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La rinascita della letteratura belga nel 1880 102

Nell’ultimo ventennio del XIX secolo il Belgio è teatro di una rinascita letteraria senza precedenti. Certamente vi erano state delle opere pubblicate precedentemente a queste date, ma si trattava comunque di casi sporadici o di opere dall’intento programmatico

101

Binni, op. cit., p. 5.

102 Tale espressione di «renaissance» è dovuta all’utilizzo della medesima espressione da parte dei «Jeunes

Belgique» (cioè coloro che scrivevano sulla rivista «La Jeune Belgique», che proprio di rinascita delle loro lettere parlavano, riferendosi alla letteratura che si proponevano di fare e che in parte stava già nascendo sotto i loro occhi. Cfr. Joseph Hanse, Origines et tendances du Mouvement, in La Renaissance de 1880 in Gustave Charlier - Joseph Hanse, Histoire illustrée des Lettres françaises de Belgique, La Renaissance du Livre, Bruxelles 1958, p. 335.

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esplicito per creare una storia comune a una nazione nata soltanto nel 1830103. A partire dagli anni ’80 dell’Ottocento invece una serie di giovani belgi entrano in contatto con un clima europeo in grande fermento culturale. Ovviamente la letteratura con la quale si confrontano in maniera più rilevante è quella francese. I giovani scrittori belgi scoprono ad un tratto, liberi dal peso di una loro tradizione pregressa, tutta la letteratura francese dell’Ottocento in grado di offrire loro non pochi modelli. Il decadentismo diviene dunque la lente attraverso la quale essi scoprono i lavori letterari di scrittori come Baudelaire, Verlaine e Mallarmé, considerati veri e propri modelli104.

Bisogna precisare tuttavia che sono pochi gli scrittori belgi che si lasciano assorbire pienamente da tale corrente. Si possono forse individuare, secondo l’analisi di Antonio Mor, Maurice Maeterlinck e Georges Rodenbach, che non solo seguono i modelli del decadentismo, ma fanno dell’espressione dell’ineffabile la caratteristica principale delle loro poetiche dando spesso risultati più proficui di tanti altri scrittori francesi a loro contemporanei. Essi fanno della «loro terra, dei suoi canali e delle sue cattedrali un tema esotico d’evasione»105

.

Se si vuole individuare un tratto comune della poesia belga è senz’altro il suo carattere plastico e pittorico. Così infatti, secondo Mor: «Il plasticismo, l’osservazione analitica e la facoltà icastica di evocare paesaggi e interni, ritratti e nature morte formano […] la più rilevante caratteristica di una letteratura che getta le sue radici in una grande, varia e ricchissima tradizione pittorica»106.

Questo risveglio della letteratura è dovuto anche al nascere di ben venticinque riviste letterarie solo nel decennio che va dal 1874 al 1884. Riviste che si riproponevano di «lottare contro la pseudo-cultura ufficiale e accademica»107.

Tali riviste fiorirono in Fiandra e in Vallonia, nelle città così come nei piccoli centri, e prepararono l’avvio dell’importante movimento, che superò di molto la rivista che a esso avrebbe dato il nome, de «La Jeune Belgique». Alla guida del movimento, così

103 Ricordiamo in proposito l’opera di Charles de Coster, La légende et les Aventures héroïques, joyeuses et

glorieuses de Uylenspiegel et de Lamme Goedzak au pays de Flandre et ailleurs, 1867.

104 Antonio Mor, Jean Weisgerber, Le letterature del Belgio, Sansoni, Milano 1968, p. 74-75. 105 Ibid.

106 Ivi, pp. 75-76. 107 Ibid.

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come della rivista, vi era un giovane poeta, destinato a morte precoce (1860-1889), Max Waller (pseudonimo di Maurice Warlomont)108.

«La Jeune Belgique» offriva ai propri lettori modelli di narratori e poeti quali Baudelaire, Leconte de Lisle, Gautier, Théodore de Banville, Flaubert, Zola, Daudet e Maupassant. Non vi erano velleità nazionali, ma piuttosto si guardava alla Francia come fonte di ispirazione per una più decisa conformazione della letteratura belga. L’importanza del movimento è dovuta anche al grande merito di aver diffuso un concetto base della letteratura che fino a quel momento era estraneo alla letteratura belga: la teoricità dell’arte, la sua totale indipendenza rispetto alla vita politica, sociale e religiosa. Sotto la bandiera dell’Arte per l’Arte, Max Waller riunisce le figure e le tendenze le più disparate, fra le quali vi sono i nomi che ancora oggi si ricordano perché essi diventarono i protagonisti effettivi di questa rinascita letteraria: Maurice Maeterlinck, Charles Van Lerberghe, Georges Rodenbach, Georges Le Roi e Iwan Gilkin. Più che un movimento letterario si trattò di un vero e proprio movimento che si prefiggeva lo scopo di creare una coscienza letteraria in un paese che prima di allora non se ne era mai curato.

