelli di attivazione delle politiche e la funzione attribuita alla ricerca nella valutazione delle policy; in ultimo, la ricostruzione della definizione istituzionale europea delle politiche giovanili, attraverso l’ausilio di documenti presenti sui siti web istituzionali.