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La Partnership tra la Commissione Europea e il Consiglio d’Europa

La Commissione Europea e il Consiglio d’Europa, sono istituzioni distinte per i loro ambiti di competenza, che adottano, nel 1998, una prima forma di partenariato sulla formazione e sullo youth

work, attraverso una cornice unica di lavoro professionalizzato indirizzato ai giovani (Denstand,

2009: 35-36; Mitter, 1999). La cooperazione è stata successivamente ampliata e rafforzata con l’integrazione di diversi settori di competenza, tra cui: esperti ricercatori del campo giovanile e il sostegno ai metodi di coordinamento tra i modelli partecipativi, progettuali e di cittadinanza attiva giovanile. L’integrazione di questi processi è riconosciuta come Euromed (EEAS) che, istituzionalizzata nel 2008, incentiva la partecipazione attiva, l’assunzione delle responsabilità nelle decisioni politiche e l’indirizzo delle attività rivolte ai giovani. I destinatari delle attività dell’Euromed sono le ONG, le organizzazioni non-governative nazionali e i giovani individualmente interessati (Boaria, Demicheli, 2009).

La Partnership fra i due maggiori enti europei (il CoE e l’UE) ha interessato diverse aree di intervento, tra le altre: la cittadinanza europea; i diritti umani, l’educazione (formale e informale) e il dialogo interculturale; la qualità, il riconoscimento e la formazione nel lavoro giovanile; la miglior conoscenza e comprensione dei giovani; lo sviluppo della politica giovanile.

Inoltre, la collaborazione inter-istituzionale ha sviluppato un’attenzione particolare per le politiche giovanili dell’Est Europa e del Caucaso (EECA) e del Sud-Est Europa (SEE). Entrambe le regioni europee sono state oggetto di conferenze e seminari partecipati dai ricercatori, dai rappresentanti politici di governo e dai leader delle organizzazioni non-governative. In tali occasioni di confronto gli esperti hanno potuto condividere informazioni e scambio di prassi, con lo scopo di migliorare lo sviluppo delle politiche giovanili nazionali. La formazione dei giovani leader, dei lavoratori e degli attivisti delle associazioni è la priorità principale dell’agenda politica della Partnership europea. I seminari formativi e gli eventi tematici di discussione sono organizzati annualmente, attraverso la collaborazione del Salto-youth33, dei partner locali (organizzazioni e associazioni) e la pubblicità

conferita agli eventi sul portale web della Youth Partnership34 (il sito web include molteplici topic di discussione, tra gli altri: la partecipazione giovanile, l’informazione, l’inclusione sociale, la salute e un data base di informazioni che descrive lo status dei giovani di alcuni Paesi europei).

Sebbene vi siano diversi campi di intervento individuati dal Consiglio d’Europa e dall’Unione Europea, l’interesse della partnership è stato conferito soprattutto verso il campo dello youth work. Lo youth work è uno strumento politico e pedagogico incluso nel campo delle politiche giovanili

33 Rete di organizzazioni giovanili non-governative e centri istituzionali europei, che provvede alla diffusione dello youth work e al sostegno del programma Gioventù in azione. Per un maggior approfondimento rimandiamo al sito web: www.salto-youth.net.

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(Coussée, 2010a). Una pratica sociale costituita principalmente da professionisti dell’educazione extrascolastica inseriti nell’ambito delle organizzazioni giovanili e/o del volontariato e svolta attraverso i centri della gioventù e le chiese, i municipi etc. Tra gli obiettivi dello youth work riconosciamo: l’incremento della partecipazione dei giovani alle iniziative di loro interesse, la responsabilizzazione degli youth worker e delle organizzazioni all’autogoverno nei processi di policy e, non da ultimo, la connessione tra la ricreazione e l’educazione sociale (Campagnoli, 2010b; Coussée, 2010b; Williamson et al., 2009). In Italia, lo youth worker, ossia colui che svolge un lavoro a contatto diretto con i minori, gli adolescenti e i giovani è una figura professionale molto diffusa, ma ancora poco conosciuta e riconosciuta (Campagnoli, 2010b). Il mancato riconoscimento degli youth

