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La valutazione della “visibilità” dei siti archeologici

4. Siti ed evidenze insediative della pianura udinese nell'età del bronzo

4.2 La valutazione della “visibilità” dei siti archeologici

Il termine “visibilità” viene applicato in archeologia ad una varietà di fenomeni e, nell'ambito dell'archeologia dei paesaggi, indica generalmente la probabilità di individuare siti sulla superficie del territorio oggetto di una ricognizione8. Impiegando in questa sede un' accezione più ampia del termine (e non limitata esclusivamente alla pratica della ricognizione) si può affermare che la “visibilità” archeologica è un parametro che mira a valutare quali siano e quanto peso abbiano i fattori che ostacolano l'indagine del paesaggio antico. Essi possono essere suddivisi in due grandi insiemi: quelli riguardanti gli strumenti della ricerca utilizzati (teorici e metodologici) e quelli riguardanti il record archeologico inteso come bacino fisico, dovuti all'insieme dei fenomeni postdeposizionali successivi alla formazione del deposito (wheathering9

, erosione, dinamiche fluviali, uso del suolo, vegetazione)10.

Passiamo ora in rassegna i fattori di distorsione più significativi in riferimento all'area oggetto di studio e al periodo considerato.

4.2.1 Condizionamenti dovuti allo stato delle ricerche

Circa le distorsioni della visibilità imputabili allo stato della ricerche finora svolte, la mancanza di progetti editi di ricognizioni intensive su ampia scala territoriale fa sì che la maggioranza dei siti siano noti grazie alle segnalazioni compiute a partire dagli inizi del '900 da appassionati e studiosi, e solo occasionalmente grazie ad indagini di ricerca puntuali o al

6 Cfr sul tema in part. Fentress 2000, 49-50.

7 Sugli effetti di distorsione del record di superficie: Cherry, Davis, Mantzourani 1991, 38-45; Terrenato 2004. 8 Cambi, Terrenato 2006, 126-128.

9 Con questo termine si intende l'insieme dei processi di alterazione chimico-fisica delle rocce affioranti a contatto con l'atmosfera.

monitoraggio archeologico preventivo11. Infatti, come per le altre regioni italiane, la pratica del controllo archeologico si sta ampiamente diffondendo anche in FVG e ha portato recentemente ad importanti risultati per la conoscenza della protostoria della regione12. In particolare, per l'ambito della pianura udinese le attestazioni riferibili al periodo eneolitico e all'età del bronzo sono per ora limitate a poche (anche se importanti) evidenze emerse durante la messa in opera di alcuni impianti infrastrutturali13.

4.2.2 Dinamiche postdeposizonali

Le dinamiche geopedologiche, morfologiche e di utilizzo del suolo creano significative differenze nella visibilità tra i settori di alta e bassa pianura e all'interno di entrambi i settori. Per quanto riguarda le caratteristiche geopedologiche, ad esclusione dei terrazzi tettonici di formazione pleistocenica come Udine, Pozzuolo e Variano (per citare i maggiori), l'alta pianura udinese è contraddistinta da suoli evoluti molto sottili, dello spessore di 30-50 cm, prodotti a partire dall'interruzione dei processi di sedimentazione nel periodo cataglaciale (18-15.000 BP), ossia alla fine dell'ultima glaciazione14

. Tale stabilità geomorfologica rende teoricamente possibile l'identificazione in superficie di tracce di attività anche molto antiche, a partire dalle fasi finali del Paleolitico, ma d'altro canto, implica una forte erosione dei depositi innescata già in antico dai processi di weathering, nonché dall'uso antropico, accentuata negli ultimi decenni dalla intensificazione delle pratiche agricole con mezzi meccanici. Ne consegue che, nelle aree in cui suoli sono di spessore più esiguo, il substrato ghiaioso dei depositi fluvioglaciali è stato portato in superficie dalle arature moderne, il che costituisce un forte impedimento all'individuazione di tracce antropiche antiche (Fig. 4.1). A

11 Dovrebbe in parte colmare questa lacuna il progetto di ricognizione intensiva condotta dall'Università di Sidney sul territorio di Aquileia diretto da Arianna Traviglia 'Beyond the city walls: the landscapes of

Aquileia': alcuni risultati di questa indagine relativi alla preistoria dell'area sono stati recentemente

presentati al convegno IIPP del 2014 (Traviglia, Roma, Simonetto, Visentini, Fanning c.s.).