Tuttavia, nel fiorire di riviste a cui abbiamo accennato, la posizione de «La Jeune Belgique» era una delle tante, e le espressioni di Max Waller in favore dell’arte per l’arte incontrarono presto delle idee contrapposte. «L’Art Moderne» alla dottrina dell’arte per l’arte contrapponeva quella di un’arte che fosse a favore del progresso sociale e la «Wallonie», fondata a Liegi nel 1886 da Albert Mockel, si proponeva di contrapporsi al «realismo» fiammingo auspicando una collaborazione con i simbolisti francesi. Essa diviene dunque l’organo più rappresentativo del simbolismo belga, mentre in quegli stessi anni «La Jeune Belgique» si irrigidiva sempre di più nei canoni parnassiani. Malgrado questo essa riesce ad attrarre nomi di spicco come quello di Émile Verhaeren, Henri de Régnier e Vielé-Griffin, salvo poi essere abbandonata da questi stessi nomi nei tre anni successivi a causa della forte avversione al Simbolismo dimostrata dal suo nuovo direttore, Iwan Gilkin. Il nuovo gruppo di dissidenti fonda nel 1895 le «Coq Rouge». Rivista dopo rivista dunque, il dibattito letterario si accese sempre di più e le diverse posizioni misero in condizione gli scrittori e i critici di riflettere compiutamente sull’arte letteraria che intendevano proporre per questo giovane paese109.

108 Ibid.

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Tra il 1880 e il 1900, l’opposizione sintomatica tra la «La Jeune Belgique», ferocemente individualista e anti regionalista, e «L’Art Moderne», rivista diretta da Edmond Picard, che voleva promuovere un’arte «nazionale» e «sociale» conosce un crescendo senza sosta. Secondo Picard bisognava «voir le milieu belge, penser en belge». E se per De Coster «l’âme belge» era prima di tutto l’anima fiamminga, per Picard l’anima belga era la suprema sintesi francofona dell’anima ariana con le sue componenti germaniche e latine. È davanti a questa spinta del movimento fiammingo da una parte e dell’«âme belge» proposta da Picard dall’altra che Mockel fonda «La Wallonie», dichiarando: «La Wallonie n’a pas eu d’art jusqu’à présent, nous serons les premiers»110

. Ed è quindi con questo spirito che si rivolge verso la Francia e sceglie fra i suoi collaboratori Régnier, Gide e Mallarmé111.

Bisogna sottolineare che nel 1890 né «La Jeune Belgique», né «La Wallonie» avevano voluto creare una letteratura nazionale. È soltanto successivamente, e in seguito agli attacchi francesi e al prestigioso successo di Maeterlinck, che «La Jeune Belgique» comincia a credere che sarebbe stato suo compito promuovere una letteratura nazionale che si affrancasse del tutto dalle influenze francesi112.

Infatti erroneamente si crede che il motto de «La Jeune Belgique» fin dal suo debutto: «Soyons nous!» sia riferito al richiamo a uno spirito nazionale ma, come dimostra egregiamente Joseph Hanse113, parrebbe che fosse in realtà un invito a essere sé stessi e a fuggire dalla tentazione dell’emulazione verso i grandi scrittori francesi.

Se ritorniamo alle origini di questa fase, che potremmo chiamare rivoluzionaria, in accordo con le parole di Joseph Hanse, si può notare come i precursori de «La Jeune Belgique» furono quegli innovatori che verso il 1860 hanno lottato in favore del realismo in pittura e in letteratura e, soprattutto, quelli che hanno perseguito la battaglia, dopo il 1870, per il Naturalismo114.

110

Frans De Haes (intervista), in Lettres françaises de Belgique, Mutations, Entretiens de Paul Edmond, Archives du Futur, Bruxelles 1980, p. 34.

111

Ibid.

112 Joseph Hanse, Polémiques littéraires en 1890. Lettres d’Albert Mockel et de Valère Gille, in Paul Delsemme -

Roland Mortier - Jacques Detemmerman, Regards sur les lettres françaises de Belgique. Etudes dédiées à la

mémoire de Gustave Vanwelkenhuyzen, André de Rache Éditeur, Bruxelles 1976, p. 161. Cfr. anche per i

rapporti tesi tra Belgio e Francia in quegli stessi anni.