worker e delle loro attività quotidiane dagli ambienti di policy e di decision-making sottrae

all’indirizzo delle politiche importanti spunti, fondati sulle esperienze e sui modelli pratici di intervento. Allo stesso modo, la mancanza di relazione tra il livello politico/decisionale e il livello delle pratiche quotidiane non garantisce lo sviluppo di adeguate metodologie che, comprovate scientificamente, potrebbero costituire il bagaglio di conoscenze per gli stessi youth worker (Spence, 2008). Pertanto, a livello locale, sono soprattutto le organizzazioni del Terzo settore che gestiscono molti interventi nell’ambito delle politiche giovanili, ma, paradossalmente, nelle decisioni politiche che indirizzano gli interventi per i giovani, le esperienze dei worker sono marginali e il loro sapere critico, per il miglioramento delle attività, resta vincolato alla loro pratica quotidiana e alla gestione individuale delle situazioni (ibidem, 2008).

Per Bernard Davies (2005, cit. in Williamson et al., 2009), lo youth work è una pratica sociale personalizzabile, attraverso cui è possibile soddisfare i bisogni materiali e immateriali, costruendo relazioni sociali fondate sulle negoziazioni. In realtà, Williamson et al. (2009) sono critici rispetto a tale impostazione: da un lato, essa omette l’analisi delle disuguaglianze giovanili all’accesso dei percorsi esperienziali definiti a livello europeo; dall’altro si sofferma esplicitamente sulle élite giovanili con buona istruzione, economicamente garantite e con adeguate informazioni per accedere ai programmi europei. Questi ultimi, consentono l’arricchimento delle skills individuali e di gruppo accrescendo le qualità formative già acquisite durante gli anni della scuola e/o dell'università, costruendo nuovi modelli professionali spendibili nel mercato del lavoro.

Se lo youth work contiene delle potenzialità di sviluppo delle competenze degli individui e delle organizzazioni che operano nel campo giovanile, Sinzuch e Coussée avvertono che tale pratica può rischiare di diventare uno strumento di controllo sociale e di indirizzo ideologico, funzionale alle classi sociali medio alte (cit. in Williamson et al., 2009). Il dibattito sullo youth work, comunque, non sembra risolvere l’antico paradosso pedagogico, da sempre oggetto di attenzione da parte degli esperti delle politiche giovanili, secondo cui, la dialettica tra l’emancipazione e il controllo sociale degli

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individui e dei gruppi incrina i valori a sostegno del sistema sociale e delle sue istituzioni. Infatti, l’apprendimento informale, fonte di autonomia e l’organizzazione dello youth work, concepito dalle istituzioni europee, solleva tensioni e conflitti tra vecchie e nuove generazioni (ibidem, 2009). Ciò significa che il controllo della società sulle autonomie giovanili ha lasciato in disparte i reali interessi dei giovani, le loro esigenze e le loro difficoltà, preoccupandosi esclusivamente di integrarli al di là delle disuguaglianze strutturali esistenti.Pertanto, lo youth work, concepito dall’UE e dal Consiglio d’Europa, riassume in sé la dialettica poc’anzi descritta. Se lo youth work nasce dall’esigenza di far fronte ai cambiamenti economici promossi dalla globalizzazione a sostegno della ricerca di abilità lavorative, che rendono i giovani preparati ad affrontare la complessità della società post-moderna e

post-industriale, esso è anche riconosciuto come uno strumento di sviluppo delle autonomie culturali.

