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4. Definizione del corpus

1.1 Georges Rodenbach

1.1.10 Le miroir du ciel natal

L’angoscia per lo stato della città è il sentimento che pervade l’intera raccolta del 1898. Il titolo Le miroir du ciel natal è forse un chiaro richiamo all’anima del poeta che si riflette nel cielo delle Fiandre, così tante volte narrato e descritto da Rodenbach. Nella prima poesia della sezione Les femmes en mante la voce del poeta dichiara significativamente che sente di essere indissolubilmente legato alla città, fino alla morte:

Quelque chose de moi dans les villes du Nord, Quelque chose survit de plus fort que la mort.

164 Ivi, p. 117.

132 En leurs quartiers lépreux qu’affligent des casernes, Quelque chose de moi pleure dans les tambours.

Et par les soirs de pluie, en leurs mornes faubourgs, Quelque chose de moi brûle dans les lanternes. Et, tandis que le vent s’exténue en reproches,

Quelque chose de moi meurt déjà dans les cloches165.

Il poeta vive negli elementi che compongono la sua città, ma allo stesso tempo l’atmosfera della poesia è retta da una voce narrante conscia del fatto che sarà la città a sopravvivere; a tal proposito, l’ultimo verso è ben esplicativo del senso di morte avvertito dalla voce del poeta.

Nella seconda poesia il punto di vista del poeta è affiancato a quello della città che parla in prima persona, ancora una volta prendendo delle sembianze umane:

Une surtout, la plus triste des villes grises,

Murmure dans l’absence : «Ah ! mon âme se brise !»

Murmure avec sa voix d’agonie : «Aimez-moi !» Et je réponds : «J’ai peur de l’ombre du beffroi, J’ai peur de l’ombre encor de la tour sur ma vie Où le cadran est un soleil qu’on crucifie.»

La voix reprend avec tendresse, avec émoi :

«Revenez-moi ! Aimez mes cloches ! Aimez-moi !»

Et je réplique : «Non ! les cloches que j’écoute Sont les gouttes d’un goupillon pour une absoute !»

La voix s’obstine, encor plus tendre : «Aime mes eaux ! Remets ta bouche à la flûte de mes roseaux !»

133

Mais je réponds : «Non ! les roseaux dont l’eau s’encombre Sont des flûtes de mort où ne chante que l’ombre !»166

.

L’interlocutore è spaventato dall’ombra della torre del Beffroi che oscura il sole, ma la voce della città è tutta tesa a volersi far amare dal poeta, la cui malinconia pervade tutti i versi che compongono la poesia. Le campane sono un elemento di angoscia per il poeta che non entra definitivamente in sintonia con la città. Questo è un punto di vista molto particolare nella produzione narrativa rodenbachiana. Abbiamo già visto infatti quanto spesso la città e il poeta siano totalmente in sintonia, quasi addirittura ad entrare in comunione mistica tra di loro. La distanza marcata in questa poesia tende ad accrescere il sentimento di angoscia che pervade la raccolta.

La sintonia mancante tra il poeta e la città viene ricercata invece nel passaggio seguente estratto dalla quinta poesia della sezione Les femmes en mante:

C’est là qu’il faut aller quand on se sent dépris De la vie et de tout et même de soi-même ; Ville morte où chacun est seul, où tout est gris,

Triste comme une tombe avec des chrysanthèmes167. …

All’interno della finzione narrativa potrebbe essere stato il protagonista di Bruges-la-

Morte a scrivere questi versi. La ricerca dell’intesa puntuale tra il proprio stato d’animo e

l’anima della città, come abbiamo visto, sta alla base del romanzo del 1892, così come più in generale dell’intera opera di Rodenbach. Nello stato di solitudine l’uomo ha bisogno di vivere in un ambiente che gli assomiglia, nel quale vivono suoi simili, altrettanto solitari, alimentati dalla comunione con la «città morta in cui ciascuno è solo, dove tutto è grigio, triste come una tomba con dei crisantemi»168.

Le tematiche centrali dell’opera di Rodenbach ritornano costantemente anche in questa tardiva raccolta: il silenzio di una città irreale in preda all’estrema solitudine169, la città

166 Ivi, pp. 164-165.

167 Ivi, p. 167.

168 Cfr. Albert Carnoy, L'Imagination Flamande dans l'Ecole Symbolique Française, in PMLA, Vol. 33, N° 2

(1918), pp. 204-234, URL: http://www.jstor.org/stable/457112, p. 220.

