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La traduzione culturale olistica

Sara Laviosa

2 La traduzione culturale olistica

L’approccio olistico alla traduzione culturale elaborato da Tymoczko presuppone che la traduzione sia considerata come una forma di tre interconnesse modalità di scambio culturale. La prima è la ‘rappresentazione’: la traduzione è solitamente una forma di rappresentazione in quanto essa fa le veci del testo di partenza. La seconda modalità è la ‘trasmissione’: la maggior parte delle traduzioni comportano infatti il trasferimento di alcuni elementi del testo di partenza nel testo di arrivo. La terza modalità è la ‘transculturalità’, ovvero l’appropriazione, nella lingua e cultura di arrivo, di elementi culturali presi in prestito dalla lingua e cultura di partenza, in modo che vengano incorporati nella cultura di arrivo. Tymoczko ci spiega che il modo in cui le tre modalità vengono negoziate dal traduttore dipende da specifici contesti storici e socio- culturali. Inoltre, mentre la transculturalità è stata poco discussa nell’ambito dei Translation Studies, la rappresentazione e la trasmissione sono sì state ampiamente considerate dagli studiosi, ma principalmente come attributi della traduzione, piuttosto che come ampie categorie nelle quali le singole traduzioni possano essere situate. Allora quali sono i benefici che derivano dal considerare queste tre interfacce culturali come categorie concettuali che includono, influenzano, e illuminano il fenomeno della traduzione? Il primo beneficio consiste nel consentire di elaborare teorie traduttive che intendano la traduzione come un concetto cross-linguistico, cross-culturale e cross-temporale, che in forma abbreviata la studiosa definisce ‘traduzione con l’asterisco’ (*traduzione). Il secondo beneficio consiste nell’ispirare una pedagogia che sviluppi la capacità di tradurre in un mondo globalizzante, il quale richiede apertura, comprensione; nonché rispetto verso le differenze culturali. Il terzo beneficio è di poter creare tipologie dove si individuino sia le affinità che accomunano traduzioni appartenenti a svariati contesti socio- culturali, sia le differenze che caratterizzano la produzione traduttiva di una singola tradizione culturale.

Passiamo ora a considerare la teoria socio-culturale che sottende l’approccio olistico alla traduzione culturale. La Tymoczko attinge principalmente al concetto di habitus elaborato da Pierre Bourdieu negli anni Settanta e definito come “un sistema di disposizioni durature e trasferibili, il quale, integrando le esperienze del passato, opera in qualsiasi momento

come una matrice di percezioni, riconoscimenti e azioni, rendendo possibile la realizzazione di una varietà infinita di compiti e attività” (Bourdieu 1977 cit. in Tymoczko 2007: 226). Quindi, nella prassi della traduzione culturale il traduttore terrà conto dell’habitus della cultura di partenza e del suo rapporto con la cultura di arrivo. Ciò vuol dire che “un approccio olistico alla traduzione culturale prenderà innanzitutto in considerazione i più ampi elementi culturali che separano la cultura di partenza da quella di arrivo, al fine di creare un contesto che coordini le scelte di carattere culturale che verranno effettuate nel corso della traduzione” (Tymoczko 2007: 235). Al fine di facilitare questo delicato e impegnativo compito, la studiosa propone un repertorio parziale di elementi culturali che il traduttore potrà considerare al fine di affrontare con sensibilità, responsabilità e consapevolezza le problematiche insite nel tradurre le differenze tra lingue e culture distanti nel tempo e nello spazio. I primi elementi culturali da prendere in considerazione sono i ‘concetti firma di una cultura’, i quali svolgono un ruolo fondamentale nell’organizzazione sociale di una comunità e nelle sue pratiche culturali. Esempi di tali concetti in culture diverse sono: libertà, benessere, progresso, coraggio, vergogna, purezza (Tymoczko 2007: 238-239). Le ‘parole chiave’ sono elementi culturali che a volte rimandano ai concetti firma, e a volte indicano elementi scelti dall’autore per organizzare il testo. Un esempio descritto dalla studiosa è la metafora creativa degli occhi blu nel romanzo di Toni Morrison The Bluest Eye (1970), la quale rappresenta l’egemonia razzista in America alla vigilia della Seconda guerra mondiale (Tymoczko 2007: 241). Le ‘metafore concettuali’ sono elementi culturali che foggiano il nostro pensiero. Esse spesso variano da una cultura all’altra, come dimostrano Yan Ding, Dirk Noël, Hans-Georg Wolf (2010) nella loro investigazione delle metafore della paura nella lingua inglese e in quella cinese. Gli studiosi dimostrano come la metafora la paura è un avversario, pur essendo presente in entrambe le lingue, in inglese viene usata per concettualizzare la condizione di cadere vittima della paura, mentre in cinese viene usata per descrivere il tentativo di vincerla.

Il ‘discorso’, inteso come un insieme sistematico di affermazioni che esprimono i significati e valori di un’istituzione, è anch’esso considerato un elemento culturale di rilievo in una prospettiva olistica. Un esempio è il discorso della ‘privacy minacciata’, esaminata da Katherine Adams (2009) nella scrittura biografica e autobiografica femminile dell’America dell’Ottocento. Le ‘pratiche culturali’ comprendono, fra le tante, l’uso dei titoli, le forme di saluto e di commiato, la denominazione dei rapporti di parentela. Per esempio, in tailandese alla parola nonno corrispondono due parole: po (nonno paterno) e ta (nonno materno) e alla parola nonna corrispondono: ya (nonna paterna) e

shushu, bobo, jiujiu, guzhang, e yizhang, ciascuna delle quali si riferisce a uno

specifico legame di parentela. Queste pratiche sono importanti sia per creare la propria identità, personale e sociale, sia per raggiungere la coesione sociale di una comunità. I ‘paradigmi culturali’ sono l’umorismo, l’argomentazione, l’uso delle figure retoriche. Ad esempio, nella cultura anglosassone, a differenza di quella italiana, l’umorismo è presente in una più vasta gamma di generi testuali: dai titoli dei giornali, alla relazione accademica, dal discorso che il testimone dello sposo pronuncia prima del pranzo nuziale al discorso di parenti e amici durante un funerale, come nel famoso film Quattro matrimoni e

un funerale (1993). La ‘sovracodificazione’ si riferisce a quelle caratteristiche

linguistiche che differenziano i generi testuali, oppure le modalità di comunicazione, come ad esempio il testo scritto e quello orale. In arabo, la prosa argomentativa, come spiega Mona Baker (2011: 247), è caratterizzata, a differenza dell’inglese, dalla ripetizione della forma e dei contenuti, per cui la stessa informazione viene reiterata più volte al fine di persuadere l’ascoltatore o il lettore. Infine, i simboli culturali, come ad esempio, il linguaggio dei fiori, sono intimamente legati all’identità di un individuo, un gruppo familiare, una classe sociale, una nazione. Riassumendo, quindi, “un approccio olistico alla traduzione, a differenza di una impostazione focalizzata solo su alcuni elementi di differenza culturale, consente un maggiore scambio tra culture e un’asserzione culturale più efficace, permettendo così al mondo di accogliere il nuovo” (Tymoczko 2007: 233).