Se le aspettative e i valori della società non si sostanziano di empirica realizzazione attraverso l’incontro fra domanda e offerta di lavoro specializzato, la formazione diventa: da un lato, uno strumento di potere critico a disposizione delle nuove generazioni, utilizzato per mutare la società e i suoi valoriali tradizionali; dall’altro un’opportunità negoziale e interlocutoria tra coloro che offrono sbocchi occupazionali e chi è in cerca di prima occupazione. Secondo Besozzi «la categoria della complessità ben si adatta quindi a descrivere tanto il mondo del lavoro quanto il mondo della formazione, entrambi attraversati dall’impatto tecnologico e dalla innovazione nei processi organizzativi che devono fare i conti con soggetti mediamente più istruiti, ma, soprattutto, consapevoli di poter scegliere e cambiare percorsi e traiettorie di vita» (Besozzi, 2006: 79). L’istruzione e l’educazione, formale e informale, acquista una valenza espressiva e di crescita che si svincola, in parte, dalla finalizzazione immediata a mestieri, professioni, collocazioni lavorative e aspettative sociali.

Pertanto, come suggerito da Williamson e da alcuni suoi collaboratori (2009), la ricerca, più che concentrarsi sulla necessità, ormai incontestabile, dello youth work e del paradosso pedagogico che lo caratterizza, deve indagare le sedimentazioni storiche dei rapporti di potere e le strategie di controllo adottate dagli “adulti” verso le giovani generazioni. Nel mondo contemporaneo, la subordinazione della gioventù agli indirizzi degli adulti è connessa alle tematiche a cui i giovani avrebbero dovuto riferirsi, ma da queste allontanati e marginalizzati. Ideologizzando le loro scelte e preconfezionando le loro aspettative sociali, le istituzioni sociali sono diventate elusive rispetto ai giovani, alle loro reali esigenze e insensibili alle loro differenze intrinseche, riproducendo, nel campo politico della formazione professionale e dell’educazione informale, le disuguaglianze già consolidate nella società più ampia (Niemeyer, 2007). Lo youth work è, dunque, uno strumento multitematico delle politiche giovanili che ha l’obiettivo di sviluppare le competenze educative e professionali dei giovani inseriti in tali processi. Gli youth worker, attraverso l’autonomia delle scelte,

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le relazioni sociali e l’inclusione nei processi di decision-making influenzano le definizioni di

cittadinanza giovanile europea e i diritti giovanili.

Partendo da tali presupposti, riteniamo sia opportuno analizzare i programmi e i percorsi formativi offerti dalla Partnership (CoE e UE) ai giovani europei, consentendoci di ricostruire il modello politico di inclusione sociale.

Lo youth work rimane lo strumento fondamentale delle strategie europee per accrescere nei giovani: consapevolezza di sé, identità, professionalità, educazione, rispetto della diversità culturale e la voglia di partecipare. Sonja Mitter (1999) ritiene che le attività di training sono indirizzate soprattutto agli

youth worker che, attraverso l’accesso ai programmi promossi dalle seguenti istituzioni europee:

l’Agenzia Nazionale per i Giovani europei, il Servizio Volontario Europeo (SVE) e il Forum Europeo della Gioventù, cooperano con e per i giovani, sviluppando, nel contempo, loro professionalità e competenze. Infatti, il termine youth worker è riferito a professionisti e volontari, ai giovani leader, ai membri delle organizzazioni giovanili non-governative, agli esperti della comunicazione sociale e a tutti coloro che sono impiegati negli uffici giovanili dei contesti locali e regionali. I progetti e i programmi formativi, concepiti attraverso la partnership tra l’UE e il CoE, sono stati promossi a partire dall’aprile del 2000 e indirizzati verso le tematiche: della formazione, dell’apprendimento interculturale, del trasferimento delle competenze linguistiche, della mobilità, della promozione alla tolleranza e alla lotta alla xenofobia, del consolidamento e dello sviluppo dei tavoli di cooperazione e di negoziazione sociale fra le istituzioni statali e i settori del privato sociale e associativo. Un esempio del modello di negoziazione sociale tra attori con diverse mission organizzative, ma con una

vision omogenea negli intenti generali, è rappresentata dal coinvolgimento del Forum Europeo della