12 In Italia la pratica del controllo archeologico è diventata prassi a seguito dell'emanazione della legge 109 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 25 giugno 2005.

13 Si ricordano tra questi il controllo archeologico effettuato lungo la linea del metanodotto Flaibano-Gonars che ha portato all'individuazione dei resti di strutture in località S. Odorico di Flaibano e Coderno di Sedegliano (Flaibano-Gonars 2009); il controllo che ha avuto luogo nei pressi di Pocenia e che ha portato all'identificazione di un fosso contenete materiali riferibile al BR, in località Rivis Case Michieli (Pocenia 2009). I progetti di ricerca e di tutela che sfruttano gli strumenti dell'archeologia preventiva stanno contribuendo a cambiare la conoscenza della protostoria regionale, aumentando considerevolmente il numero delle attestazioni (cfr. per il Pordenonese: Frassine, Pettarin, Tasca Merlatti c.s.; per il carso triestino:

Lidar c.s.).

questo si aggiunge la prevalenza di colori bruni piuttosto uniformi (dovuto ai processi di fersiallitizzazione15) che rende difficilmente distinguibile il terreno naturale da quelle antropizzato (che è scuro per la presenza di materia organica).

Fig. 4.1. Ghiaie affioranti nell’area di Coderno di Sedegliano (alta pianura).

Per quanto concerne le caratteristiche della bassa pianura, i suoli si presentano di colore chiaro, favorendo il contrasto cromatico16. Inoltre, in alcuni settori della Bassa l'instaurarsi di processi di aggradazione fluviale e di ingressione lagunare a partire dagli ultimi 6000 anni ha contribuito all'obliterazione delle stratificazioni protostoriche17, provocando da un lato una migliore conservazione dei depositi, ma dall'altro riducendo la visibilità in superficie dei siti protostorici, in quanto sepolti da coltri alluvionali successive. Una situazione simile si riscontra, ad esempio, presso Latisana, per i depositi di esondazione del Cormor, e nelle zone del Friuli interessate dalle divagazioni recenti dell'Isonzo (ultimi 3000 anni)18. Nel complesso,

15 La fersiallitizzazione (nome derivato dagli elementi ferro, silicio e alluminio) è un processo pedogenetico caratteristico dei climi mediterranei con decisa stagione secca cui segue una stagione umida invernale. È caratterizzato da accentuata genesi di argille dove l'abbondante ferro si deposita uniformemente sotto forma di ematite, provocando intensi arrossamenti del terreno che assume una tinta rosso-brunastra (rubefazione) (cfr. per l'ambito geoarcheologico Fontana 2001, 235).

16 Cfr. Fontana 2006, 86 con bibliografia citata; cfr. anche le note illustrative in Carta geologica Udine 2008. 17 Per i fenomeni di aggradazione fluviale e di ingressione lagunare cfr. supra Par. 2.2.

18 Fenomeni di aggradazione fluviale interessano complessivamente una superficie piuttosto limitata del totale dell'area di studio (pari al 16% circa). Per gli aspetti geomorfologici della bassa pianura friulana e delle

comunque, la maggiore conservazione dei depositi, le caratteristiche dei suoli (minore pietrosità, spessori maggiore e valori di chroma più alti tendenti al giallo, che esaltano il contrasto con sedimenti ricchi di materia organica19), la presenza su vaste aree di superfici esposte tardiglaciali non sovralluvionate rendono le condizioni di visibilità notevolmente migliori nell'ambito di bassa pianura rispetto alla alta20.

4.2.3 Utilizzo del suolo

Per quanto riguarda l'utilizzo del suolo nella pianura friulana, una valutazione complessiva dell'impatto antropico moderno può essere compiuta tramite il confronto tra l'utilizzo del suolo nelle annate 1950, 1970 e 200021 (Fig. 4.2). Sia in alta che in media e bassa pianura la maggioranza della superficie disponibile era occupata da seminativi che aumentarono raggiungendo nel 2000 valori percentuali simili nei due settori analizzati (alta-bassa: 84%-78% nel 1950; 79%-75% nel 1970; 75%-77% nel 2000). Tale aumento si può riscontrare anche per la superficie occupata da vigneti e frutteti (nel 2000 1,6% in alta e 2,7% in bassa).