113 Joseph Hanse, «La Jeune Belgique» et «L’Art Moderne», in La Renaissance de 1880, op. cit., p. 344. 114 Hanse, Origines et Tendances, op. cit., p. 336.

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Il Naturalismo, tendenza fra le più recenti e più audaci in quegli anni, avrebbe dato a quella generazione la facoltà di una riflessione nuova che avrebbe preparato il terreno per teorie come quella dell’Arte per l’Arte.

Tale concetto, se non era nuovo in Francia, lo era del tutto in Belgio. Tuttavia anche in Francia godeva di una nuova vita a causa delle discussioni sull’amoralità di alcune opere naturaliste. Tali discussioni, che vedevano battersi esponenti delle posizioni per la moralità o meno delle opere in questione, mostravano l’esistenza di una terza posizione; quella di chi era fermamente convinto che l’opera si sarebbe dovuta giudicare di valore o meno sotto lo stretto profilo letterario, che nulla aveva a che fare con la moralità.

«La Jeune Belgique», inoltre, aveva una ragione di più per sostenere la posizione dell’Arte per l’Arte: il movimento infatti constatava che gli scrittori belgi avevano l’abitudine di trascurare lo stile nei loro componimenti, giudicandolo forse come un qualcosa di secondario rispetto al contenuto e all’obiettivo che si proponevano di raggiungere con quelle opere. Il principio dell’autonomia dell’arte era dunque il solo che poteva portare a un miglioramento delle creazioni letterarie del giovane Belgio115.

Al trionfo de «La Jeune Belgique» contribuisce inizialmente anche Edmond Picard, ma egli non poteva sopportare a lungo la campagna per fare in modo che la letteratura si staccasse totalmente dalla realtà politica e sociale del Belgio. L’arte per lui era un meraviglioso strumento sociale, a cui la gioventù belga, «vigorosa e piena di talento»116 non doveva rinunciare.

Edmond Picard, personaggio che godeva già di un peso determinante nella vita sociale del Belgio, soprattutto della sua capitale, era nato nel 1836. Egli era oramai un giurista stimato, un avvocato, presso il quale prestavano servizio diversi scrittori belgi laureati in legge fra i quali Rodenbach peraltro, ed era anche un mecenate desideroso di farsi un nome nel mondo letterario. Questa era dunque la sua condizione, quando nel marzo del 1881 fonda, insieme a Octave Maus, una rivista da contrapporre a «La Jeune Belgique», «L’Art Moderne».

La rivista, che aveva un’uscita settimanale, non aveva inizialmente un programma ben definito, eccetto l’interesse nei confronti del modernismo. Essa non si interessava soltanto di letteratura, ma proponeva articoli di critica che riguardavano anche la pittura,

115 Ivi, p. 337.

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l’architettura, la scultura e la musica. Il suo direttore tuttavia, uno dei massimi esponenti del partito socialista, lasciò intendere fin dall’inizio che egli sperava che la letteratura belga prendesse le mosse di un’importante letteratura nazionale legata ad un’azione politica e sociale di rilievo. Fino al 1883 tuttavia, la rivista non si espose in maniera diretta contro «La Jeune Belgique» con la quale, tuttavia, lo scontro sarebbe stato inevitabile117.

Una parte della società finora trascurata in questa breve analisi è quella relativa alla cultura definita di ispirazione cattolica. Anche questa parte di società, pur definendosi apertamente cattolica, avrebbe voluto avere un’autonomia in campo letterario. Questa posizione innovativa ha avuto il merito di aprire un dibattito su varie questioni relative ai fatti culturali del paese, per esempio sulla riforma dell’insegnamento della letteratura nelle scuole religiose. L’importanza maggiore di questo movimento è quella di aver dato una nuova voce al dibattito cattolico con la modernità. Dibattito che si svolse all’interno della rivista letteraria di ispirazione cattolica «Le Drapeau» in cui prima di tutto si affermava il sacrosanto diritto della letteratura di essere analizzata e recepita in base al suo valore assoluto118.