Gioventù nelle attività promosse dalla Partnership. È evidente che per quanto le istituzioni europee si sforzino di coinvolgere la popolazione giovanile, fissando obiettivi e argomentando principi normativi, risulta difficile credere che esse possano raggiungere tutti i gruppi giovanili sottorappresentati ed economicamente svantaggiati. È necessario sostenere, quindi, i principi e gli obiettivi promossi dalla Partnership, legandoli a modelli strategici di inclusione sociale. Le iniziative che perseguono tali obiettivi sono concentrati, secondo Niemeyer (2007), sulla transizione dalla scuola al mondo del lavoro. Infatti, è proprio in questa fase di vita del giovane che le istituzioni europee puntano ad accrescere sperimentazioni formative attraverso il VET (Vocational Education and Training) un modello di formazione di lunga durata orientato a: ridurre il gap tra le classi sociali; fornire universalmente le opportunità formative; assumere, quali punti di partenza, le domande sociali promosse dai giovani. Il VET è il risultato dell’incrocio tra le molteplici offerte di lavoro del tessuto produttivo europeo, che richiede avanzate qualità tecniche e professionali. Inoltre, il VET ha l’obiettivo di coinvolgere, nei processi formativi, educativi ed occupazionali, i giovani con scarse

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opportunità di qualificazione e di accesso al mercato del lavoro (Niemeyer, 2007). Oltre all’acquisizione delle competenze tecnico-professionali, per i gruppi giovanili particolarmente esposti ai rischi di svantaggio sociale, il VET propone un modello olistico di cittadinanza in cui le azioni sono correlate con diverse aree tematiche e settori educativi. Niemeyer (2007) definisce lo youth work e le sotto-azioni (tra cui il VET) un modello di comunità comprendente in cui la formazione teorica, il lavoro pratico e lo scambio relazionale di conoscenze possono accrescere le opportunità per i giovani che ne sono attualmente privi, in un processo generale di empowerment individuale e/o collettivo. Il punto di vista di Niemeyer (2007) pur considerando alcune dimensioni problematiche, relative alla formazione e al lavoro per i soggetti meno abbienti, non considera i rapporti di potere tra le classi sociali, i modelli di selezione e di esclusione dai processi formativi, i limiti della formazione individuale e le reali opportunità di occupazione nel mercato del lavoro. Sebbene ciò, riconosciamo a tale approccio il merito di contenere un modello reale che connette il livello educativo (formale e informale), il livello professionale ed il livello partecipativo dei giovani. Coussée (2010) ritiene che lo youth work, nelle sue diverse forme, abilita la creazione di spazi liberi per la gioventù, caratterizzati soprattutto: dalla costruzione di sicurezza, dallo sviluppo dell’identità, dalla creazione di spazi d’appartenenza e di dialogo, dal rafforzamento dell’amicizia e dalla competizione regolamentata. A differenza dell’istruzione scolastica, la formazione professionale e l’educazione informale dello youth

work amplia le abilità dei partecipanti e le valuta attraverso misure che ne conferiscono

riconoscimento. Infatti, esistono numerosi esempi di certificazioni adottate nel contesto europeo e, di seguito, elenchiamo i più importanti:

L’Europass35. Un insieme di documenti aggregati in un Dossier e pensati per rendere leggibili i titoli, le competenze e le qualifiche nell’ambito di contesti di apprendimento formale e informale.

L’European Qualification Framework36. È un dispositivo di traduzione che consente di mettere in relazione e posizionare, in una struttura a otto livelli, i diversi titoli (qualifiche, diplomi, certificati ecc.) rilasciati dai Paesi membri. Attraverso tale strumento i Paesi possono rileggere i propri sistemi di istruzione e formazione, in modo da collegare i singoli sistemi scolastici nazionali e i titoli/qualifiche inseriti nel framework europeo.