Questi dati risultano significativi anche in relazione alla conservazione dei depositi archeologici: nelle ampie porzioni di territorio in cui le stratificazioni archeologiche non sono coperte da coltri alluvionali consistenti, i sistemi idraulici di bonifica e le pratiche agricole moderne hanno alterato le morfologie antiche e intaccato profondamente i depositi archeologici. Parallelamente, risultano in progressivo aumento nei differenti settori di pianura anche le aree urbanizzate o destinate a servizi di vario tipo, quali discariche, ospedali, cimiteri (Alta-Bassa: 8%-4% nel 1950; 13%-6% nel 1970; 16,5%-8% nel 2000)22. Questo dato sembra dunque dimostrare la necessità di politiche che favoriscano gli interventi di archeologia preventiva e che mirino alla tutela del patrimonio archeologico regionale, comprendente anche aree ad alto potenziale archeologico come i centri di Udine, Cividale ed

dinamiche di evoluzione morfologica recente v. Fontana 2006, 117-171; per l'area del sistema Torre-Isonzo: Marocco 2008; cfr. inoltre infra Par. 5.1

19 Sul contrasto cromatico dei terreni: Fontana 2001, 234.

20 Cfr. come utile temine di paragone quanto rilevato nella pianura romagnola in Mancassola 2006, 122-123. 21 Questi e molti altri tematismi sono disponibili dal sito della Regione Friuli-Venezia Giulia all'indirizzo:

www.irdat.regione.fvg.it (aggiornato al 25-10-14); la suddivisione piuttosto arbitraria tra alta pianura da un lato e fascia risorgive e bassa pianura dall'altro si è resa necessaria per poter proporre un quadro di sintesi sulle questioni inerenti la visibilità, anche in ragione dell'estensione simile dei due settori.

22 La prevalenza di questa categoria nel settore di alta pianura rispetto alla Bassa sembra imputabile soprattutto alla presenza del capoluogo Udine.

Aquileia. Gli spazi incolti destinati a vegetazione boschiva e arbustiva o a cespugli risultano maggiormente attestati nel settore di bassa pianura, soprattutto in corrispondenza delle aree golenali e delle frange lagunari (nel 2000, 3% circa nella alta pianura contro quasi l'8% nella bassa), dove la presenza di vegetazione fitta limita, tuttavia, notevolmente la visibilità di superficie.

Fig. 4.2. Uso del suolo nei settori di alta e media pianura e di bassa pianura negli anni 1950, 1970 e 2000.

4.2.4 Condizionamenti dovuti alle caratteristiche strutturali degli abitati

Altre motivazioni di tipo più strettamente archeologico influenzano la visibilità. La presenza di imponenti cinte difensive poste a protezione degli abitati dell'alta pianura, alcune delle quali sopravvissute fino ad oggi e ancora ben visibili, ha reso piuttosto precoce l'identificazione degli abitati protostorici di lunga durata fin dalle prime ricerche settecentesche, ma molto più difficile (e rara) quella di aree di frequentazione più limitate nello spazio e nel tempo (ad esempio possibili unità familiari abitative, aree di produzione). A parziale conferma di questo, vale la pena sottolineare che, in quest'area, sono pochissime le evidenze abitative dell'età del bronzo non riferibili agli abitati fortificati di lunga durata, tra cui figurano il sito intercettato nel corso di lavori edili presso Coderno di Sedegliano23 o la

cosiddetta “area di servizio” a carattere produttivo individuata esternamente al castelliere di Pozzuolo Cjastiei, in località Braida Roggia24. Diversamente, in bassa pianura, la presenza di possibili tracce di frequentazione è segnalata unicamente da spargimenti di materiali associati a chiazze di terreno scuro antropizzato, viste le caratteristiche morfologiche e sedimentologiche già menzionate.