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che prende i voti come se fosse una religiosa: «La ville entière a pris son voile»170; ritorna anche il tema fondamentale dei colori della città, cioè il nero e il bianco che determinano il grigiore dominante della città stessa, tesi già chiaramente esposta ne Le Carillonneur. Il tema del passato di splendore delle città delle Fiandre viene evocato attraverso l’alto profilo dei

Beffrois che da secoli sfidano il cielo e sono stati i testimoni di quel passato:

Le Beffroi se souvient du passé et s’exalte ! À d’autres la mémoire est lourde et les ans pèsent ! Il est toujours lui-même ;

Et, dans son armure de briques, Il se rêve héroïque171. …

Il Beffroi è rappresentato come detentore della memoria storica della città, ma al tempo stesso come un grande difensore di tale passato di fronte a una rovina rappresentata da un presente al quale non si vuole arrendere. Mentre in precedenza era soltanto la sua ombra e le sue campane ad essere rappresentate come elemento costitutivo importante della città, ora lo è la torre stessa, presa a simbolo di baluardo testimone dei secoli, la cui anima ne possiede i ricordi.

Se continuiamo l’analisi della raccolta incontriamo nuovi elementi come la neve, intesa come portatrice di tranquillità e di innocenza, come un ritorno all’infanzia per la città stessa172; ma l’angoscia ritorna subito con una poesia nella quale il poeta si chiede se la città potrà mai salvarsi, nella quale troviamo l’espressione «le grand désastre»173

, già incontrata in

Bruges-la-morte, nel quale con tale definizione veniva indicata la morte prematura della

giovane donna, moglie di Hugues Viane.

La poesia XIII de Le miroir du ciel natal ci comunica la perenne immutabilità delle città delle Fiandre:

[…]

Toujours les quais connus, les mêmes paysages,

Les vieux canaux pensifs qu’un cygne en deuil affleure ;

170 Ivi, p. 171. 171 Ivi, p. 174. 172 Ivi, p. 175. 173 Ivi, p. 179.

135 Sans jamais d’imprévu ni de nouveaux visages

Donnant une autre voix à l’heure174 ! …

I primi due versi si pongono in antitesi rispetto ai successivi. Se nella prima parte tutto è presentato come immutabile, nella seconda parte si mette in luce la possibilità inespressa del nuovo, con l’utilizzo però della negazione. All’avverbio «toujours» corrisponde «jamais»; all’aggettivo «connus» corrisponde «imprévu»; all’aggettivo «même» corrisponde «nouveaux» e a «vieux» corrisponde «autre». Si vuole mettere in luce la possibilità del cambiamento, ma il fatto che venga espressa in negativo, lungi dall’essere casuale, starebbe, a nostro parere, a significare un punto di vista che è assolutamente schierato dalla parte dell’immutato e dell’immutabile, inteso come mutazione potenziale.

Le formule familiari a Rodenbach, come «La ville abdique», «Et les tours sont dans

l’air comme un grand cri sculpté» e «la mer est partie/ Comme un amour…»175

, le abbiamo già trovate in Le Carillonneur e ritornano spesso nella sua intera produzione.

La sera è costantemente presente in Rodenbach. Il momento serale è quello in cui si raccolgono i pensieri e i lunghi canali ospitano i cigni tranquilli che si apprestano forse al loro canto finale. La sera la città è deserta e il poeta, o il narratore, entrano più facilmente in comunione con la città. Nella raccolta qui presa in esame invece, la sera può rappresentare un momento terribile, in cui la malattia che affligge la città potrebbe peggiorare. Nella poesia VII della sezione intitolata Les réverbère176, il tema della sera è legato profondamente alla

malinconia, così come la si intendeva nel secolo scorso, quella che oggi noi definiremmo clinicamente depressione177.

174 Ivi, p. 180. (Corsivi nostri). 175 Ivi, pp. 184-185.

176 Ivi, pp. 198-199.

177

Cfr. tra gli altri R. Klibancky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melanconia : studi di storia della filosofia

naturale, religione e arte, Torino, Einaudi, 1983 e gli atti del convegno internazionale pluridisciplinare

Melencoliia (Arti comparate – VII Edizione/Pescara14-17 maggio 2008), raccolti da G. Giansante e S. Santavenere in «Bérénice», Rivista quadrimestrale di studi comparati e ricerche sulle avanguardie, anno XV, nn. 40-41, novembre 2008.