L’ECVT37. È un dispositivo di valutazione per coloro che si avvalgono di programmi di

mobilità transnazionale nei vari contesti di apprendimento formale e informale. Inoltre, la

35 L’Europass è suddiviso in diversi documenti, tra cui: Curriculum Vitae, Passaporto delle Lingue, Supplemento al Diploma e al Certificato, mobilità. Per un maggior approfondimento rimandiamo al sito web: http://www.europass- italia.it/.

36 Per un maggior approfondimento si invita alla consultazione del sito web: http://www.europass-italia.it/.

37 Uno dei principi base del sistema ECVET è il mutuo riconoscimento e la fiducia reciproca dei Paesi che lo adottano. Per un maggior approfondimento si invita alla consultazione del sito web: http://www.europass-italia.it/.

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descrizione delle qualifiche in termini di unità consente: di valutare le conoscenze, di definire le capacità/competenze acquisite e di migliorarne la leggibilità.

Sebbene esistono tali sistemi di riconoscimento, di valutazione e di sistemazione delle qualifiche ottenute nell’ambito delle esperienze collegate allo youth work, la ricerca sociale può contribuire, in due livelli separati ma complementari, al processo valutativo: da un lato analizza la qualità dei meccanismi di certificazione adoperati nei contesti nazionali ed europeo; dall’altra, focalizza il suo oggetto d’analisi sulle connessioni fra certificazione formale e prassi quotidiana (Besozzi, 2006). Se il VET è uno strumento fra tanti per lo sviluppo e la promozione dell’inclusione sociale dei giovani, a livello nazionale è utilizzato in piena autonomia. Infatti, nel prossimo paragrafo presenteremo quattro modelli nazionali di cittadinanza giovanile che, pur attenendosi agli indirizzi comunitari in materia, declinano le politiche giovanili e gli strumenti in esse contenute in modo differenziato. Oltre allo youth work e ai percorsi professionalizzanti per i giovani, la Partnership europea ha costituito una struttura di competenza orientata alla conoscenza delle condizioni giovanili e dello stato delle politiche nazionali. La struttura, denominata European Knowledge Centre for Youth Policy38 (EKCYP) e istituita nel 2005, ha caratteristiche inter-istituzionali e multidisciplinari che coinvolge: gli esperti ricercatori del Consiglio d’Europa, della Commissione Europea e degli ambienti accademici. Il centro è stato creato per trasferire: da un lato le conoscenze tra i campi scientifici, politici e delle attività pratiche, attraverso la sinergia dei database nazionali e la comune strategia nella progettazione degli interventi; dall’altro, per valutare e monitorare i progetti e le attività promosse nel campo dello youth work, stabilendo standard di qualità e di accesso dei differenti gruppi sociali interessati alle azioni e ai programmi39.

Di seguito elenchiamo, in forma tabellare (Tab.4), gli strumenti adottati dal 1972 al 2010 dal Consiglio d’Europa, dall’Unione Europea e dalla loro Partnership nell’ambito delle politiche giovanili.

38 Centro di Conoscenza Europea sulla Politica Giovanile.

39 Per esigenze redazionali limitiamo la corrente trattazione agli obiettivi organizzativi e di funzionamento dell’EKCYP. Nei prossimi capitoli verranno presentati i campi di applicazione del Centro.

Tabella 4: Le politiche giovanili europee dal 1972 al 2010

Anno Consiglio di Europa Partnership Unione Europea

1972 Istituzione del “Centro Europeo della Gioventù” EYC (European Youth Centre) a Strasburgo.

1985 Promozione della Giornata Mondiale della Gioventù e 1° Conferenza dei Ministri dei Paesi aderenti al Consiglio di Europa responsabili per le politiche giovanili.

Obiettivi: impegnare i Paesi ad istituire il Consiglio

nazionale della gioventù, autonomo e indipendente dalle altre politiche sociali.

1989 “Gioventù per l’Europa”

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1992 “Carta di partecipazione dei giovani alla vita municipale e regionale”.