Ma quali sono dunque i nomi e le caratteristiche di questa nuova generazione belga che si affaccia nel mondo letterario? Fra i narratori si possono annoverare Eekhoud, Demolder, Virrès e, anche se di qualche anno più anziano, senz’altro Lemonnier. Essi sono considerati da Antonio Mor dei pittori piuttosto che narratori. La tradizione a cui essi si rifanno non è una tradizione letteraria bensì pittorica. Un’arte dalla quale di certo essi possono attingere a piene mani. Così scrive il Mor:

I loro romanzi valgono soprattutto come gallerie di paesaggi e d’interni fiamminghi. Essi continuano con la penna l’opera dei grandi pittori del passato. La psicologia dei loro personaggi resta rudimentale o diviene incoerente quanto si propongono di complicarla; le trame delle loro storie sono altrettanto povere e

117

Ibid.

118 Sullo stato della politica e della società belga di quegli anni, e del ruolo degli intellettuali, cfr. Marc

Quaghebeur, Madeleine Rebérioux, Intellectuels en Belgique et en France: "piliers", citoyenneté, État, «Le Mouvement social», N° 178, France-Belgique Fin de Siècle (Jan. - Mar. 1997), pp. 89-115, Éditions l'Atelier, URL: http://www.jstor.org/stable/3779564; e sul ruolo degli intellettuali e del nascente «Parti Ouvrier Belge», cfr. Paul Aron, Le Symbolisme belge et la tentation de l’art social : une logique littéraire de l’engagement

politique, in AA.VV., Centenaire du Symbolisme en Belgique. Elskamp – Maeterlinck – Mockel – Rodenbach - Van Lerberghe – Verhaeren, «Les Lettres Romanes», N° 3-4, Université Catholique de Louvain, 1986, pp. 307-

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constano più dell’accostamento di elementi diversi che dell’organico sviluppo di un’azione. D’altra parte la poetica del verismo prima e poi del decadentismo legittimava l’esaltazione dell’istintiva e pre-razionale barbarie e il gusto del bel frammento119.

Se di certo non risparmia da un giudizio alquanto severo gli intrecci e le dinamiche narrative che sottendono alle opere di tali scrittori, pare che egli colga il tratto distintivo di questa letteratura. Il decadentismo non solo «legittimava l’esaltazione dell’istintiva e pre- razionale barbarie e il gusto del bel frammento», ma aveva anche il merito di prediligere le immagini, le evocazioni e i ritratti, invece delle descrizioni delle trame atte ad intessere un complicato intreccio di soggetti.

In precedenza si sono fatti soltanto nomi di scrittori di origine fiamminga, benché, sia chiaro, essi si esprimessero in tutte le loro opere in lingua francese, questo è giustificato dal fatto che questo tratto distintivo individuato, seguendo i ragionamenti del Mor, non si addice alla letteratura di ispirazione vallone. Questa letteratura sembra invece prediligere l’introspezione psicologica a danno della descrizione. Racconta più agevolmente aspetti della vita familiare e quotidiana, consacrandosi all’indagine dei sentimenti umani120.

Si tende a considerare tali opere come minori perché, almeno fino al 1914, anno che cambierà all’improvviso gli orizzonti tematici e culturali del Belgio, la narrativa belga è quasi esclusivamente ispirata dal paesaggio (con una particolare attenzione per le città121), dalle sue tradizioni e dai costumi che contraddistinguono i territori delle Fiandre122, del Brabante, delle Ardenne e della valle della Mosa. Il decadentismo, con la sua esaltazione della primitiva barbarie, si innesta perfettamente sul verismo regionale di tali narrazioni123.

Anche per quanto riguarda la poesia, il riferimento culturale è rappresentato dal Simbolismo. Tale orientamento fa sì che i poeti che vi si iscrivono costituiscano un’élite

119

Mor, Weisgerber, op. cit., p. 86.

120 Ivi, p. 91.

121 Cfr. Michel Otten, Situation du symbolisme en Belgique, in AA.VV., Centenaire du Symbolisme en Belgique.

Elskamp – Maeterlinck – Mockel – Rodenbach - Van Lerberghe – Verhaeren, «Les Lettres Romanes», N° 3-4,

Université Catholique de Louvain, 1986, p. 208.

122 Che rappresenteranno il nostro terreno di indagine. 123 Mor, Weisgerber, op. cit., p. 95.

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senza contatto con la popolazione, tratto distintivo della generazione di poeti che qui studiamo.

La mancanza di una tradizione di letteratura sociale, moralistica e didattica favorisce il pieno sviluppo della poetica simbolista che trova dunque in Belgio un territorio vergine. L’analisi approfondita dell’io, che aveva visto il suo inizio con la corrente romantica, può così trovare uno spazio favorevole. D’altra parte, l’esposizione alla cultura letteraria francese avviene senza la presenza di alcun filtro diacronico; in Belgio dunque, e più precisamente per quanto concerne la generazione dei poeti degli anni ’80, la linea di separazione tra simbolismo e poetica parnassiana era ancora meno nitida di quanto già non lo fosse in Francia124.