136 1.1.11 Il teatro: Le Voile e Le Mirage.

Di certo Georges Rodenbach non è celebre per le sue opere drammaturgiche, seppure anch’esse facciano parte a pieno del suo universo poetico. Nel 1894 a Parigi va in scena Le

Voile178, opera in un unico atto ambientata a Bruges.

Il dramma è ispirato da un episodio d’infanzia dello stesso Rodenbach, il quale durante il periodo di malattia della sorella ha vissuto in casa in presenza di una beghina, chiamata per assistere la sorella in agonia. Ispirato da questa vicenda l’autore belga aveva già scritto una novella dal titolo L’amour en nuance pubblicato in una rivista di debole circolazione nel 1888. Nella novella Jean (alter ego dunque dello stesso Rodenbach) scopre di essere attratto dal mistero dei capelli nascosti della beghina presente in casa per assistere la madre morente, salvo poi veder svanire questa passione nello stesso momento in cui egli può ammirare i capelli della beghina, costretta a presentarsi al suo cospetto senza il suo copricapo a causa del precipitare degli eventi e della conseguente morte della madre179.

Nel 1894 l’opera teatrale riprende quasi interamente la vicenda, trasformando solamente la madre malata in una zia, forse per scrupolo di messa in scena. Risultava infatti abbastanza delicato l’accostamento del sentimento di passione in presenza di un parente così prossimo in agonia. Nella didascalia leggiamo che la vicenda si svolge a Bruges, ma forse l’avremmo supposto anche da alcuni segnali presenti nel testo. Innanzitutto occorre dire che l’opera è scritta in versi, in quell’alessandrino dal quale Rodenbach farà così fatica ad allontanarsi180. Benché l’unico atto si svolga all’interno dell’abitazione dell’ammalata, alcuni versi richiamano indubitabilmente l’anima di Bruges: leggiamo costantemente del suono delle campane, della pioggia battente che scende sulla città e in maniera più specifica dei canali di Bruges, utilizzati come sempre come termine di paragone per un’analogia relativa alla solitudine di due anime che non si incontreranno mai:

C’est comme un long canal dont, à distance égale, S’allongeraient les quais de pierre. L’eau les joint Et semble amalgamer leurs reflets en un point, Mais leur mirage seul se mêle à la surface ;

178 G. Rodenbach, Le Voile, Ollendorff, Paris 1897.

179 Patrick Laude sostiene che il ruolo del velo della beghina in questa pièce sarebbe lo stesso che Rodenbach

impone alla città in molti dei suoi componimenti: esso avrebbe la funzione di conferire il potere affascinante del mistero. Cfr. P. Laude, op. cit., pp. 116-117.

137 Ils vivent séparés, en étant face à face181 !

Anche in quest’opera si assiste al forte condizionamento di Jean, questo il nome del protagonista, ad opera della città, anche qui morta:

Sauf que la ville morte est là, qui me modèle; Elle m’a fait une âme à part, le reflet d’elle, Et l’eau sans but de ses canaux est dans mon cœur. Ailleurs la cité brûle… Elle est toute langueur ! Mais ici je n’aimai qu’en songe et qu’en nuance Pour un détail, pour une anomalie ou pour Quelque chose de tout cérébral dans l’amour182

: …

La passione è destinata a spegnersi dunque perché l’influenza della città non ammette un amore a lieto fine; tema ricorrente, come abbiamo già notato, in Bruges-la-Morte e non solo.

Meno noto è invece l’adattamento teatrale di Bruges-la-Morte dal titolo Le Mirage183

, realizzato dallo stesso Rodenbach, ma messo in scena a Parigi e pubblicato per la prima volta nel 1900 nella Revue de Paris, due anni dopo la morte dello scrittore184. Benché si tratti di un adattamento abbastanza fedele al romanzo, vedremo quali differenze si siano rese necessarie ne Le Mirage e tenteremo di vedere in quale modo le due opere abbiano tentato di preservare la loro natura rispetto all’ideale letterario dello scrittore.

È fondamentale dunque chiedersi se nell’opera teatrale il ruolo della città cambi, se il suo status di personaggio venga a decadere per lasciare spazio ad una città che diventa un mero sfondo, oppure se attraverso i dialoghi e il racconto diegetico l’atmosfera di Bruges possa essere trasmessa anche al pubblico teatrale185.