Obiettivi: sviluppo di politiche settoriali e

creazione di coordinamenti locali, con funzioni valutative e amministrative

1995 Istituzione del secondo “Centro Europeo della Gioventù” EYC (European Youth Centre) a Budapest.

Progetto “Galileo”, “Leonardo”, “Socrate” e “SVE” (Servizio volontario Europeo).

Obiettivi: promozione dell’istruzione, della formazione e della

mobilità giovanile.

2000 Convenzione europea per la promozione del volontariato transnazionale giovanile di lungo periodo.

“Salto-youth”

Obiettivi: promuove accordi multilaterali tra le

agenzie di coordinamento giovanile nazionale, perseguendo i valori e le priorità del Consiglio di Europa e dell’Unione Europea; promuove la partnership tra il Consiglio di Europa e l’Unione Europea, attraverso programmi di sviluppo della formazione non-formale, della partecipazione, del lavoro giovanile e dell’inclusione sociale. Inoltre, la

partnership sviluppa programmi di cooperazione tra

istituzioni nazionali e organizzazioni delle società civili nelle regioni economicamente più depresse e svantaggiate: EEC (Eastern Europe e Caucasus), Euromed, SEE (South East Europe),

Strumenti: “Coyote”, “T-Kits”, portali web e

database per i ricercatori esperti di politiche giovanili.

Rilancio del Programma “Gioventù”, “Leonardo II” e “Socrate II” per il periodo 2000-2006.

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2001 “Libro Bianco della Commissione Europea: un nuovo impulso

alla gioventù europea”.

Obiettivi: partecipazione, volontariato, informazione, miglioramento delle conoscenze sulla condizione giovanile.

Strumenti: il Metodo Aperto del Coordinamento; Il Patto

Giovanile Europeo; il Dialogo Strutturato.

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2005 Centro EKCYP (European Knowledge Centre for

Youth Policy).

Obiettivi: trasferimento delle conoscenze tra i campi

scientifici, politici e delle attività pratiche, nell’ambito delle politiche giovanili europee e dei contesti nazionali.

Strumenti: database di informazioni scientifiche

nazionali ed europee relativamente alla condizione giovanile e alle politiche promosse.

“Patto Europeo per la Gioventù”

Obiettivi: promuovere la cittadinanza attiva dei giovani, al fine

di migliorare l’accesso nel mercato del lavoro, l’integrazione sociale e lo sviluppo.

2007 “Gioventù in azione: 2007-2013”

Obiettivi: promozione del Lifelonf learning, dell’istruzione,

della formazione e della cittadinanza attiva. Rilancio e realizzazione degli obiettivi enunciati dalla Strategia di Lisbona (2000)

2008 8° Conferenza del Consiglio di Europa, intitolata “Il futuro del Consiglio di Europa nella politica giovanile: Agenda 2020”.

Obiettivi: democrazia e diritti umani, vivere

insieme in diverse società e inclusione sociale dei giovani, da realizzare entro il 2015.

Strumenti: CDEJ (Comitato direttivo europeo per

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Ministeriale Giovanile Europea” e dal “Consiglio Consultivo” (a cui partecipano circa 30 organizzazioni giovanili non-governative). Quando le due strutture dialogano istituiscono il “Joint Council”. Quest’ultimo decide sul programma di lavoro e sul budget da destinare al settore giovanile del Consiglio di Europa e alla “Fondazione Giovanile Europea”. Il Consiglio Comune è decisivo, poiché promuove la condivisione delle decisioni e l’uguaglianza di potere fra le rappresentanze governative e le organizzazioni giovanili non-governative (co-management). La “Commissione sulla Programmazione Giovanile” (Programming Committee on Youth) è parte del Consiglio Consultivo. Essa è costituita da otto (8) membri nominati dal CDEJ e del Consiglio Consultivo. La Commissione stabilisce, monitora e valuta i programmi dei Centri Giovanili Europei e della Fondazione Giovanile Europea.

2010 Promozione dell’“Anno Internazionale della Gioventù delle Nazioni Unite”