Lo scambio con la cultura francese si attua anche grazie a una serie di visite compiute dai grandi modelli letterari francesi in Belgio, in quegli anni. Nel 1893 Verlaine si reca a Bruxelles e prima di lui vi erano già stati per dei cicli di conferenze Villiers de l’Isle-Adam nel 1889 e Mallarmé nel 1890. Essi espongono dunque il Belgio ai dibattiti culturali che la Francia già affrontava da anni125.

Fra le altre tematiche sviluppate dalla letteratura belga di quegli anni, Paul Aron individua un filone che effettivamente sarà sfruttato appieno solo successivamente:

Parmi les autres thèmes développés par les théoriciens du moment, l’intuition selon laquelle le réalisme fantastique serait une vision du monde particulièrement ajustée à la sensibilité locale est certainement un de ceux dont les écrivains belges du siècle suivant seront les plus redevables à leurs prédécesseurs.

C’est une fois encore à Edmond Picard, jamais à court d’idées, que l’on doit en effet le premier texte sur le fantastique réel où, reprenant une formule utilisée par Jules Claretie dans sa préface aux Histoires Incroyables de Jules Larmina (1885), il tente de prôner une sorte de «mystère quotidien» comme ressource de l’imaginaire126

.

124 Ivi, pp. 99-100.

125 Daniel De Graaf, Le mouvement Van nu en Straks dans le cadre du Symbolisme, in AA.VV., Les Flandres dans

les mouvements Romantique et Symboliste, Actes du second congrès national de Littérature Comparée, Lille 1957, Didier, Paris 1958, p. 110.

126 Paul Aron (éd.), La Belgique artistique et littéraire, une anthologie de langue française 1848-1914,

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Si tratta dunque del fantastico reale, di quella particolare attitudine che trova la sua nascita naturale nelle opere di Rodenbach e nei drammi di Maeterlinck, ma che sarà poi alla base del Disque Vert di Franz Hellens, scrittore che appartiene già alla generazione successiva.

Paul Gorceix individua nel forte radicamento geografico una caratteristica fondamentale della letteratura belga, e più precisamente delle opere degli scrittori succitati:

L’enracinement géographique apparaît comme une caractéristique complémentaire de leurs œuvres. Tandis que le symbolisme mallarméen ne reflet pas la réalité urbaine de la capitale et tend au contraire vers l’abstraction maximale, les symbolistes belges, comme l’a relevé pertinemment Michel Otten127, situent souvent leurs œuvres et vont chercher leurs images dans le contexte local de la ville – Gand, Bruges, Anvers – ou dans un environnement déterminé. […] Ici l’imaginaire a besoin d’un sol, ville ou campagne, dans lequel il s’enracine. Il n’est pas anonyme128

.

La riflessione propone un interessante confronto con la poetica mallarmeana, ma forse il modello da ricercare a proposito della loro predilezione per l’ambiente urbano è piuttosto quello offerto da Baudelaire. Si è già visto come per il poeta l’ambiente urbano fosse luogo di osservazione e riflessione per l’io poetico immerso nella folla parigina. Tuttavia occorre precisare sin da subito che la maggior parte delle opere degli scrittori belgi presentano l’io narrato raccolto nell’intimità di una piccola città in cui la folla è, se presente, un elemento di disturbo. Questa scelta narrativa si deve senza dubbio anche al fatto che in Belgio è assente una vera metropoli come Parigi.

Secondo Albert Kies è l’impossibilità di dare ai loro personaggi la lingua che in realtà parlerebbero (il fiammingo) a spingerli a creare per compensazione un certo colore locale:

… ils tâchent de créer une couleur locale «flamande» comme Balzac, dans ces

Contes drolatiques avait essayé de créer une atmosphère «moyen âge et

renaissance».[…]

127 Cfr. Michel Otten (ed.), Etudes de littérature française de Belgique, Jaques Antoine, Bruxelles 1976. 128 Paul Gorceix (ed.), La Belgique fin de siècle, Complexe, Bruxelles 1997, pp. 45-46.

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Pour les écrivains flamands de langue française, le réalisme régionaliste était une entreprise désespérée. Voilà pourquoi sans doute leur contribution au symbolisme l’emporte de loin sur leur apport au roman réaliste. Entre eux et leur univers, il y avait une barrière. Le réalisme à la manière de Flaubert ou de