Il titolo della pièce mette in rilievo una tematica diversa rispetto a quella del romanzo. Benché i personaggi siano gli stessi, con la sola aggiunta del personaggio di Joris Borluut, e

181

Le Voile et le Mirage, op. cit., p. 11.

182 Ivi, pp. 17-18.

183 L’opera, in prosa, consta di quattro atti.

184 Pubblicato poi in volume per Ollendorff nel 1901.

185 Cfr. Maria Elisabetta Nieddu, Da Bruges-la-Morte a Le Mirage: la perdita di un personaggio?, «Between»,

II.4 (2012), http://www.Between-journal.it/. Qui si daranno dunque soltanto le conclusioni a cui siamo pervenuti attraverso l’analisi più dettagliata presentata nell’articolo.

138

una discrepanza nella grafia del nome di Hugues, che nell’opera teatrale diventa Hughes186

, assistiamo qui anche alla presenza fisica del fantasma della moglie defunta che, a differenza del romanzo, ha un nome: Geneviève. La defunta inoltre sembra parlare a Hughes nella stessa maniera in cui nel romanzo Hugues immagina di sentire la città e si definisce essa stessa la sua Ofelia:

Geneviève – Toujours nous, - nous deux!... Il n’y a que nous deux, dans cette ville morte. C’est pour y être seul avec moi que tu es venu ici. Tu m’avais perdue, tu m’as retrouvée… Au fil des vieux canaux, je fus ton Ophélie. Dans les cloches, tu entendis ma voix qui s’éloignait, se rapprochait, croissait ou décroissait… Et ce soir, dans le brouillard, tu m’as cherchée, car c’est un linceul dont tu me déshabilles187

!

Il richiamo all’acqua e la visione esplicita dell’immagine riflessa spiegano il diverso titolo dato all’opera: il tema dell’immagine riflessa nell’acqua, così come nelle sembianze della ballerina Jane Scott, è qui il tema centrale, senz’altro di più alta rilevanza rispetto a quello dell’influenza della città e del suo operare sugli animi in comunione con essa.

La differenza centrale delle due opere sta nell’utilizzo dello spazio. Nel romanzo la separazione tra il mondo di Hugues, di cui fanno parte la casa e la città, e quello esterno, ridotto allo spazio della casa di Jane, pare essere netta e determinante per formare la narrazione, mentre nell’opera teatrale la staticità, imposta forse da una concezione troppo convenzionale del teatro da parte di Rodenbach, ha annullato completamente questa divisione presentandoci la casa di Hughes come un luogo aperto agli incontri. Anny Bodson-Thomas188 riconosce l’influenza di Maurice Maeterlinck nel tema del silenzio di Rodenbach; tuttavia, non sembra che in questa pièce egli riesca a sfruttare questo tema per riuscire a riprodurre l’indicibile a teatro così come riesce a fare sapientemente Maeterlinck. Basti pensare a un’opera come L’intruse (1890), nella quale la presenza della morte è assolutamente palpabile anche soltanto alla lettura dei dialoghi fra i personaggi189. Forse proprio il dover ricorrere al dialogo è stato l’elemento di crisi in Rodenbach: i suoi personaggi infatti sono silenziosi e per questo non sono fatti per il teatro in cui tutto è affidato ai dialoghi, e vi è

186 Di seguito scriveremo “Hugues” quando parleremo del personaggio del romanzo, mentre useremo la grafia

“Hughes” quando ci riferiremo al personaggio della pièce.

187 Georges Rodenbach, Le Voile et le Mirage, op. cit., p. 60. 188 Anny Bodson-Thomas, op. cit., pp. 123-125.

189 Paul Gorceix, Réalités Flamandes et Symbolisme Fantastique. Bruges-la-Morte et Le Carillonneur de Georges

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dunque l’obbligo di rinnegare il silenzio190

. Quanto alla città, parrebbe che un nuovo personaggio in realtà ne prenda il posto, ossia il fantasma della moglie defunta che offre la possibilità di avere un vero confronto con l’ossessione del doppio di cui Hughes Viane è preda, ma la sua apparizione è troppo fugace affinché se ne possa avvertire la presenza lungo tutta l’opera, così com’è invece nel romanzo per la città di Bruges191

.